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Cosa ne pensa della campagna di comunicazione del Ministero della Salute e in particolare dello spot, successivamente ritirato, in cui Mirabella afferma: “non è affatto facile il contagio”, riferendosi al nuovo coronavirus?

In quello spot c’era un errore che non si dovrebbe fare durante una crisi: non si teneva conto dell’incertezza che caratterizza la comunicazione della scienza in generale, e la comunicazione in un momento di crisi in particolare. Una frase come quella pronunciata da Mirabella dava un elemento di sicurezza che in quel momento nessuno poteva avere. È vero che la situazione poteva sembrare meno grave di quello che poi si è dimostrato, ma non avevamo nessun elemento per avere una simile certezza. Le istituzioni spesso hanno paura di comunicare l’incertezza perché hanno l’impressione che ciò dia un senso di debolezza ai cittadini e quindi possa ridurre la fiducia; in realtà ammettere l’incertezza proprio in un momento del genere e precisare molto bene, come fa l’Oms, cosa è certo e cosa in dubbio, sarebbe raccomandabile. Passare cose incerte per certe è in linea con tutto il difetto peggiore della comunicazione istituzionale di questa emergenza: il paternalismo, anche da parte delle conferenze stampa di Conte e della Protezione Civile.

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A proposito delle conferenze della Protezione Civile, ci sono state altre criticità? Oltre al paternalismo sicuramente l’assoluta mancanza di empatia da parte di Borrelli. Per quanto riguarda la comunicazione della crisi, c’è un motto secondo me molto importante che dice che in queste situazioni “People wants know that you care, much more than they care what you know” (Alla gente interessa di più sapere che ti preoccupi, rispetto a preoccuparsi di quello che sai). Inoltre, non c’è stata una comunicazione precisa, ma manipolatoria. Basti pensare al numero dei guariti che non aveva senso dato che comprendeva dimessi, guariti clinicamente, coloro che hanno il doppio tampone negativo; così come il numero di tamponi che non rappresenta il numero reale di persone sottoposte a test. I morti poi erano infilati dentro per sbaglio, mangiandosi le parole. Chiaramente è una comunicazione non trasparente, priva del senso comune del “tutti insieme dobbiamo contribuire, siamo tutti sulla stessa barca”, era un continuo raccomandare ai cittadini di “fare i bravi”. Anche adesso la situazione è questa, le istituzioni raccomandano ai cittadini di essere responsabili, e se ci sarà il ritorno dell’ondata sarà colpa nostra. Questo stigma così colpevolizzante non è una buona comunicazione e nemmeno giusta.

Riguardo a due dei temi più dibattuti, tamponi e mascherine, come pensa sia stata gestita la comunicazione circa la loro utilità e disponibilità?

Secondo me è mancata la coerenza: esperti, governo, Regioni danno tutti opinioni e indicazioni diverse. Il cittadino non ha avuto regole e norme precise da seguire, ma fatte in maniera ambigua così che in qualunque modo si possa sbagliare. Inoltre è mancata la trasparenza, che deriva direttamente dal paternalismo nel tentativo di non allarmare. Riguardo ai tamponi il problema principale è stata l’impossibilità di farli anche ai sintomatici. Se davvero in determinate zone particolarmente critiche come la Lombardia fossero garantiti i tamponi ai sintomatici e ai contatti stretti, come prevedono l’Oms e il Ministero, saremmo in un altro mondo. Nessuno pretende tamponi a tappeto ovunque, li fai di massa se hai poca gente e tanti tamponi, altrimenti anche per il fatto che forniscono una fotografia istantanea dell’infezione, li fai solo ai sintomatici e ai suoi contatti. Non bisogna considerare solo lo slogan Test, Test, est, ma piuttosto Test,Track and Treat, a cui aggiungerei anche l’isolamento, elemento fondamentale.

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Lei crede che la scienza sia stata utilizzata adeguatamente per spiegare, far comprendere e accettare le misure restrittive da parte della popolazione?

Per quello che ho visto però credo che ce ne sia stata tanta di scienza, ma brutta e soprattutto presentata con una luce negativa. Il problema è che in Italia la scienza è presentata come granitica, per cui quello che è scientifico è vero e tutto il resto è falso; e che 2+2=4 e nessuno lo può discutere. Questo in realtà è esattamente il contrario dello spirito della scienza che si nutre di dubbi continuamente, ma le persone abituate a questa visione sono convinte che la scienza abbia risposte certe e assolute, cosa che in questo caso manca perché è un tema scientifico, per di più nuovo. La gente è rimasta disorientata per i numerosi cambi di opinione avvenuti nel tempo, e anche per le diverse idee espresse dai diversi scienziati. Ciò è avvenuto perché alle persone non è mai stata passata la concezione che la scienza è fatta di tante scienze che possono essere costellate di dubbi, che anderebbero ammessi e accettati.

Cosa ne pensa della decisione dell’Istituto Superiore di Sanità di creare un momento di comunicazione per spiegare l’andamento epidemiologico?

Credo sia stata una chiara manifestazione di dissociazione rispetto alla modalità di comunicare i dati giornalmente da parte della Protezione Civile. Questo non è un bel segnale: Brusaferro, Rezza e Locatelli con questa scelta hanno deciso di allontanarsi da qualcosa che evidentemente non condividevano.

Per quanto riguarda i decessi, crede sia stata promossa un’eccessiva tranquillizzazione delle persone mediamente giovani e sane?

Credo si sia enfatizzato un po’ troppo sul fatto che le persone più gravemente colpite sono persone anziane e con comorbilità. Quando si inizia ad avere una certa età, le patologie segnalate come fattori che aumentano il rischio per le complicanze da coronavirus, sono molto diffuse. Considerando ipertensione, diabete, obesità, fai prima a contare quelli che non le hanno rispetto a quelli che le hanno. Tutto dovrebbe essere comunicato con serenità, obiettività e trasparenza, senza paternalismo e senza giocare in maniera oscillante sulla paura per farci restare a casa, o sulla rassicurazione eccessiva per far agire i decisori in maniera indisturbata. In questo caso non ci sarebbe il timore di aver troppo rassicurato i giovani avendo loro fornito le informazioni necessarie per gestire al meglio la situazione.

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Qualche elemento positivo riesce a trovarlo nelle Conferenze stampa della Protezione Civile?

Non le ho seguite quotidianamente perché mi sentivo male: da comunicatrice soffrivo fisicamente. Se le riguardassi probabilmente qualcosa di buono potrei trovarlo, ma per quello che ho visto non mi sono piaciute, le ho trovare strumentali e manipolatorie.