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6 Le inchieste americane degli anni Novanta

6.1 Il ruolo della politica svizzera

In Svizzera nel dicembre del 1994 dopo che vi sono furono i primi attacchi stranieri in merito ai fondi ebraici in giacenza, il Consigliere agli Stati socialista Otto Piller presentò un’iniziativa per risolvere la questione: un servizio per aiutare gli eredi delle vittime a rintracciare nelle banche gli averi dei loro cari. Il Consiglio federale nel 1995 la bocciò definendola inutile. Analoga sorte alla Consigliera nazionale indipendente Verena Grendelmeier che propose il censimento per tutti gli averi non rivendicati dei soprusi del Terzo Reich. Come già detto, nel 1996 ci fu il Memorandum of understanding che coinvolse essenzialmente le banche private, e quindi le autorità politiche svizzere inizialmente non parteciparono attivamente alla vicenda. Situazione che mutò quando dal ministero degli esteri britannico arrivarono richieste di spiegazioni sui quantitativi di oro di matrice nazista presenti in Svizzera. Parallelamente il senatore D’Amato svelò l’accordo segreto del 1949 tra Svizzera e Polonia, in cui la Svizzera si impegnò ad impiegare i patrimoni in giacenza di ebrei polacchi per risarcire i cittadini svizzeri vittime delle nazionalizzazioni della Polonia. Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) oltre a farsi sorprendere fece un comunicato ambiguo, nel quale si limitò a citare gli impegni elvetici senza accennare nulla a quelli polacchi. A questo punto il governo svizzero istituì una Task Force incaricata di risolvere tutta la vicenda. Il Consigliere federale radicale Jean Pascal Delamuraz, parlando di un rapporto della Task Force nel quale si fa

riferimento ad una richiesta da parte di gruppi ebraici alla creazione di un fondo di risarcimento di 250 milioni di CHF, lo definì come ricatto e volontà di destabilizzazione della Svizzera (Gilardoni, 1998, p. 58), provocando una controversia molto forte. Pur essendo delle considerazioni personali, ciò provocarono la minaccia di boicottaggio delle banche svizzere negli USA da parte del CEM e dell’Agenzia ebraica (JRSO) e un calo del corso delle azioni delle banche svizzere. Dopo due settimane Delamuraz si scusò, anche se fece delle mezze scuse, e scaricò la colpa sulla Task Force dicendo che le sue dichiarazioni erano frutto di informazioni imprecise. Risolto questo problema, ce n’è fu subito un altro. Nel dicembre del 1996, nel rapporto di Carlo Jagmetti (ambasciatore svizzero a New York) inviato a Thomas Borer (Responsabile della Task Force), che poi verrà pubblicato interamente dal Tages Anzeiger, parlò in termini battaglieri dell’intera vicenda. A seguito di questo rapporto, Carlo Jagmetti trasmise le proprie dimissioni al capo della diplomazia Flavio Cotti (Gilardoni, 1998).

Questo fatto venne duramente criticato dagli ambienti della destra conservatrice, i quali ritenevano che Jagmetti avesse più esperienza come ambasciatore rispetto al nuovo membro Defago, ma soprattutto rimproverarono che con questa mossa si mostrava un segno di debolezza nelle trattative. Un altro rimprovero che venne fatto a Cotti, fu che l’incontro con il presidente del CEM Edgar M. Bronfman non avvenne né al Ministero degli esteri a Berna né nell’ambasciata svizzera a Washington, bensì nella sede del CEM di New York, contravvenendo agli usi della diplomazia (Gruppo di lavoro storia vissuta (GLSV), 2006).

Queste vicende non aiutarono sicuramente a migliorare l’immagine della Svizzera nella questione degli averi in giacenza e per evitare la minaccia di boicottaggio e ulteriori danni, le banche private presero l’iniziativa. Il 5 febbraio del 1997 UBS, CS e SBS annunciarono il versamento di 100 milioni di CHF sul conto della BNS come contributo solidale per gli eredi delle vittime del nazismo. Il Consiglio federale, ma anche altri settori dell’economia colsero l’occasione per partecipare a loro volta alla creazione del fondo. Alla fine, il fondo fu di 265 milioni di CHF, finanziato con 100 milioni delle banche, altri 100 milioni dalla BNS e infine 65 dal Vorort (Unione svizzera di commercio e d’industria). La creazione del fondo umanitario dimostrò la buona volontà della Svizzera, dopo alcune esitazioni, di risolvere la vicenda e dimostrare ai propri cittadini la propria etica al riguardo, anche se gli importi non furano abbastanza elevati per le organizzazioni ebraiche. Il 5 marzo del 1997 fu un giorno storico per la Svizzera: il presidente della Confederazione Arnold Koller annunciò l’intenzione di creare una Fondazione di solidarietà di 7 miliardi di CHF, finanziata attraverso la rivalutazione delle riserve in oro della BNS, con lo scopo di aiutare chi in Svizzera e all’estero veniva colpito da catastrofi, povertà, genocidi e altre violazioni dei diritti dell’Uomo. Lo scopo dei due fondi fu quindi diverso: quello umanitario era rivolto sostanzialmente alle vittime del nazismo, mentre l’altro ai bisognosi in senso lato (Gilardoni, 1998).

Per quanto riguarda l’iniziativa della Fondazione di solidarietà di 7 miliardi di CHF, è stata bocciata nel 2002, dal 52,48% dei votanti. La Fondazione solidale non è riuscita a riscontrare il favore del popolo, soprattutto per il periodo in cui è stata proposta, in piena crisi dei fondi ebraici. L’UDC, ma anche altri partiti, sono riusciti a far cogliere ai cittadini il senso di ricatto, che ha portato il governo a proporre la nascita dell’iniziativa (Swissinfo, 2002).

Tornando alla vicenda dei beni in giacenza, nel maggio del 1997, arrivò un’altra grana al governo svizzero con la pubblicazione del Rapporto Eizenstat: un’indagine sul ruolo dei Paesi neutrali all’epoca della guerra mondiale voluta dal presidente americano Bill Clinton. Le affermazioni sulla Svizzera destarono parecchio scalpore e fecero ricominciare la pressione della stampa internazionale. Nel rapporto la Svizzera venne dipinta come banchiere di Hitler che oltre all’oro riciclò anche i denti d’oro strappati agli ebrei dalle SS e che permise il proseguimento della guerra. Oltre alle vicende durante la guerra, il rapporto mostrò il comportamento della Svizzera durante gli accordi di Washington, che a suo dire giustificherebbe una rinegoziazione degli stessi accordi. Con il Rapporto Eizenstat, la Svizzera venne attaccata anche apertamente dal governo americano, che pur riconoscendo quello che di buono fu fatto con la creazione dei due fondi, pretendeva qualcosa in più (Gilardoni, 1998).