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3.6 Scelte di simboli

Nel documento Fincardi.qxd 14-09-2007 17:14 Pagina 1 (pagine 128-145)

1929-1945: un’altra patria

3.6 Scelte di simboli

È stato notato da Furet come l’impostazione patriottica della guerra sovietica anti-nazista divenne un forte modello di riferimento anche nei paesi dell’Europa occi-dentale liberati dagli anglo-americani, tanto negli ambienti popolari come in quel-li intellettuaquel-li:

L’URSS, riferimento forte e lontano al tempo stesso, è liberatrice senza essere presente: la si-tuazione ideale per l’immagine patriottica del comunismo [...]. Rispetto all’Est, l’assenza dell’Armata rossa per esso rappresenta uno svantaggio in termini di potere, ma favorisce la propaganda; mantenendo per tutto ciò che è sovietico un’influenza puramente immagina-ria, impossibile da riportare alla realtà94.

Ma, già mentre la guerra stava terminando, il fervore per ricostruire un’Europa di-versa non aveva bisogno di essere indotto dall’Est95.

Eravamo giovani: avevamo diritto ai nostri miti. [...] Il mito era cambiare il mondo. Questo comunismo che si presentava come un nuovo mondo, era un mito, non si poteva lasciare ca-dere così: i giovani hanno bisogno di un mito, dal momento ch’erano caduti gli altri miti... la chiesa, lo Stato, la nostra società organizzata come borghesia [...]. Allora eravamo inten-ti a fare un mondo nuovo. Che sapessero come farlo non lo sapevano: erano giovani. E al-lora c’era il punto dei morti, dei ragazzi morti ammazzati durante il periodo della guerra. E poi c’era la speranza di essere migliori, c’era la convinzione di essere migliori. Gli altri ave-vano già dimostrato cosa sapeave-vano fare: farci ammazzare. E mica per dei grandi ideali: per diventare padroni in casa d’altri. Noi questo non lo chiedevamo di fare. Allora essere co-munisti voleva dire: siamo uomini (Adelmo, Boretto 1928).

Appena terminata la guerra, che aveva suscitato molta solidarietà e fluidità di rap-porti sociali nella mobilitazione popolare per la salvezza collettiva, nella crescita tu-multuosa dell’associazionismo, l’impronta ai partiti venne innanzitutto dagli equi-libri paesani e dalle loro regole morali, dove spesso il ricordo delle piccole Russie era un riferimento corposo. Nell’Emilia padana ciò risultò decisivo per una nuova scelta di appartenenze politiche, al momento di sciogliere le incertezze tra fedeltà alla tradizione riformista o rivoluzionaria, per la generazione che nella Resistenza si era lasciata alle spalle la società fascista.

Nel partito entravano gruppi di complessa esperienza e di grande capacità organizzativa. La tradizione messianica del socialismo aveva una tradizione antica. Essa si era riaccesa arden-te come una resurrezione al crollo del fascismo e, duranarden-te la guerra di liberazione, l’eredità delle speranze e dei miti (rifugio della miseria, della fatica, dei lutti della guerra) era passa-ta soprattutto ai comunisti, avvanpassa-taggiati dal grande fascino dell’Unione Sovietica vittorio-sa, dal prestigio per le persecuzioni del fascismo contro di loro e dall’attrattiva che

eserci-tava, dopo vent’anni di vuoto politico per i lavoratori e in un momento di crisi profonda in cui tutte le fila della trama politica e sociale sembravano rotte, un partito che prospetta con sicurezza soluzioni totali. La maggior parte dei combattenti della guerra di liberazione si era-no pronunciati appunto, durante la lotta e subito dopo, per il partito comunista, di cui sen-tivano il grande prestigio. In essi, inoltre, vi era la convinzione – che era un’estensione del-la guerra partigiana – che solo un’organizzazione energica, dura, spregiudicata, avrebbe ot-tenuto dei risultati per i lavoratori negli anni difficili che si annunciavano96.

A gestire i simboli dell’identità collettiva e degli antagonismi culturali ormai furo-no prevalentemente i giovani partigiani. Le intense attività per autofinanziare e pro-pagandare il Fronte della gioventù – organizzazione formalmente unitaria, ma for-temente egemonizzata dal PCI, e osteggiata dai parroci perché promuoveva conti-nui divertimenti profani – condizionarono tutta la sociabilità locale, protesa a fe-steggiare la fine di un incubo collettivo.

Nell’estate del ’45, il sabato sera e la domenica si andava a ballare. Erano veglioni intermi-nabili. Spesso si faceva l’alba. Ad una certa ora, nelle balere si smetteva di suonare e si for-mavano cori per cantare Bandiera rossa, l’Internazionale, Libertà noi siam dei partigiani97.

Un allora giovane dirigente del Fronte della gioventù ricorda come la vecchia ge-nerazione socialista seguì i figli che erano divenuti comunisti nella Resistenza.

Erano decine e decine di persone che spontaneamente venivano a chiedere l’adesione al par-tito. In quella occasione si verificò un fatto importante: una parte dei vecchi socialisti, i fi-gli dei quali erano entrati nelle formazioni partigiane, fece la scelta del nostro partito. Re-starono invece nel PSIcoloro che più vi erano legati da vincoli di tradizione; tra i giovani le adesioni furono scarse. Così è avvenuto che anche mio padre aderì al PCI; tutta la mia fami-glia è diventata comunista. Partito, sindacato, organizzazioni femminili e giovanili avevano un vero carattere di massa, erano l’espressione di una profonda volontà di rinnovamento98.

I socialisti colsero i limiti della propria azione politica, accorgendosi presto di non essere più il partito largamente dominante nella provincia reggiana; adottarono perciò un atteggiamento dimesso. Un’allora dirigente dell’UDInota come il sociali-smo prampoliniano dei padri apparve ormai qualcosa di superato, anche se gli ven-ne riservato un onorevole rispetto storico ven-nella galleria degli antenati.

Il partito era un partito di giovani che avevano fatto la Resistenza, e di gente che aveva ade-rito al partito sulla base di questa grande ondata politica, di questo grande fatto, di questa speranza che si apriva. [...] Si erano acquistati, direi sul campo, la capacità di avere fiducia dalla gente. Io ricordo una mia vecchia parente contadina che, quando si vota il 6 giugno, venne un suo parente anziano che le disse: “Ma tu voti per i socialisti, perché tuo padre – ricordi – era socialista!”. E lei dice: “No – questa mia parente era un’analfabeta, si chiama-va Virginia – no! perché vedi quando c’eran tutti quei ragazzi che li abbiam visti morti per le strade, voi non c’eravate; c’erano loro. Io voto per loro”99.

Per alcuni l’esperienza tra il prima e il dopo la guerra si riannodò ripensando ai luo-ghi d’incontro popolari dove si era radicato il sentimento cospirativo. A spingere verso l’adesione politica poteva non essere solo la famiglia o il gruppo di amici, ma l’uomo che era stato perseguitato dai fascisti, e come tale era riconosciuto come il mediatore culturale che accendeva l’immaginazione di una piccola comunità, por-tandola a vedersi come una piccola Russia.

Praticamente mi ricordo che nel maggio del quarantacinque... non mi ricordo se fosse il 1° Maggio, lui mi disse: “Beh! te non t’iscrivi al partito?”. “Ma a quale partito?”. Mi disse: “Al partito comunista!”. Beh insomma io avevo le idee chiare; ma iscrivermi a un partito, neh? Poco dopo mi sono iscritto e infatti sono sempre stato convinto. Il partito, le lotte, il sinda-cato, frequentare i corsi: mi è maturata la consapevolezza di una scelta di classe, che avevo scelto consapevole, ecco (Pino, Reggiolo 1927).

Molti testimoni ricordano, nella primavera 1945, file interminabili davanti ai tavoli-ni dove si compilava la domanda di iscrizione ai partiti di sitavoli-nistra, in particolare al

PCI; poi le domande venivano vagliate dai militanti. Inoltre, si andava anche nelle case a cercare di reclutare al proprio partito quelli che si sapevano di sentimenti an-tifascisti, o che avessero avuto passati legami col movimento operaio e ambienti sovversivi. Anche nei luoghi di lavoro ci furono pubbliche iniziative di recluta-mento politico. Le fabbriche politicizzate furono un luogo privilegiato per incenti-vare e inquadrare il proselitismo in cellule e nuclei aziendali.

Allo sportello del bancone del reparto controllo iniziammo il reclutamento al partito. Gli operai facevano la fila [...]. Firmai la presentazione per decine e decine di operai, giovani ed anziani, che chiedevano di entrare nelle file del PCI. Sotto l’occupazione avevamo due cel-lule clandestine, una di giovani con sette iscritti e un’altra di adulti con nove compagni. Al-la Liberazione facemmo una unica organizzazione, con quasi Al-la metà dei dipendenti che si iscrissero100.

Erano i nuovi schieramenti paesani, comunque, ad appropriarsi delle ideologie, a pilotare le riemergenze delle tradizioni partitiche, sindacali e cooperative classiste, a selezionare ciò che era possibile recuperare delle esperienze associative fasciste. Da parte di tutti c’era un palese desiderio di essere partecipi di nuove identità, di integrarsi in circuiti democratici che nella loro rappresentanza di interessi econo-mico-sociali propendessero programmaticamente e coerentemente per i ceti popo-lari. Il responsabile in epoca prefascista del Circolo giovanile socialista di Gualtie-ri commenta il nuovo clima creatosi.

Nel ’45 – questo fa anche ridere – c’era la gara di iscrizione ai partiti di sinistra. Cioè la de-mocrazia cristiana raccolse i credenti: quelli che andavano in chiesa, in gran parte, sostan-zialmente lì c’era già un orientamento [...]. Fra socialisti e comunisti c’era la gara, la con-correnza, fuori col banchetto. Qui, il partito comunista, molti ritenevano che fosse il

parti-to più garante, desse più assicurazioni per la giustizia, dei socialisti, considerati i socialisti vecchio partito ormai trascurato, anche dalla mentalità moderna. Un riformismo prampoli-niano era già tramontato. E quindi correvano tutti quanti, una gran parte, specialmente i giovani, a iscriversi al partito comunista. Anche noi abbiamo fatto a nostra volta, subito do-po, abbiamo fatto la ricerca nel nostro partito. Si sono iscritti anche liberali partigiani che non credevano nel socialismo, ma che avevano preso il partito socialista a garanzia dell’in-columità della propria persona, sugli interessi, gli affari. Tant’è vero che si è verificato que-sto fenomeno di venirsi a coprire con la tessera. Queque-sto si è scoperto poi quando c’è stata la scissione di palazzo Barberini. [...] Vedevi anche gente che si andava a iscrivere al Parti-to comunista ma che di comunista non avevano nulla alla distanza di un miglio. [...] Dei bor-ghesi anche loro correvano lì perché avevano secondo loro l’idea che se poi si faceva una ri-voluzione loro erano stati i primi ad essere favorevoli ad una riri-voluzione del proletariato; perché c’era sempre il rischio di una rivoluzione sino alle elezioni del 18 aprile [1948] (Sera-fino, Gualtieri 1905).

Un giovane vicecommissario della 77ª brigata Sap, di famiglia di contadini affittua-ri cattolici e geneaffittua-ricamente politicizzato in senso antifascista, nel borgo rurale di Campagnola fece le proprie scelte a guerra terminata.

Alla fine del mese di aprile del ’45, chiedo di essere iscritto nel PCI. Non sono ancora co-munista e non conosco bene la teoria e il programma del Partito, ma sono stimolato dagli eroici esempi di comunisti che hanno guidato e dato tutto, anche la vita, alla testa dei resi-stenti. [...] Qualche tempo dopo fui nominato assessore del comune. Facevo parte della giunta d’intesa fra i partiti comunista e socialista. Fui allora avvicinato da alcuni esponenti della DC, fra i quali ricordo Lello Neri, che dopo avermi elogiato per la valorosa lotta che, a dire suo, avevo condotto durante tutto il periodo clandestino, mi chiese se fossi disposto ad aderire alla sua corrente politica. Se lo fossi stato, si dichiarò disposto ad inviarmi addirit-tura a Roma per iniziare una carriera politica. Risposi che non intendevo fare nessuna car-riera politica. La mia unica aspirazione era quella di tornare alla terra, come prima, e nulla di più101.

Tornando al paese dall’esilio, dal carcere o dalla guerra partigiana, a esponenti po-litici del primo dopoguerra capitò di scoprire di essere stati acclamati a propria in-saputa dirigenti di qualche partito. Uno di questi, imbattutosi, appena a casa, in una delegazione che gli annunciò l’avvenuta sua nomina a segretario del PSIUPdi Cavriago, nelle sue memorie scrive:

Grandemente sorpreso, risposi che era da matti decidere una cosa del genere senza cono-scere quale fosse il mio credo politico. Si misero a ridere dicendosi sicuri che era stata fatta la scelta giusta102.

Più che schieramenti ideologici o veri gruppi politici organizzati emersero le reti informali che avevano orientato le aggregazioni di vicinato e paesane negli anni del-l’opposizione clandestina – fuori e dentro dall’associazionismo ufficialmente

con-trollato dal regime fascista – e soprattutto la ridefinizione delle relazioni comuni-tarie e la resistenza all’occupazione, dopo il luglio 1943. Dissolta nel 1943 la nazione ufficiale, messa in crisi la gerarchia sociale e ribaltati gli equilibri municipali, il gio-co delle parti restava decisamente mobile tra le diverse leadership democratiche gio- co-struite dai CLNnella preparazione dell’insurrezione. La tumultuosa spinta popola-re a riconoscersi nei nuovi partiti, di paese e nazionali, superava con impeto la dif-ficoltà delle rappresentanze politiche locali di definirsi e darsi delle capacità d’ini-ziativa.

Nel 1945 ero segretario della Cooperativa braccianti, e allora subito si era incominciato a di-scutere come fare per organizzare il partito. Questo era il problema, perché esperienze con-crete... io avevo avuto un contatto con Sacchetti alla fine del ’44. Esperienze concrete di par-tito non ce n’erano, di organizzazione, eccetera. Come fare? hanno cominciato con delle no-stre possibilità: avevamo delle domande che venivano caricate e firmate per l’accettazione di... non solamente... ma siccome i socialesta allora non si erano sentiti... nel momento c’as feva discussion pr’al parti comunesta a gniva dla gint che vreven iscrevres al parti socialista [mentre si parlava per il partito comunista, veniva gente che voleva iscriversi al partito so-cialista]: cioè facevo due mansioni, cioè senza distinzioni di cose. [...] Allora, abbiamo co-minciato a vedere come organizzarci: un po’ l’esempio l’abbiamo avuto... sentivamo parla-re di cellule dell’Unione Sovietica (William, Santa Vittoria 1913).

Nella caotica spinta generale a scegliersi il partito da cui sentirsi rappresentati, i lea-der della gioventù partigiana emiliana di norma orientavano i compaesani verso i comunisti, benché la maggior parte di essi oggi confessi di essere stata guidata in quei mesi da una fortissima ma indefinita carica di entusiasmo, da una disciplina militare e da una formazione politica decisamente approssimativa, dispensata con difficoltà – durante le operazioni belliche – dall’élite del partito clandestino.

Comunisti e socialisti erano veramente fratelli, perché io quando sono andato a fare il tes-seramento, era l’11 maggio, sono andato da uno che mi disse: ma io pensavo di fare la tesse-ra del partito socialista, ma è lo stesso. Io sono rimasto un momento lì: non avevo la rispo-sta pronta, e sono venuto via. Poi ho raccontato la cosa a mio padre e lui mi ha risposto: ma è lo stesso!103

Nei paesi emiliani il PCIaveva curato subito con efficienza il proprio reclutamento, e il PSIUPl’aveva imitato con tardiva lentezza, raccogliendo quelli che il PCInon era riuscito subito a tirare nelle proprie fila, soprattutto tra gli anziani e i ceti medi. Du-rante la Resistenza e nell’immediato dopoguerra, il PCIdivenne presto il prioritario veicolo di integrazione civile, che permetteva di dare un’identità e dignità a quan-ti si fossero senquan-tiquan-ti esclusi, penalizzaquan-ti e oppressi dal regime fascista. Il PSIUPsi as-sociò in un ruolo gregario a questa impresa, e per i suoi militanti la simbologia so-vietica fu una semplice suggestione culturale come tante altre, mentre per i mili-tanti del PCIispirò una dimensione etica particolarmente coinvolgente. Persino tra

gli studenti che di lì a poco seguirono Saragat nella scissione ce n’erano di entusia-sti per l’immagine dell’URSS, e inizialmente non badavano alla separazione tra par-titi.

Mi sono iscritto al partito comunista influenzato da un compagno socialista, di fede pura, posso dire anche il nome: Simonazzi Fulvio, che mi esaltava a parlarmi dell’Unione Sovieti-ca. È convinto ancora, eh? [...] Era passato alla socialdemocrazia con Simonini e poi si è ri-tirato perché ha visto che c’erano cose che non gli piacevano, e poi si è dato alla professio-ne di insegnante. Poi per i compagni più anziani di me, che ti raccontavano la loro vita, espe-rienze delle lotte dei primi socialisti, eccetera. Io ho pensato di iscrivermi al partito comu-nista, siccome ero uscito dalla scuola, avevo la licenza di avviamento, il partito ha pensato bene di mettermi segretario della cellula di Pieve Saliceto. [...] La cellula era l’ultimo orga-nismo di base, no? Abbiam fatto la domanda, venti giorni dopo eravamo iscritti: allora vo-leva dire essere una persona, essere comunista (Alfredo, Solarolo 1929).

La curiosità per tutto ciò che potesse apparire sovietico creava una forte attrattiva verso i partiti di sinistra.

Fin dai giorni della Liberazione, avendo conosciuto dei cittadini, dei soldati sovietici, che erano qui in montagna nel battaglione sovietico qui da noi, avendo avuto dei rapporti con questi ex partigiani russi ho cominciato a seguire con una certa passione le vicende di que-sto paese e anche ad assimilarne possibilmente il passato, la que-storia, dalla rivoluzione d’otto-bre a quei giorni, e questo grazie al partito, che ci dava la possibilità di avere libri e di leg-gere, eccetera104.

Nelle settimane e nei mesi seguiti all’aprile 1945 le nuove identità si cristallizzarono rapidamente, ridefinendo la memoria delle tradizioni democratiche e classiste del passato. A Cavriago, i socialisti recriminavano agli alleati comunisti di averli sop-piantati localmente nella gestione del culto di Lenin e nella ricerca di rapporti di-retti con le istituzioni sovietiche, tanto da commentare: «Si ripete un po’ in questo caso la storia del formaggio grana, nato a Reggio ma poi denominato parmigia-no»105. Il PCI propose con efficacia l’immagine poderosa dell’URSS vincente nella guerra, abbinata al prestigio stesso della propria solida struttura di quadri ben di-sciplinati, al servizio della nuova vita civile, nel caos postbellico italiano106. Le sue risorse non le usò in uno scontro frontale, ma le investì per ricavarne ulteriori ri-sorse, nel risolvere la crisi sociale lasciata dal vuoto del disfacimento degli appara-ti fascisappara-ti e da una guerra combattuta su tutta la penisola. Così si radicò perfetta-mente nella società regionale, sperimentando ogni genere di rete di contatti e asso-ciativa. In ambito popolare, il reclutamento degli iscritti non fu particolarmente se-lettivo: non perseguì in modo scrupoloso il vecchio metodo selettivo bolscevico. Per entrare nei partiti di sinistra bastava non avere avuto ruoli di rilievo nel regime, né essere sospetti di collaborazionismo coi nazisti o aver avuto incarichi tra i re-pubblichini, né essere riconosciuti come avversari di classe per la propria

colloca-zione sociale. E anche in seguito il reclutamento si attenne alla prassi di inglobare per quanto possibile pezzi di società, senza molto epurare. Non si trattò solo di una formale adesione ai partiti, ma in primo luogo – con una vasta partecipazione che rendeva sfumata la diversità dei militanti – di un coinvolgimento di intere comu-nità popolari in diversi momenti basilari della rinnovata vita civile. Sotto la guida promettente del governo Parri, convinti che l’Italia condividesse gli orientamenti prevalenti in Emilia, all’inizio i militanti ebbero approcci limitatissimi ai grandi te-mi politici e a questioni ideologiche. Si sorpresero solo per le difficoltà ad integra-re negli equilibri di una società locale tanto mutata i numerosi soldati integra-reduci dalla prigionia, nei mesi successivi alla fine della guerra, disorientati107, che sulla spinta della famiglia – già schieratasi negli anni precedenti, o almeno nelle fasi finali del-la guerra di Liberazione – si trovarono subito di fronte, imbarazzati, aldel-la prospet-tiva di lasciarsi cooptare in scelte di campo collettive, che nei paesi i coetanei e le altre generazioni avevano già fatto.

La mia famiglia essendo di origine [...]. Già al tempo dei socialisti, a Rio Saliceto, la prima volta che è stata fatta la sezione del partito socialista, mio padre era tra gli organizzatori; cioè eravamo già di sinistra a quei tempi e quindi dopo sono passati al partito comunista i miei

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