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San Giorgio di Portoscuso

Nel documento Il Primo 'colonialismo' in Sardegna (pagine 65-70)

3. L E EVIDENZE ARCHEOLOGICHE : NECROPOLI

3.9 San Giorgio di Portoscuso

Storia degli studi e delle ricerche

L’area funeraria di più alta antichità, riferibile a una presenza fenicia in Sardegna, è stata individuata grazie a uno scavo di emergenza in località San Giorgio nel territorio comunale di Portoscuso. In conseguenza di alcuni lavori destinati alla costruzione di un impianto di depurazione, nel febbraio 1990, la Soprintendenza cagliaritana avviò le indagini per la comprensione e il recupero delle sepolture intercettate dallo sbancamento di una duna lungo il basso litorale sabbioso posto nelle immediate vicinanze della moderna area industriale di Portovesme.245

Il sito di San Giorgio è situato a ridosso dell’approdo naturale offerto dalla rientranza di Porto de Sa Linna, la cui area contermine meridionale presenta un’evidente conformazione lagunare, oggi ravvisabile nello specchio di Su Stangioni e nella peschiera di Boi Cerbus. La caratterizzazione lagunare di questa area umida verosimilmente era maggiormente accentuata in epoca antica, mentre dal punto di vista topografico necessita sottolineare la direttrice di collegamento con il territorio interno. L’area costiera sulcitana, e in modo più evidente quella sub-costiera, significativamente era frequentata, insediata e organizzata dalle genti locali in epoca protostorica: in questo contesto si deve dunque inserire il sepolcreto di San Giorgio di Portoscuso.246

Le tombe e i materiali

I lavori di sbancamento della duna sabbiosa compromisero così seriamente le sepolture di San Giorgio tanto da non poterne riuscire a definire l’esatta entità numerica.247 L’area funeraria, certamente più estesa rispetto alle deposizioni individuate, doveva verosimilmente essere di dimensioni ridotte e stimata intorno alla ventina di unità.248 Tale limitatezza dimensionale e, come vedremo, l’omogeneità cronologica riscontrata hanno spesso supportato, all’interno della letteratura specifica, l’utilizzo del termine “sepolcreto” per definire questo contesto funerario.249

245 BERNARDINI 2000b, pp. 29-30. 246 BERNARDINI 2000b, p. 30, nota 5.

247 Si veda, ad esempio, la variazione numerica del totale delle sepolture individuate e di quelle ancora leggibili

in: BERNARDINI 1996b, pp. 541-542, nota 25; BARTOLONI, BONDÌ, MOSCATI 1997, p. 53; BERNARDINI 2000b, p. 29.

248 BERNARDINI 2006, p. 134.

Emanuele Madrigali – Il primo ‘colonialismo’ in Sardegna

Tesi di dottorato in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo, Università degli Studi di Sassari

Le tombe recuperate testimoniano esclusivamente il rito dell’incinerazione secondaria entro cista litica, posta a protezione di un’anfora con funzione di urna e degli oggetti di corredo. Le sepolture sono dunque costituite da anfore, che assolvono il ruolo di cinerari, accompagnate da corredi composti da forme ceramiche che attestano una cultura materiale di tradizione fenicia, ornamenti di tipo personale e, in un caso, armi in ferro.250

Tra le deposizioni riconosciute ed edite la tomba 10 si presenta di certo come quella rinvenuta nel miglior stato di conservazione, in quanto ancora rinserrata nella cista litica di protezione. L’anfora contenente le ceneri del defunto risulta dunque conservata, con all’interno inoltre una placchetta in argento con la rappresentazione di un essere demoniaco, mentre il corredo si compone di una brocca con orlo espanso, una brocca con orlo trilobato, una coppa carenata e una piccola pentola non tornita monoansata (Fig. 24).

Le altre deposizioni edite, le tombe 1, 3 e 4, pur gravemente compromesse, hanno restituito un altro esemplare di pentola monoansata, coppe carenate e piatti – forme impiegate con la funzione di coperchio per i cinerari – e monili in metallo. Il rinvenimento di una lancia e di un puntale in ferro nella la tomba 3 si pone come unica testimonianza della presenza di armi presso questa necropoli. I contenitori anforici utilizzati come cinerari sono stati recuperati, presso queste sepolture, in stato frammentario in quanto le lastre in pietra poste a protezione sono risultate scomposte o asportate.

250 BERNARDINI 2000b, pp. 32-34.

Fig. 24. Il corredo della tomba 10 (da BERNARDINI 2000, fig. 2, nn. 1-4).

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Dal punto di vista tipologico le anfore recuperate sono state classificate nel tipo Bartoloni B1 - Ramon T 3.1.1.1. / 3.1.1.2., databili a partire dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C.251 Sulla base di acute osservazioni formali e di impasto questi contenitori sono stati in seguito inquadrati come una caratteristica produzione sulcitana. L’anfora presenta infatti corpo cordiforme, spalla arrotondata e colletto distinto, tuttavia l’orlo si modula con una conformazione particolare, appiattito internamente e con profilo esterno ‘a mandorla’ superiormente assottigliato (Fig. 25).252 Tali anfore,

realizzate al tornio, ma non ancora standardizzate, si pongono dunque come primigenie produzioni in ambito locale di contenitori da trasporto e offrono un fondamentale riflesso circa i processi di produzione, commerciali e ovviamente di stanzialità e interazione con le genti locali e il territorio, in particolare contestualizzando la loro presenza all’interno dell’area sepolcrale di San Giorgio di Portoscuso.

Ulteriori stimoli di sicuro nascono nell’aver individuato tale tipologia anforica, inquadrabile generalmente nella seconda metà dell’VIII sec. a.C., in altri contesti regionali quali Sulky253, sia in area di abitato sia significativamente nel tofet, Nora254, il nuraghe Sirai255 e recentemente isolata anche tra i materiali del nuraghe S’Uraki256.

Sono inoltre stati recuperati manufatti rinvenuti senza alcuna diretta connessione con altri elementi della necropoli. Una brocca con orlo espanso e una brocca con bocca trilobata, entrambe decorate con una red slip violacea, sono certamente rapportabili a corredi di altri sepolcri presenti sulla duna e purtroppo distrutti.257

La seriazione delle diverse tipologie e delle varianti evolutive delle forme ceramiche rinvenute nelle deposizioni di San Giorgio di Portoscuso orienta verso un’alta arcaicità per

251 BERNARDINI 2000b, p. 35, nota 6.

252 BORDIGNON, BOTTO, POSITANO, TROJSI 2005, pp. 68-69; BOTTO 2007, pp. 87-88, figg. 14-19; GUIRGUIS

2010a, pp. 179-180.

253 BOTTO 2007, p. 88, figg. 17-19; GUIRGUIS 2010a, p. 179, figg. 4-6. 254 FINOCCHI 2009, pp. 388-389, nn. 28-30.

255 PERRA 2005, pp. 191-192, fig. 11 a. 256 ROPPA, HAYNE, MADRIGALI 2013. 257 BERNARDINI 2000b, p. 35.

Fig. 25. Anfora cinerario di produzione sulcitana

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questa necropoli, la cui installazione può collocarsi attorno alla metà circa dell’VIII sec. a.C.258

Tra i frammenti dispersi lungo il litorale certamente una menzione particolare si deve a due anse a gomito rovescio relative a grandi contenitori non torniti di tradizione indigena (Fig. 26).259 Queste, seppur non associabili ad alcuna stratigrafia, possono riferirsi all’uso di tali grandi olle come urne cinerarie: non essendovi tracce riconducibili ad alcuna presenza insediativa protostorica presso il sito della necropoli fenicia, si può ipotizzare dunque un utilizzo di questo settore con le medesime finalità funerarie.

La presenza di manufatti tipologicamente connotati come nuragici all’interno di contesti cultuali di natura canonicamente fenicia - fenomeno riscontrabile peraltro in diverse altre situazioni della Sardegna arcaica, ad esempio nel vicino e contemporaneo tofet di Sulky260 - suggerisce un utilizzo del medesimo spazio, in questo caso funerario, da parte di elementi indigeni. L’eventuale riconoscimento di un’area sepolcrale comune per differenti componenti etniche induce a vedere, anche in relazione all’alta cronologia delle tombe di San Giorgio, una forte relazione e probabilmente commistione tra gli individui fenici, ovviamente largamente in minoranza, e la popolazione autoctona.261

La necropoli di San Giorgio di Portoscuso documenta quindi indubbiamente la presenza di una ritualità e di corredi materiali da legarsi a una presenza fenicia in area sulcitana sin circa dalla metà dell’VIII sec. a.C.262 La deposizione delle ceneri in contenitori anforici, i quali peraltro, come visto, sono da intendersi quali produzioni locali, e la presenza nel corredo di forme che rimandano a una tradizione materiale propriamente fenicia attestano dunque la presenza di un gruppo di individui di origine orientale nei pressi di questo approdo. La cultura

258 BERNARDINI 2000b, p. 36; BERNARDINI 2006, p. 134. 259 BERNARDINI 2000b, p. 36.

260 BARTOLONI 1988b, pp. 165-167. 261 BERNARDINI 2006, pp. 132, 134.

262 Sul rituale e i richiami ideologici, in particolare connessi al consumo del vino e al costume del banchetto, che

si vedono trasparire dalla cultura materiale di queste deposizioni si rimanda ai contributi di: BERNARDINI 2004,

pp. 131-141; BOTTO 2013.

Fig. 26. Anse di contenitori nuragici (da BERNARDINI 2000, fig. 3, n. 3).

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materiale inoltre suggerisce una plausibile intensa interrelazione con la più numerosa componente indigena.

Il settore necropolare di San Giorgio di Portoscuso risulta, allo stato attuale delle indagini, come il più antico documentato sull’isola sarda, ma non sono note evidenze che possano rimandare all’insediamento che doveva essere servito da quest’area funeraria, probabilmente obliterato dallo sviluppo industriale di Portovesme. Un solo accenno si rinviene solamente circa una struttura, consistente in due muri con zoccolo litico e malta di fango che delimitavano un battuto pavimentale, rinvenuta a nord-est di località San Giorgio.263 Non sono stati editi materiali associabili a tale struttura, in seguito reinterrata, ma se ne sottolinea esclusivamente la somiglianza con le evidenze arcaiche rinvenute nella vicina Sant’Antioco. La mancanza di un tangibile insediamento da correlarsi a questa necropoli di così alta antichità, le circoscritte dimensioni e le limitate deposizioni, la cultura materiale con significative presenze rapportabili alla tradizione locale hanno indotto a inserire anche il sepolcreto di San Giorgio di Portoscuso in un modello insediativo e di popolamento capillarmente diffuso e parcellizzato che coinvolse il territorio sulcitano e che ha fatto da sfondo all’incontro tra Fenici e Nuragici.264

263 BERNARDINI 2000b, p. 30.

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