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Ruolo del Brasile nell’Accordo di Parigi

CAPITOLO 4 POLITICHE AMBIENTALI E GLOBAL GOVERNANCE DEL

4.3 Dilma Rousseff e Michel Temer: 2011-2018

4.3.1 Ruolo del Brasile nell’Accordo di Parigi

Dal 2009, quando alla Conferenza di Copenaghen presentò i suoi impegni volontari di riduzione delle emissioni, il Brasile diventò leader mondiale nelle azioni per mitigare i cambiamenti climatici. I risultati ottenuti dal governo brasiliano durante il regime del Protocollo di Kyoto, tagliando i gas serra del 30% nel 2012, rispetto ai livelli del 2005, grazie ad una riduzione del 70% della deforestazione in Amazzonia, fecero del Brasile uno dei paesi ad impegnarsi di più nella lotta al riscaldamento globale. Con la sua reputazione internazionale, lo Stato giocò un ruolo decisivo di leadership alle negoziazioni della COP21 del 2015 per sviluppare l’Accordo di Parigi, presentando gli obiettivi più ambiziosi fra i paesi in via di sviluppo, tra cui una drastica riduzione delle emissioni e l’azzeramento della deforestazione illegale entro il 2030. Essendo le foreste elementi essenziali nell’assorbimento del carbonio dall’atmosfera, nei meeting preparatori alla Conferenza di Parigi la comunità internazionale cominciò a ritenere il controllo della deforestazione una delle opzioni più efficaci e migliori dal punto di vista del rapporto costi-benefici per mitigare il cambiamento climatico. La prima volta in cui si avanzò tale proposta fu alla COP11 di Montreal, in cui si lanciò l’idea di un nuovo meccanismo chiamato REDD - Reducing Emissions from Deforestation and Degradation. Il progetto iniziale fu presentato da Papua Nuova Guinea e Costa Rica e venne appoggiato da diversi paesi, fra cui anche il Brasile, e prevedeva di ridurre le emissioni globali derivanti da

131 Rittl, Carlos “O Acordo de Paris e o Brasil”, Le Monde Diplomatique Brasil, edizione 127, 2 febbraio 2018,

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deforestazione e degrado delle foreste nei paesi in via di sviluppo; in seguito, il meccanismo venne ampliato e comprese anche la conservazione della biodiversità e la gestione sostenibile delle aree forestali, prendendo il nome di REDD+. Infine, alla COP19 di Varsavia, le Parti stabilirono che ogni azione da parte di paesi in via di sviluppo a favore del settore forestale, sarebbe stata riconosciuta dalla UNFCCC come sforzo di mitigazione delle emissioni di gas serra e per questo gli Stati sarebbero stati ricompensati economicamente. Per quanto riguarda il Brasile nello specifico, essendo il 60% del suo territorio coperto di foreste e visto l’impegno preso nel 2009 di ridurre la deforestazione dell’80%, il governo accettò di buon grado il meccanismo REDD+ e nel 2010 formulò la “Estratégia Nacional de REDD+”. Nel 2014 il Brasile sottopose alla UNFCCC la propria strategia, allo scopo di analizzare il successo del piano brasiliano nel ridurre le emissioni e calcolare l’ammontare dei pagamenti a seconda del risultato. Prendendo come riferimento le emissioni lorde causate dal disboscamento dell’Amazzonia nel periodo 1996-2010, i risultati mostrarono che tra il 2006 e il 2010 il Brasile era riuscito a ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra di circa 3000 MtCO2 grazie al programma REDD+.132

In occasione della Conferenza di Parigi nel 2015, il Brasile, come tutte le altre Parti, fu chiamato a presentare i propri Intended Nationally Determined Contributions (iNDC), ovvero gli impegni che ogni paese prevedeva di assumersi per raggiungere l’obiettivo del Paris Agreement di mantenere l’innalzamento della temperatura media globale sotto i 2°C. Come si è visto, la delegazione brasiliana propose gli obiettivi più ambiziosi fra tutti i paesi in via di sviluppo: per quanto riguarda la mitigazione, la sua meta principale era ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 37%, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025 e del 43% entro il 2030. Nel contesto del meccanismo REDD+ riguardo la protezione del settore forestale, il Brasile si impegnava ad azzerare la deforestazione illegale entro il 2030, a compensare le emissioni derivate dall’eliminazione illecita della vegetazione, a riforestare 12 milioni di ettari di foreste entro il 2030 e ad ampliare gli strumenti politici per promuovere un uso sostenibile delle foreste native, disincentivando le pratiche illegali. Inoltre, nei propri iNDC, il paese considerava l’adattamento un elemento fondamentale per affrontare gli effetti del cambiamento climatico, perciò si poneva come obbiettivo favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie per ridurre la vulnerabilità degli ecosistemi, e di nuovi strumenti per valutare anticipatamente

132 Castro Euler, Ana Margarida “O acordo de Paris e o futuro do REDD+ no Brasil”, Cadernos Adenauer, Vol. 2,

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i rischi climatici. Infine, riconosceva l’importanza della cooperazione Sud-Sud per dialogare e sviluppare una posizione comune nei confronti dello sviluppo sostenibile nei paesi emergenti.133 Abbiamo visto come il Brasile, rispetto alle altre nazioni in via di sviluppo e ad

alcune industrializzate, presentava un profilo energetico molto pulito, essendo uno dei più grandi utilizzatori di energie rinnovabili, in particolare idroelettrica, biomasse e biocombustibili, con un tasso del 40%. Per questo motivo, nell’Accordo di Parigi si impegnò ad aumentare l’uso di biocombustibili del 18% entro il 2030, con enfasi sull’etanolo, a raggiungere un 45% di energie rinnovabili nel settore energetico, includendo altre fonti come l’eolica e la solare, a consolidare il Plano ABC (Plano de Agricultura de Baixa Emissão de Carbono) per promuovere lo sviluppo sostenibile del settore agricolo, in particolare tramite la strategia di ripristinare 15 milioni di ettari di pascoli degradati entro il 2030, e a favorire sistemi di produzione a basso impatto di carbonio nel settore industriale.134

L’allora presidente Dilma Rousseff definì l’Accordo di Parigi giusto e ambizioso, poiché rappresentava un passo avanti nella lotta al riscaldamento globale e si fondava sul principio di equità, rispettando le differenze fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Durante le negoziazioni gli Stati del G-77 e la Cina mantennero la loro tradizionale posizione di difesa del concetto che i paesi industrializzati dovessero fornire aiuti finanziari ai paesi emergenti, per aiutarli ad implementare azioni di mitigazione ed adattamento a livello nazionale; al contrario, il blocco delle nazioni sviluppate chiese che anche il G-77 e la Cina stabilissero per se stessi delle mete di riduzione delle emissioni e partecipassero attivamente al nuovo regime climatico. Nella soluzione di questo scontro giocò un ruolo fondamentale Izabella Teixeira, Ministro dell’Ambiente del Brasile, che, insieme all’ambasciatrice di Singapore, venne scelta per facilitare il dialogo tra i due blocchi. Il compito del ministro brasiliano era quello di far sì che le Parti superassero l’impasse che si era creato riguardo il livello di responsabilità dei singoli Stati ad agire per affrontare il cambiamento climatico. Tale ostacolo fu superato stabilendo che gli impegni che ogni paese si sarebbe assunto, avrebbero tenuto conto del contesto e delle capacità nazionali di ognuno, e che il rinnovo di queste mete, il quale doveva

133 República Federativa Do Brasil, “Pretendida Contribuição Nacionalmente Determinada Para Consecução Do

Objetivo Da Convenção-Quadro Das Nações Unidas Sobre Mudança Do Clima”, 27 settembre 2015, pp. 1-4,

http://www.itamaraty.gov.br/images/ed_desenvsust/BRASIL-iNDC-portugues.pdf, ultima cons.: 24/01/2020.

134 República Federativa Do Brasil, “Informação Adicional Sobre A Indc Apenas Para Fins De Esclarecimento”, 27

settembre 2015, pp. 3-4, http://www.itamaraty.gov.br/images/ed_desenvsust/BRASIL-iNDC-portugues.pdf, ultima cons.: 24/01/2020.

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avvenire ogni cinque anni ed ogni volta doveva essere più ambizioso del precedente, sarebbe stato proporzionale alle differenze fra le Parti, ovvero più le nazioni erano ricche più avrebbero dovuto sviluppare obiettivi ambiziosi.135 Un’altra questione in cui il Brasile si dimostrò leader

ancora una volta fu quando alla COP21 venne presentata la proposta della “High Ambition Coalition”, una coalizione formata principalmente da Stati insulari vulnerabili all’innalzamento del livello del mare, di inserire nel testo dell’Accordi di Parigi un obiettivo finale più ambizioso, stabilendo di limitare l’aumento della temperatura media globale sotto 1,5°C, invece che 2°C. La proposta vene appoggiata da Stati Uniti ed Unione Europea, ma incontrò l’opposizione di Cina ed India, che criticarono il fatto che obiettivi più ambiziosi avrebbero comportato mete più rigorose a livello nazionale. Anche in questa occasione, per superare la situazione di stallo si chiese l’intervento di Izabella Teixeira; dopo aver ricevuto la visita del Ministro degli Affari Esteri delle Isole Marshall, leader della “High Ambition Coalition”, la delegazione brasiliana accettò di entrare nella coalizione. Per la prima volta il Brasile, che dal 2009 era membro del gruppo BASIC, decise di opporsi ai suoi alleati Cina ed India, dimostrandosi a favore di un accordo più ambizioso e cambiando le carte in tavola. Per trovare un’intesa, Teixeira propose un compromesso, che venne accettato da tutti: il testo ufficiale dell’Accordo di Parigi avrebbe stabilito che l’obiettivo finale sarebbe rimasto “mantenere l’innalzamento della temperatura ben al di sotto dei 2°C”, ma invitando le Parti ad impegnarsi ulteriormente per ridurre l’aumento a 1,5°C.

La COP21 rappresentò l’ultima occasione in cui il Brasile dimostrò la sua leadership all’interno dei forum internazionali in materia ambientale, in quanto vedremo che negli anni successivi cominciò a prendere una posizione differente nei confronti della lotta al cambiamento climatico.