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RUOLO DEL PARTICOLATO NEGLI ECOSISTEMI TERRESTRI

1.2 INTRODUZIONE

1.2.3 RUOLO DEL PARTICOLATO NEGLI ECOSISTEMI TERRESTRI

Carbonio, azoto e zolfo sono elementi essenziali per tutti gli organismi, per questo motivo sono stati e risultano tutt’ora essere oggetto di numerosi studi. Proprio per questo si conoscono le varie tappe dei loro cicli biogeochimici e, data l’importanza del loro funzionamento, si cerca di prevedere eventuali alterazioni dovute all’immissione di eccessive quantità di sostanze interferenti con gli stessi (Lee, 1998).

Il carbonio è l’elemento più abbondante nella materia organica per cui ad esso sono legati tutti gli altri cicli biogeochimici. Il pool di riserva predominante è la litosfera (rocce), sebbene atmosfera e idrosfera siano i più dinamici, e il pool di scambio è costituito da tutti gli organismi viventi. Nella litosfera il carbonio si rende disponibile grazie a processi abiotici quali dissoluzione e dilavamento delle rocce. Nell’ecosistema terrestre il carbonio dell’atmosfera (CO2) viene fissato dagli organismi fotosintetici e quindi passa agli organismi eterotrofi lungo la catena alimentare. Gran parte del carbonio torna in atmosfera con la respirazione, ma viene anche incorporato nella litosfera dopo la decomposizione della materia organica morta.

L’azoto è necessario agli organismi viventi per la formazione di composti organici vitali quali amminoacidi e acidi nucleici. Le piante sono in grado di assumere azoto solo in forma di nitriti, nitrati e sali d’ammonio disciolti nell’acqua. Dalle piante l’azoto passa agli animali attraverso la catena alimentare. Il ciclo dell’azoto ha come pool di riserva l’atmosfera, costituita per il 78% di azoto molecolare (N2). Questa forma di azoto riesce ad essere direttamente assimilata solo da alcuni batteri, detti appunto azoto fissatori, che lo trasformano in ammoniaca (NH3). Una piccola parte di azoto fissato proviene dall’azione dei fulmini che, grazie alla loro alta energia, ossidano l’azoto gassoso in ossidi di azoto NOX i quali possono esser trasferiti a terra tramite le precipitazioni formando anche acido nitrico (HNO3) (Seinfeld e Pandis, 2006). Nel terreno, un’ulteriore fonte di ammoniaca deriva dalla decomposizione di materia organica morta grazie al processo di ammonificazione condotto da batteri e funghi. Le molecole di ammoniaca e i sali d’ammonio derivati vengono ossidati da batteri nitrificatori in nitriti (NO2-) e nitrati (NO3-) assimilabili dalle piante. I nitrati vengono in parte denitrificati da alcuni batteri liberando N2 che torna in atmosfera.

Come l’azoto, anche lo zolfo è un costituente fondamentale degli amminoacidi e delle tiomolecole (ad esempio il coenzima-A). Il compartimento di riserva dello zolfo è la litosfera e in particolare il gesso e la pirite da cui si liberano solfati (SO4=) per l’azione demolitrice di batteri anaerobi. Sorgenti più importanti sono le eruzioni vulcaniche e gli incendi che rilasciano rispettivamente H2S e SO2. In atmosfera, per ossidazione fotochimica, si forma SO3 che nelle

gocce di pioggia forma acido solforico che si dissocia in ioni solfato (SO4=) che è la forma di zolfo che viene assimilata da piante e batteri nel terreno. Lo zolfo della materia organica morta viene trasformato in SO4= da batteri aerobi e H2S da batteri anaerobi (Purves et al., 2005).

Tali elementi, quindi, sono normalmente presenti nell’atmosfera e fanno parte, in diverse forme, del particolato atmosferico. I loro cicli, tuttavia, funzionano fin tanto che le loro concentrazioni sono compatibili con la successione di reazioni che governano le varie tappe.

1.2.3.1 Alterazioni antropiche

L’immissione eccessiva di composti azotati e solforati da parte delle attività antropiche può provocare un accumulo e un loro diverso destino che sfocia in problemi attuali quali l’eutrofizzazione degli ecosistemi e il riscaldamento globale.

Le combustioni (di combustibili fossili e non) sono sorgenti importanti che generano gli ossidi (es. NO, NO2, SO2). Questi gas, che possono essere trasportati per lunghe distanze dalla sorgente in atmosfera, possono essere ossidati e solubilizzati in goccioline di vapore acqueo, trasformandosi in ioni, e diventano parte di particelle e precipitazioni rendendole acide, le quali arrivano su suolo e vegetazione come deposizioni secche (polveri) o umide (pioggia, neve, nebbia). In più, data la loro facilità di lisciviazione causano danni anche a laghi, fiumi e al mare. L’ accumulo di azoto negli ecosistemi terrestri provoca una molteplicità di conseguenze, ad esempio la sostituzione di specie, sia vegetali che animali, con altre invasive, avvantaggiate da elevate concentrazioni di N nel terreno che può portare alla cosiddetta “ saturazione di azoto” (Lovett et al., 2009). Quest’ultima consiste nelle limitazioni alle funzioni biologiche causate da concentrazioni elevate di azoto: troppo azoto aumenta la mobilità dei nitrati nel terreno e quindi la perdita degli stessi e l’aumento di acidità di acqua e suolo che comporta la perdita di cationi essenziali (calcio e magnesio ad esempio) e un’eccessiva disponibilità di alluminio (con ben noti effetti tossici) come descritto in Figura 1.5. A livello fisiologico, nelle piante si riscontra uno squilibrio nei rapporti tra elementi, specialmente Ca:Al e Mg:N, che porta alla riduzione della fotosintesi, dell’efficienza dell’uso di N fotosintetico e della crescita, nonché ad un aumento della mortalità degli alberi (Vitousek et al., 1997).

Lo zolfo cade al suolo soprattutto in forma di deposizione umida causando il fenomeno delle piogge acide le quali danneggiano direttamente il tessuto fogliare e acidificano il terreno con conseguenze analoghe a quelle dell’accumulo di azoto (Lovett et al., 2009).

Figura 1.5 Schema della deposizione acida al suolo. I fattori biologici, il suolo e la geologia del terreno compartecipano a determinare gli effetti degli acidi nel suolo. Da Lovett et al., 2009.

Inoltre, la formazione di ozono dovuta alle reazioni fotochimiche con composti carboniosi (idrocarburi) è legata all’elevata concentrazione di NOX in atmosfera, come verrà approfondito nella Parte Seconda dell’elaborato.

Le sorgenti antropiche generano composti organici, che possono esser persistenti (ad esempio diossine, PCB e DDT), e che per la loro scarsa volatilità si possono ritrovare nel particolato atmosferico, andando a costituire parte del carbonio organico antropogenico. Il carbonio organico (Organic Carbon, OC) antropogenico interagisce fortemente con il ciclo del carbonio e dei nutrienti, anche se, per la sua variabilità composizionale, non si conoscono ancora i dettagli di come avviene (Teng et al., 2012): parte del OC antropogenico degradandosi rilascia CO2 in atmosfera (incrementando il riscaldamento globale) mentre la quota persistente, cadendo a terra, può essere anche assimilata da piante e animali entrando nella catena alimentare, con possibili criticità nel caso l’OC contenga composti persistenti, bioaccumulabili e tossici.

Un altro elemento di attenzione riguarda gli effetti sul clima del particolato emesso da fonti antropiche, per il quale viene indicato un low LOSU (Level Of Scientific Understanding) nella relazione del 2007 dell’International Panel on Climate Changes (IPCC). Tra le particelle emesse da combustioni domestiche in apparati tradizionali, quelle carboniose (contenenti black carbon) contribuiscono al global warming, quelle saline/inorganiche incrementano l’albedo e la riflessione della radiazione solare. Il particolato ha inoltre effetti sulla formazione delle nubi in

quanto può fungere da nucleo di condensazione per le gocce d’acqua (Stanhill and Cohen, 2001). Letteratura relativamente recente illustra la prospettiva di alterare la composizione del particolato, operando però nella stratosfera, per correggere alterazioni del clima (Rasch et al., 2008a; Rasch et al., 2008b; Kravitz et al., 2013), con ripercussioni anche sull’attività fotosintetica planetaria (Xia et al., 2016).