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La scelta del modello di costing per le aziende di consulenza: teorie e opinioni a confronto

2. ANALISI E GESTIONE DEI COSTI NELLE AZIENDE DI CONSULENZA

2.3. La scelta del modello di costing per le aziende di consulenza: teorie e opinioni a confronto

Ripercorriamo le fasi logiche del processo. L’azienda ravvisa un fabbisogno informativo. Il consulente esterno, il manager, o più genericamente il tecnico dei costi preposto valuta le caratteristiche dell’ambiente, la gestione, il tipo di processo produttivo, il grado di formalizzazione della struttura; identifica le aree di responsabilità, le dotazioni tecnologiche preesistenti, il grado di confidenza nei confronti dell’uso del sistema informativo ecc. Compie una sintesi tra i dati ottenuti e le necessità di sapere del management, in relazione alle quali stabilisce quale debba essere il modello di contabilità analitica da integrare in azienda; ancor prima, determina il tipo di approccio ai costi da considerare. Così è stato fatto anche all’interno dell’azienda oggetto di questo studio. Ed è stato proprio questo il cardine attorno a cui costruire l’impalcatura del sistema informativo. L’output di questo paragrafo sarà una base teorica utile per interpretare e sostenere le scelte condotte lungo il percorso descritto nel capitolo 3. Si mostreranno i possibili metodi attraverso cui progettare un sistema di contabilità analitica. Si esporranno opinioni di studiosi e professionisti sul modello più valido per le aziende di servizi e per quelle in particolare di servizi professionali, alla ricerca di un contemperamento di efficacia e significatività dell’informazione prodotta, tempi, costi e risorse per ottenerla.

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2.3.1. Direct Costing

Il Direct Costing è l’approccio all’analisi dei costi fondato sulla suddivisione tra costi fissi (costi di capacità) e costi variabili (costi di utilizzo della capacità) o eliminabili. Viene utilizzato quando occorre prendere decisioni rispetto a un orizzonte temporale di breve periodo. Si considera, come risultato determinante la decisione, il margine di contribuzione (dato dalla differenza tra ricavi e costi variabili), che misura la capacità del prodotto o del servizio di provvedere alla copertura dei costi fissi. Dal margine di contribuzione totale si ottiene il risultato operativo netto sottraendo i costi fissi comuni (direct costing semplice). In un’analisi più evoluta è possibile scomporre il margine in due risultati intermedi: il margine di contribuzione lordo (che corrisponde al margine di contribuzione del direct costing semplice) ed il margine di contribuzione semilordo, ottenuto dalla sottrazione dei costi fissi specifici al margine di contribuzione lordo. Il reddito operativo sarà poi individuato sottraendo, al margine di contribuzione semilordo totale, i costi fissi comuni. Questo approccio è usato per le decisioni di breve periodo. Può essere sfruttato per l’analisi di profittabilità dei prodotti, nelle scelte del mix di produzione, per stabilire l’eventuale eliminazione di linee in perdita, per decidere se acquistare o produrre internamente un componente, se convenga sostituire un impianto ecc. In tutti questi casi si applica l’analisi differenziale, che fa leva tra costi rilevanti o eliminabili e irrilevanti o non eliminabili. I costi variabili sono costi eliminabili e rilevanti, i costi fissi comuni sono non eliminabili, i costi fissi specifici o legati a fattori produttivi riallocabili nella combinazione produttiva sono eliminabili e rilevanti.

2.3.2. Full costing

L’impostazione secondo il Full Costing si basa sull’assorbimento integrale dei costi secondo cui il costo di tutti i fattori deve essere attribuito all’oggetto di costo al fine di calcolarne il costo rispettivo. Ovviamente l’informazione fornita offre un volume di informazioni più consistente di quella parziale del direct costing, si dibatte se però sia più attendibile, visto che comporta problemi di allocazione dei costi comuni e dei costi speciali non attribuibili direttamente. A seconda del tipo di produzione si riscontra anche che le aziende individuano oggetti di calcolo diversi per determinare il costo di prodotto. In relazione a quale sia l’oggetto di calcolo cambia anche la natura diretta o

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meno dei costi, così come il grado di specialità e comunanza. A seconda del numero di basi attraverso cui vengono imputati i costi indiretti agli oggetti di costo si distingue il

Full Costing a base unica e il Full Costing a base multipla.

Sostiene Cugini,Carù (2000) 37 che la configurazione a costi diretti offre

un’informazione più oggettiva rispetto al calcolo con il full costing, la cui informazione risulta influenzata dalle basi di riparto scelte per l’attribuzione dei costi indiretti. Il metodo full costing per centri di costo è adatto in contesti dove la manodopera diretta è prevalente rispetto agli altri fattori di produzione, e si è interessati a monitorarne l’efficienza, ovvero la ricerca di riduzione dell’incidenza del costo del lavoro diretto rispetto l’unità di output.38 Le Autrici sostengono che i due metodi tradizionali del

direct e dei centri di costo risultano coerenti con due finalità: quello della

determinazione dei prezzi di vendita e quello della valutazione delle rimanenze. Nel determinare il prezzo si adotta comunemente l’approccio al cost plus pricing dove al costo di prodotto calcolato con uno dei due metodi si applica un certo mark up corrispondente al profitto desiderato. Anche le rimanenze si valorizzano al costo variabile o pieno di fabbricazione. Tuttavia entrambe le necessità risultano sempre meno importanti, conseguentemente i due metodi sempre meno utili: il prezzo di vendita sempre più in modo diffuso si orienta verso la valutazione dei concorrenti e delle funzioni apprezzate dal cliente in un’ottica di target costing; la valutazione delle rimanenze è sempre meno critica per l’evolversi della gestione del magazzino verso logiche più snelle di just in time. 39

37 Cfr. Cugini,Carù, (2000): pp. 77-79.

38 Si chiarisce che la manodopera diretta è un costo fisso, benché diretto. In quanto tale non sarebbe considerato nell’approccio direct costing. Per questa ragione nelle imprese in cui questa voce è particolarmente rilevante, non si può prescindere dall’uso del metodo full costing. 39 Quanto a quest’ultima considerazione, riteniamo sia il caso di sottolineare come Cugini sia eccessivamente ottimista nel descrivere lo stato di progresso e il raggiungimento di metodi gestionali di tipo “toyotista”.

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2.3.3. Il criterio causale e di copertura per l’attribuzione dei costi comuni

Spranzi (1986)40 ritiene che il concetto di calcolo a costi pieni si fondi sulla scelta dei criteri di ripartizione dei costi comuni tra i vari oggetti di calcolo, secondo criteri causali. Ricordiamo che il criterio funzionale causale è quello che stabilisce di attribuire i costi legati ai fattori produttivi in modo proporzionale al contributo che hanno offerto per la realizzazione dell’oggetto di costo. Secondo i promotori di questo metodo perciò il criterio causale fa sì che i costi pieni causali siano i costi realmente sostenuti, cioè che rispecchiano i fenomeni realmente occorsi, di consumo dei fattori produttivi, da parte dei prodotti. A detta di Spranzi (1986), tuttavia, qualunque tentativo di cercare di creare un legame tra i prodotti ed il sostenimento dei costi comuni è fallimentare, visto che i costi comuni sono costi fissi: cercando di creare un legame tra i due elementi è come se ne distorcessimo la natura, considerandoli variabili. La frazione di costi fissi attribuiti ad un servizio, a una commessa, ad un prodotto non esprime il fatto che le produzione dei diversi oggetti di costo abbiano generato costi in misura diversa, ma è solo una suddivisione arbitraria. Per queste ragioni anche i costi comuni causali sono costi stimati e non oggettivi, come si sarebbe portati a pensare. In definitiva il full costing causale, secondo Spranzi (1986), è un metodo fallace. Meglio sfruttare il metodo del

direct costing che distingue costi fissi e variabili, senza applicare forzature al loro

trattamento. Esso non dà rappresentazione degli utili e delle perdite nette perché i singoli margini di copertura dei prodotti sono sommati e ad essi sono sottratti i costi comuni. Per alcuni il calcolo fornisce informazioni più corrette del full costing ma risulta incompleto perché rappresenta solo il risultato economico globale, non indica i risultati particolari. Mostra le sue lacune nel momento in cui i manager affrontano scelte di formulazione del prezzo di commesse o prodotti non ricorrenti, per i quali non si conosce in modo esaustivo il prezzo di mercato. Spranzi (1986) sostiene il disaccordo con i detrattori del Direct Costing: a suo dire il metodo risulta un calcolo completo ed esauriente per ogni tipo di decisione. Lo studioso addirittura sottolinea il fatto che mentre il Full Costing necessita che la situazione futura non si discosti da quella passata, il Direct Costing non è in nessun caso legato alla stabilità perciò si presta particolarmente per essere usato in contesti perturbati (Spranzi ,1986, pp:24). Ad ogni modo tutto il ragionamento fin qui condotto è valido per le aziende con magazzino. Per le aziende su commessa, come quelle dei servizi professionali, è detto da Spranzi (1986,

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pp: 39) il Direct Costing non sia applicabile. Per le aziende che possiedono un magazzino le valutazioni e le decisioni a livello di prodotto vengono prese in sede di budget con un calcolo a livello globale preventivo. Nelle aziende che lavorano su commessa invece il progetto ha caratteristiche stabilite dal cliente e può subire modifiche nelle condizioni, nei vincoli, nelle scadenze già a lavori iniziati. Gli ordini sono acquisiti lungo tutto l’anno e solo quando si verifica l’opportunità di acquisire una nuova commessa, se ne pondera la convenienza. In questa occasione si valutano le condizioni di costo della commessa con quelle di costo a livello dell’intera azienda. Quindi, afferma Spranzi che sia possibile effettuare un calcolo preventivo globale generico ma valutare la singola commessa resti incerto perché: in sede di budget non si conoscono le commesse che verranno acquisite successivamente (e quindi non è possibile in sede di budget globale verificare la coerenza tra risultati particolari e globali); non si possono formulare budget significativi di commessa perché quest’ultima può mutare le sue caratteristiche. Non potendo verificare la compatibilità tra risultati particolari e globali non ha senso applicare il direct costing per valutare la convenienza di acquisire la singola commessa poiché il solo contributo di copertura positivo (evidenziato col Direct Costing), come criterio per accettare o meno la commessa, non mette al riparo da una perdita di esercizio, cioè da un risultato globale negativo. Il full

costing di copertura pare risolvere il problema: si ripartiscono anche i costi fissi comuni,

sulla base del contributo di copertura (che è il margine ottenuto dalla differenza tra fatturato e costi specifici, fissi e variabili, e rappresenta il contributo alla copertura dei costi fissi comuni), alle classi di commesse (che secondo Spranzi (1986)è possibile rinvenire cercando di trovare caratteri comuni tra le commesse). L’esistenza di un numero limitato di classi di commesse e di mercati rende possibile stimare ad inizio esercizio il fatturato, i costi diretti, i contributi di copertura a carattere approssimativo. (Spranzi 1986, p 43). Conseguentemente viene scelta un’altra base, che rifletta la relazione di proporzionalità con i contributi di copertura, per attribuire i costi comuni tra le commesse. Spranzi (1986) propone le ore di manodopera: rapporta la quota di costi fissi comuni di classe alle ore di manodopera della stessa classe, per individuare le percentuali di attribuzione dei costi fissi comuni e dei costi fissi speciali da attribuire alle singole commesse. Le percentuali determinate in ambito di classi di commesse sono usate durante l’anno per attribuire i valori alle commesse particolari. “Se l’azienda è in grado di negoziare per le commesse prezzi maggiori o uguali al costo pieno che si ottiene applicando le percentuali di imputazione di costi fissi comuni e speciali

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indicate41, otterrà a fine periodo un utile almeno la copertura dei costi fissi.” (Spranzi,1986, p.46)42. I risultati di commessa, dando per scontato che per tutte le commesse i costi diretti non siano maggiori del ricavo, sono livellati: tutti i prodotti saranno in utile; le valutazioni sugli utili o sui margini di contribuzione forniscono lo stesso tipo di giudizi di convenienza. Il full costing è solo apparentemente causale. Di fatto la distribuzione dei costi fissi comuni tra i prodotti avviene sulla base del margine di contribuzione.

Nelle aziende di consulenza, ed in particolare in quella in questo lavoro considerata, è possibile identificare classi di commessa come suggerito da Spranzi (1986). Con il termine “classe” si individua un modo per creare categorie di commesse che esprimono la specializzazione dell’azienda. All’interno della classe, le commesse sono eterogenee per dimensione, per prezzo d’offerta negoziato ecc. Nelle aziende di consulenza le commesse possono essere raggruppabili solo per centro produttivo di riferimento, cioè per generico campo di competenze richieste. Dunque potremmo identificare la classe con il centro produttivo. Secondo il modello di Spranzi (1986) i costi fissi comuni vengono distribuiti fra le classi di commesse in proporzione ai margini di contribuzione delle stesse. Successivamente occorre scegliere una base di imputazione (i costi diretti, le ore di manodopera diretta) per attribuire i costi fissi comuni delle classi alle singole commesse. Nell’ipotesi che i costi diretti siano inferiori ai ricavi, per ogni commessa si otterrà un livellamento dei risultati: contribuiranno alla copertura dei costi fissi in proporzione alla loro capacità e sarà probabile che conseguano tutte un utile.

2.3.4. I Centri di costo come modello di analisi e calcolo dei costi

Il modello dei centri di costo43 basa la sua struttura sull’approccio di tipo full costing che imputa all’oggetto di costo finale tutti i costi dei fattori produttivi. Ai fini di un

41 Queste percentuali a cui Spranzi si riferisce sono le percentuali ottenute rapportando: la quota di costi fissi comuni di classe alla ore di m.o.d individuata per classe, e la quota di costi fissi speciali rapportata alle ore m.o.d individuate per classe. Le percentuali ottenute sono

moltiplicate alle ore m.o.d individuate per singola commessa allo scopo di calcolare la quota di costi fissi comuni e costi fissi speciali della singola commessa. Obiettivo finale è pervenire ad una configurazione di costo pieno.

42 Con il full costing di copertura si riesce perciò a creare coerenza tra le condizioni di costo della singola commessa e le condizioni globali dell’azienda.

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corretto calcolo dei costi vengono introdotti questi oggetti di costo intermedi, solitamente coincidenti con le funzioni aziendali per allocare i costi ai prodotti con maggior rispetto del criterio funzionale. Su di essi vengono caricati i costi che non sono diretti di prodotto né che possono essere attribuiti con criteri di specialità ad esso. All’interno di ogni centro si raccolgono i costi per lo svolgimento delle attività. Le fasi per il calcolo del costo di prodotto secondo questo metodo consistono in: definizione dei centri di costo, attribuzione dei costi ai centri di costo, determinazione di basi di riparto per chiudere i centri di costo intermedi sui finali, chiusura dei centri intermedi sui finali, chiusura dei centri finali sui prodotti tramite basi volumetriche. In base alla funzione del centro distinguiamo: centri produttivi o principali (che afferiscono direttamente al processo produttivo), centri ausiliari (in supporto al processo produttivo), centri comuni (necessari per il funzionamento dell’intera organizzazione). Nel percorso per allocare i costi ai servizi, innanzitutto, vengono attribuiti i costi diretti all’oggetto di riferimento, successivamente si passa alla chiusura dei centri ausiliari sui centri principali tramite la misurazione diretta del servizio reso dagli uni agli altri oppure con misurazione indiretta dell’attività svolta attraverso basi di riparto (consumo elettricità, ore funzionamento macchine, numero addetti ecc). I centri di struttura possono subire diversi trattamenti, in relazione alle esigenze conoscitive del management: in alcuni casi vengono chiusi direttamente sull’oggetto di costo finale tramite una base di riparto stabilita (le basi devono essere il più aderenti possibile al criterio funzionale causale), in altri vengono attribuite agli altri centri, in altri ancora i centri restano aperti e non si procede all’attribuzione.44 In questo modo è possibile ottenere più configurazioni di costo.Infine si chiudono i centri principali sull’oggetto finale.

2.3.5. L’Activity-based costing

L’activity Based Costing45 nasce storicamente come superamento del modello full costing, per rispondere ai cambiamenti verificatisi nei metodi di produzione delle aziende manifatturiere. Innanzitutto si è assistito ad un mutamento delle funzioni svolte dal fattore lavoro: si è verificato un progressivo spostamento da attività svolte in modo proporzionale ai volumi di output ad attività di tipo indiretto, slegate dai volumi di

44 Cfr. Cinquini (2008). 45 Cfr. Cinquini, (2008).

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produzione, come la manutenzione o il monitoraggio. Grazie al progresso tecnologico le macchine sostituiscono l’uomo ed aumenta l’incidenza dei costi relativi alle prime rispetto a quelli relativi al fattore umano. La domanda sempre più matura e sofisticata, per essere soddisfatta, richiede prodotti differenziati, realizzabili tramite attività non strettamente produttive. Si complica il processo produttivo, aumentano i costi di gestione e le attività. Sono richiesti continui riattrezzaggi dei macchinari per creare prodotti diversi. La manodopera diventa più qualificata. La personalizzazione è basata su elementi immateriali che aggiungono nuove variabili critiche per il successo (i tempi di consegna, l’assistenza post vendita, il prestigio del marchio, la flessibilità). In questo contesto il metodo dei centri di costo risulta inadeguato per l’uso di basi di imputazione essenzialmente volumetriche, cioè correlate ai volumi di output. I costi indiretti che per le ragioni sopra descritte aumentano rispetto alla quota di costi diretti, si generano in modo non connesso ai volumi di produzione. L’utilizzo di basi volumetriche causa il fenomeno del sovvenzionamento incrociato, distorce l’informazione ottenuta sul costo di prodotto e conduce a scelte errate da parte del management. Il modello dei centri di costo non riesce quindi ad imputare ai prodotti in modo corretto i costi di complessità e differenziazione, quelli indiretti appunto. Le caratteristiche dei processi produttivi, ragione dell’inadeguatezza dei modello per centri di costo, sono: la diversità nei volumi dei diversi prodotti, i lotti che possono essere di diverse dimensioni, un grado di complessità diverso nei processi produttivi che comportano manodopera più o meno qualificata, diversi materiali che comportano tempi diversi per la lavorazione da parte delle macchine. In presenza di questi elementi lo svolgimento di attività che generano costi indiretti non è proporzionale al consumo delle risorse che variano in relazione al volume di produzione.

Con l’ABC, nuclei di accumulo dei costi non sono identificati nelle funzioni aziendali o in altri aggregati fisici che svolgono il ruolo di centri di costo, ma nelle attività. Il tecnico dei costi osserva la gestione secondo un approccio per processi, frammentando la gestione in attività ed operazioni. Il processo di erogazione del servizio è composto da attività che consumano risorse per avere le quali sostengono costi. L’attenzione è perciò posta sulle attività, da considerare nuovi oggetti di costo. Il processo di calcolo del costo di prodotto (dove per prodotto si intende l’output finale, quindi il servizio) inizia quindi dall’individuazione delle attività, segue l’attribuzione dei costi delle risorse alle attività mediante elementi determinanti i costi delle risorse, infine si identificano gli

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oggetti di costo e si imputano ad essi i costi, mediante fattori determinanti la frequenza e l’intensità di attività per l’oggetto di costo. Questo sistema facilita il chiarimento di quali siano le relazioni causali tra i costi delle risorse per effettuare le attività e il volume di attività richiesta dell’oggetto di costo finale. Fondamentale nel realizzare il processo di calcolo è classificare le attività in relazione ai livelli di riferibilità

dell’output. Si distingue: livello di unità/prodotto, livello di lotto, livello di linea di prodotto, livello di cliente, livello di struttura, individuando ulteriori livelli intermedi in relazione alle necessità (Miolo Vitali, 2009). La domanda da porsi per collocare

l’attività nel giusto livello è: in corrispondenza di quale livello occorre ripetere l’attività? Ogni quanto si ripete l’attività? Per ogni lotto? Per ogni singola unità di prodotto? Riflettendo si comprenderà che la classificazione non è univoca ma dipende dalle caratteristiche di gestione e del processo produttivo dell’azienda. Dopo aver attribuito le attività ai livelli e caricati i costi sulle attività, si può quindi individuare i costi per livello. Anche la scelta dei driver non è univoca ma dipende dal giudizio dei manager sul grado di aderenza al criterio causale. Lo stabilire i driver è critico perché

driver diversi conducono a informazioni di costo diverse e a decisioni potenzialmente

diverse. Al termine del calcolo si otterrà un costo di prodotto dato, non come per i centri di costo, dalla somma di costi diretti e indiretti ad esso imputati, ma di costi