GIAPPONE
In questo ultimo capitolo della ricerca, a seguito di una descrizione relativa alla dinamica migratoria giapponese nel continente latinoamericano, che riprese ufficialmente nel 1952, e gli sviluppi sociali della comunità etnica giapponese, si cercherà di far luce sulle dinamiche politiche verificatesi fra Brasile e Giappone soprattutto da parte degli esponenti nippo-brasiliani di quest'ultima. L'analisi verterà principalmente sulle cariche politiche principali raggiunte da essi all'interno della struttura politica brasiliana mettendone in luce le attività di connessione con il Giappone.
4.1 La migrazione giapponese in Brasile nel secondo dopoguerra e l'integrazione della comunità giapponese nel sistema politico brasiliano
4.1.1 La ripresa della dinamica migratoria giapponese in Brasile negli anni '50
La seconda guerra mondiale come descritto in precedenza, rappresentò una battuta di arresto del processo migratorio dei cittadini giapponesi in Brasile. La ripresa di tale dinamica risale al 1953. In questo anno, si può quindi affermare che iniziò la terza ed ultima tappa del
flusso migratorio che si estese fino al 1973, anno in cui la nave Nippon Maru trasportò in Brasile l'ultimo gruppo di migranti giapponesi. Secondo quanto affermato da Harumi Befu (2002), il secondo conflitto mondiale può essere inteso in una prospettiva più ampia come il "secondo scontro di civiltà" fra il Giappone e le potenze occidentali, il quale fu caratterizzato dalla competizione delle risorse mondiali. A seguito della sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, come parte dei termini di resa stabiliti fra quest'ultimo e le potenze Alleate, ebbe luogo un grande processo di rimpatrio riguardante la popolazione nipponica residente in territori occupati, rivolto sia ai civili che ai militari. Il governo di Tokyo adottò una politica emigratoria verso i territori occupati dall'espansionismo giapponese in particolar modo la Manciuria cercando di risolvere il problema inerente all'eccessiva popolazione ad al tempo affermare la sua avanzata estera. Questa misura interessò quindi in particolar modo il contesto asiatico e pacifico. Si è stimato che circa sei milioni di giapponesi fecero ritorno in Giappone da tutta l'Asia. Nonostante in alcuni casi molti si opposero al rimpatrio, si nascosero cambiando le proprie generalità al fine di evadere il ritorno in patria oppure fecero rientro in Giappone per poi ritornare all'estero in un secondo momento, questo processo comportò un notevole problema di sovrappopolazione per il contesto nipponico del dopoguerra andando a complicare maggiormente le condizioni economiche e sociali che sosteneva la nazione in quel periodo (BEFU, 2002; SAITO, 1976).
La firma del trattato di San Francisco nel 1951 e la fine del periodo di occupazione americana del Giappone, che ebbe luogo l'anno successivo, fornirono le condizioni necessarie affinché si manifestasse la ripresa del fenomeno emigratorio con origine nel Giappone. A partire dal 1952 si può far iniziare quello che viene definito come il "terzo tentativo giapponese di globalizzazione," frutto proprio di quell'eccessiva popolazione giapponese che si ebbe con il processo di rimpatrio imposto dalla fine della guerra. Come descritto in precedenza, è qui ben ricordare come il primo tentativo di globalizzazione intrapreso dal Giappone ebbe luogo nel XV e XVI secolo attraverso l'attività piratesca e commerciale che si estese verso il sudest asiatico e si concluse nel periodo Tokugawa a seguito delle misure di chiusura della nazione al mondo esterno, intraprese dal bakufu, il governo militare, le quali ebbero lo scopo di fermare l'influenza occidentale che minacciava in quel periodo il Giappone sotto forma soprattutto di proselitismo cristiano. Il secondo tentativo di globalizzazione prese piede a seguito della riapertura del Paese nel periodo Meiji. Spronata dall'arretratezza del Paese in seguito a secoli di chiusura, la globalizzazione giapponese fu indirizzata ad una espansione globale che prendeva spunto e cercava di raggiungere il modello occidentale. Essa infine venne appunto fermata da quello che è stato precedentemente descritto come "secondo
scontro di civiltà" fra il Giappone e gli imperi occidentali ovvero il secondo conflitto mondiale. La dinamica migratoria giapponese in Brasile quindi, riiniziò nel 1952. Il Giappone del dopoguerra fu caratterizzato da una economia devastata e presentava forti difficoltà nel sostentamento della sua ingrandita popolazione. Questa situazione spinse il Paese ad adottare una politica emigratoria come soluzione rapida al problema sociale della popolazione. Il Ministro degli Esteri giapponese annunciò nei primi anni '50 una serie di piani di emigrazione che incoraggiavano la dinamica emigratoria attraverso sussidi di trasporto e pose il Brasile come destinazione primaria del flusso (CAROLI; GATTI, 2009; BEFU, 2002; SHARPE, 2014).
Nel 1952 il governo giapponese negoziò un nuovo trattato che regolava la dinamica immigratoria in Brasile. In esso venne concordata l'apertura di nuovi insediamenti e l'introduzione dei nuovi immigranti all'interno dei territori agricoli già popolati da immigrati giapponesi, arrivati nel periodo precedente al conflitto mondiale. In questo modo, l'arrivo dei nuovi individui sarebbe avvenuto senza la necessità dell'erogazione di capitale da parte del governo giapponese e allo stesso tempo essi avrebbero ricevuto aiuto ed un impiego dai risiedenti. Il processo migratorio giapponese in Brasile del dopoguerra, che si realizzò fino al 1973, fu nettamente inferiore per quantità con quello che si manifestò precedentemente fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, si può sostenere che l'apice della dinamica immigratoria post-guerra si verificò negli anni compresi fra il 1953 ed il 1961 che vide l'ingresso di Brasile di circa 46 mila individui (MITA, 1995; SHARPE, 2014; STANIFORD, 1973).
Negli anni '60 la dinamica migratoria iniziò a subire una costante decrescita fino a giungere ai '70, in cui l'ingresso di giapponesi in suolo brasiliano fu ristretto ad alcune centinaia di individui all'anno. Come per il flusso migratorio giapponese precedente, anche quello sviluppatosi nel secondo dopoguerra fu caratterizzato da una discreta percentuale di individui provenienti dalla prefettura meridionale di Okinawa. Nel 1952, anno in cui entrò in vigore il trattato di San Francisco, finì l'occupazione statunitense del Giappone. Nonostante questa liberazione, le isole Ryukyu comprendenti l'isola di Okinawa continuarono ad essere poste sotto l'amministrazione diretta dell'esercito statunitense, quest'ultima interessata al mantenimento di basi militare alla luce degli avvenimenti che si andavano delineando a livello internazionale in quegli anni. Le condizioni critiche dell'isola nel dopoguerra fecero sì che il governo degli Stati Uniti incoraggiò l'emigrazione dei suoi residenti, molti dei quali si diressero in Brasile. Questa politica emigratoria si basò anche sul desiderio del governo statunitense di acquisire altro spazio territoriale nell'isola al fine di installare altre basi
militari. La ripresa economica delle isole Ryukyu fu lenta, mantenendo vivo il flusso migratorio che si estese oltre gli anni '60. Circa 54 mila individui originari dell'isola di Okinawa fecero il loro ingresso in Brasile fra il 1952 ed il 1988, il 43% dei quali, seguì i propri familiari che emigrarono negli anni precedenti alla guerra35 (LESSER, 2002; MASTERSON; FUNADA-CLASSEN, 2004; SAITO, 1976; SHARPE, 2014).
A seguito della firma del trattato di San Francisco, anche le relazioni fra Brasile e Giappone ripresero e a partire da questo periodo si intensificarono sempre più. Le relazioni bilaterali fra questi due Paesi si focalizzarono soprattutto nell'area commerciale e negli investimenti. Per quel che riguarda il contesto del Giappone post-guerra, come affermato in precedenza, il Paese sostenne negli anni immediatamente successivi la fine del conflitto delle difficili condizioni economiche e sociali riguardo soprattutto la distruzione del territorio a seguito dei pesanti bombardamenti e l'eccessivo numero della popolazione a causa del rimpatrio dei connazionali dai territori occupati. Si può affermare che la sovrappopolazione fu causata in primo luogo dalla riduzione territoriale che sostenne il Paese a seguito dell'uscita come perdente dal conflitto mondiale, che significò appunto la perdita dei territori conquistati ed occupati (CAROLI; GATTI, 2009; BEFU, 2002; KOSAKI, 2002; MITA, 1995).
Il Giappone che sperimentò l'occupazione statunitense fino al 1952, in seguito sostenne una rapida ripresa socio-economica agevolata dai finanziamenti nord americani soprattutto a seguito dell'affermarsi a livello internazionale della Guerra Fredda. In questo contesto il Paese fece parte della politica statunitense in Estremo Oriente che puntò sulla ricostruzione del Giappone. Tale politica mise in atto un processo democratico di ridistribuzione della terra e della ricchezza. La Guerra Fredda rese la nazione giapponese un importante tassello del quadro asiatico in particolar modo a causa degli avvenimenti in Corea nel 1953. Già negli anni '60 la situazione socio-economica e politica del Giappone migliorò, e tale condizione si ripercosse nella dinamica emigratoria che diminuì sempre più. Infatti, la crescita economica del Paese, se da un lato causò un problema di mancanza di manodopera, dall'altro migliorò il livello di vita dei suoi cittadini, facendo diminuire la necessità emigratoria. Negli anni '70 il governo giapponese tentò di avviare un programma di reinsediamento, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, di quei cittadini giapponesi che in passato si diressero all'estero in qualità di migranti e che erano oramai giunti ad una età avanzata. Il programma di reinsediamento affermava che questi cittadini anziani, dotati della pensione giapponese, avrebbero sostenuto una condizione migliore di vita nei Paesi in via di 35 Per maggiori informationi vedi: Caroli Rosa. Il mito dell'omogeneità giapponese: storia di Okinawa;
sviluppo in cui ebbero esperienza in precedenza a seguito della differenza dei costi di vita fra il contesto natio e quello ospitante. Tuttavia, tale programma a seguito delle forti critiche che gli vennero indirizzate fin dall'inizio, decadde nell'arco di pochi anni (CAROLI; GATTI, 2009; BEFU, 2002; MASTERSON; FUNADA-CLASSEN, 2004; MITA, 1995).
Il contesto brasiliano a partire dal secondo dopoguerra fu caratterizzato dal susseguirsi di presidenti che adottarono politiche governative volte allo sviluppo ed all'industrializzazione del Paese. Nell'intervallo democratico che seguì il dopoguerra fino al 1964, Juscelino Kubitschek (1955-1961) fu uno dei principali promotori dello sviluppo economico del Paese. Con il suo "plano de metas," che mirava alla realizzazione di uno sviluppo di cinquant'anni in solamente cinque, prestò particolare attenzione all'infrastruttura e all'industrializzazione del paese. Questa politica, dipendente dal capitale straniero, finì però con la creazioni negli ultimi anni '50 con alti livelli di inflazione, debito pubblico e squilibrio nella bilancia commerciale del Paese. A seguito di una serie di ribellioni azionate dai conservatori, nel 1964 i militari posero fine alla democrazia brasiliana. Il governo militare appena insediato, attraverso una politica fortemente autoritaria intraprese misure di assestamento economico e garantì al paese la stabilità diede origine a quello che venne chiamato il "miracolo economico brasiliano" realizzatosi nell'intervallo di tempo compreso fra il 1968 ed il 1973. In esso, una partecipazione notevole fu intrapresa dal Giappone che in quegli anni sperimentava un grande crescita economica e aumentò considerevolmente i suoi investimenti direzionati nella nazione sudamericana. Molte furono le imprese giapponese che fecero il loro ingresso nel Brasile soprattutto agli inizi degli anni '70. Questo processo diede origine al detto "la luna di miele nippo-brasiliana" a denotare l'avvicinamento del Brasile e del Giappone che ebbe luogo in quegli anni. Nonostante la grande crescita raggiunta gli anni successivi ebbe iniziò una situazione critica per il Paese. Si può affermare che il miracolo economico brasiliano diede vita durante il suo successo ad una crescente divisione sociale fra poveri e ricchi. Inoltre, la dipendenza dal capitale straniero che sostenne il Brasile nel suo sviluppo economico divenne un ostacolo insuperabile durante gli anni '70 in particolar modo a seguito delle crisi petrolifere nel 1973 e 1978, causando un grave problema di iperinflazione. (FUASTO, 1995; MASTERSON; FUNADA-CLASSEN, 2004; MITA, 1995).
Ritornando alla questione immigratoria giapponese in Brasile che riprese negli anni '50, essa presentò caratteristiche che la contraddistinguono dal flusso che si estese principalmente fino agli anni '30. In particolare, si può affermare che in un primo momento, durante l'apice di tale flusso migratorio fra il 1953 ed il 1961, ad entrare in Brasile furono soprattutto individui giapponesi provenienti nella maggioranza dei casi dal contesto rurale del
Giappone. Tuttavia, assieme a tali migranti di natura agricola, furono anche coloro che, in quanto lavoratori specializzati, si ritrovarono in difficili condizioni economiche a seguito della guerra. In particolar modo dalla seconda metà degli anni '50 ai primi del '60, l'emigrazione giapponese di ingegneri e tecnici aumentò considerevolmente anche se passò a decrescere con la crescita economica del Giappone e l'ascesa di quest'ultimo sul piano internazionale (MITA, 1995).
Per quel che riguarda il contesto emigratorio giapponese del dopoguerra, si può individuare un quadro esplicativo delle diverse motivazioni che spinsero i connazionali giapponesi ad abbandonare il Paese. In seguito a quanto affermato prima di migranti che intrapresero il processo migratorio al fine di scampare a difficili situazioni economiche in Giappone si possono identificare i seguenti casi: le spose di guerra, i matrimoni internazionali, i migranti per affari delle multinazionali e la migrazione per malcontento. Il primo caso delle spose di guerra si riferisce a quelle donne giapponesi che a partire dal secondo dopoguerra andarono a vivere all'estero non come immigranti nel classico senso della parola ma come mogli di soldati stranieri, soprattutto statunitensi, che risiedevano in Giappone all'interno delle basi militari. Queste donne, nella disperazione del Giappone del dopoguerra, sposarono questi soldati stranieri nella speranza di ritrovarsi a vivere in un contesto migliore rappresentato dal Paese dei loro nuovi mariti. Un’altra tipologia di migranti riguarda il caso che prese piede soprattutto negli anni '60 e '70 e che vide la realizzazione di matrimoni internazionali da parte delle donne che degli uomini giapponesi. Questi matrimoni si verificarono in particolar modo fra donne giapponesi ed uomini caucasici e fra uomini giapponesi e donne di origine asiatica ma non giapponese. Questo fenomeno può essere spiegato dal l'influenza democratica che ebbe la società giapponese con l'occupazione e democratizzazione statunitense che allargò gli orizzonti tradizionali culturali giapponesi. Un'ulteriore sfaccettatura del fenomeno emigratorio ha a che fare con l'espansionismo economico giapponese, che si realizzò soprattutto a partire degli anni '60, attraverso l'esportazione di prodotti industriali e gli investimenti diretti esteri. Questi processi diedero vita ad una dinamica di dispersione della popolazione, vale a dire l'invio di tecnici, ingegneri ed imprenditori giapponesi all'estero che si vennero a chiamare
chuzaiin. Questo flusso migratorio di migranti che si possono definire commerciali,
comprendente spesso le rispettive famiglie, andò a creare come succede a tutt'oggi degli insediamenti distaccati dagli altri raggruppamenti di migrante della stessa origine etnica. Tale fenomeno diede quindi origine a delle nuove comunità costituite anche da quei giapponesi che emigrando seguirono tale dinamica migratoria al fine di impiegarsi nella fornitura, all'interno della comunità, dei servizi sociali della cultura e società giapponese a disposizione dei
migranti commerciali e le rispettive famiglie per il loro vivere quotidiano, come ad esempio bar, ristoranti, scuole e karaoke giapponesi. La necessità di questi servizi fu data dalla mancanza di competenze linguistiche locali di tale popolazione migrante in affari commerciali e dalla loro aspettativa di un ritorno in Giappone nell'arco di qualche anno. A differenza di questi ultimi, i migranti giunti all'estero al fine di fornire i servizi necessari a tale comunità, non presentano della aspettative chiare circa il loro ritorno in Giappone. Queste comunità di cittadini nipponici giunti all'estero per affari commerciali delle multinazionali, sono presenti in Paesi del contesto asiatico come Beijing, Taipei, Seoul, Hong Kong, Bangkok, Singapore, ma anche negli Stati Uniti come Los Angeles, San Francisco e New York ed in città come Parigi, Londra e Düsseldorf (BEFU, 2002).
Sebbene la dinamica migratoria appena descritta non interessi in particolar modo il contesto brasiliano, quest'ultimo ne risultò interessato a seguito della proficua relazione di cooperazione bilaterale in ambito economico mantenuta con il Giappone. L'entrata in Brasile di un grande numero di imprese giapponesi risale in particolar modo alla fine degli anni '60. Questo fenomeno cambiò lo schema migratorio giapponese tradizionale che si sviluppò soprattutto fino agli anni '50 in Brasile. Vale a dire che, si passò dall'immigrazione di manodopera, impiegata principalmente in ambito rurale, all'immigrazione di aziende comprendenti il loro apparato di direttori amministrativi, tecnici ed equipaggio (BEFU, 2002; SAITO, 1976).
Per ultimo il processo emigratorio giapponese fu caratterizzato da quegli individui che abbandonarono il Paese non per motivazioni economiche ma a seguito dell'affermazione di sentimenti di scontento verso la nazione stessa ed emerse soprattutto a partire dagli anni '70. Questo caso riguarda ad esempio donne giapponesi stanche della discriminazione di genere vissuta in Giappone soprattutto nel contesto lavorativo, oppure il caso di persone divorziate o soggette a qualche altro tipo di discriminazione sociale o infine al caso di espatriati per ragioni di affari commerciali che rimangono nel contesto ospitante a loro assegnato a seguito del loro adattamento a tale contesto (BEFU, 2002).
4.1.2 Gli sviluppi sociali della comunità etnica giapponese nella seconda metà del XX secolo
Avendo appena descritto quella che fu la caratterizzazione generale dei contesti di uscita e di ricezione e della dinamica migratoria nipponica, vengono ora analizzati quello che furono gli sviluppi sociali a livello della comunità etnica giapponese in Brasile. Il periodo della Seconda Guerra Mondiale e gli anni immediatamente successivi, nei quali ebbe luogo il movimento ultranazionalista della Shindo Renmei, furono di indubbia importanza nell'andare ad influenzare la postura individuale e comunitaria sostenuta dalla collettività di origine giapponese a partire dal secondo dopoguerra. Durante il secondo conflitto mondiale, la comunità giapponese in Brasile seppur gravata da pesanti restrizioni, confische ed allontanamenti da posizioni ritenute strategiche, non subì le ancora più dure condizioni che furono poste ai loro connazionali situati soprattutto negli Stati Uniti ed in Paesi latinoamericani come Messico e Perù. La grande dimensione della comunità giapponese in Brasile, nonostante la presenza di campi di concentramento in suolo brasiliano, rese infatti difficili le procedure di deportazione ed internamento di larga scala. Ciononostante, alcuni membri della comunità giapponese in Brasile furono caratterizzati, come nel resto degli altri Paesi, da traumi mentali, derivati sia dalle restrizioni a cui furono sottoposti durante la guerra, ma anche dalla situazione a cui dovettero far fronte alla fine di essa. Molti infatti, a seguito della confisca dei beni, ebbero difficoltà nel riiniziare la loro vita nel contesto ospitante oppure sostennero sentimenti di disagio e di perdita di orgoglio nell'identificazione con il Giappone. Nello specifico caso brasiliano, i beni confiscati agli immigrati giapponesi vennero in parte riconsegnati ad essi dal governo federale nel 1950 (IINO, 2002; MASTERSON; FUNADA-CLASSEN, 2004; SAKURAI, 1995; WOO; IHOSHI, 2007).
Per ciò che riguarda il movimento ultranazionalista della Shindo Renmei, si può affermare che esso ebbe delle conseguenza devastanti per la comunità giapponese in Brasile soprattutto in riferimento all'atteggiamento di solidarietà ovvero ai legami di amicizia e di convivenza instaurati fra le diverse famiglie i quali si deteriorarono. Questo fenomeno divisorio fu causato, sia dalla divisione interna che si ebbe fra i sostenitori della vittoria
giapponese e coloro che affermavano la disfatta, ma anche dall'opinione della società brasiliana che considerava la popolazione di origine giapponese come portatrice di disordine. Il movimento della Shindo Renmei può essere considerato come la manifestazione del conflitto interno che coinvolse da un lato, la prima generazione degli issei, e dall'altro la seconda generazione dei nissei. Come affermato nel capitolo precedente, già a partire dagli anni '30 si originò all'interno del gruppo etnico giapponese, una diatriba generazionale, vale a dire la graduale definizione dell'identità nissei come brasiliana, sia nei modi di pensare che nella pratica. L'identità culturale dei membri della comunità giapponese sperimentò un duro processo a seguito della politica di nazionalizzazione messa in atto da Vargas a partire dagli anni '30, che come affermato precedentemente si indirizzò soprattutto nelle seconde e successive generazioni guardando alla loro assimilazione nella società nazionale. L’azione governativa del presidente brasiliano cercò di isolare i giovani discendenti di immigrati dalla