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Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica idiopatica che colpisce tutto il tratto gastroenterico e che può presentare diversi livelli di gravità, diverse manifestazioni e un decorso clinico piuttosto imprevedibile. Il piccolo intestino è il segmento del tratto gastrointestinale che viene maggiormente interessato dalla malattia ed è, purtroppo, quello più difficilmente esaminabile con le tecniche endoscopiche.

La Risonanza Magnetica è una tecnica di indagine che ad oggi sta diventando sempre più importante nell’ambito della diagnosi e del follow up dei pazienti affetti da questa malattia; essa permette una valutazione della malattia di parete e del comparto extra parietale ed offre molteplici vantaggi che consentono di “stadiare” la malattia nella totale assenza di radiazioni ionizzanti (fatto assolutamente non irrilevante, vista la giovane età della maggior parte dei pazienti affetti da MC). Lo scopo dello studio è stato quello di identificare il ruolo diagnostico della Risonanza Magnetica nella valutazione dell’attività di malattia in pazienti con diagnosi istologica di morbo di Crohn.

I dati ottenuti dall’analisi delle immagini, atti a valutare l’attività di malattia, sono stati posti in correlazione con il Crohn Activity Index (CDAI); questo indice è stato preso come riferimento poiché è un indicatore dello stato di malattia comunemente utilizzato nella pratica clinica e in molteplici trials. E’ stata dimostrata concordanza tra i risultati del nostro studio e la classificazione dello stadio di malattia ottenuta con il CDAI.

CAPITOLO 4

Materiali e Metodi

Nel periodo compreso tra gennaio 2014 e agosto 2016, un totale di 40 pazienti (27 maschi e 13 femmine in un’età compresa tra 17 e 78 anni) con diagnosi istologica di morbo di Crohn, sono stati sottoposti a esame di Risonanza Magnetica con campo magnetico 3T (Discovery 750, General Electric, Milwaukee, Wisconsin, USA).

La valutazione dello score clinico CDAI è stata effettuata nei tre giorni precedenti l’esame di risonanza, al fine di poter valutare la correlazione tra questo indice e i reperti d’imaging. Da tutti i pazienti è stato ottenuto il consenso scritto firmato.

Ø Il Protocollo di studio

Il paziente viene esaminato digiuno. Il protocollo di studio consiste nel somministrare per via orale al soggetto in analisi, circa un’ora prima dell’esame, 1000-1500 ml di soluzione acquosa iso-osmotica con polietileneglicole (PEG) ed elettroliti, suddivisi in due-tre bottigliette da 500 ml ciascuna.

Le tempistiche per l’assunzione del mezzo di contrasto orale sono estremamente precise: ogni paziente viene infatti istruito nel bere ogni bottiglia in un tempo pari a 10 minuti (quindi con un ritmo piuttosto lento) con una pausa tra una bottiglia e la successiva di 5 minuti. In totale quindi il paziente beve 1500 ml di soluzione acquosa in un tempo pari a 45 minuti; differente è il quantitativo di polietileneglicole diluito in acqua nei pazienti che hanno subito interventi di resezione intestinale, questi infatti assumono solo 1000 ml di soluzione (quindi due bottigliette da 500 ml in un tempo pari a 30 minuti).

Questi specifici parametri di quantità e di tempistiche di somministrazione permettono di raggiungere un’ottima distensione delle anse intestinali minimizzando la comparsa di effetti collaterali quali nausea e/o vomito.

Una volta che la soluzione di polietileneglicole è stata bevuta, il paziente viene quindi ammesso nella sala di risonanza e dopo il posizionamento di un accesso venoso, viene collocato sul lettino in posizione prona. Il decubito prono permette una facilitazione della separazione delle anse intestinali e ciò comporta una diminuzione del volume addominale da esaminare che, a sua volta, porta ad una diminuzione del tempo di acquisizione (per diminuzione del numero di sequenze che devono essere acquisite). Alcuni pazienti, tuttavia, possono non tollerare tale posizione perciò debbono essere posti in decubito supino, il quale risulta comunque un posizionamento adeguato. 6

L’esame di risonanza magnetica inizia con l’acquisizione di una sequenza scout standard, seguita da una FIESTA o true-FISP (TR/TE 4.5 ms/2.25 ms, slice thickness 4 mm, FoV phase 380 mm, matrix 179x256, 24 slices, 20-s breath-hold duration, one signal average) sui piani coronale ed assiale. La stessa sequenza viene poi ripetuta, sul piano coronale, con la saturazione del grasso (TR/TE 4.5 ms/2.25 ms, slice thickness 4 mm, FoV phase 350 mm, matrix 179x256, 24 slices, 20-s breath-hold duration, one

signal average).

Segue la somministrazione di 20 mg di antipersitaltico per via endovenosa (Buscopan®) e quindi l’acquisizione di sequenze SSFSE o HASTE sul piano coronale

(TR/TE 1900/95ms, slice thickness 4 mm, FoV phase 380 mm, matrix 173x192, 24 slices,

one signal average).

Viene poi somministrato il mezzo di contrasto per via endovenosa (un chelato del Gadolinio, Magnevist®) in una dose pari a 0.2 ml/Kg del peso del paziente, seguito dall’acquisizione di sequenze LAVA o Vibe con saturazione del segnale adiposo sul piano coronale (TR/TE 3.79 ms/1.61 ms, slice thickness 2.2 mm, FoV phase 345 mm,

matrix 158x384, flip angle 10°, one signal average).

Mentre le sequenze FIESTA e SSFSE sono state impiegate per la valutazione dell’anatomia del piccolo intestino, per il riconoscimento di un qualsiasi tratto anomalo (affetto da ulcere, ispessimento parietale, steno-ostruzioni etc..) e la presenza di eventuali complicanze extramurali (come fistole, ascessi, linfoadenopatie,

proliferazione fibroadiposa etc..), le sequenze T1 3D LAVA sono state utilizzate per la valutazione del grado di enhancement della parete intestinale.

“Postprocessing” delle immagini

Tutte le immagini sono state analizzate, in maniera indipendente, da due radiologi esperti.

Gli esaminatori erano a conoscenza della diagnosi istologica di morbo di Crohn, ma non dello stato clinico dei pazienti. Dopo aver osservato tutte le immagini, i tratti coinvolti da malattia sono stati valutati nelle sequenze T1 3D Vibe e l’analisi di essi si è concentrata in particolar modo sulla diversa captazione contrastografica della parete.

Sulla base di ciò, sono stati individuati tre tipi di pattern di enhancement, ognuno dei quali corrispondente ad una specifica fase di malattia.

Il pattern contrastografico tristratificato è stato associato ad una fase attiva di malattia, il pattern diffusamente omogeneo ad una fase subacuta mentre il pattern disomogeneo è stato correlato ad una fase cronica.

Questi tre pattern sono stati correlati con il valore del CDAI.

Per permettere tale correlazione, è stato affidato ad ogni pattern di enhancement contrastografico un punteggio (enhancement score, E-RM), come nella tabella seguente (Tab.1). PATTERN CONTRASTOGRAFICO E-RM Pattern diffusamente disomogeneo 0 Pattern diffusamente omogeneo 1 Pattern tristratificato 2 Tab. 1

CAPITOLO 5

Risultati

Dei 40 pazienti esaminati, 19 risultavano in fase attiva di malattia, 11 in fase subacuta e 10 in fase cronica. Tali risultati sono stati correlati all’indice CDAI e il risultato è stato il seguente: I pazienti con CDAI <150 risultavano, alla RM, in fase cronica, quelli con CDAI compreso tra 150 e 450 risultavano in fase subacuta e quelli con CDAI >450 risultavano invece in fase attiva di malattia.

Tutte le nostre diagnosi di attività di malattia sono state confermate da analisi istologiche.

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