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L’impiego del rifiuto e del riciclo nelle opere degli artisti contemporanei african

2. Romuald Hazoumé

Romuald Hazoumé è uno scultore e pittore beninese, nato nel 1962 a Porto-Novo, capitale del Benin. È figlio di una famiglia cattolica di origine yoruba, emigrata dalla Nigeria e poi stabilitasi in Benin dove si converte al culto Gun e si apre al culto vudù: questo doppio culto mischia il Dio cristiano alle divinità protettrici tradizionali1.

A metà degli anni Ottanta comincia la serie delle maschere costruite attraverso contenitori di plastica. Hazoumé ha esposto in diverse mostre sia collettive che personali negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Australia, in varie nazioni africane e anche in Italia. Tuttavia non ha partecipato alla storica mostra “Les magiciens de la terre” anche se avrà modo di conoscere ugualmente André Magnin e di partecipare a delle esposizioni da lui organizzate e curate. Fa parte ad esempio, assieme a molti suoi connazionali, del CAAC (Contemporary African Art Collection), la più grande collezione di arte contemporanea africana di Jean Pigozzi curato proprio da André Magnin a Ginevra.

La prima mostra in Italia ha avuto luogo a Torino nel 2002 dove Hazoumé ha collaborato con gli studenti dell’Accademia Albertina di Belle Arti con i quali ha cercato materiali per le sue opere all’interno delle discariche o presso i mercatini dell’usato. Nel 2005 presso la Menil Collection di Houston in Texas espone nella mostra intitolata “La Bouche du Roi”. Nel 2007 vince il premio Arnold Bodé presso Documenta 12 a Kassel grazie al quale raggiunge il culmine del suo successo in Europa e non solo2. Nel

2009 ottiene invece il premio alla Terza Biennale di Arte Contemporanea di Mosca. L'artista è uno dei più provocatori del continente africano. All'inaugurazione della sua mostra personale a Torino nel 2002 si esprime dicendo che "in Africa non è rimasto quasi nulla delle tradizioni culturali, dell'arte del passato. Per ammirare maschere, sculture, gioielli africani antichi è necessario recarsi nei grandi musei di Parigi o Londra. Allora io raccolgo quello che rimane in Africa, cioè gli oggetti di uso quotidiano. Nel far ciò, trovo oggetti costituiti da materiali e da forme occidentali, usati e riciclati infinite

1 J. BUSCA, L’arte contemporanea africana, L’Harmanattan Italia, Torino 2002. 2 Romuald Hazoumé in « October Gallery »,

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volte prima di essere abbandonati e gettati nella spazzatura. Creo sculture a partire proprio da questi scarti della società occidentale dei consumi, che atterrano sui mercati africani e che contaminano lo spazio, l'economia e la cultura del mio continente. Le mie sculture sono un modo per restituirvi i vostri rifiuti"3. Dunque

Hazoumé si pone con le sue opere quasi con avversione verso il mondo occidentale, sembra voler dimostrare che l’Africa non è una discarica e che non si lascia abbattere dalla superiorità “bianca”; come reazione e resistenza, l’artista prende gli stessi rifiuti occidentali e li trasforma, neutralizzando così il loro potere distruttivo e usandoli al contrario come origine di una nuova nascita. Romuald Hazoumé utilizza aspirapolveri colorati, cazzuole da muratore, taniche corrose come supporto per le sue maschere, caratteristiche del suo operare, alle quali aggiunge poi qualche dettaglio. Le sue sono maschere costituite esclusivamente da materiali di recupero. Con esse Hazoumé riesce attraverso segni distintivi ad identificare un ruolo sociale o l'appartenenza a una cultura di un individuo. Prima di attribuire un significato mistico alle sue opere, Hazoumé prende il materiale e con esso cerca di realizzare un volto; contenuto e titolo li conferisce più tardi.

Un elemento comune delle sue opere è il confronto con la realtà sociale in quanto l’artista cerca di smontare degli stereotipi che sembrano ormai stabiliti in una qualsiasi società. "Il mio è un discorso sulla società e non solo occidentale ma su quella in cui tutti noi viviamo. La globalizzazione ci rende simili rispetto allo sfruttamento del lavoro, all'uso di oggetti quotidiani che sono prodotti tecnologici, ma siamo diversi perché rifunzionalizziamo in modo differente gli stessi oggetti"4. In questo consiste

l'opera Il mio governo (1997, fig. 1), dal titolo molto eloquente dove evidente è il riferimento politico dell’opera: l’artista intende alludere alla mancanza di posizione da parte dello stato del Benin, che non attua misure di correzione o protezione nei confronti dei cittadini svantaggiati e anzi sembra quasi essere complice nello sfruttamento dei lavoratori. Hazoumé si serve di quest’opera per raccontare appunto la situazione sociale di questi lavoratori. L'artista raccoglie dunque diverse ciabatte

3 intervista di R. Cafuri tenuta in più tempi dal 7 al 16 marzo 2002 in R. CAFURI, L'arte della migrazione. Memorie africane tra diaspore, arte e musei, Trauben, Torino 2005, p. 51.

4 R. Cafuri, Uomini come oggetti nella spazzatura. Rifiuti, sfruttamento e subordinazione nell’arte africana contemporanea, in P. VALSECCHI, Cultura Politica Memoria nell’Africa contemporanea, Carocci,

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infradito colorate, le calzature più utilizzate in Africa perché meno costose, e le appende ad una parete bianca. Si tratta di ciabatte logore, inutilizzabili a cui l'artista dà un tocco di colore nero per evidenziarne i segni di usura attraverso tratti che ricordano occhi, naso e bocca di esseri umani. Come le ciabatte vengono utilizzate finché sono inservibili, così i lavoratori a basso costo vengono sfruttati al limite delle loro capacità. Hazoumé è dunque molto attento ai temi sociali e traduce molte situazioni spiacevoli di emarginazione sociale con l'utilizzo dei rifiuti e della spazzatura, oggetti densi di oblio che l’artista vuole riportare alla luce come vuole dare visibilità ai problemi di persone come lui. L'oggetto rifiutato diviene metafora di un passato e di un'identità (africani) ritrovati e rivendicati.

“Il mercato occidentale dei collezionisti cerca e chiede solo maschere, come simboli di un’arte africana ‘tradizionale’ e ‘autentica’ nel suo rifarsi a una presunta continuità con la storia locale. Allora io invio in Occidente maschere realizzate coi rifiuti, come con le parti dei bidoni impiegati dai trafficanti di benzina di contrabbando proveniente dalla vicina Nigeria” afferma Hazoumé a Roberta Cafuri in un intervista del 20015. La sua

arte è una forma di ribellione, di protesta sociale. I bidoni che Hazoumé utilizza portano un significato politico: si tratta di bidoni che partono dal Benin pieni di riso e gioielli per arrivare in Nigeria, da dove tornano colmi di benzina di contrabbando. La loro superficie reca graffiti colorati per indicarne il proprietario, deformazioni subite per aumentarne la capacità. Ai bidoni, che di per sé sono già stati rifunzionalizzati dal commercio illegale, viene consegnato un nuovo significato dall’artista che dà loro secondo Cafuri una valenza simbolica universale intendendo la maschera come “doppio di noi”6, cioè serve a classificarci in base al nostro ruolo sociale o alla nostra

appartenenza ad una tradizione culturale. Così capita che le maschere assumano caratteristiche stereotipate come il cappello di divisa militare nell’opera Mon General (1992, fig. 2), segno di un’autorità che incute timore. L’opera infatti rappresenta il dittatore del Togo e il bidone vuoto evoca l’inconsistenza politica dello stesso sorretto solo dal suo esercito.

La messa in atto di questa procedura vi è anche nel caso delle opere rappresentanti le donne con capelli lunghi e stirati (Baby doll, 1997, fig. 3): è una critica dell’artista a

5 Intervista di R. Cafuri del novembre 2001 in R. CAFURI, L'arte… op. cit., p.61. 6 Ibid., p. 61.

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quelle donne africane che tentano di assomigliare alle donne bianche per cercare di negare la propria origine e per amalgamarsi meglio nel mondo occidentale. “Per nascondere o meglio mascherare un’apparente insufficienza o bruttezza, alcune donne africane ricorrono a parrucche di plastica, come quelle che ho acquistato qui a Torino. Il materiale di cui sono fatte le parrucche nelle mie maschere femminili è plastica brutta, di scarsa qualità, proprio perché voglio criticare il ricorso a uno stereotipo della femminilità occidentale che in realtà rende brutte le donne africane, che potrebbero rendere belli i loro capelli creativamente, con acconciature gradevoli”7. Le capigliature

hanno un’importanza tale anche perché portavano un significato rilevante nella cultura africana: ad ogni pettinatura corrisponde un significato diverso, dal ‘cerco un uomo’ al ‘sono giovane’ al ‘sono vergine’; i loro messaggi facevano parte integrante della tradizione africana e per tale ragione Hazoumé compie su di loro degli studi approfonditi e crea opere con tali acconciature. Ecco perché la critica se possibile diviene ancor più forte, proprio per un ricercare tradizioni proprie che ormai stanno scomparendo per “colpa” dei contatti con gli occidentali.

Altro carattere interessante delle opere di Hazoumé è il suo portare nelle maschere tratti culturali tipici degli abitanti dei paesi in cui si trova ad esporre. Caratteristica questa, cioè quella di adeguare la propria opera al luogo in cui si espone, ricorrente anche in artisti analizzati nel capitolo precedente, come ad esempio nel caso di Jimmie Durham o in Haim Steinbach o come un altro artista africano, protagonista di uno dei prossimi paragrafi. I tratti caratteristici degli abitanti dunque, Hazoumé li trova vagando tra i rifiuti di quegli stessi paesi. “Quando sono arrivato a Torino, ho passeggiato tra le vie del centro storico, scoprendo una città elegante sia nelle architetture sia negli abiti della gente. Credo tuttavia che solo grazie all’Amiat (Azienda municipale per la raccolta dei rifiuti) e alle discariche visitate io abbia potuto cogliere i veri gioielli della città, quelli che parlano dell’identità degli individui che la abitano. Ho visto scatole vuote di Viagra, che mi hanno fatto pensare al mito della potenza sessuale degli Italiani; ho trovato tra i rifiuti oggetti legati alla pasta, altro cibo associato allo stereotipo dell’Italiano tipico; molti computer, televisioni”8. Ed ecco

dunque nascere La parmigianina (1997), maschera fatta con una grattugia per il

7 Ibid., p. 62. 8 Ibid., p. 63.

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formaggio, omaggio alla tradizione italiana della pasta o Il siciliano (1997) con un cappello da contadino a falde larghe ed una bocca fatta col contenitore per l’acqua di una moka per preparare il caffè. Hazoumé delle sue maschere pensa che siano opere “uscenti” o “partenti” nel senso in cui riassumono tutte le fasi della creazione: per esempio, una delle più importanti maschere nei rituali Bambara è la maschera “Whirlwind” che rappresenta il mulinello primordiale che governò la nascita della vita. La maschera Zanzibrrrrace (2003) di Hazoumé suggerisce una lettura parallela e illustra il modo in cui l’artista dà un carattere moderno alle sue creazioni9. La maschera infatti

è caratterizzata da una “capigliatura” sistemata come fosse una specie di elica, ad evocare appunto una corrente d’aria.

Romuald Hazoumé ama ripetere: “Aujourd’hui, je ne sais peut-être pas où je vais, mais je sais d’où je viens”10. Egli infatti è un forte estimatore della propria cultura e delle

proprie tradizioni ed è per questo che accompagna le sue opere con ricerche approfondite e conosce e usa dunque le funzioni abituali delle maschere, che si trovano al confine tra sacro e profano.

Nel 2000 Romuald Hazoumé partecipa alla Biennale di Lione intitolata “Partage d’exotisme” portando un’installazione costituita da un totem/robot metà uomo e metà donna circondato da sabbia rossa e schermi di computer nascosti. Il totem rappresenta gli uomini nell’anno 2600, anno in cui l’uomo occidentale verrà analizzato e studiato nello stesso modo in cui noi oggi osserviamo gli Africani. Anche qui è palese la critica al mondo occidentale e viene esplicito pensare ad un riferimento al maestro della video arte Nam June Paik, per il quale l’utilizzo degli schermi in arte era pane quotidiano.

All’esposizione alla Menil Collection, Hazoumé porta un’altra opera significativa intitolata come la mostra e cioè La Bouche du Roi (2006, fig. 4)11. La bouche du roi

(bocca del re) è un luogo in Benin da dove partivano le navi piene di schiavi neri verso le Americhe e i Caraibi. La mostra, richiamando l’esperienza del passato, è una denuncia della schiavitù attuale dettata dal commercio illegale di petrolio.

9 African Art Now… op. cit., p. 106.

10 R. Cafuri, Uomini come oggetti nella spazzatura. Rifiuti, sfruttamento e subordinazione nell’arte africana contemporanea, in P. VALSECCHI, Cultura… op. cit., p. 120: “Oggi forse non so dove vado, ma so

da dove vengo” (traduzione a cura dello scrivente).

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Nell’esposizione compaiono recitazioni in Yoruba, un filmato e l’opera più importante che porta il nome della mostra appunto. Si tratta di un’installazione costituita da diversi media: la componente principale è costituita da 304 maschere fatte di contenitori di plastica neri accompagnate da un CD di rumori e voci e da una puzza nauseabonda che ricorda quella presente nelle stive delle navi in cui venivano trasportati gli schiavi.

Non mancano nelle opere di Romuald Hazoumé anche delle fotografie dove la schiavitù è il tema ricorrente. Non la schiavitù storica dovuta alla dominazione occidentale, ma casi equivalenti moderni. Si riflette in questo modo sul tema del contrabbando di petrolio. Le stime suggeriscono che il 90% di tutto il petrolio usato in Benin passa attraverso questo canale di mercato nero conosciuto localmente come Kpayo. Le sue serie fotografiche espongono un sistema di grave sfruttamento e documentano la diversità della vita africana oggi12.

In una sua più recente esposizione presso la Kunsthaus Graz Universalmuseum Joanneum di Graz appunto, in una delle opere dal titolo Rat Singer, second to God (2013, fig. 5) egli riutilizza le taniche vuote di benzina, le dispone in cerchio come fossero una sorta di mare, le dipinge conferendo loro anche l’aspetto di maschere e pone infine al centro una barca nell’atto di affondare. Ancora una volta il riferimento allo sfruttamento dei lavoratori e al contrabbando di benzina è evidente. La barca in procinto di affondare rappresenta la vita a rischio dei lavoratori che ogni giorno affrontano il pericolo di un’esplosione costante13. La riproduzione di un ratto bianco

con gli occhiali da sole sembra invece in procinto di tuffarsi e quindi di lasciare la barca indenne. Probabilmente esso sta a rappresentare i leaders del governo che stanno a guardare senza agire o prendersi alcuna responsabilità o potrebbe anche rappresentare più in alto l’economia mondiale di petrolio14.

12 Romuald Hazoumé in « October Gallery »,

<http://www.octobergallery.co.uk/artists/hazoume/index.shtml> (consultato il 3 agosto 2013).

13 Ecco il riferimento al titolo dell’opera Second to God (un secondo da Dio), a significare la potenziale

vicinanza alla morte a causa del trasporto pericoloso di benzina.

14 Romuald Hazoumè, Beninese Solidarity with Endangered Westerners, in “Universalmuseum

Joanneum” < http://www.museum-joanneum.at/upload/file/saalzettel_hazoume_e_web_neu.pdf> (consultato il 12 novembre 2013).

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