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III. Il doppio regime degli abusi edilizi.

III.1. Sanzioni amministrative.

La delineazione delle conseguenze sanzionatorie amministrative dell’esecuzione dei lavori in assenza di titolo muove necessariamente dall’art. 31 TUED, recante appunto la disciplina degli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali61.

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Cfr. F.BENVENUTI, Sul concetto di sanzione, in Ius, 1955, 223. 57

V. A. DE ROBERTO, Le sanzioni amministrative non pecuniarie, in Le sanzioni amministrative, Atti del XXVI Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 1980, Milano, 1982, 125.

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M.A.SANDULLI, voce Sanzione, Enc. Giur., XXVIII, Roma, 1992, 2. 59

Così, G. TORREGROSSA, M.A. SANDULLI, S. BELLOMIA, Sanzioni urbanistiche e recupero degli insediamenti e delle opere abusive, cit., 60.

60

Cons. St., Sez. V, 15 aprile 2013, n. 2060, in Foro amm. C.d.S., 2013, 961. 61

Si tratta di una norma centrale nell’ambito del sistema di repressione degli abusi edilizi, non solo perché disciplina le sanzioni più gravi, ma anche perché costituisce il parametro delle disposizioni successive, che regolano ipotesi e sanzioni minori, in via residuale o di eccezione rispetto ad essa62.

Preliminare all’analisi delle misure ivi previste è la distinzione tra misure amministrative ripristinatorie e misure propriamente sanzionatorie, che riveste un ruolo fondamentale nel settore dell’edilizia, dove concorrono - “in molti casi confondendosi” - entrambe le forme63.

Fermo l’elemento caratterizzante della sanzione quale reazione alla violazione di un precetto, richiamando la dottrina sulla nozione di sanzione amministrativa64, si rileva la distinzione tra sanzioni punitive e sanzioni ripristinatorie, fondata sul diverso atteggiarsi del rapporto con la predetta violazione, a seconda se essa funga da presupposto per l’esercizio di una funzione tesa a punire una condotta illecita ovvero di una funzione volta a ripristinare o conservare interessi devoluti alla cura dell’amministrazione.

In altri termini, “l’infrazione può rilevare in modo autonomo e diretto, quale unico presupposto per l’esercizio del potere, oppure può rilevare in modo indiretto, come quando costituisce un antecedente di fatto dell’esercizio del potere avendo determinato una situazione non conforme al diritto cui l’amministrazione è tenuta a porre rimedio”65

.

Da qui il riconoscimento della natura afflittiva della sanzione amministrativa, laddove volta “essenzialmente a produrre un effetto

62

G.FLORIDIA, Commentario al Testo unico dell’edilizia, Padova, 2005, 365. 63

Cfr. G.MARI, L’acquisizione di diritto ex art. 31 t.u. edilizia nei confronti dell'attuale proprietario del bene erede del responsabile dell'abuso, in Riv. giur. edil., 2015, 3, 419.

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In argomento cfr. C.E.PALIERO,A.TRAVI, Sanzioni amministrative, in Enc. dir., 1989, XLI; Id., La sanzione amministrativa. Profili sistematici, Padova, 1988; M.A.SANDULLI, La potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, Napoli, 1981; Id., Le sanzioni amministrative pecuniarie. Principi sostanziali e procedimentali, Napoli, 1983; AA.VV., Le sanzioni amministrative, Atti del XXVI Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, Varenna-Villa Monastero, 18-20 settembre 1980, Milano, 1982; S. BELLOMIA, Urbanistica (Sanzioni in materia di), in Enc. dir., XLV, 1992.

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CosìG.MARI, L’acquisizione di diritto ex art. 31 t.u. edilizia nei confronti dell'attuale proprietario del bene erede del responsabile dell'abuso, cit..

dannoso per il responsabile, che esula dalla soddisfazione diretta (inteso quest’ultimo aggettivo in senso finalistico e non contenutistico) dell’interesse (del soggetto pubblico o privato) specificamente pregiudicato”66.

Esulano, pertanto, dalle sanzioni amministrative propriamente intese le misure ripristinatorie, le quali rispondono all’esigenza di ristabilire una situazione di legalità materiale violata e, in quanto tali, sono espressione del potere di amministrazione attiva, così come le misure pecuniarie collegate alle misure amministrative in regime di “alternatività” o sostituzione  , a cui è sottesa una finalità di riequilibrio patrimoniale a fronte della conservazione dello status quo.

Analoga posizione è assunta dalla giurisprudenza amministrativa, per cui, sul piano sostanziale, le sanzioni, irrogate dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di funzioni amministrative, si distinguono in sanzioni in senso lato e sanzioni in senso stretto: le prime hanno una finalità ripristinatoria, in forma specifica o per equivalente, dell’interesse pubblico leso dal comportamento antigiuridico; le seconde hanno una finalità afflittiva, essendo indirizzate a punire il responsabile dell’illecito allo scopo di assicurare obiettivi di prevenzione generale e speciale67.

La riconduzione all’una o all’altra categoria comporta radicali differenze nel regime applicabile, atteso che la qualifica come sanzione di una misura amministrativa, propriamente tale in quanto afflittiva, comporta l’applicazione dei principi di stretta legalità, irretroattività, tassatività, determinatezza e colpevolezza, costituzionalmente ed euro-unitariamente sanciti68; diversamente, le misure ripristinatorie, ad esempio, prescindono

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M.A.SANDULLI, La potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, cit., 28.

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In termini, si veda Cons. St., Sez. VI, 01 dicembre 2015, n. 5425. 68

Sull’applicabilità delle garanzie e principi di cui all’art. 25 Cost. a tutte le misure di natura afflittiva a prescindere dalla natura penale o amministrativa, cfr., in primis, la nota sentenza Corte Cost. n. 196/2010, che ha definitivamente chiarito che “Dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull’interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava, pertanto, il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall’art. 25,

dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, talvolta venendo applicate anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi semplicemente in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato, sono imprescrittibili e possono avere carattere retroattivo.

Ciò premesso in termini generali, e tralasciando gli interventi eseguiti in totale difformità o con variazioni essenziali, pure sottoposti alla disciplina dell’art. 31, le misure ivi previste sono in primis applicate per gli interventi realizzati in assenza del permesso di costruire.

Tuttavia, tra di essi, occorre distinguere tra quelli realizzati in violazione sostanziale delle prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti e quelli invece conformi alle medesime, ma eseguiti in carenza, meramente formale, di un titolo. Per questi ultimi, infatti, è possibile la sanatoria dell’intervento attraverso il procedimento dell’accertamento di conformità previsto dagli artt. 36 e 37 TUED.

Ricadono, inoltre, nello svolgimento dell’attività senza titolo tutti quei casi in cui quest’ultimo, anche se rilasciato, ha perso validità ed efficacia (ad es. per il decorso dei termini di inizio e conclusione dei lavori, secondo comma, Cost., il quale – data l’ampiezza della sua formulazione («Nessuno può essere punito…») – può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile – in senso stretto – a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato” (in senso analogo v. anche Corte Cost., ord. n. 82 del 2012 e sent. n. 104/2014). Per la giurisprudenza della Corte EDU, in tema di riqualificazione dell’illecito amministrativo alla luce dei c.d. Engels criteria ai fini dell’applicazione delle garanzia di cui agli artt. 6 e 7 CEDU, cfr., tra le più recenti, sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, resa nella causa Grande Stevens e altri c. Italia; 20 maggio 2014, r. n. 11828/2011, resa nella causa Nykanen c. Finlandia; 29 ottobre 2013, resa nella causa Varvara c. Italia, ric. n. 17475/09; per la giurisprudenza europea, cfr., in tal senso, CGUE, 23 dicembre 2009, in C-45/08; quanto alla giurisprudenza nazionale, v., ex multis, per limitarsi alle più recenti, Cons. St., Sez. IV, 20 gennaio 2016, n. 184; Id., Sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148; Id., ord. 9 luglio 2014, n. 3498. In dottrina, cfr. M.A.SANDULLI,A.LEONI, Sanzioni non pecuniarie della p.a., in Libro dell’anno del diritto, Treccani, 2015; A.TRAVI, Incertezza delle regole e sanzioni amministrative, Relazione al Convegno annuale AIPDA, Napoli, 3 ottobre 2014, in www.diritto-amministrativo.org; F.GOISIS, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2014; P. CERBO, Le ragioni di una questione definitoria: La controversa nozione di sanzione amministrativa, in Giur. Cost., 2014, 4, 3605B; M.ALLENA, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012.

oppure poiché annullato dal comune in via di autotutela o dalla regione ai sensi dell’art. 39 TUED69), nonché, ai sensi dell’art. 38 TUED (sulla cui

disciplina v. infra), le ipotesi di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la denuncia di inizio attività nei casi di cui all’art. 22, comma 3.

La procedura sanzionatoria prevista dall’art. 31 è articolata in due momenti: la notifica al proprietario e al responsabile dell’abuso dell’ordine di demolizione delle opere abusive e la seconda fase, eventuale, consistente nell’acquisizione di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune delle opere abusivamente realizzate, dell’area di sedime e dell’area di pertinenza, se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione entro novanta giorni dalla notifica del predetto ordine.

Il bene così acquisito è demolito a cura dell’amministrazione, ma a spese dell’interessato, salvo che l’ente locale non deliberi la sussistenza di prevalenti interessi pubblici che permettono la permanenza del bene nella sua disponibilità o, in presenza di vincoli posti da altra amministrazione, nella disponibilità di quella cui compete la vigilanza.

Come indicato, l’obbligo di ripristino o demolizione di una costruzione abusiva grava anche sul proprietario, anche se non è stato autore dell’abuso; l’estensione si giustifica con la sua disponibilità del bene, che gli consente quindi di ottemperare all’ordine dell’amministrazione, salvo il diritto di rivalersi, secondo le regole civilistiche, sull’effettivo autore dell’abuso.

L’ordine di demolizione assume, quindi, anche sulla scorta di quanto suesposto in merito al concetto di sanzione, il carattere di misura ripristinatoria70; in tal senso, anche la giurisprudenza rileva che la misura ha

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Sui nuovi limiti al potere di annullamento d’ufficio e sulle contraddizioni del sistema, che ne sono risultate, cfr. infra Cap. II, par. III.

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Analoga natura è altresì attribuibile all’ordine di ripristino o di demolizione per gli interventi di ristrutturazione edilizia pesante in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da esso, di cui al successivo art. 33 (su cui v. C.IAIONE,P.STELLA RICHTER, Art. 33, in Testo unico dell’edilizia, cit., 807 ss. e in particolare, sulla natura ripristinatoria delle misure repressive, 818 ss.) nonché alla sanzione pecuniaria alternativa (in

carattere reale, poiché volta a ripristinare l’ordine materiale, prima ancora che giuridico, alterato dalla realizzazione del manufatto abusivo, mentre è diretta a sanzionare il comportamento che ha integrato l’abuso la diversa fattispecie penale di cui all’art. 44 TUED. Ne consegue che la funzione della misura non è punire un comportamento, ma “adottare una misura di ricomposizione dell'ordine urbanistico quale si presentava”; peraltro, attesa la descritta natura ripristinatoria e reale, la misura demolitoria è opponibile anche a soggetti estranei al comportamento illecito, quali, ad esempio, gli eredi o gli aventi causa dell’autore dell’abuso71.

Tale natura comporta che per l’applicazione della misura non è necessario accertare il dolo o la colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell'abuso e, come già detto, che può essere legittimamente

giurisprudenza, cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 18 settembre 2013 n. 4651, in Foro amm.-C.d.S., 2013, 2588, per cui “il carattere ripristinatorio e non punitivo delle sanzioni pecuniarie comminate in alternativa a quelle demolitorie, ai sensi dell'art. 33, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, ne rende legittima l'adozione, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, nei confronti dei proprietari attuali degli immobili, a prescindere dalla modalità con cui l'abuso è stato consumato”; una disciplina specifica è prevista ove tali interventi siano realizzati su immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, con la previsione, in tale caso, di una sanzione pecuniaria obbligatoria aggiuntiva alla riduzione in pristino e non proporzionale al valore delle opere realizzate, cui la dottrina riconosce natura punitiva). Gli esempi riportati valgono ad evidenziare “come le misure ripristinatorie identifichino rimedi amministrativi che, a fronte di una situazione di difformità nell'assetto del territorio rispetto al modello causata dall'abuso edilizio, mirano ad eliminare o a riequilibrare detta situazione tramite la soddisfazione di altri interessi pubblici comunque attinenti all'ordinato assetto del territorio, come la destinazione del ricavato delle sanzioni di natura pecuniaria alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Ciò consente, da un lato, di giustificare il concorso delle misure in questione con le sanzioni penali e, dall'altro lato, di sottrarre le misure riparatorie dell'interesse violato, ancorché pecuniarie, alla disciplina recata dalla l. n. 689 del 1981”; così G.MARI, L’acquisizione di diritto ex art. 31 t.u. edilizia nei confronti dell'attuale proprietario del bene erede del responsabile dell'abuso, cit.; v. anche P.STELLA RICHTER, Diritto urbanistico. Manuale breve, Milano, 2012, 111, per il quale detti rimedi “riguardano quasi esclusivamente non l'attività, ma il suo risultato, in quanto consistono non tanto in misure afflittive volte a punire la condotta illecita, quanto in provvedimenti di amministrazione attiva volti a ristabilire l'equilibrio urbanistico alterato”.

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Cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 aprile 2015, n. 1927; sul consolidato orientamento che afferma la trasmissibilità agli eredi dell’obbligazione ripristinatoria insita nell’ordine di demolizione dell’opera abusiva, cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 7 aprile 2014, n. 3392; Id., 10 febbraio 2015, n. 708.

adottata nei confronti del proprietario anche se non responsabile dell’abuso72

.

La successiva acquisizione gratuita al patrimonio del comune sembra, invece, consistere nella reazione dell’ordinamento al duplice illecito di chi prima esegue l’opera abusiva e poi non adempie all’obbligo di demolirla, atteso che gli effetti dell’acquisizione sono direttamente collegati all’inottemperanza del termine73

.

Quanto alla natura di tale misura, secondo una tesi già elaborata in dottrina nella vigenza dell’art. 7, comma 3, l. n. 47 del 1985 (avente contenuto analogo all’attuale art. 31, comma 3, TUED), “non di applicazione di una sanzione ... dovrebbe trattarsi, ma di un effetto giuridico surrogatorio, dalla legge direttamente fatto discendere dalla mancata realizzazione dell'intervento ripristinatorio primario (la demolizione)”; da ciò derivando “il carattere oggettivo, e non personale della misura, che colpisce sempre e comunque il proprietario, a prescindere dalla sua responsabilità nell'abuso”74.

La tesi della natura sanzionatoria è stata, invece, sostenuta dalla Corte costituzionale nella sentenza (interpretativa di rigetto) n. 345 del 15 luglio 199175, riguardante il già citato art. 7, comma 3, l. n. 47 del 1985, e concernente le ipotesi in cui il responsabile dell’abuso sia diverso dal proprietario dell’area.

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Ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 16 dicembre 2014, n. 6668; Id., Sez. IV, 16 maggio 2008, n. 4715, in Foro amm.-TAR, 2008, 1393; TAR Umbria, 1 giugno 2007, n. 477. La natura ripristinatoria dell’ordine di demolizione o di rimozione comporta, inoltre, che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi sia, in conformità al principio generale tempus regit actum, quello vigente al momento dell’irrogazione della sanzione, non già quello in vigore all’epoca di realizzazione dell’abuso: Cons. St., Sez. V, 29 aprile 2000, n. 2544, in Foro amm., 2000, 1327; TAR Liguria, Sez. I, 21 aprile 2009, n. 779, in Foro amm.-TAR, 2009, 2172.

73

In tal senso, cfr. F.VETRÒ, Art. 31, in Testo unico dell’edilizia, cit., 765; v. anche N. CENTOFANTI, Diritto a costruire, pianificazione urbanistica, espropriazione, Milano, 2005, 1069, per cui dalla lettura della norma si evince che non è richiesta al soggetto una responsabilità dolosa o colposa dell’azione o omissione, ma sussisterebbe una sorta di responsabilità oggettiva per il solo compiersi dell’evento.

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C.E.PALIERO,A.TRAVI, Sanzioni amministrative, cit.. 75

Nella specie, la Corte costituzionale ha affermato che “l'acquisizione gratuita dell'area … costituisce una sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione, abilitando poi il sindaco ad una scelta fra la demolizione di ufficio e la conservazione del bene”, la cui previsione è finalizzata a costringere il responsabile dell’abuso ad eseguire egli stesso la demolizione nel termine stabilito dall’ingiunzione. In quanto tale, la misura dell’acquisizione gratuita si riferisce esclusivamente al responsabile dell’abuso, non potendo operare “nella sfera di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell'area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento”76.

Pertanto, in caso di estraneità del proprietario al compimento dell’abuso edilizio, è possibile solo la demolizione in danno del manufatto abusivo, comunque idonea a ripristinare l’interesse pubblico violato  , poiché l’acquisizione si atteggia quale sanzione autonoma e non come misura strumentale per consentire al comune di eseguire il ripristino77.

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La questione era stata rimessa al Giudice delle leggi poiché la norma avrebbe violato l’art. 3 Cost., punendo con la medesima sanzione il proprietario responsabile dell’abuso e il proprietario incolpevole (per essere stato l’abuso compiuto, nella specie, dal terzo conduttore del fondo), nonché l’art. 42 Cost., eccedendo la sanzione della perdita del diritto di proprietà il fine perseguito dalla legge nel caso in cui venga applicata al proprietario che non sia responsabile e che non abbia la possibilità di eliminarlo per essere il bene nell’esclusiva disponibilità del terzo. In termini, in giurisprudenza, cfr., tra le più recenti, TAR Lazio, Sez. I-quater, 21 aprile 2015, n. 5811; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16 marzo 2015, n. 728; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 3 febbraio 2015, n. 774.

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Per un diverso orientamento, v. Cons. St., Sez. VI, n. 1927/2015, cit., per cui l’acquisizione al patrimonio comunale costituisce conseguenza dovuta rispetto alla mancata ottemperanza all’ordine di ripristino ad opera del destinatario, non trattandosi di una misura propriamente sanzionatoria bensì di una misura ripristinatoria reale, poiché tramite la stessa l’amministrazione “può facilmente dar luogo alla realizzazione di quel ripristino a spese dei responsabili” ovvero “compensativamente — e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali — destinare la cosa stessa a soddisfare prevalenti interessi pubblici”; ciò nonostante, venendo in rilievo una misura incidente sul diritto di proprietà, è necessario che colui che patisce la misura sia stato formalmente destinatario dell’ordine di demolizione, avendo così a sua disposizione il termine per provvedere ad essa. In dottrina, criticamente, su tale giurisprudenza cfr. G. MARI, L’acquisizione di diritto ex art. 31 t.u. edilizia nei confronti dell'attuale proprietario del bene erede del responsabile dell'abuso, cit., per la quale la natura

Evidentemente, quindi, al fine di evitare l’effetto acquisitivo previsto a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, il proprietario è tenuto a dimostrare la sua assoluta estraneità all’abuso edilizio commesso, nonché l’impossibilità di eseguire la demolizione78.

Non è tuttavia pacifico quali siano le condizioni al sussistere delle quale il proprietario può ritenersi effettivamente estraneo all’abuso, ricorrendo in merito due distinti orientamenti giurisprudenziali79.

Secondo una tesi più rigorosa, l’estraneità del proprietario si ravvisa solo in presenza di tre concorrenti condizioni, e cioè che egli (i) non sia autore dell’abuso, (ii) non abbia la possibilità materiale e giuridica di eseguire la demolizione (per essere, ad esempio, l’area locata a terzi) e (iii) si sia attivato, con i mezzi offerti dall’ordinamento, per impedire l’abuso e costringere l’autore a rimuoverlo.

In base a un orientamento più elastico, la disponibilità materiale e giuridica del bene non costituirebbe un elemento decisivo per addossare la responsabilità dell’abuso al proprietario che non ne sia autore materiale, ma sanzionatoria della misura dell’acquisizione disposta dall’amministrazione comunale ai sensi dell’art. 30, comma 8, TUED deriverebbe anche da un indubbio carattere di affinità con la confisca urbanistica di cui all’art. 44 TUED, la cui natura sanzionatoria è oramai da tempo riconosciuta nella giurisprudenza euro-unitaria a partire dalle note sentenze della Corte EDU, Sez. II, 30 agosto 2007, Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia (ric. n. 75909/01) e 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia (ric. n. 75909/01). Le due misure presenterebbero, infatti, una significativa comunanza di elementi, stante l’identità dei presupposti (realizzazione di una fattispecie di lottizzazione abusiva descritta nella medesima norma) e degli effetti (dell’acquisizione dell’area al patrimonio della pubblica amministrazione), nonostante la diversa autorità (giudiziaria l’una e amministrativa l’altra) e il diverso procedimento di adozione (all’esito di un processo l’una e di un procedimento amministrativo l’altra). Ne deriva che le conclusioni in punto di essenzialità del requisito soggettivo minimo della colpa, raggiunte per la confisca urbanistica, non possono che rilevare anche per l’acquisizione ex art. 30, comma 8, in quanto misura da intendere non meramente ripristinatoria rispetto all’abuso perpetrato. 78

In giurisprudenza v. TAR Veneto, Sez. II, 11 aprile 2013, n. 540; Id., 13 giugno 2013, n. 834; Cons. St., Sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2639; è stato poi chiarito che “nel caso di opere edilizie abusive, il proprietario dell'area, « fino a prova contraria », deve ritenersi corresponsabile dell'abuso” (Cons. St., Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4913; Id., Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1179, in Foro amm.-C.d.S. , 2013, 436) e, per tale ragione, il