La riduzione del ghiaccio artico continua ad essere un tangibile indicatore dei cambia-menti climatici globali. I record negativi nell’estensione dei ghiacci marini misurati in set-tembre 2007 e 2012 sottolineano una tendenza negativa nell’estensione e nello spessore dei ghiacci osservata sino dal 1979. A partire dagli anni ’80, l’estensione del più datato e spesso ghiaccio pluriennale (MultiYear Ice – MYI) è diminuita del 15% ogni dieci anni. An-che se una naturale variabilità climatica ha provocato fluttuazioni interannuali nell’estensione del ghiaccio marino nella storia, l’attuale declino è da attribuire primaria-mente alle emissioni di gas serra causate dall’uomo in parte aggravato da fattori meteoro-logici. Recenti studi sulla misura dello spessore della copertura glaciale da rilievi elettro-magnetici da aereo (2010-2015) sono, nella panoramica di sviluppo tecnologico, grande supporto ai modelli di previsione delle dinamiche di fratturazione della copertura glaciale e di origine di settori liberi dai ghiacci durante la stagione estiva. I modelli climatici di simula-zione sono universalmente concordi nel prevedere una continua ridusimula-zione dei ghiacci nel corso del 21° secolo, sebbene con alcune significative differenze temporali (Overland e Wang, 2013). Inoltre, le recenti osservazioni satellitari indicano che molti simulazioni di modelli climatici sottostimano il reale ritmo di diminuzione dei ghiacci, forse a causa dell’incertezza delle osservazioni, della variabilità climatica e dei limiti nella comprensione di alcuni processi fisici come la deriva dei ghiacci.
Nonostante le incertezze dei modelli, queste simulazioni, insieme a tre decadi di osser-vazioni satellitari, consentono di combinare le proiezioni delle aree tecnicamente accessi-bili dell’Artico, la lunghezza della stagione di navigazione e la variaaccessi-bilità temporale per modellizzare le possibili rotte come funzione sia delle condizioni climatiche (ghiacci) che dei tipi di navi (Buixadè Farré et al., 2014; Haas et al., 2015). Le proiezioni più recenti so-no basate sulla simulazione del ghiaccio mariso-no per tre scenari di forzante climatico (4.5, 6.0 e 8.5 W/m2)5 e assumendo navi di classe Polar Class 3 (PC3), Polar Class 6 (PC6) e Open-Water (OW) con alta, media e nulla capacità rompighiaccio rispettivamente6. In questi studi, la prospettiva che il futuro uso marittimo dell'Artico avrà diverse modalità e fi-nalità è riconosciuta con l’inserimento di navi di classe OW, particolarmente importanti perché costituiscono la stragrande maggioranza della flotta mondiale.
In qualunque scenario, le navi PC3 hanno accesso alla maggior parte delle regione arti-ca durante tutto l’anno. L’analisi dei dati storici (1980-1999) riporta una media annuale di accessibilità del 54%, che si prevede salirà al 75% - 72% - 79% (RCP 4.5 - 6.0 - 8.5 rispet-tivamente) entro il 2030, con picchi del 84% - 82% - 87% di accessibilità durante il periodo luglio – ottobre (Fig. 15).
Per le navi PC6, i dati storici indicano una media annuale del 36%, che salirà al 45% - 44% - 48% con picchi del 66% - 64% - 71% in luglio-ottobre.
L’accesso per le navi OW è storicamente limitato al 23% della regione e si prevede che non possa salire oltre rispettivamente il 29% - 29% - 31% (RCP 4.5 - 6.0 - 8.5) entro il 2030.
5 Scenari adottati dall’IPCC Fifth Assessment Report, basati sul Representative Concentration Pathways (RCP), http://www.ipcc.ch/report/ar5/
6 La “Polar Class” è definita dalla International Association of Classification Societies (IACS) nel “IACS Uni-fied Requirements for Polar Ships”, ed. 2011,
http://www.iacs.org.uk/document/public/Publications/Unified_requirements/PDF/UR_I_pdf410.pdf
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In sintesi però, allo stato attuale la combinazione di una carenza di affidabilità e della variabilità dei tempi di percorrenza lungo le rotte artiche rappresenta il maggiore ostacolo allo sviluppo della TPR, che potrebbe faticare ad entrare a far parte del sistema di naviga-zione marittima globale; alcune organizzazioni richiedono infatti significativi miglioramenti nei sistemi di monitoraggio; la strumentazione relativa a comunicazioni satellitari, di rispo-sta alle emergenze, nonché i sistemi di osservazione e previsione meteomarina e dello stato dei ghiacci da parte degli stati costieri, sono considerati da alcuni insufficienti; per motivi tecnici ed ambientali, le comunicazioni, la navigazione e la ricerca e soccorso, re-stano una impresa difficile lungo la TPR, ed in aggiunta la mancanza ad oggi di infrastrut-ture e servizi a supporto delle attività marittime nell’Artico amplifica i dubbi sulla sicurezza (vedi anche la maggiore distanza dai cosiddetti porti rifugio, e le potenziali difficoltà a rag-giungerli, a causa della presenza di iceberg o ghiaccio alla deriva).
D’altra parte, oltre il NWP, che transita perlopiù in acque ristrette e interne canadesi, e con profondità limitate, anche la NSR è soggetta a restrizioni, poiché le navi devono transi-tare attraverso alcuni stretti e passaggi poco profondi del Mar di Kara e Laptev: navi trop-po grandi per passare per i Canali di Panama o Suez risultano troptrop-po grandi anche per navigare lungo la NSR; mentre la TPR, per questi aspetti, presenta meno restrizioni e pe-ricoli, e le navi devono transitare per un solo varco, quello costituito dallo Stretto di Bering (con profondità dai 30 ai 49 m).
In conclusione, alcuni studi evidenziano come la navigazione con navi da carico possa essere maggiormente attuabile in futuro nell’Oceano Artico rispetto a navi di linea, poiché le prime, tra i vari fattori, seguono tabelle di marcia meno rigide; inoltre, la navigazione ar-tica nella realtà potrebbe invero essere utilizzata solo o quasi per raggiungere specifiche destinazioni, e costituita da traffico marittimo di tipo locale, finendo potenzialmente per re-stare un fattore di nicchia.