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I sapori di un tempo

Non si può concludere il capitolo relativo alla vita tradizionale gradese senza prima fare alcuni cenni agli aspetti culinari caratterizzanti l’Isola di Grado. Va infatti ricordata com’era la cucina di un tempo, le cui ricette sono state tramandate fin dai tempi remoti sino ad oggi.

La condizione socio-economica della popolazione locale ha influenzato per secoli tutte le componenti di vita, tra cui, appunto, la gastronomia. La povertà e l’isolamento dalla

45 Covaz R., I Pescatori di Grado, Edizioni Biblioteca dell’immagine, Pordenone, 2009, pp. 82-91. 46 Cfr. http://www.biologiamarina.eu/Pesca_Vongole.html.

46 “modernità” dell’immediata terraferma hanno reso per molto tempo impossibile un’alimentazione variegata, simile a quella odierna, inducendo così i gradesi a servirsi invece di un regime alimentare pressoché unilaterale. Essendo gli isolani un popolo di pescatori, il cibo imposto dalla necessità, sempre presente nelle loro tavole, era il pesce, sia fresco che salato od essiccato. Alimenti diversi scarseggiavano in laguna (soprattutto), ma anche nell’Isola di Grado, e addirittura anche l’acqua non scorreva nelle tubature delle case fino ad inizio Novecento – bisognava infatti utilizzare l’acqua raccolta nelle cisterne. Talvolta si raggiungeva la terraferma e si barattava o si comprava con quel poco denaro che si aveva a disposizione un po’ di verdure, di frutta o di carne. Ciò che non mancava mai, però, nelle dispense dei gradesi, era la farina per la polenta, rigorosamente bianca, che accompagnava ogni tipo di pasto, in sostituzione del pane. A volte, inoltre, si cucinavano le erbe selvatiche (bieta selvatica, asparagi, ecc.) raccolte sugli argini o sulle barene, in laguna, oppure, qualcuno – più fortunato – usufruiva della verdura prodotta dal proprio orticello o dei frutti degli alberi piantati sul proprio isolotto con il fine di procurare un po’ d’ombra. Infine, un’alternativa al pesce era la selvaggina, cacciata direttamente nella zona umida dagli stessi pescatori durante le stagioni propizie.

Da come si evince, la cucina gradese è stata per secoli costituita da piatti poveri, semplici, composti da pochissimi ingredienti. La quotidianità della tavola rispecchiava la quotidianità stessa della popolazione, l’essenzialità e l’umiltà propria dello stile di vita del paluante e del graisàn era riportata anche nel cibo.

Il pesce, appena pescato, era tuttavia la maggior fonte di alimentazione, e le ricette con cui veniva cucinato sono rimaste anch’esse immutate nel tempo. Esse erano più o meno comuni rispetto alle altre zone costiere dell’Adriatico: il pesce poteva essere semplicemente lessato o grigliato, ma poteva anche essere messo sotto sale per una conservazione più lunga (oppure in attesa di essere venduto). Esso poteva essere cucinato seguendo la ricetta più tradizionale e distintiva dell’Isola di Grado: in boreto. Vengono utilizzati gli aggettivi “tradizionale” e “distintiva” in modo mirato: l’arte del boreto a la graisana va definita tradizionale, in quanto ha origini antiche, ed in particolare si fa risalire ad un’epoca antecedente la scoperta dell’America per la mancanza del pomodoro, ed in quanto è entrata da molto tempo a far parte della collettività; essa è distintiva poiché si distingue dalle altre varianti delle coste adriatiche proprio perché manca di pomodoro

47 o conserve, e per l’utilizzo abbondante del pepe nero47. Spesso, con il passare del tempo,

qualcuno ha azzardato cercando varianti alla classica ricetta, senza però grandi successi, anche perché i gradesi sono molto gelosi della loro storia e delle loro usanze.

Il boreto, sempre accompagnato dalla polenta, era eseguito con pesce - di un solo tipo o misto –, con molluschi bivalvi, soprattutto peverasse (vongole), caperossuli (vongole veraci) e capelonghe (cannolicchi), o anche con molluschi cefalopodi, come le seppie, o con crostacei, ad esempio granso poro (granciporro), pegiòn (granseola) o canoce (cicale di mare).

Esso era preparato con ingredienti semplici e non deperibili, quali olio, aglio, sale, pepe nero, aceto (da non utilizzarsi con molluschi e crostacei), e naturalmente il pescato. A grandi linee, olio ed aglio si surriscaldano in padella, si aggiunge il pesce – già pulito, intero o a pezzi –, aggiungendo abbondante pepe ed il sale. Quando è ben rosolato si versa l’aceto, la cui quantità dipende dal tipo di pesce, e lo si fa sfumare completamente. Dopodiché si aggiunge una quantità d’acqua tale da ricoprire il tutto e si lascia consumare sino a formare un intingolo. Naturalmente ci sono molteplici varianti, dipendentemente dal tipo di pesce utilizzato e dall’abitudine culinaria delle diverse famiglie.

I sapori di un tempo erano, dunque, dei sapori che rispecchiavano la realtà quotidiana, la povertà. Tuttavia, quest’arte culinaria gradese, con l’avvento della “modernità”, ha saputo farsi spazio, anche a livello di attrattività turistica, in quanto implementa oggi la destinazione turistica di Grado con i suoi piatti della tradizione locale. Era infatti, fino al secolo scorso, un “magnà dei poveri, perché no vevemo mundi de magnà, che desso xe diventao al magnà dei siuri” – come racconta Mauro Lugnan Pasta48.

47 Il pepe nero era considerata una spezia molto pregiata, la quale però non mancava mai nel territorio della Repubblica Veneziana. Anzi, i gradesi, imbarcati nelle navi verso l’Oriente, venivano spesso pagati proprio con il pepe.

48 La traduzione, poco letterale, è la seguente: erano dei piatti poveri, per i poveri, poiché non avevamo molto cibo, i quali adesso sono invece considerati prelibati.

48 II.

RICORRENZE DI IERI E DI OGGI

Tra gli aspetti tradizionali, bisogna prendere in considerazione non soltanto i modi di vivere, ma anche tutti quegli eventi e quelle ricorrenze che scandiscono da tempo il calendario della comunità locale. Per ciò che concerne Grado, è interessante osservare come, nei secoli, alcuni riti importanti siano gradualmente scomparsi (come la Pasqua Rosata o “al Manzo ‘nfiocao”), come altri siano sopravvissuti al tempo e siano ancora molto sentiti (in particolare il “Perdòn de Barbana”), ma anche come ce ne siano alcuni che, sebbene siano stati generati in tempi relativamente recenti, sono entrati a tutti gli effetti a far parte di quella tradizione che rende peculiare l’Isola (è il caso della Processione del Primo Maggio e del Festival della Canzone Gradese).