3. Il ruolo del Private Equity e del Venture Capital
3.5 Il ruolo del private equity e del venture capital nella ripresa
Gli intermediari specializzati negli investimenti in capitale di rischio giocano un ruolo fondamentale anche in periodo di crisi e negli anni di successiva ripresa iniziale.
In particolare, l’apporto degli operatori si avverte innanzitutto in relazione ad una migliore capacità di affrontare periodi di recessione economica da parte delle imprese in portafoglio. Infatti, come già evidenziato (v. supra), le imprese finanziate hanno tassi di fallimento minori rispetto a quelle non partecipate. La capacità di esprimere una redditività superiore a quella di imprese comparabili, poi, sembra confermarsi anche in periodi problematici, quali situazioni di credit crunch (Frontier Economics, 2013). Inoltre, il private equity sembra rappresentare una valida risorsa anche quando vi è la necessità di ripensare il modello di business di un’impresa, poiché attraversa un periodo di difficoltà. Secondo la letteratura, vi sono sostanzialmente tre modalità per approcciarsi ad un’operazione di turnaround (Cuny e Talmor, 2007). Il managerial
process prevede che sia il management ad avvertire la necessità di modificare la
strategia aziendale e si rivolga ad una società di consulenza che analizzi la situazione e rediga un piano di risanamento. Nel caso del board process è il Consiglio di Amministrazione a commissionare ad uno specialista l’incarico di risollevare le sorti dell’impresa. Infine, l’external process prevede che la ridotta o negativa performance di un’impresa trovi soluzione nella cessione della stessa ad un soggetto terzo, quale può essere un fondo di private equity, disponibile ad investire risorse fresche e ad attuare una nuova strategia. Gli studi pubblicati hanno evidenziato che proprio quest’ultima modalità di turnaround, attuata attraverso l’intervento degli operatori specializzati, ha un tasso di successo maggiore (Cuny e Talmor, 2007). In particolare, l’intervento di un fondo di private equity rappresenta la soluzione ottimale nei casi in cui la necessaria riorganizzazione aziendale implica una sostituzione parziale o totale del management e, per questo motivo, può dar luogo a frizioni emotive (Cuny e Talmor, 2007). Ciò si potrebbe verificare, ad esempio, in imprese a controllo familiare o quando l’Amministratore Delegato è anche presidente del CDA. Ad ogni modo, l’intervento di un intermediario ha dei costi non trascurabili, in termini di maggiore costo del capitale e maggiore capacità contrattuale, che potrebbe sfruttare per ridurre il prezzo di acquisizione: per ovviare a queste problematiche, l’utilizzo di una leva adeguata potrebbe rivelarsi un’efficace soluzione (Cuny e Talmor, 2007).
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Invece, nel caso in cui le performance non soddisfacenti siano il risultato di una struttura di corporate governance inefficiente, il managerial process sembra rivelarsi più efficace, poiché incentiva i manager a collaborare attivamente alla riorganizzazione aziendale (Cuny e Talmor, 2007). La stessa alternativa andrebbe percorsa nel caso in cui parte preponderante del valore aziendale sia riconducibile all’insieme di diversi asset ben funzionanti (Cuny e Talmor, 2007).
Come accennato in apertura del presente paragrafo, il private equity sembra avere un ruolo anche durante gli anni di iniziale ripresa economica. Un interessante studio focalizzato sulla realtà statunitense ha evidenziato che, durante i periodi di recessione economica, il numero di investimenti realizzati continua a crescere e nell’anno successivo di ripresa aumenta nuovamente (Shapiro, 2009). Allo stesso tempo, la dimensione media dell’operazione diminuisce, ad indicare da un lato il focus su imprese dalle dimensioni più piccole e dall’altro la ricerca di quest’ultime di soggetti disposti a finanziarle (Shapiro, 2009).
Tabella 3.4 – Investimenti in USA del Private Equity in anni di recessione e ripresa iniziale (var %)
Investimenti Private Equity (numero) Investimenti Private Equity (amm. medio)
Anno di recessione Anno successivo Anno di recessione Anno successivo
1974 -55.6% 37.5% -20.4% -12.5% 1975 37.5% 68.0% -12.5% -8.8% 1980 16.3% 60.0% -38.8% -91.5% 1982 45.6% 63.0% -43.8% -33.7% 1991 -33.8% 47.0% -15.8% -19.2% Fonte: Shapiro, 2009
In particolare, nel periodo analizzato (1970-2007) in 3 casi su 5 il numero degli investimenti è cresciuto anche in periodo di crisi, mentre in tutti i casi è aumentato nell’anno di ripresa successiva (Shapiro, 2009). Ciò potrebbe indicare che gli operatori godono di un accesso ai capitali che non viene a mancare in periodi di recessione. Il fatto che gli apporti al fondo vengano sottoscritti prevalentemente in seguito a risultati di settore positivi, e solo successivamente impiegati, sembrerebbe confermare tale osservazione, anche considerata la ciclicità che caratterizza le operazioni nel capitale di rischio.
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Come si evince dalla tabella 3.4, poi, la dimensione media del finanziamento si è contratta sia in recessione che nella ripresa iniziale, a testimonianza del fatto che gli intermediari si concentrano su operazioni con una minore incidenza del leverage. L’ammontare investito totale è diminuito fortemente durante i periodi di crisi, mentre è fortemente aumentato nella ripresa successiva, in maniera molto più marcata rispetto agli investimenti privati o a quelli dell’industria manifatturiera (Shapiro, 2009).
Tabella 3.5 – Investimenti in USA in anni di recessione e ripresa iniziale (var %)
Investimenti Private Equity (ammontare) Investimenti privati totali (ammontare)
Anno di recessione Anno successivo Anno di recessione Anno successivo
1974 -64.6% 20.4% 0.8% -9.9% 1975 20.4% 53.4% -9.9% 4.9% 1980 -28.8% 206.0% -0.3% 5.7% 1982 -18.1% 118.5% -3.8% -1.3% 1991 -44.3% 75.6% -5.4% -3.2% Fonte: Shapiro, 2009
Soffermandoci ora sul caso italiano, un’analisi riferita al periodo di recente crisi sembra confermare le evidenze riscontrate negli USA. In particolare, escludendo il 2009, anno che ha rappresentato il punto più basso raggiunto dalle economie mondiali, il numero di investimenti realizzati dai gestori italiani non è calato, ed è aumentato sia in fase di recessione che in quella di rialzo successiva. In proposito, si segnala che vi è un incentivo a concludere delle transazioni quando i mercati sono particolarmente depressi, poiché la probabilità di spuntare prezzi particolarmente vantaggiosi è più elevata.
Tabella 3.6 – Investimenti in Italia del Private Equity in anni di recessione e ripresa iniziale (var %)
Investimenti Private Equity (numero) Investimenti Private Equity (amm. medio)
Anno di recessione Anno successivo Anno di recessione Anno successivo
2008 22.7% -26.3% 3.2% -35.5%
2009 -26.3% 3.2% -35.5% -8.8%
2012 7.1% 5.4% -15.8% 0.7%
2013 5.4% n.d. 0.7% n.d.
Fonte: Elaborazione propria su dati AIFI, “Il Mercato Italiano del Private Equity e Venture Capital”, anni 2007-2013
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Con riferimento all’ammontare investito dai fondi in Italia, si può notare che l’andamento degli investimenti del settore private equity è molto più volatile rispetto al caso USA e non è possibile delineare un trend chiaro: in alcuni anni è cresciuto più degli investimenti lordi, mentre nel 2009 è crollato (-52.4%).
Grafico 3.5 – Ammontare investito in Italia in anni di recessione e ripresa iniziale (var %)
Fonte: Elaborazione propria su dati AIFI, “Il Mercato Italiano del Private Equity e Venture Capital”, anni 2007-2013 e ISTAT, “Conti Economici Nazionali”, 2013
L’importanza del ruolo svolto da private equity e venture capital per le imprese del nostro Paese sembra ricevere conferma anche dalla “Scheda Informativa SBA 2013 - Italia”93 (Commissione Europea, 2013). In particolare, tale documento si propone di verificare i progressi realizzati dalle imprese italiane con riferimento ai diversi punti dello Small Business Act, un documento programmatico volto a favorire la crescita economica attraverso il supporto alle piccole e medie imprese. In relazione ai risultati
93 Il documento citato rappresenta un’analisi ad opera della Commissione Europea con l’obiettivo di
verificare i progressi realizzati dai vari Paesi membri nel periodo 2008-2013 con riferimento allo Small
Business Act. Quest’ultimo è un protocollo d’intesa, pubblicato nel 2008, che prevede la realizzazione di
una nuova politica industriale volta innanzitutto a riconoscere il ruolo chiave delle PMI europee in termini di occupazione e valore aggiunto e poi a favorirne lo sviluppo attraverso l’attuazione di 10 principi. Il documento è reperibile all’indirizzo http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/small-business- act/index_en.htm. -60.0% -40.0% -20.0% 0.0% 20.0% 40.0% 60.0% 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Investimenti Private Equity (amm. inv., var %)
Investimenti lordi (amm. inv., var %)
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che emergono dal rapporto, l’industria degli operatori di capitale di rischio può garantire apporti positivi in due delle tre aree in cui si registrano peggioramenti: “Competenze e innovazione” e “Accesso ai finanziamenti”. Gli operatori di venture capital, e in particolare quelli specializzati in operazioni di early stage financing, possono stimolare e supportare la crescita di imprese innovative, come più volte ricordato (v. supra). Alcuni studi citati, poi, hanno riscontrato l’apporto positivo degli intermediari in relazione alla capacità di reperire risorse finanziarie da altri soggetti e migliorare le relazioni con i medesimi (Banca d’Italia, 2009).
Anche con riferimento all’internazionalizzazione, sembra possano esserci margini di miglioramento garantiti dagli operatori. Infatti, se le esportazioni del settore manifatturiero nell’area UE sono calate del 15% per le PMI, quelle ad opera di grandi imprese sono scese in misura minore (-10%) e continuano a rappresentare il 50% del totale delle esportazioni del manifatturiero (Commissione Europea, 2013). Per quanto riguarda il secondo settore per esportazioni, ovvero quello commerciale, queste sono diminuite del 15% per le PMI, mentre aumentate dello stesso importo per le grandi imprese (Commissione Europea, 2013). Gli studi (Banca d’Italia, 2009) che evidenziano l’apporto positivo degli operatori in quanto a politiche di internazionalizzazione, specie con riferimento agli interventi di expansion financing, rappresentano un’ulteriore conferma agli importanti benefici apportati dagli intermediari (Bracchi, 2010).
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