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2 “Make the FREEZE the Issue”: un anno singolare,

3. Tra vittorie e sconfitte: un bilancio contraddittorio,

3.3 Il voto finale: Zablocki vs Levitas

Il 3 maggio, il giorno prima che la Camera si riaggiornasse per la votazione finale sulla

freeze resolution, l’amministrazione Reagan fu costretta a subire una condanna implicita

della sua politica nucleare a opera della Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattolici. Cercando di affrontare il dibattito che stava attraversando le gerarchie ecclesiastiche, la Conferenza nel 1981 aveva nominato una commissione, presieduta dall’arcivescovo Joseph Bernardin. L’obiettivo era codificare, in una lettera pastorale, il punto di vista della Chiesa Cattolica americana sui temi della pace, della guerra e del conflitto nucleare. Da quando la prima bozza della lettera pastorale era stata resa pubblica nell’estate del 1982, l’amministrazione aveva cercato di fare pressioni affinché i vescovi moderassero i toni attraverso cui non solo biasimavano l’ipotesi del first use e l’utilizzo di armi nucleari contro i civili, ma mettevano in discussione anche la moralità della dottrina della deterrenza chiedendo alle due superpotenze di ridurre i loro arsenali nucleari. Nel corso del 1982 la Casa Bianca aveva tentato di fare pressioni sulla commissione poiché come ipotizzava Hyer dalle pagine del «Washington Post», essa «temeva che il parere dei vescovi avrebbe potuto rafforzare il movimento freeze nel Paese e indebolire la posizione negoziale americana nei negoziati sulle armi con i sovietici». 572 A conferma dell’imbarazzo che la lettera stava creando all’amministrazione, in una missiva indirizzata a Bernardin, William P. Clark scriveva di essere «rammaricato dal modo in cui la lettera [pastorale] riflette[va] interpretazioni fondamentalmente sbagliate della politica americana e ignorasse le proposte statunitensi di ampia portata che [erano] in fase di discussione con l’Unione Sovietica». Ciò che disturbava in particolar modo il consigliere per la sicurezza nazionale era l’assenza nella lettera di qualsiasi menzione delle iniziative per il controllo degli armamenti offerte da Reagan che, a suo avviso, «non erano proposte di congelamento agli attuali livelli elevati [ma] iniziative per la riduzione e perfino l’eliminazione dei sistemi più                                                                                                                

571 D.C. Waller, Congress and the Nuclear Freeze, cit., p. 266.

destabilizzanti». Dopo aver difeso la dottrina della deterrenza e aver sottolineato come i vescovi non avessero criticato «l’impatto del riarmo sovietico che gli Stati Uniti [dovevano] affrontare e che andava oltre i loro bisogni difensivi» di Mosca, Clark esprimeva la speranza che la versione definitiva della lettera includesse una descrizione e magari un sostegno esplicito rispetto alle iniziative americane dedicate al controllo degli armamenti nucleari.573 Nonostante le pressioni attuate dalla Casa Bianca nei messi successivi, le speranze di Clark che la lettera pastorale contenesse un esplicito sostegno alle iniziative di Reagan in materia di disarmo e in particolare ai negoziati START si rivelarono vane poiché la commissione vescovile e in particolar modo Bernardin si mostrarono indifferenti alle sollecitazioni.574 Il 3 maggio pertanto la Conferenza dei Vescovi Cattolici riunitasi a Chicago approvava con una larga maggioranza la versione definitiva della lettera pastorale intitolata “The Challenge of Peace: God’s Promise and Our Response”.575 La lettera criticava la deterrenza «in quanto inadeguata quale base a lungo termine per la pace» e la definiva «una strategia transitoria giustificabile solo insieme alla risoluta volontà di perseguire il controllo degli armamenti e il disarmo». I vescovi esprimevano inoltre una dura condanna della “first use policy” affermando di                                                                                                                

573William P. Clark, Letter to Archbishop Bernardin, 16 November 1982, Robert Reilly Files, Box 3,

Folder Catholic Bishop, RRL. La lettera di Clark a Bernardin era stata preceduta da quella del Segretario alla Difesa Caspar Weinberger che aveva difeso l’utilità della strategia della deterrenza e affermato come fosse necessario, al fine di garantire la sicurezza di tutte le nazioni, «continuare a conservare uno stabile equilibrio militare anche mentre si stavano negoziando le riduzioni». Caspar Weinberger, Letter to

Archbishop Bernardin, 13 September 1982, Robert Reilly Files, Box 3, Folder Catholic Bishop, RRL.

Affermazioni analoghe a quelle di Clark e Weinberger sono riscontrabili anche nella lettera indirizzata all’arcivescovo Bernardin da un gruppo di deputati cattolici. Essi sostengono che contrariamente a quanto affermato dalla commissione vescovile «la strategia nucleare degli Stati Uniti era razionale e le armi non erano puntate contro le città sovietiche ma contro le forze strategiche degli avversari». A loro avviso, ciò rendeva la politica nucleare americana «sia efficace sia morale». Letter to Archbishop Bernardin, 15 December 1982, Robert Reilly Files, Box 3, Folder Catholic Bishop, RRL.

574La questione della lettera pastorale fu discussa durante una serie di incontri del NACIPG al fine di

individuare una strategia mediatica per limitare il suo impatto sull’opinione pubblica. I tentativi di lobbying dell’amministrazione sulla commissione vescovile proseguirono però solo fino al marzo-aprile del 1983, quando divenne chiaro per l’amministrazione che i Vescovi non avrebbero mitigato il linguaggio della lettera pastorale ma l’avrebbero sottoposta direttamente al voto della Conferenza dei Vescovi Cattolici previsto nel maggio del 1983. A tal proposito, in un memorandum del marzo 1983 diretto a Edwin Meese, Francis Gavin scriveva che «non vi era alcun modo in cui l’amministrazione potesse intraprendere un dialogo autentico con i vescovi militanti e di sinistra». L’amministrazione avrebbe dovuto pertanto mantenere un «atteggiamento freddo, corretto, formale ma non antagonistico» il cui significato doveva essere «i vescovi si sono espressi, apprezziamo le loro opinioni che saranno prese in considerazione come quelle di altri leader nazionali».Francis Gavin to Edwin Meese, 17 march 1983, National Security-Defense ND018, Box 9, Folder 1310, RRL; Robert B. Sims, Memorandum to Robert

McFarlane-Bishops’ Pastoral Letter, 4 November 1982, Robert Sims Files, Box 1, Folder Catholic

Bishop, RRL; Bill Triplet, Memorandum to Red Cavaney-Nuclear Arms Policy Meeting, 9 December 1982, William Triplett Files, Box 1, Folder Subject Files, RRL; Sven Kraemer, Memorandum to William

P. Clark-Letter to Cardinal Bernardin, 15 January 1983, National Security-Defense ND018, Box 9,

Folder 0369, RRL; Bob Sims, Memorandum to William P. Clark-Bishops’ Letter, 5 April 1983, Robert Sims Files, Box 1, Folder Catholic Bishop, RRL.

575 K. Briggs, “Roman Catholic Bishops Toughen Stance Against Nuclear Weapons”, The New York

«non concepire alcuna situazione in cui l’inizio deliberato di una guerra nucleare, su qualsiasi scala ristretta, potesse essere considerato moralmente accettabile». Per questo non solo sostenevano che esistesse l’obbligo morale di sviluppare strategie difensive convenzionali nel più breve tempo possibile ma chiedevano altresì alla NATO di adottare rapidamente la politica del “no first use”. Per l’amministrazione Reagan, la parte più problematica del documento era però quella riguardante le politiche volte alla promozione della pace. Nel testo i vescovi affermavano, infatti, come essi «fossero favorevoli agli accordi immediati, bilaterali e verificabili per fermare il collaudo, la produzione e l’installazione di nuovi sistemi nucleari». Sebbene nella frase successiva si precisasse che «tali raccomandazioni non [dovevano] essere identificate con nessuna specifica iniziativa politica», la loro formulazione era simile a quella del Call to Halt

the Nuclear Arms Race e della legislazione freeze pendente in Congresso.576 La lettera pastorale costituiva pertanto non solo una critica alla politica di riarmo di Reagan, ai suoi discorsi sulla possibilità di una guerra nucleare limitata e alla gestione dei negoziati, ma anche un contraccolpo dal punto di vista mediatico, proprio alla vigilia del voto su H.J. Res 13. Come scrisse il «Washington Post», infatti, «il voto [era] una sconfitta per l’amministrazione Reagan che aveva tentato di ammorbidire il linguaggio della controversa lettera» e a ciò si aggiungeva che «alcuni vescovi la interpretavano come un sostegno della moratoria nucleare».577

Il 4 maggio, all’apertura della quinta seduta dedicata alla discussione di H.J. Res 13, la prima questione all’ordine del giorno era la convalida delle nuove norme per regolare la discussione che furono approvate con 270 voti favorevoli, 149 contrari e 13 astenuti.578 Una volta raggiunto l’obiettivo di circoscrivere il dibattito secondo le modalità concordate con l’House Rules Committee, Zablocki era certo di poter riuscire ad arrivare al voto finale sulla freeze resolution, ma non prima di aver affrontato una dura battaglia sull’emendamento proposto dal deputato della Georgia Levitas. Quest’ultimo prevedeva l’inserimento di una clausola secondo cui la moratoria doveva essere seguita da riduzioni negli arsenali delle due superpotenze, che dovevano però «essere raggiunte

                                                                                                               

576 The Challenge of Peace: God’s Promise and Our Response-A Pastoral Letter on War and Peace by

the National Conference of Catholic Bishops, 3 May 1983, su

http://old.usccb.org/sdwp/international/TheChallengeofPeace.pdf. (Ultimo accesso 9 marzo 2014). Sulla lettera pastorale cfr. S.S. Kim, The US Catholic Bishops and Nuclear Crisis, in «Journal of Peace Research», Vol. 22, No. 4, 1985, pp. 321-332; P. Surlis, The Challenge of Peace-The U.S.

Bishops’Pastoral Letter on War and Peace, in «The Furrow», Vol. 34, No.8, August 1983, pp. 485-491.

577 P. Herbut, “Bishops Accept Use of “Halt” in Arms Letter”, The Washington Post, 3 May 1983.

entro un ragionevole e specifico periodo di tempo».579 Levitas riteneva che il suo emendamento servisse ad «assicurare che entrambi gli scopi della risoluzione» - ossia congelare e ridurre il numero di armi nucleari- «fossero raggiunti» poiché il venire meno di uno dei due avrebbe «reso la risoluzione priva di significato».580 In realtà il deputato della Georgia, già autore del «build-down amendment», durante il dibattito del 1982 aveva presentato una proposta che aveva una formulazione analoga, in base alla quale, trascorsi due anni dalla dichiarazione della moratoria, essa sarebbe decaduta a meno che Mosca e Washington non fossero riuscite a negoziare le riduzioni. Zablocki temeva pertanto che Levitas interpretasse il suo emendamento nella stessa ottica di quello presentato nel 1982, la cui conseguenza sarebbe stata la dichiarazione di una moratoria a tempo che sarebbe scaduta salvo la conclusione positiva di un negoziato sulle riduzioni. Dal punto di vista della coalizione pro-freeze l’emendamento Levitas costituiva dunque un pericolo maggiore persino rispetto all’inversione della priorità cronologica tra moratoria e riduzioni, dal momento che era impossibile determinare il lasso di tempo necessario per negoziare le riduzioni o avere la certezza che si sarebbe riusciti a giungere a un qualsivoglia accordo. Per scongiurare il pericolo di una moratoria dalla durata limitata, Solarz offrì un emendamento sostitutivo che in maniera più generale affermava che «le riduzioni [dovevano] essere ottenute nel più breve tempo possibile dopo il raggiungimento di un mutuo e verificabile congelamento» degli arsenali.581 Levitas però vi si oppose sostenendo che il suo emendamento «dava il mandato ai negoziatori per creare incentivi a ridurre», perché nel caso in cui tali incentivi non fossero stati posti in essere e si fosse ottenuto solo il congelamento senza riduzioni «l’intero processo [sarebbe stato] un raggiro». 582 Messo ai voti, l’emendamento Solarz fu respinto con 210 voti favorevoli, 214 voti contrari e 8 astenuti, una sconfitta di soli 4 punti.583 Per cercare di modificare l’emendamento Levitas oramai approvato, il deputato Dick formulò allora un emendamento sostitutivo secondo cui «i negoziatori dovevano procedere immediatamente» dopo la dichiarazione della moratoria «al perseguimento delle riduzioni».584 Il fronte anti-freeze ricorse però alla stessa tattica del contro-emendamento, grazie a cui i sostenitori della moratoria durante le precedenti sedute del dibattito erano riusciti a preservare intatti i punti fondamentali                                                                                                                 579 Ibidem, p. 11065. 580 Ibidem. 581 Ibidem, p. 11068. 582 Ibidem, p. 11068-11069. 583 Ibidem, pp. 11073-11074. 584 Ibidem, p. 11074.