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All’inizio del XX secolo il panorama della vecchia Populonia si presentava con una quantità enorme di scorie ferrose risalenti al periodo di attività etrusco e romano. Quasi mezzo milione di metri cubi di materiale ferroso era accumulato nell’area della zona di San Cerbone, appena dietro il Golfo di Baratti. Queste scorie nascondevo ancora il 60 per cento di metallo utile, e sarà proprio nei primi anni del Novecento ad interessare gli ingegneri minerali. Guardava a quelle risorse l’Italia, nel periodo tra le due Guerre Mondiali, ma non solo, anche il Belgio e l’Inghilterra. Nel 1921 incominciarono i lavori per il recupero dei residui etruschi da parte della società Ferromin, per diventare nel tempo Italsider e poi ILVA, e si protrassero per ben quaranta anni, fino al 1969 con l’eliminazione totale dei resti della miniera. Le escavatrici in funzione demolirono le montagne di residui prodotti molti secoli prima, trascinando le scorie verso il mare per poi essere caricate su grandi navi e far in qualche modo “ritorno” da dov’erano venute, ossia l’isola d’Elba, lì sono presenti i magazzini minerali di Rio Marina. Le stesse escavatrici fecero riapparire e permisero il ritrovamento delle monumentali tombe della più antica Necropoli populoniese, sotto accumuli di scorie di oltre dieci metri.

Come si presentava il Golfo di Baratti nel maggio del 1926. Immagine estratta dalla Relazione Paesaggistica, 2013. Andrea SEMPLICI, Parco Archeologico di Baratti e Populonia,

Guida alla scoperta di un paesaggio, Firenze, 2008, Parchi Val di Cornia S.p.A., Piombino, pagg. 43-45.

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Molto significative sono le fotografie di quei primi anni del Novecento. La grande città che fino ad allora non si era ancora mostrata, a differenza delle altre città etrusche, finalmente era riuscita a ricomparire e manifestare la propria grandezza al mondo intero, dando l’avvio a numerose campagne di scavo e di rilievo, tutt’oggi ancora presenti.

La primissima campagna iniziò nel 1908, anche se verso la fine dell’Ottocento ci furono alcuni scavi archeologici eseguiti a livello “amatoriale”. Nel 1889 il conte Curzio Desideri, allora proprietario della tenuta di Populonia, si fece realizzare un podere in prossima del golfo di Baratti, oggi noto come il Centro Visite del Parco Archeologico. Durante i lavori per la realizzazione della nuova viabilità, il noto archeologo Falchi, scopritore di un’altra grande potenza Etrusca, Vetulonia, notò una pietra squadrata di arenaria che nascondeva una tomba di cassone. In realtà si scoprirà successivamente a cosa corrispondeva quella pietra, distratto dagli studi sull’altra città Etrusca, non diede troppo peso alla scoperta. I contadini della zona, che non avevano nulla da perdere, iniziarono campagne abusive di scavo alla ricerca di qualche tesoro. Furono accontentati con la scoperta di alcune tombe e diversi corredi funebri, da quel giorno la zona di San Cerbone venne invasa da archeologi, tombaroli, antiquari e nel frattempo gli operai occupati nella rimozione delle scorie ferrose.

Gli anni d’oro dell’archeologia Etrusca a Populonia iniziarono a partire dal 1914 con il Soprintendente dell’antichità d’Etruria, Antonio Minto.

Accumuli ferrosi in corrispondenza del Golfo di Baratti, alti diversi metri. Immagine estratta dalla Relazione Paesaggistica, 2013.

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Fotografia degli operai durante le operazioni di recupero delle scorie ferrose. Immagine estratta dalla Relazione Paesaggistica, 2013.

Ritrovamento della Tomba del Bronzetto d’Offerente nel 1957. Immagine estratta dalla Relazione Paesaggistica, 2013. Ritrovamento di monumenti funerari all’interno della Necropoli di San Cerbone. Immagine estratta dalla Relazione Paesaggistica, 2013.

102 Anima il golfo una fervente attività. Si è scoperto che le antiche scorie di fusione contengono ancora moltissimo ferro, da rifondere e riutilizzare. Si disbosca, si scavano intere colline di scorie, che vengono trasportate in vagoni ferroviari fino al porto; qui una teleferica le imbarca nelle stive di grandi navi a vapore. Gli uffici contabili segnano carichi e i volumi della produzione, che serve, in regime di autarchia, all’industria nazionale. Dai tempi dei Francesi, all’inizio del secolo precedente, si è provveduto a bonificare paludi e acquitrini. Nelle campagne, ravvivate da nuove case coloniche, si è tornati a coltivare il grano in grandi estensioni, anche se la malaria e il tifo ancora non sono del tutto debellati. Sono sorti, fin dall’epoca dei Granduchi di Toscana, nuovi centri abitati e sul tracciato dell’antica via consolare, riattivata e adattata alle nuove esigenze, ora corrono le carrozze, i convogli e le prime automobili. Una moderna strada ferrata attraversa la piana ai piedi delle colline. Unisce Livorno a Roma e da essa partono i collegamenti per Piombino, capitale delle acciaierie, e per il golfo di Baratti, ancora dominato dalla rocca quattrocentesca di Populonia. Nel cuore delle montagne dai fianchi sventrati per cavare le pietre, le miniere offrono ingrato lavoro a migliaia di maestranze. Il progresso, è anche modifica di paesaggi millenari, talvolta fino alla distruzione degli antichi equilibri ambientali. Incessante, oltre a quella degli ingegneri, è anche l’attività degli archeologici. Che qui ci fosse l’antica Populonia, si sapeva fin dal Rinascimento, ma della città restava visibile sull’Acropoli solo la scenografia delle Logge. Poi, nell’ultimo secolo, scoperte fortuite avevano rilevato inaspettati tesori: una fiasca di vetro istoriata, una statua di bronzo bellissima, un prezioso mosaico con scene marine. Ma ora, lentamente, tra le colline delle scorie ferrose riemergono i grandi tumuli etruschi, con carri e ventagli di bronzo, oreficerie e vasi bellissimi. Il lavoro dei ricercatori di ferro è affiancato da quello degli scavatori. Sono molti, tutti sono le direttive di Antonio Minto.