• Non ci sono risultati.

L’impiego del rifiuto e del riciclo nelle opere degli artisti contemporanei african

3. Willie Bester

Willie Bester nasce a Montagu, nella provincia di Cape Flats a sud-est di Città del Capo perciò nell’estremo Sud dell’Africa e oggi vive e lavora a Kuilsrivier, un quartiere di Città del Capo1. A 10 anni è costretto a trasferirsi in una township con la famiglia

durante l’apartheid dopo che l’area di Montagu venne considerata adatta ai cittadini bianchi2. La sua infanzia fu imperniata di sofferenza: dal riformatorio alla scodella di

cibo del padre accanto alla ciotola del cane del padrone, ai lascia-passare necessari per spostarsi e alla rassegnazione di una vita vissuta nel terrore. Abbandona gli studi a dodici anni e comincia a lavorare per guadagnare soldi per la famiglia. Venne poi spedito in un campo di lavoro ma nel 1986 inizia la sua carriera d’artista dipingendo paesaggi, nature morte e ritratti per la classe media bianca3. Nel 1987 frequenta per

un anno corsi d’arte alla Community Art Project di Cape Town che gli permette di impadronirsi di uno stile più personale legato ai temi che lo ossessionano, temi che non lascerà più.

Nel febbraio del 2001 venne inaugurata una mostra a Città del Capo alla quale Willie Bester era stato chiamato a partecipare dal curatore Philip Todres. Qualche tempo dopo Bester venne informato che la sua arte non era stata accettata in quanto ritenuta “non abbastanza” africana e troppo aggressiva per essere mostrata. Alla mostra avrebbero assistito alcuni membri del Parlamento e sembra che, secondo quanto riporta “Die Burger” del 10 febbraio 2001, uno di questi (Tony Yengeni, membro tra l’altro dell’ANC- African National Congress, partito politico sudafricano antiapartheid) non sia stato soddisfatto dell’opera di Bester. Willie Bester aveva proposto tre opere: Saartje Baartman, scultura che commemorava una donna omonima indigena che era stata rapita e portata in Europa, mostrata e trattata come fosse uno scherzo della natura4. Il suo corpo fu dissezionato e i suoi organi tuttora sono conservati a Parigi; a

1 African Art Now: Masterpieces… op. cit., p. 66.

2 Con township si intendono quelle aree urbane limitrofe ad aree metropolitane dove abitavano solo

cittadini non-bianchi, quindi neri e indiani.

3 J. BUSCA, L’arte contemporanea… op. cit., p. 33.

4 Per vicenda di Saartje Baartman Cfr. M. L. CIMINELLI, D'incanto in incanto: storia del consumo di arte primitiva in Occidente, CLUEB, Bologna 2008, p. 85.

132

Tapestry, ritratto di Nelson Mandela, celebre Presidente del Sudafrica e Nobel per la pace per la sua lotta contro l’apartheid; war dog, scultura creata per fare una dichiarazione universale sui governi che utilizzano le armi per giustificare la pace. Sebbene il pubblico fosse in generale molto affascinato dall’opera di Bester, l’artista decise di ritirare le sue opere dall’esposizione5.

Nel 1993 partecipa alla Biennale di Venezia insieme ad altri venticinque artisti sudafricani.

Willie Bester usa gli avanzi della società per ripercorrere la storia politica del Sudafrica. Come un archeologo, Bester ricostruisce la struttura di questa storia per rivelare le facce nascoste delle township sudafricane. I suoi lavori sono vividi collages, ma anche giustapposizioni di oggetti stravaganti, di spazzatura trovata nelle township: scarpe, ossa, barattoli di latta, ritagli di giornale, pagine di libri, rottami metallici. Bester afferma: “Le persone hanno costruito una resistenza verso tutto ciò che riguarda la psiche del genere umano o le persone o loro stesse. Credo che dobbiamo protestare contro tutto ciò che è sbagliato. Non c’è via di scampo; rimanere apolitici è un lusso che i Sudafricani semplicemente non si possono permettere”6. Per questo Bester

agisce in modo quasi aggressivo attraverso la sua arte, il suo atteggiamento è attivo, di lotta. L’arte per Bester è volontà di espressione politica, è l’arma per esprimere la sua opposizione, strumento per svegliare e spronare le coscienze degli oppressi. “La mia idea di somministrare medicine amare è tutt’altro che maliziosa. Piuttosto vedo il mio lavoro come una sorta di trattamento shock per tentare di migliorare la società. Vorrei che ciascuno di noi ripensasse alla propria vita e al proprio ruolo nella storia del Sud Africa. […] Per me l’arte, è uno specchio che mi consente di riflettere ed attirare l’attenzione sulle atrocità commesse dal governo dell’apartheid e da tutti i governi del mondo in cui i diritti umani sono violati.” spiega Bester nell’intervista a Sandra Klopper7.

Willie Bester durante le sue esposizioni si vestiva da servitore perché un nero sorpreso in compagnia di bianchi poteva essere arrestato a meno che non fosse appunto un

5 Andries Loots, Willie Bester censored, in “V Gallery”, 11 febbraio 2001,

<http://www.vgallery.co.za/2001article5/vzine.htm> (consultato il 3 marzo 2013).

6 Ibid., traduzione a cura della scrivente.

7 Cfr. Willie Bester: settembre-ottobre 2000, catalogo della mostra a cura di A. Signetti, (Torino), Torino

133

servitore. Nei suoi lavori più conosciuti, come A Tribute to Steve Biko8 (1992, fig. 1) e

Kakebeen (1993) il ricordo della violenza è evocato dal patchwork di materiali, legno, metalli, plastica, ossi, uniti insieme a colori forti, acidi e dalle fotografie della vita di ogni giorno che riportano alla mente gli eventi descritti.

Bester descrive nei dettagli il terrore quotidiano, esamina le condizioni della violenza in Sudafrica, rappresenta la realtà come un documentario. La realtà dunque non può che essere rappresentata attraverso l’utilizzo di oggetti e materiali della realtà stessa, raccogliendo instancabilmente tutte le tracce della vita nella township: informazioni, prove, oggetti, ritagli, fotografie e testimonianze con cui l’artista crea opere che rappresentano luoghi reali o fatti realmente accaduti9. Dice Bester in un’intervista: “At

the moment there are many whites saying that they never saw any signs of discrimination. Shame, they must have been blind, because only a few years ago the country was full of it. Schools for whites and for blacks. Hospitals, buses, bars, everything…Now they say that they never saw any of that. Like the Germans who didn’t see the nazis. Surely the worst crime is denial, the negation of truth, the refusal to acknowledge what happened”10. Di nuovo, torna nell’arte di Bester il concetto di

evidenza, di lotta diretta e ribellione contro le ingiustizie. E ancora: “We can pardon the greatest criminals if they admit their guilt. We all make mistakes and we all have the right to make amends. But if we don’t apologise, then there’s nothing doing”11.

Bester non sceglie in base alla forma ma in base al significato che vuole conferire. Usa anche la pittura per farne da tramite tra i diversi elementi giustapposti e per aumentare il significato dell’opera stessa. I suoi quadri sembrano la rappresentazione

8 Steve Biko era un attivista sudafricano anti-apartheid che morì in carcere per portare avanti la sua

causa e da allora considerato un eroe.

9 J. BUSCA, L’arte…, op. cit., p. 36.

10 Africas. The Artist and the City. A Journey and an Exhibition, catalogo della mostra a cura di P. Subirós

(Barcellona, Centre de Cultura Contemporània de Barcelona), edizioni Centre de Cultura Contemporània de Barcelona, Barcellona 2001, p. 93: “Al momento ci sono molti bianchi che dicono di non aver mai visto alcun segno di discriminazione. Vergogna, devono esser stati ciechi, perché solo qualche anno fa il Paese ne era pieno. Scuole per bianchi e scuole per neri. Ospedali, autobus, bar, tutto… Ora dicono di non aver visto niente di tutto ciò. Come i Tedeschi che non vedevano i nazisti. Certamente il peggior crimine è il rifiuto, la negazione del vero, il non voler riconoscere ciò che è accaduto” (traduzione a cura della scrivente).

11 Africas. The Artist… op. cit., p. 48: “Possiamo perdonare i più grandi criminali se ammettono le loro

colpe. Facciamo tutti degli errori e tutti abbiamo il diritto di pentirci. Ma se non ci scusiamo, allora non c’è niente da fare” (traduzione a cura della scrivente).

134

del territorio africano spezzettato dove potevano vivere i neri, a differenza dei bianchi che avevano a loro disposizione vaste distese illimitate.

Bester ama inserire delle fotografie nei suoi lavori, in quanto le considera sinonimo di attualità, di verità e di trasparenza dei fatti, prova che nulla è stato inventato. Le sue fotografie non mostrano mai la violenza ma la vita di tutti i giorni nei ghetti: piccoli avvenimenti, gesti abituali, luoghi e personaggi comuni; resoconto fedele e piatto. Gli oggetti che inserisce nelle tele fungono da oggetti reali: una tazza rappresenta una tazza, oggetto di un povero; pezzi di reti e paletti rappresentano gli strumenti reali dell’oppressione e della reclusione ma rappresentano anche il desiderio di rovesciarli. Nelle opere pittoriche di Bester compaiono a volte bersagli spesso illustrati con facce di neri che rappresentano la paura verso l’ordine pubblico da parte delle popolazioni bianche armate12.

Col passare degli anni il lavoro di Bester si fa più politico e alla rappresentazione di situazioni quotidiane, egli aggiunge raffigurazioni di persone che si sono rese martiri per la causa antiapartheid. Nel 1993 esegue una serie di ritratti che hanno come protagonisti quattro leggendari capi dell’ANC: Mathew Gonive, Oliver Tambo, Chris Hani e Steve Biko del quale si è scritto precedentemente. Nei quadri viene descritta la loro drammatica morte e la loro immagine viene esaltata come fossero figure mitiche sebbene siano inserite in uno sfondo che non abbandona mai la realtà dei soprusi e che si prodiga a rappresentare la quotidianità delle persone.

In altre opere vengono utilizzate scarpe abbandonate che simboleggiano la fuga e i massacri (Yellow shoes, 2008, fig. 2); rifiuti che mostrano gli effetti dell’industrializzazione, dell’inquinamento e dell’impoverimento a cui sono sottoposte le township; la Bibbia incatenata che sembra giustificare tali orrori nascondendo una velata critica alla religione cristiana e a chi per essa sembra non vedere (Bybel, 1997, fig. 3). Nelle panche di legno, simbolo del principio “Blanken alleen-white only”, supremazia dei bianchi (Land act, 1997, fig. 4) Bester incorpora tutti gli attributi della lotta: catene, ritratti, Bibbie, tutto ciò che contribuisce a definire in negativo l’identità dei non-bianchi. Del 1994 è l’opera Trojan horse che in sé racchiude tre significati: innanzitutto rappresenta la duplicità delle forze di polizia che, nel 1985, all’interno di

135

un camion di consegne della Coca-Cola, entrano di sorpresa in una township e uccidono tre giovani; in secondo luogo simboleggia l’esistenza dell’Africa del Sud nel concerto delle nazioni, paese ormai non più timoroso di mostrarsi; infine è l’emblema degli artisti neri che possono finalmente esporre le loro opere13. I colori utilizzati nelle

opere di Willie Bester sono pochi ma scelti con cura: blu, verde, giallo e rosso utilizzati sempre puri. Il blu rappresenta l’Africa del Sud con il suo cielo ed il suo mare puro ed è anche il colore dell’esercito; il giallo è il colore dei camion della polizia e uno dei colori dell’ANC insieme al verde; il rosso invece rappresenta il sangue.

Possiamo dunque parlare di Bester come di un creatore di arte politica, fortemente radicata nel suo territorio. Non segue i principi dell’arte per l’arte ma sono gli oggetti stessi che usa a parlare da soli in quanto già carichi di significato. La sua arte vuole essere esplicita, chiara, rappresentazione fedele della realtà, vuole che il suo significato sia universale, comprensibile per tutti. Sebbene Bester sia consapevole che l’arte poco può fare per far smettere il disastro, non smette di utilizzarla perché ritiene necessaria la reazione. “I was sort of brainwashed all my life to believe that I’m less than other people and I thought, Art can restore your pride. When you don’t agree with something, art is so strong it will come out and state that you are also here, you are also somebody, and you are just like anybody else”14.

Attualmente si può parlare di tre livelli per quanto riguarda la situazione politica e sociale dell’Africa del Sud: le condizioni fisiche della vita reale che tuttora rimangono piuttosto ostili e difficili da sopportare per gli abitanti; l’instaurazione della nuova politica; il presente sorto da un passato opprimente, proiettato verso la creazione di un futuro incerto, preoccupato che il dolore di certi avvenimenti possa ripetersi. Le opere di Bester raccontano tutto questo e tutt’oggi la denuncia dei soprusi nelle sue opere non accenna a smettere come se l’incubo non fosse ancora finito e dovesse ancora finire. È impossibile dimenticare eventi di tale portata e la paura che il tutto possa ripetersi è alto nelle coscienze dei sudafricani. Ma Bester non molla e afferma con

13 Ibid., p. 40.

14 Africas. The Artist… op. cit., p. 192: “Devo aver subito una sorta di lavaggio del cervello in tutta la mia

vita per credere di valere meno di altre persone, e ho pensato ‘l’arte può restituirti il tuo orgoglio’. Quando non sei d’accordo su qualcosa, l’arte è così forte da dimostrare che anche tu sei qui, che anche tu sei qualcuno, e sei proprio come tutti gli altri” (traduzione a cura della scrivente).

136

vigore: “People want to forget…but is very important to keep track of the past. It must serve as a light into the future15”.

15 Africas. The Artist… op. cit., p. 46: “Le persone vogliono dimenticare...ma è molto importante

ricordare le tracce del passato. Devono servire a fare luce per il futuro” (traduzione a cura della scrivente).

137