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Schermature di sorgenti sonore e di aree rumorose

Figura 19.1: Esempi di utilizzo di schermature.

Figura 19.2: Esempio di applicazione di ruote per la movimentazione di schermi.

Da un punto di vista generale è consigliabile utilizzare gli schermi quando:

• il guadagno acustico richiesto è al massimo di 10 dB. Come si è detto, il potere fonoiso-lante delle schermature dipende dalla loro composizione e pertanto può raggiungere teo-ricamente valori anche molto elevati. In realtà il limite alla loro efficacia è dato dal fatto di essere dimensionalmente finiti, e quindi consentire il passaggio, per diffrazione al contor-no e per scavalcamento, di parte del segnale. Date queste limitazioni, che contengocontor-no contor- nor-malmente entro i 10 dB il valore del fonoisolamento reale, ha poco senso realizzare questi interventi con strutture troppo pesanti;

• la sorgenti (macchine o attività) sono concentrate in zone limitate e non è possibile cabi-narle per la loro stretta interdipendenza dalle aree vicine che si vogliono comunque pro-teggere. Quando le sorgenti sono costituite da attività (smerigliatura, martellatura, saldatu-ra…) occorre spesso agire preliminarmente sul ciclo produttivo per riuscire a localizzare la realizzazione di significative quote di attività

• gli impianti sono automatici o semiautomatici, ma solo in punti predeterminati;

• esistono esigenze di sicurezza per le quali non possono esistere ostacoli o ritardi alla manutenzione. Il fatto che lo schermo sia spesso istallato solo da un lato dell’impianto per-mette l’intervento immediato e la quasi totale accessibilità per i manutentori;

• per lavorazioni che non sempre possono essere contenute in spazi predefiniti o, in altre parole, che di volta in volta possono avere bisogno di spazi più o meno ampi. Per questi casi si possono adottare soluzioni con schermi mobili o racchiudibili a soffietto, così defi-nendo aree di lavoro con dimensioni variabili e funzionali ai pezzi in lavorazione. In questi casi la protezione è ovviamente offerta non tanto agli operatori della lavorazione segrega-ta, quanto per gli addetti ad altre lavorazioni nelle immediate vicinanze;

• ci si trova in presenza di un ambiente già oggetto di trattamento di fonoassorbimento ambientale.

Nelle Tabelle 19.1 e 19.2 seguenti si riportano i dati sperimentali delle attenuazioni acustiche ottenibili tramite schermi acustici in ambienti chiusi (uffici open space e ambienti industriali) ricavati dal lavoro di un ricercatore tedesco Kurze.

Tabella 19.1: Attenuazione di barriere in uffici open space (*), dB

Altezza barriera Distanza tra sorgente e ricevitore, m

M da 2 a 3 da 4 a 6 da 7 a 9 Rumore continuo da 1,3 a 1,5 6,4 5,4 4,1 da 1,5 a 2,2 8,3 6,5 6,0 Rumore impulsivo da 1,5 a 2,2 8,8 8,1 6,4

Tabella 19.2: Attenuazione di barriere in ambienti industriali (*), dB

Altezza barriera/ Distanza tra sorgente-ricevitore/altezza locale

Altezza locale 0,3 da 0,3 a 1 da 1 a 3

0,3 7,4 3,6

da 0,3 a 0,5 10 7,1 4,5

0,5 8,6 6,3

* Valori medi in bande d’ottava a 1000 Hz, soffitti non trattati di altezza tra 3÷13 m.

Schermature all’aperto (Barriere acustiche)

Hanno caratteristiche costruttive simili alle schermature per interno, salvo utilizzare materiali idonei protetti meccanicamente e/o

chi-micamente dagli agenti atmosferici. Sono utilizzate per schermare impianti all’aperto, come gruppi frigo, o per pro-teggere zone rumorose, come piazzali di carico e scarico (Figura 19.3).

Dal punto di vista dell’efficienza degli impianti, l’adozione di questa soluzione non presenta solitamente inconvenienti. È importante valutare preventivamente le corrette dimensioni delle barriere: allo scopo generalmente si adottano sistemi previsionali che utilizzano i principi del-l’ottica.

L’assenza di riflessioni, dovuta al campo libero, fa si che l’ombra acustica sia la massima possibile ovvero che, a parità di ombra acustica, le dimensioni siano più contenute, con conseguente economia di acquisto.

Da un punto di vista generale sono consigliabili le barriere acustiche quando:

• il disturbo proviene da un’area ben definita. Un ottimo esempio è dato dal piazzale di cari-co di un’azienda a ciclo cari-continuo: il disturbo prodotto dal trafficari-co di veicari-coli e dal loro sta-zionamento a motore acceso può essere ridotto con questo sistema in presenza di ricet-tori vicini senza necessariamente isolare tutta l’area.

È necessario accertarsi che il disturbo provenga effettivamente da macchinari e/o attività esterne e non dal corpo dell’edificio nel qual caso è ovviamente preferibile intervenire prima all’interno così risolvendo anche il problema dell’esposizione dei lavoratori.

Una rassegna delle schermature realizzate sul campo è riportata nella sezione C del Terzo Livello.

SORGENTE RUMOROSA

Figura 19.3: Esempio di utilizzo di barriere acustiche sul tetto di un edificio.

Riprendendo quanto già discusso nei paragrafi 3.2.6 e 6.2.8 del 1° Livello del Manuale, da un punto di vista generale, i trattamenti fonoassorbenti sono da consigliare nel caso:

1) siano sufficienti riduzioni del rumore di 5-6 dB;

2) di numerose sorgenti distribuite nell’ambiente che emettono livelli di potenza sonora analoghi tra di loro: in questo caso il rumore non dipende tanto dalle singole emissio-ni, quanto dalla loro somma; il trattamento fonoassorbente riduce il contributo delle molteplici sorgenti lontane;

3) di ambienti molto riverberanti con sorgenti concentrate: in questo caso i trattamenti sono più vantaggiosi per i lavoratori che operano lontano dalle sorgenti e che non svolgono mansioni rumorose (carrellisti, montatori, magazzinieri, ecc.);

4) di lavorazioni manuali con forti interdipen-denze (carico/scarico pezzi, alimentazioni di materiali di supporto, forniture …) dalle aree vicine

Sul mercato sono presenti materiali e sistemi fonoassorbenti di vario tipo e di diversa effica-cia. Dato che, come si è visto, l’assorbimento dipende dalla frequenza del rumore, in primo luogo è necessario conoscere le caratteristi-che spettrali del rumore caratteristi-che si vuole ridurre e sulla base di queste individuare le soluzioni più adeguate (vedi Figura 20.1).

Scheda 20