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3. Corporate governance, banche e mercati finanziari Verso la convergenza de

3.1. Lo schema analitico di Dore

Nei capitoli precedenti abbiamo ricostruito il dibattito teorico all’interno del filone della varietà dei capitalismi per poi passare alla descrizione delle principali teorie sul governo delle imprese. Così, se i primi due capitoli hanno avuto soprattutto una natura teorica, il passo successivo, al fine di saggiare le ipotesi sulla convergenza, diventa quello di fornire uno schema interpretativo che consenta di individuare e descrivere come le principali spinte alla trasformazione si esplichino e interagiscono tra loro in maniera sistemica. Focalizzando l’attenzione sulle trasformazioni intervenute dal 1980 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti Dore sottolinea la centralità della dimensione culturale e i suoi effetti “sui modelli di mutamento comuni a tutte le società industriali” [2000, 35]. Lungo questa prospettiva, tra i fattori causali il ruolo delle componenti “strutturali”, ovvero delle innovazioni tecnologiche – con la conseguente riduzione dei costi di comunicazione e trasporto –, passa in secondo piano divenendo un “fattore agevolante”, mentre una maggiore rilevanza viene data al contributo delle principali politiche pubbliche.

Il punto di convergenza delle differenti pressioni sopra richiamate si ritrova nella “crescita dei profitti e del valore per l’azionista osannato come unico obiettivo legittimo dei dirigenti di impresa” [Fig. 1]. In estrema sintesi, anche grazie a scelte di policy che, in un’ottica di integrazione internazionale e sviluppo tecnologico, hanno recepito le istanze provenienti dai soggetti operanti sul mercato, il modello del capitalismo manageriale anglosassone ha reso più facile e meno costoso l’accesso al mercato di operatori sempre più informati e sofisticati. In questo contesto:

“il ridimensionamento degli schemi di welfare ha incentivato lo spostamento del risparmio verso i mercati finanziari […] ai quali anche le imprese si sono rivolte per ottenere

finanziamenti finalizzati non solo agli investimenti reali ma anche per acquisizioni e per modificare assetti proprietari. In particolare il mercato azionario è divenuto la misura del successo della gestione aziendale: obiettivi prioritari sono la crescita e la creazione di valore per gli azionisti (anche con la crescente rilevanza delle stock option); al tempo stesso è cresciuta la volatilità e l’”euforia irrazionale”, ed infatti gli anni Novanta si sono caratterizzati anche per diffuse instabilità e crisi finanziarie nazionali e internazionali. La maggiore concorrenza comporta non solo deregulation ma anche una diversa qualità delle regole, meno invasive e più dirette alla creazione di uniformi playing fields e, nel caso delle banche, stimolando l’adozione dei modelli ricorrenti, almeno all’interno di equivalenti categorie dimensionali. Il consistente effetto ricchezza, originato dalla buona performance che ha accompagnato per molti anni i mercati finanziari, ha condizionato positivamente l’andamento congiunturale; sempre maggiormente le attività finanziarie acquistano per i singoli operatori importanza analoga a quella tradizionalmente attribuita alle attività reali [Castelnuovo, 2005, 52].

Le dimensioni prese in esame, seppur distinte dal punto di vista analitico, sono nella realtà strettamente interconnesse tra loro. Nel lavoro di Dore, infatti, le trasformazioni nei modelli di welfare, il mutamento delle caratteristiche dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali e l’evoluzione del dibattito sul corporate governance, banche e mercati finanziari influenzano in maniera congiunta la concezione del ruolo delle imprese e la centralità dell’impostazione della massimizzazione del valore per l’azionista.

Nel modello proposto, infatti, la direzione del cambiamento che ha contraddistinto le politiche di Gran Bretagna e Stati Uniti a partire dal 1980 è chiara e monodirezionale. La diffusione di un approccio culturale che ripone piena fiducia nella capacità di allocazione delle risorse da parte dei mercati conduce a decisioni di policy che, da un lato, sostengono la deregolamentazione finanziaria e la nascita di nuovi mercati e prodotti finanziari e, dall’altro, favoriscono la diffusione dell’idea della sovranità del consumatore. Si tratta di decisioni che, modificando in profondità l’ambiente istituzionale, possono essere interpretate come fenomeni di isomorfismo coercitivo – per quanto concerne le “regole del gioco” – e di isomorfismo normativo – per quanto riguarda la diffusione e la legittimazione di alcune “visioni del mondo” –.

Una tale trasformazione conduce sia alla diffusione sui media di rubriche su “affari e finanza” e alla proliferazione di promotori finanziari, sia alla trasformazione delle strategie aziendali per quanto riguarda la soddisfazione del proprio fabbisogno finanziario. In questo senso, con il passaggio al reperimento diretto dei fondi sul mercato, i mercati finanziari si trovano ad essere più direttamente coinvolti.

La diffusione di una nuova “cultura finanziaria”, interpretabile con il concetto di “isomorfismo normativo”, conduce inoltre gli individui a considerare la speculazione come una componente crescente del proprio reddito e ciò influenza, insieme al sempre maggiore coinvolgimento dei mercati finanziari, la strategia della banche.

In altre parole, viene stravolto il modo di concepire il nesso tra reddito da lavoro e reddito da capitale, in questo senso, la spinta alla finanziarizzazione – ottenuta anche attraverso sofisticate tecniche di marketing – conduce le famiglie a intravedere nella speculazione una fonte di reddito alternativa, utile per conseguire livelli crescenti di consumo e favorire, attraverso il ridimensionamento del peso dei salari, la redditività delle imprese quotate in borsa. In questa maniera, inoltre, attraverso la creazione della figura dell’investitore–speculatore, viene risolto il conflitto tra la figura del lavoratore e la figura del consumatore [Zamagni 2008, 10].

Gli istituti di credito si trovano così a dover fronteggiare una doppia sfida, da un lato la crescita della componente finanziari nei bilanci della famiglie ridimensiona l’importanza dei depositi tradizionali, dall’altro, l’ampliamento del mercato finanziario spinge le imprese a sostituire i prestiti tradizionali con il finanziamento sul mercato. A tale declino le banche rispondono con lo sviluppo di servizi finanziari e di investimento e con la negoziazione per conto proprio.

Questo cambio di strategia porta a due conseguenze. Anzitutto viene rinforzata la tendenza delle imprese a ricercare la massimizzazione dello shareholder value e, in secondo luogo, la maggiore concorrenza spinge le banche in direzione di una convergenza verso un modello unico. Anche in questo caso, gli strumenti analitici proposti dai neoistituzionalisti possono fornire una chiave di lettura utile all’interpretazione delle trasformazioni. Nella prospettiva neoistituzionale, infatti, se la crescente richiesta degli attori sovrannazionali (WTO, BRI) può essere compresa nei

termini di “isomorfismo coercitivo”, la tendenza alla convergenza delle differenti strategie può essere letta come “isomorfismo mimetico”.

Tab. 3 - Le principali politiche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti dal 1980 RIDUZIONE DELLE IMPOSTE E RUOLO MINORE DEL GOVERNO MIGLIORAMENTO DELLA COMPETITIVITA’ DEL PAESE

ATTRAVERSO L’INCORAGGIAMENTO DELLO

SPIRITO IMPRENDITORIALE

FIDUCIA NELLA SUPERIORE EFFICIENZA E GIUSTIZIA DELL’ALLOCAZIONE DETERMINATA DALLE FORZE DI MERCATO RISPETTO

A QUELLA POLITIA E AMMINISTRATIVA. SOVRANITA’ DEL

CONSUMATORE

Tagli ai programmi di welfare, assicurazioni e schemi

pensionistici

Incentivi fiscali per veicolare i risparmi verso il mercato

azionario

Deregulation finanziaria, nuovi prodotti finanziari, nuovi mercati per futures, derivati, ecc.

Sviluppo delle assicurazioni private e dei fondi pensione

individuali e aziendali

Spostamento dei risparmi dai depositi ad interesse

fisso ai fondi di investimento

Crescente diffusione sui media di rubriche su “finanze e famiglia” e di consulenze finanziarie da parte

di professionisti

Passaggio delle imprese dal finanziamento bancario al reperimento diretto di fondi sul mercato. Mercati finanziari

più direttamente coinvolti

L’offerta di fondi ai mercati finanziari eccede di gran lunga

quelli richiesti per le nuove emissioni

Investimenti di liquidità disponibile e riacquisti azionari per alzare il prezzo dei titoli e facilitare acquisizioni basate

sullo scambio azionario; crescente predominio dei manager finanziari

Aumento dei prezzi delle attività sul mercato azionario e

maggiore volatilità

La speculazione si diffonde e diventa sempre più una parte essenziale della vita degli

individui

Le banche rispondono al declino dell’attività di erogazione di prestiti con lo

sviluppo dei servizi finanziari e di investimento oltre che della negoziazione

per conto proprio I servizi finanziari assorbono una

quota crescente di pubblicità, di PIL e di manodopera altamente qualificata Forte spinta all’aumento della

quota dei profitti sul reddito nazionale, a spese della quota

del lavoro

IL VALORE PER L’AZIONISTA DIVENTA IL SOLO OBIETTIVO LEGITTIMO DEI DIRIGENTI

D’IMPRESA

Richieste di level playing-field (WTO, BRI); pressione per la globalizzazione dei mercati finanziari (dall’Uruguay round in avanti); maggiore concorrenza

internazionale che spinge tutte le banche verso un modello unico

Rafforzamento dell’egemonia culturale americana Rafforzamento dell’influenza

dominante a livello globale dell’industria americana dei

servizi finanziari

Mutamento tecnico/globalizzazione

Abbiamo visto come tuttavia Salvati [2001] metta in discussione tale impianto; infatti, pur riconoscendo il ruolo della dimensione politica e culturale nella trasformazione, ritiene che l’affermazione dell’impostazione anglosassone sia soprattutto il frutto di un’esigenza “strutturale profonda, legata ad un difficile passaggio di fase del capitalismo” [Salvati, 2001, 15]. Diversamente Zamagni, in linea con le conclusioni di Dore, nota come “da quando ha iniziato a prendere forma quel fenomeno di portata epocale che chiamiamo globalizzazione, la finanza non solamente ha accresciuto costantemente la sua quota di attività in ambito economico, ma ha progressivamente contribuito a modificare sia le mappe cognitive delle persone sia il loro sistema di valori” [Zamagni 2008, 2].

Pertanto, una volta ricostruito il quadro teorico all’interno del quale si è sviluppato il dibattito sulla varietà dei capitalismi e dopo aver messo in evidenza i principali elementi che caratterizzano i differenti approcci alla gestione delle imprese, il passo successivo diventa quello di iniziare a indagare la reale portata dei processi di convergenza – sia a livello macro che a livello micro – che sembrano accomunare, seppur con sfumature diverse, la letteratura precedentemente richiamata.

Così, se nelle prossime pagine focalizzeremo l’attenzione sulle tendenze a livello macro, il quinto capitolo vedrà invece un’analisi sulle strategie di un campione di banche italiane. L’obiettivo è infatti duplice: da un lato, si vuole problematizzare il “modello” di Dore descrivendo come, nonostante la presenza di pressioni comuni, la convergenza non sia in realtà un processo scontato; dall’altro, si vuole mostrare come, all’interno di uno stesso quadro istituzionale, permangano ancora differenze nelle strategie adottate dai principali gruppi bancari nazionali. In questo caso, infatti, dopo aver ricostruito l’evoluzione storica del quadro normativo – capitolo quattro – si cercherà di constatare se il processo di de intermediazione e finanziarizzazione dei bilanci caratterizza in maniera differente i tre gruppi presi in esame.

Il primo quesito riguarda quindi la reale portata dei processi di convergenza. In questo caso l’ipotesi è che, nonostante la presenza di una tendenza comune, i principali paesi indagati mantengano una sostanziale diversità sia per quanto concerne gli standard di corporate governace prevalenti sia rispetto alle caratteristiche dei sistemi bancari e finanziari.

3.2. L’evoluzione degli assetti proprietari in Europa ed i limiti del