• Non ci sono risultati.

Alla fine degli anni Settanta, il crollo definitivo della distensione, unitamente al ritiro del trattato SALT II dal Senato e alla decisione di stanziare gli euromissili sembravano suggerire che il pericolo di uno scontro nucleare tra le due superpotenze fosse aumentato, ponendo le premesse per «un’ondata di preoccupazione nazionale» che si manifestò pienamente durante la presidenza di Ronald Reagan.176

Sulla scia di quanto aveva fatto il presidente Carter nell’ultimo anno del suo mandato, Reagan procedette ad un piano di ammodernamento ed ampliamento dell’arsenale americano, che serviva, nella sua ottica, a recuperare il primato militare e strategico, oramai eroso a causa della distensione e del controllo negoziato degli armamenti del decennio precedente.

Con un discorso dal forte accento nazionalista, l’ex governatore della California aveva denunciato l’immoralità della distensione, che doveva essere sostituita da un approccio                                                                                                                

175 First Annual Freeze Conference - Conference Report, SANE Records Series G, Folder Topical

File/Freeze/1980-1981, Box 50, SPC. Il National Committee si riuniva due volte l’anno e prendeva le principali decisioni relative alla campagna, incluso l’assunzione, il licenziamento e la supervisione del personale della Clearinghouse. I suoi incontri erano aperti a tutti coloro che lavoravano alla campagna, anche se solo ai membri spettava il diritto di voto. Il Comitato Nazionale nominava inoltre un Executive Committee per supervisionare le decisioni prese nell’interim tra i diversi incontri del National Committee.

176 A.M. Winkler, Life Under a Cloud. American Anxiety About the Atom, Chicago, University of Illinois

Press, 1999, p. 187; A. Carter, Peace Movements, cit., p. 125; cfr. S.R. Weart, Nuclear Fear. A History of

Images, Cambridge, Harvard University Press, 1988, pp. 375 e ss.; cfr. Idem, The Rise of Nuclear Fear,

volto a fronteggiare l’Unione Sovietica da una posizione di forza. L’amministrazione non escludeva a priori la possibilità del controllo negoziale degli armamenti nucleari, ma mirava a farlo in un quadro di forze favorevoli in cui sarebbero stati gli USA ad imporre le condizioni. Il riarmo fu accompagnato altresì da una dura offensiva retorica e politica, che soprattutto all’inizio del primo mandato si venò di accenti bellicistici che non escludevano la possibilità di uno scontro con Mosca.

Pochi giorni dopo l’inaugurazione del suo mandato in risposta alla domanda di un cronista sulle intenzioni di lungo periodo dell’Unione Sovietica, Reagan aveva lanciato il suo attacco retorico, rispondendo che «l’unica moralità che [i sovietici] ricono[scevano] [era] quella che [promuoveva] la loro causa, e [per promuoverla] essi si riserva[vano] il diritto di commettere ogni crimine, di mentire, di imbrogliare».177 Nel febbraio 1981, affermò che il suo dovere in qualità di presidente degli Stati Uniti fosse di aumentare la spesa destinata alla difesa. Dagli anni Settanta in poi i sovietici si erano impegnati in un massiccio processo di riarmo, che aveva permesso loro di acquisire un rilevante vantaggio strategico e, secondo l’ex governatore della California, «consentire la continua esistenza di questo squilibrio era una minaccia per la sicurezza nazionale».178 Riecheggiando gli argomenti del CPD, Reagan riteneva che si fosse creata una finestra di vulnerabilità rispetto a Mosca che metteva a repentaglio la sicurezza nazionale. Per colmare il presunto squilibrio militare e strategico, il presidente autorizzò un programma di ampliamento dell’arsenale nucleare: decise di produrre la bomba a radiazione aumentata che, in seguito alle numerose polemiche, era stata cancellata da Carter, e di autorizzare la produzione del bombardiere B-1 e del sistema missilistico MX.179 A causa dell’ingente piano di riarmo, uno dei più ampi in tempo di pace, durante il suo primo mandato il budget destinato alla difesa crebbe da 171 a 229 miliardi di dollari.180

Reagan, egli stesso un membro del Committee on the Present Danger, nel corso del primo anno di mandato designò alcuni dei suoi esponenti in posti chiave dell’amministrazione. Tra le nomine spiccavano quella di Richard V. Allen a                                                                                                                

177 The President’s News Conference, 29 January 1981, The American Presidency Project,

http://www.presidency.ucsb.edu/ws/?pid=44101. (Ultimo accesso 9 marzo 2014)

178 Address before a joint section of the Congress on the Program for Economic Recovery, 18 February

1981, http://www.reagan.utexas.edu/archives/speeches/1981/21881a.htm. (Ultimo accesso 9 marzo 2014)

179 “Production of Neutron Bomb OKd”, Los Angeles Times, 9 August 1981; “Reagan Orders Production

of 2 Types of Neutron Arms for Stockpiling in the U.S.”, The New York Times, 9 August 1981; “House Votes Founds for the B-1 and MX and Backs Reagan”, The New York Times, 19 November 1981.

180 S. Wilenz, The Age of Reagan. A History 1974-2008, New York, Harper Perennial, 2009, p. 154.

Secondo Wilenz durante il primo mandato di Reagan si registrò un aumento del 34% nel budget destinato alla difesa.

consigliere per la sicurezza nazionale, William J. Casey a direttore della CIA e Jeane Kirkpatrick nominata ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite. Inoltre, Paul H. Nitze veniva designato capo della delegazione per i negoziati sulle forze nucleari a raggio intermedio e a Eugene Rostow veniva attribuito l’incarico di direttore dell’ACDA (Arms Control and Disarmament Agency). «La colonizzazione dell’intero apparato deputato alla sicurezza nazionale» da parte di esponenti del CPD, che nei cinque anni precedenti avevano espresso la loro opposizione alla distensione e al controllo negoziato degli armamenti, in quanto causa della presunta vulnerabilità del Paese, costituiva un altro indice dell’intenzione di recuperare il primato militare e di accantonare i negoziati per il controllo degli armamenti nucleari.181

Oltre all’aumento delle spese destinate alla difesa, la retorica di Reagan contribuì a generare l’impressione che con il suo insediamento alla Casa Bianca, le possibilità di uno scontro con Mosca fossero aumentate. Nell’ottobre del 1981, di fronte ad un gruppo di cronisti, Reagan affermò che «contemplava la possibilità [che vi fosse] uno scambio con armi tattiche sul campo senza che ciò implic[asse] che una delle due superpotenze [dovesse] premere il bottone». Tale affermazione fu interpretata dalla stampa europea, e soprattutto dagli alleati della NATO, come se il Presidente accettasse la possibilità di uno scontro nucleare con armi tattiche nel teatro europeo. A causa della reazione contrariata degli alleati europei e delle loro opinioni pubbliche, Reagan si affrettò a dichiarare che gli Stati Uniti non avessero alcuna intenzione di combattere una guerra nucleare limitata in Europa. Si trattava di un tentativo di rimediare all’immagine, oramai diffusa soprattutto nel Vecchio Continente, che «l’amministrazione Reagan [fosse] più propensa dei suoi predecessori a impegnarsi nelle ostilità» contro i Sovietici.182

Anche negli Stati Uniti, Reagan aveva generato una controversia a causa della sua presunta propensione rispetto alla guerra nucleare creando l’impressione di essere più disposto rispetto ai suoi predecessori a combattere una guerra nucleare e di credere che uno scontro nucleare, anche se protratto, potesse essere combattuto e vinto. A generare questa sensazione contribuirono una serie di rivelazioni della stampa, che indicavano che nel novembre 1981 Reagan avesse firmato la National Security Decision Directive

13, che andava a sostituire la PD-59. Il contenuto della direttiva era rimasto segreto e

                                                                                                               

181 Nel 1981 i membri del CDP impiegati a vario titolo nell’amministrazione Reagan erano 32. C.

Tyroler, M.M. Kampelman (eds.), Alerting America, cit., pp. ix-xi; “Group Goes From Exile to Influence”, The New York Times, 23 November 1981.

182 “Weinberger Seeks to Reassure Allies on Reagan Remarks on Atom War”, The New York Times, 21

l’amministrazione non confermò mai ufficialmente la sua esistenza, ma le rivelazioni relative a un altro documento, la Fiscal Year 1984-1988 Defense Guidance, e la tendenza di Reagan ad utilizzare «il termine prevalere per descrivere gli obiettivi militari», indussero la stampa a interrogarsi sulla revisione della dottrina strategica in direzione dell’ipotesi che fosse possibile vincere una guerra nucleare.183 Il New York Times, sostenne che la Fiscal Year 1984-1988 Defense Guidance, elaborata dal Segretario alla Difesa Caspar W. Weinberger, «accettava la premessa che un conflitto con l’URSS [potesse] essere protratto e individuava una strategia per combattere questo tipo di guerra». In particolare, sembrava che la guida prevedesse una serie di misure per far sì che gli Stati Uniti potessero «prevalere ed essere in grado di costringere l’Unione Sovietica a terminare il prima possibile le ostilità secondo termini favorevoli agli Stati Uniti».184 Il termine “prevalere” sembrava suggerire, che l’amministrazione avesse elaborato un nuovo «strategic master plan», il cui obiettivo preciso era migliorare la strategia e il dispositivo nucleare del Paese al fine di vincere in un conflitto nucleare contro l’Unione Sovietica.185

Il piano di ammodernamento dell’arsenale nucleare americano, la retorica venata da accenti bellicistici e la National Security Decision Directive 13, con cui «la nazione sembrava si fosse impegnata a vincere una guerra nucleare», favorirono la crescita del movimento antinucleare nel Paese.186 Il consolidamento dell’establishment militare e l’apparente accettazione da parte di Reagan della possibilità di una guerra nucleare «spinse [gli attivisti] ad esprimere la loro opposizione in una maniera che non era mai stata così aggressiva […] [e] la loro critica generò un ondata di sostegno man mano che diversi gruppi si rafforza[vano] a vicenda nello sforzo di far rivivere il processo per il controllo degli armamenti».187

Il pacifismo antinucleare in questa fase si dimostrò abile nello sfruttare e nell’amplificare “la paura nucleare” che le politiche reaganiane avevano generato, denunciando costantemente gli effetti devastanti di uno scontro atomico. A questo fenomeno contribuirono le numerose iniziative volte a informare ed educare l’opinione pubblica. Tra queste figuravano i seminari sponsorizzati da Physicians for Social                                                                                                                

183 M. Getler, “Administration’s Nuclear War Policy Stance Still Murky”, The Washington Post, 10

November 1982. Nell’articolo si sottolineava altresì che le precedenti amministrazioni avessero evitato di utilizzare l’espressione “prevalere” in riferimento agli obiettivi militari, proprio perché essa suggeriva l’idea della vittoria in uno scontro nucleare contro l’URSS.

184 R. Halloran, “Pentagon Draws Up First Strategy For Fighting a Long Nuclear War”, The New York

Times, 30 May 1982.

185 R. Scheer, “Pentagon Plan Aims at Winning Nuclear War”, Los Angeles Times, 15 August 1982.

186 A.M. Winkler, Life Under a Cloud, cit., p. 189.

Responsibility. L’associazione antinucleare di medici organizzò numerosi incontri

pubblici intitolati “Le conseguenze Mediche delle armi e della guerra nucleare” e proiettò il documentario The Last Epidemic, che descriveva le conseguenze di una bomba nucleare sganciata contro San Francisco. L’obiettivo delle iniziative era convincere l’opinione pubblica dell’inutilità delle cure mediche nel caso di una guerra nucleare, che avrebbe avuto effetti talmente devastanti da trasformarsi nell’ultima letale epidemia per l’umanità. Secondo PSR l’unica cura razionale era in questo caso la prevenzione della guerra nucleare.188 Nel 1982 inoltre, dalle pagine di The New Yorker, Jonathan Schell, partendo da un rapporto pubblicato nel 1979 dall’Office of Technology

Assessment del Congresso e intitolato “The Effects of Nuclear War”, descriveva le

conseguenze di una guerra nucleare totale, il cui epilogo sarebbe stato l’estinzione dell’umanità.189 Il lavoro di Schell, Fate of the Earth, pur descrivendo in chiave romanzata gli effetti di una guerra nucleare, «fu enormemente popolare, […] [divenendo] il focus dei sermoni in chiesa e degli incontri delle comunità e [aiutando] a creare un diffuso e reale senso pubblico che qualcosa andasse fatto. […] I suoi scritti erano affascinanti e mobilitarono grandi gruppi nel tentativo di affrontare i problemi dell’età atomica».190

L’aumento della tensione tra Stati Uniti e l’Unione Sovietica, da un lato, e le denunce del pacifismo antinucleare, dall’altro, spinsero l’opinione pubblica a confrontarsi con l’ipotesi che in caso di crisi le due superpotenze potessero ricorrere all’extrema ratio delle armi nucleari, alimentando così la diffusione in una parte della società americana della nuclear scare. Secondo un sondaggio Gallup condotto nel giugno del 1981, il 60% degli intervistati pensava che le possibilità di sopravvivere a una guerra nucleare totale fossero minime. Inoltre il 46% riteneva probabile che nei successivi dieci anni gli Stati Uniti sarebbero stati coinvolti in un conflitto atomico a fronte del 49% che non la riteneva un’ipotesi plausibile. Dalle indagini emergeva inoltre come l’opinione pubblica fosse favorevole al controllo negoziale degli armamenti: nel novembre del 1981, il 76% del campione affermava, infatti, di essere favorevole a un accordo per dimezzare gli

                                                                                                               

188 Sulle attività di Physicians for Social Responsibility cfr. L.S. Wittner, Toward Nuclear Abolition, cit.,

pp. 174-175. Sul ruolo della paura nella battaglia per l’opinione pubblica sulla questione nucleare si veda P. Boyer, Fallout, cit., pp. 167-174.

189 J. Schell, The Fate of Earth-I-a Republic of Insects and Grass, The New Yorker, 1 February 1982; Si

trattava di un racconto in tre episodi: II-The Second Death, 8 February 1982; III-The Choice, 15 February 1982. Furono poi raccolti in un volume che divenne un bestseller. Schell J., Fate of the Earth, London, Picador, 1982.

arsenali nucleari.191 Infine, secondo un sondaggio di Newsweek, condotto nei primi mesi del 1982, il 19% degli americani si preoccupava con frequenza della possibilità di una guerra nucleare, mentre il 49% la temeva ma cercava di non pensarci. Solo il 30% degli intervistati non si preoccupava poiché riteneva che una guerra nucleare non fosse probabile.192

Le denunce del pacifismo antinucleare e l'interesse della stampa rispetto alla dottrina nucleare ebbero come risultato una maggiore «attenzione alla possibilità della distruzione atomica che indusse l’opinione pubblica a doversi confrontare con tale questione in maniera diretta», contribuendo ad ingrossare le fila del movimento antinucleare a partire dalla fine degli anni Settanta.193 Una più matura consapevolezza e, allo stesso tempo, la paura diffusa per gli effetti devastanti di un conflitto nucleare si manifestarono pienamente negli anni Ottanta, quando «la Nuclear Weapons Freeze Campaign […] si affermò come l’espressione politica di questa paura» e il movimento antinucleare negli Stati Uniti assunse dimensioni di massa.194

Nella seconda metà del 1981, i gruppi che lavoravano sotto l’ombrello della NWFC aumentarono e anche le loro iniziative si moltiplicarono nel Paese, tanto che la prima fase della strategia approvata durante la Prima Conferenza Nazionale a marzo, ossia far conoscere l’idea della moratoria nucleare all’opinione pubblica, sembrava oramai terminata. La seconda fase, che nelle intenzioni degli organizzatori doveva concentrarsi sulla costruzione di un’ampia base nell’opinione pubblica, resa visibile dalla raccolta di firme, dalle dichiarazioni di sostegno da parte di esponenti del mondo politico e dall’approvazione di risoluzioni che appoggiassero il Call da parte delle istituzioni pubbliche locali, appariva ben avviata. In California alcuni gruppi antinucleari promossero una campagna intitolata California for a Bilateral Nuclear Freeze. Imitando l’iniziativa del Western Massachusetts, lanciarono una petizione volta raccogliere le 350.000 firme necessarie per trasformare il Call to Halt the Nuclear Arms

Race nell’oggetto di un referendum statale da sottoporre agli elettori nel novembre del

1982.195 La National League of Cities, l’organizzazione che univa migliaia di città e comuni dell’intero territorio nazionale, votò a favore di una risoluzione che accoglieva                                                                                                                

191 The Gallup Poll, Public Opinion 1981, Scholarly Resources Inc., pp. 163-164; p. 269.

192 A Newsweek Poll: Nuclear Forebodings, 26 April 1982. “Frequently worried about the chances of

nuclear war 19%; Concerned but try to put nuclear war out of mind 49%; Don’t think nuclear war likely- don’t worry 30%; don’t know 2%”.

193 A.M. Winkler, Life Under a Cloud, cit., p. 195.

194 P. Boyer, Fallout, cit., p. xv.

195 Statement of the Northern California Nuclear Weapons Freeze Campaign, 16 July 1981, Freeze

Campaign Collected Records, Folder Freeze Campaign California, Box 1, SPC. Il gruppo era finanziato del miliardario Harold Willens, ex attivista contro la guerra in Vietnam.

l’idea della moratoria nucleare.196 Nel giugno del 1981, inoltre, il Senato e la Camera del Massachusetts e le assemblee legislative degli Stati di New York e Oregon approvarono risoluzioni in cui esprimevano il loro sostegno rispetto alla proposta di procedere al congelamento degli arsenali nucleari. Risoluzioni analoghe furono approvate in 67 città del New England, del Vermont e del New Hampshire. Secondo i dati diffusi dalla NWFC, nel 1981 attività volte alla promozione della moratoria erano in corso in 40 Stati, mentre in almeno 20, i gruppi antinucleari stavano facendo circolare petizioni a sostegno del Freeze. L’obiettivo era raggiungere almeno 5000 firme in ogni distretto congressuale, per poi farle pervenire a Senatori e Rappresentanti a dimostrazione dell’orientamento a favore del congelamento degli arsenali nucleari. La strategia della NWFC «di avere un ampio numero di organizzazioni e di gruppi di cittadini [che] promuov[evano] l’idea del Freeze e di ottenere il sostegno delle loro comunità» sembrava dare i risultati auspicati dagli organizzatori. 197

Inoltre in alcuni segmenti delle comunità religiosa cominciarono a emergere, e in alcuni casi a mobilitarsi, voci a sostegno del disarmo nucleare. Il National Council of

Churches, dopo aver votato una dichiarazione a sostegno del Call, aveva invitato le

chiese affiliate a esprimersi pubblicamente a favore della moratoria nucleare. L’arcivescovo John R. Quinn, ex presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattolici, chiese ai fedeli di intraprendere iniziative a sostegno della NWFC, mentre il vescovo di Amarillo, in Texas, Leroy T. Matthiesen esortò coloro che lavoravano all’assemblaggio delle testate nucleari a pensare alle conseguenze dello loro azioni. L’arcivescovo di Seattle Raymond G. Hunthausen suggerì invece ai suoi fedeli di non versare il 50% delle loro tasse federali sui guadagni, quale forma di resistenza non violenta al suicidio nucleare. Infine, i leader della chiesa battista e di quella presbiteriana si erano espressi a favore della fine della corsa agli armamenti nucleari. Questi sviluppi indicavano che, in un clima d’opinione oramai consapevole dei pericoli

                                                                                                               

196 Statement of the Nuclear Weapons Freeze Campaign, 1982, SANE Records Series G, Folder Nuclear

Freeze, Box 64, SPC; “Group launches Drive for Nuclear Weapons Freeze”, Los Angeles Times, 2 December 1981; “Anti-nuclear group seeks advisory vote”, Los Angeles Times, 3 December 1981.

197 «The Freeze Newsletter», Vol. 1, No. 2, July 1981, SANE Records Series G, Folder SANE Topical

File/Freeze, Box 50, SPC; «The Freeze Newsletter», Vol.1, No. 5, October 1981, SANE Records Series G, Folder SANE Topical File/Freeze, Box 50, SPC; «SANE Impact», Vol. 10, No. 3, Fall 1981, SANE Records Series G, Folder Sane/Publications, Box 50, SPC; «The Freeze Newsletter», Vol.1, No.1, March 1981, SANE Records Series G, Folder SANE Topical File/Freeze, Box 50, SPC. Tra gli esponenti del Congresso tutti democratici vi erano: Toby Moffet (CT), Howard Washington (IL), Tom Dellums (CA), Ted Weiss (NY), Shirley Chisholm (NY), Charles Rangle (NY), Richard Ottinger (NY), Frederick Richmond (NY) e Peter Rodino (NJ). “Initiative Start Rolling With Petitions Signing Gatherings”, Los

derivanti dalla corsa agli armamenti, anche i leader religiosi non erano insensibili alle argomentazioni del pacifismo antinucleare.198

Fino alla fine del 1981 le cronache della stampa sulle attività del movimento antinucleare americano furono però limitate, mentre i riferimenti alle proteste comparivano in maniera incidentale nell’ambito di resoconti più ampi sull’antinuclearismo europeo. Quest’ultimo, infatti, stava catalizzando l’attenzione dei media, che rilevavano come «la crescita per la preoccupazione di una guerra nucleare, provocata dalla continua corsa agli armamenti e dalla stagnazione del dialogo Est-Ovest […] [avesse] contribuito alla rinascita del movimento antinucleare in Europa Occidentale, e in maniera minore negli Stati Uniti».199 Il riemergere del pacifismo antinucleare negli USA era considerato un fenomeno più limitato rispetto al coevo movimento europeo. Ad esempio nel novembre 1981 il Washington Post, in un articolo pur intitolato Ban the Bombers Back in Business, rilevava che dopo circa un decennio di silenzio la questione del controllo delle armi nucleari fosse riemersa partendo dal livello

grass-roots per diventare un’issue politica rilevante, ma il movimento antinucleare

americano non aveva ancora raggiunto le dimensioni di massa di quello europeo.200 In

maniera analoga il Wall Street Journal commentava che fino a quel momento «le richieste di disarmo [negli Stati Uniti] non si [erano] avvicinate al grido di protesta che si sta[va] sentendo in Europa […].» Riconosceva però che «gli americani che [erano] favorevoli al disarmo nucleare internazionale [stavano] diventando più attivi ed espliciti. Questo incremento nell’attivismo suggeri[va] che non solo gli europei, ma anche gli americani [avrebbero] esercitato pressioni sull’amministrazione Reagan» sulla questione del controllo degli armamenti.201

Il movimento antinucleare nel Vecchio Continente sembrava aver raggiunto dimensioni tali che, suggeriva la stampa, «i governi dell’Europa Occidentale [erano] preoccupati che questo sentimento si diffond[esse] e ostacol[asse] gli sforzi dell’Alleanza Atlantica» nella lotta contro l’URSS.202 In particolare, scriveva il New York Times, i governi degli alleati NATO e soprattutto l’amministrazione Reagan temevano che il movimento                                                                                                                

198 “Religious Leaders Objecting to Nuclear Arms”, The New York Times, 8 September 1981; “2 Major

Protestant Churches Call for an End to Arms Race”, The New York Times, 18 December 1981.