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Scrittura e struttura del testo normativo

LE REGOLE SULLA QUALITA' NORMATIVA REGIONALE

3.8 Scrittura e struttura del testo normativo

La seconda e la terza parte del manuale si occupano rispettivamente della scrittura del testo normativo e della sua struttura. In particolare per quanto riguarda la scrittura del testo, il manuale si riferisce agli aspetti prettamente redazionali come l'uso delle abbreviazioni, della punteggiatura e delle citazioni; aspetti che potrebbero apparire di poca importanza ma che in realtà rivestono un ruolo basilare nel perseguimento degli obbiettivi di chiarezza e univocità delle disposizioni normative. Con riferimento a detta parte del manuale risalta particolarmente l'indicazione, contenuta nel paragrafo 21, la quale prevede che qualora il redattore si trovi a dover abbreviare un espressione composta, è consigliabile utilizzare un'abbreviazione che contenga “una materia cui fa riferimento l'espressione composta, anche per agevolarne la comprensione o la ricerca”. Tale indicazione testimonia innanzitutto l'importanza di quei meccanismi volti a semplificare l'interpretazione dell'atto da parte dei destinatari, e in secondo luogo si configura come un agevolazione alla ricerca di norme rilevanti in un determinato ambito, grazie all'utilizzo di strumenti telematici quali la ricerca testuale. Un ulteriore problematica affrontata in questa parte del manuale è quella riguardante le citazioni di parti di atti normativi. In particolare l'indicazione contenuta nel paragrafo 34 scoraggia l'utilizzo di dizioni quali “l'ultima lettera” o “la penultima lettera” di tale comma di tale articolo, dal momento che, in seguito a potenziali modificazioni dell'articolo al quale si rimanda, è possibile che la lettera citata perda la sua posizione di “ultima” o “penultima”, di conseguenza, a scanso di equivoci, viene consigliato di citare la lettera o il comma che si desidera attraverso il segno grafico che la contraddistingue, oppure citando testualmente e per esteso la parte cui si vuole rinviare. La

struttura dell'atto normativo viene delineata dal manuale sia nel suo aspetto formale che nel suo aspetto sostanziale. Innanzitutto la parte del manuale relativa alla struttura dell'atto si apre con un paragrafo dedicato agli elementi costitutivi della disposizione normativa, chiarendo che l'elemento d'apertura, costituito dal preambolo (o premessa), è un elemento esclusivo degli atti non legislativi; ma tale affermazione si palesa ictu oculi in controtendenza rispetto alla prassi attuale (probabilmente sviluppatasi in seguito all'esperienza comunitaria), la quale prevede che l'elemento in questione venga inserito anche negli atti di normazione primaria. La parte in discorso pone poi particolare attenzione al titolo degli atti normativi, dettando disposizioni riguardanti la sua forma, il suo contenuto e la sua struttura, al fine di garantire che esso assolva alla sua funzione primaria, cioè quella informativa. In particolare il Manuale richiede che il titolo non sia eccessivamente lungo (in quanto questo andrebbe a discapito della sua semplicità), che riguardi tutti gli argomenti trattati nell'atto e che possa essere considerato omogeneo col testo sottostante. Nello specifico, con riferimento a quest'ultima caratteristica, l'omogeneità tra titolo e testo dev'essere valutata sotto due angolazioni: in primo luogo è necessario che l'utilizzo di determinati termini sia lo stesso sia nel titolo che nel testo, in modo tale da evitare il prodursi di possibili dubbi interpretativi, e in secondo luogo è necessario evitare l'utilizzo, nell'atto normativo, delle cosiddette “disposizioni intruse”, che hanno un contenuto diverso da quello ricavabile dal titolo27.

Le regole relative alla struttura formale degli atti sono dirette all'omologazione dei testi normativi, creando un modello di riferimento volto a scongiurare l'utilizzo di segni grafici o di strutture diverse da atto ad atto. Tale regole stabiliscono che il nucleo

fondamentale dell'atto normativo è rappresentato dall'articolo, il quale deve contenere tutte le disposizioni formanti il corpo normativo (ad eccezione degli allegati), deve essere breve e suddiviso in commi, i quali a loro volta possono presentare ulteriori suddivisioni interne quando necessarie, rappresentate da lettere minuscole dell'alfabeto, con assoluta esclusione di trattini o altri segni distintivi. Il Manuale prevede poi che, per dare complessità al testo normativo, vi vengano inserite anche partizioni superiori all'articolo, se seguano una precisa gerarchia (sezioni, capi, titoli, parti e libri).

Per ciò che concerne invece la struttura sostanziale dell'atto normativo, le regole che la riguardano rivolgono particolare attenzione agli allegati dell'atto, descrivendone tipologia, forma e funzione. Per quanto riguarda la loro tipologia il Manuale distingue preliminarmente quegli allegati che costituiscono parte integrante del corpo normativo (e che possono quindi essere modificati dallo stesso legislatore che l'atto ha prodotto), da quelli che invece sono immodificabili (si pensi ad esempio alla legge con la quale si ratifica un trattato internazionale: allegato alla legge sarà il trattato stesso, il quale però non potrà essere modificato dal legislatore competente alla ratifica). Per quanto riguarda la forma degli allegati, questa è strettamente connessa alla loro funzione, in quanto, spesso, si rivela particolarmente difficile rappresentare un determinato fenomeno avvalendosi del solo linguaggio normativo, di conseguenza la funzione degli allegati è proprio quella di risolvere tale difficoltà, offrendo una corretta rappresentazione della realtà disciplinata nella norma, avvalendosi anche dell'uso di strumenti quali tabelle, grafici ed elenchi, che ne rappresentano quindi la forma.

3.9 I riferimenti

La parte quarta del manuale di “drafting regionale” è dedicata ai riferimenti (o rinvii). Questi costituiscono un tema particolarmente complesso nell'ambito della tutela della qualità legislativa e le indicazioni contenute nel Manuale di tecnica legislativa permettono la scelta tra diverse opzioni con differenti effetti pratici28. La parte in discorso si apre tuttavia con alcuni suggerimenti che non presentano particolari problemi, limitandosi a sancire la distinzione tra riferimenti interni ed esterni e a proclamare il divieto dei cosiddetti “riferimenti a catena”, suscettibili di creare confusione agli occhi dell'interprete. Ciò che invece ha suscitato un complesso dibattito in dottrina29 è il paragrafo 56, che tratta dei riferimenti esterni e in particolare dei rinvii formali e materiali. In tema di rinvii la dottrina ha posto una classificazione distinguente il rinvio materiale (o fisso) dal rinvio formale (o mobile). Il primo opera un recezione della disposizione richiamata nel teso vigente ad una determinata data, cosicchè le modificazioni successive non hanno effetto sull'atto rinviante, mentre il secondo non si riferisce alla disposizione richiamata, ma alla fonte di questa, cosicchè deve essere inteso quale rinvio alla disposizione nel testo vigente al momento dell'applicazione della disposizione rinviante30. In questo modo, qualora intervenissero delle modifiche nella disposizione richiamata, il rinvio opererà sulla nuova disposizione, modificando così la norma rinviante. Tuttavia, sebbene sul piano teorico il discrimine tra questi due tipi di rinvii risulti sufficientemente chiaro, lo stesso non si può dire sul piano pratico, dal momento che, riguardo alla loro

28 M. Ceccato, Tecnica legislativa: le nuove regole statali e le regole

interregionali, in Iter Legis, 2001, n° 2/3, p.9

29 R. Pagano, Introduzione alla legistica, III ed., Milano, 2004, p. 157

formulazione, le due fattispecie spesso non presentano sensibili differenze31. La distinzione tra rinvio formale o rinvio materiale risulta quindi essere un onere dell'interprete, anche se, come testimoniato da numerose esperienze32, la questione non appare di pacifica soluzione. Per risolvere tali complicanze il Manuale prescrive l'impiego del solo rinvio formale, oltre che la sostituzione del rinvio materiale con la riscrittura dell'intero testo. Di conseguenza la tendenza contenuta nel manuale, pare quella di escludere rigorosamente il ricorso al rinvio materiale, tranne nei casi in cui si sia palesata la volontà contraria del legislatore. Del resto anche la Corte Costituzionale si è mossa in questa stessa direzione, difatti, con la sentenza n° 311/1993, ha posto una vera e propria presunzione di rinvio formale, superabile solo con il richiamo a norme determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma rinviante. Allo stesso modo il Manuale ritiene che debba essere disatteso l'uso della locuzione “e successive modificazioni”, nonostante la sua consistente diffusione nella legislazione regionale e nelle circolari statali. Il motivo di questa esclusione risiede nell'insita ambiguità che detta formula presenta; difatti questa può essere utilizzata per indicare atti che siano stati modificati in seguito alla loro adozione, ma prima dell'adozione dell'atto rinviante, oppure può essere utilizzata per indicare la natura formale del rinvio, intendendo quindi dette modificazioni come future e posteriori rispetto allo stesso atto che contiene il rinvio33. Nell'ottica del Manuale entrambe le prospettazioni sono criticabili dal momento che, attribuendo alla formula “e successive modificazioni” il primo significato, tale

31 A. Papa, Alcune considerazioni sulla tecnica del rinvio nella produzione

normativa, in Rassegna Parlamentare, 1991, p. 288

32 A. Macchia, Liberazione condizionale e art. 4-bis ord. penitenz.: rinvio formale

o ricettizio?, in Cassazione Penale, 1995, p 1785-1787

periodo non avrebbe motivo di esistere, dal momento che il Manuale prevede la diretta citazione di tutte le modificazioni intervenute; mentre attribuendole il secondo significato, la locuzione risulterebbe del tutto superflua, dato che, in assenza di specificazioni, il Manuale prescrive che il rinvio deve comunque presumersi formale.

Per completezza dell'esposizione si ritiene necessario operare un cenno anche ai cosiddetti “criteri formali” da utilizzare nella formulazione dei rinvii. In particolare è necessario esporre la soluzione prospettata dal Manuale riguardo alla citazione del titolo degli atti a cui si rinvia, rivestente una certa rilevanza dal punto di vista informativo. Nello specifico la prima edizione del Manuale imponeva la citazione del titolo, al fine di evitare i cosiddetti “rinvii muti” (contenenti solo data e numero degli atti); tale regola era posta al fine di rendere comprensibile il significato della norma, evitando la consultazione dell'atto al quale si rinviava. Tuttavia tale regola apparve eccessivamente drastica e poco funzionale nella sua applicazione, in quanto spesso la citazione del titolo della legge non facilitava la comprensione dell'atto, ma anzi risultava deviante. Perciò detta regola fu' modificata e, attualmente, l'ultima edizione del manuale, pur mantenendo l'indicazione generale favorevole alla citazione del titolo, riserva la facoltà di utilizzare il cosiddetto “titolo breve”(largamente utilizzato nell'ordinamento statunitense), o anche di sostituirlo nei casi opportuni.

3.10 Le modifiche

La parte ultima (escludendo gli allegati) del Manuale “Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi” è dedicata alle modifiche. Preliminarmente la parte del Manuale in oggetto intende fare chiarezza sul concetto di “modifica”, offrendone una definizione precisa che la differenzi da altre operazioni, quali la sostituzione, l'integrazione o l'abrogazione: difatti, molto spesso, questi termini vengono impiegati erroneamente con il medesimo significato della modifica, generando evidente confusione. Nello specifico il Manuale definisce la modifica come una disposizione che interviene in un testo normativo vigente, variandone il contenuto; per completezza, vengono indicate anche le definizioni degli altri istituti suscettibili di essere accomunati al termine “modifica”. In particolare, la sostituzione viene definita come quella disposizione la quale non si limita a rimuovere termini presenti nell'atto, ma che anzi li sostituisce con altri; il termine integrazione invece, dovrebbe essere utilizzato per indicare quelle disposizioni che introducono nel testo nuove parole, senza tuttavia sottrarne alcuna tra quelle già presenti; infine il termine abrogazione dev'essere impiegato per indicare quelle disposizioni innovative volte ad eliminare le norme già esistenti. Inoltre in questa parte del Manuale viene ribadito il principio di diritto costituzionale del rispetto della gerarchia delle fonti, che assume valore particolarmente pregnante con riferimento al tema delle modifiche, dal momento che, specie negli ultimi anni, si è decisamente diffusa la prassi illecita, di modificare disposizioni normative attraverso atti di non parigrado. Nel documento analizzato vengono poi elencate le differenti tipologie di modifiche, distinguendo preliminarmente tra modifiche implicite (dette anche materiali) e modifiche esplicite (dette anche testuali). Le prime non intervengono direttamente sul testo normativo, ma apportano

cambiamenti alla fonte-atto ricavabili solo attraverso un attività ermeneutica, non introducendo alcuna espressa avvertenza in tal senso34. L'utilizzo di tale tipologia di modifica però presenta notevoli aspetti negativi, dal momento che comporta la coesistenza, all'interno dell'ordinamento giuridico, di due disposizioni normative contrastanti tra loro (quella precedente e quella successiva), causando notevole incertezza giuridica. Inoltre, la portata abrogativa o modificativa della norma più recente dipenderà dalla valutazione del giudice, la quale però produrrà effetti inter partes, cioè per il solo caso in giudizio. A causa di questi inconvenienti il Manuale sconsiglia l'utilizzo della modifica implicita, a favore dell'impiego della tipologia opposta, ovvero della modifica testuale. Questa si configura come quel tipo di modifica la quale indica espressamente le variazioni effettuate sul testo, indicando le singole disposizioni emendate35. Le precisa opposizione fra modifiche implicite ed esplicite fa sì che gli svantaggi delle prime costituiscano vantaggi per le seconde. Con le modifiche testuali esplicite infatti viene evitata l'eccessiva frammentazione della disciplina normativa in una serie di atti successivi (cosa che invece accade con l'utilizzo delle modifiche implicite), ed inoltre esse favoriscono l'automatismo della sostituzione, non rendendosi necessaria la valutazione di compatibilità del giudice tra disposizioni precedenti e successive, e producendo così effetti erga omnes. Nell'utilizzo di modifiche esplicite viene consigliato dal Manuale di far cenno dei tratti innovativi della disposizione già nel titolo della stessa, e qualora un atto sia stato interessato da una pluralità di modificazioni successive, si consiglia l'intera riformulazione del testo, inserendovi tutte le variazioni successivamente apportate, ricorrendo cioè al cosiddetto

34 R Grazzi – E. Mostacci, Modifiche – Drafting regionale e “locale”, in P. Costanzo (a cura di), Codice di Drafting

“atto di consolidamento”. Inoltre, per rendere maggiormente evidente la modifica del testo, si ritiene preferibile inserire la variazione direttamente all'interno di un determinato articolo, piuttosto che in altre partizioni minori, e l'unità minima del testo da innovare dovrebbe essere il comma, anche quando la modifica riguardi una sola parola.

I paragrafi successivi a quelli appena descritti si occupano nello specifico delle modalità di abrogazione delle norme. Questa è considerata come l'effetto per cui “una regola giuridica valida elimina definitivamente dall'ordinamento una precedente regola giuridica valida”36. Il Manuale, in linea con il più recente orientamento della Corte Costituzionale, invita a non far uso delle cosiddette “abrogazioni innominate”, che vengono poste attraverso formule come “sono abrogate tutte le norme incompatibili con la presente legge” o “sono abrogate le disposizioni della legge x in quanto incompatibili con la presente legge”; sia il Manuale sia la Corte suddetta infatti tendono a “condannare” l'eccessiva genericità del linguaggio del legislatore in materia di abrogazione, adducendo che l'evasività del linguaggio giuridico produce incertezze e ambiguità in merito agli effetti discendenti dall'intervento legislativo37.

Un cenno meritano anche le abrogazioni degli atti “a termine”. Le leggi a termine (sunset laws negli ordinamenti anglosassoni: letteralmente “leggi che tramontano”) sono leggi di tipo sperimentale, volte ad arginare l'effetto dell'inflazione legislativa38. Tali disposizioni prevedono un termine finale alla loro vigenza, in modo tale da permettere al legislatore un periodico controllo sull'utilità della loro persistente presenza all'interno dell'ordinamento

36 G.U. Rescigno, Corso di Diritto Pubblico, Bologna 1996/1997, p. 182 37 Sentenza n° 292/1984 Corte Costituzionale

giuridico. Con riferimento all'abrogazione di questo tipo di atti il Manuale ritiene che sia opportuno abrogare solo nei casi in cui il termine sia incerto. Alla luce di quanto esposto sopra parrebbe difficile che un atto “a termine” contenga un termine incerto riguardo la sua vigenza, dal momento che, se così fosse, verrebbe meno la ragione stessa per la quale questo tipo di atti sono stati emanati. Tuttavia, e ben probabile che, a causa dell'evasività del dettato normativo, si presenti un ipotesi nella quale non sia facilmente individuabile il preciso termine di vigenza dell'atto.

Il paragrafo 88 è poi dedicato al fenomeno della reviviscenza delle disposizioni abrogate o di parte di esse. In pratica la reviviscenza di una norma abrogata corrisponde al ripristino della sua efficacia, effetto che si verifica quando la disposizione abrogatrice è espressamente abrogata da una legge posteriore. L'istituto della reviviscenza però non opera automaticamente: in proposito il Manuale, rifacendosi ad un consolidato orientamento dottrinario e giurisprudenziale, prevede che in assenza di una esplicita manifestazione di volontà del legislatore di riportare in vita la norma abrogata, la reviviscenza non possa sussistere. Sulla scorta di ciò viene suggerito di riscrivere la disposizione abrogata, cosicchè la reviviscenza possa produrre i suoi effetti giuridici. Il discorso diventa vieppiù complesso (suscitando aspri dibattiti dottrinari) qualora la disposizione abrogatrice non sia a sua volta abrogata bensì annullata dalla Corte Costituzionale. In questa circostanza la Corte stessa ritiene che la disposizione abrogata riacquisti sempre efficacia, ma la questione rimane aperta e assai dibattuta39.

Il Manuale volge poi attenzione sull'interpretazione autentica dei dettati normativi, ovvero al significato che il legislatore stesso ha attribuito alla legge. Le disposizioni d'interpretazione autentica sono

strettamente collegate alle disposizione modificative di norme con effetto retroattivo, in quanto, spesso, le disposizioni interpretative autentiche vengono emanate con lo scopo (improprio) di dettare statuizioni innovative che operino retroattivamente. Per ovviare a tale problema viene consigliato nel Manuale di menzionare all'interno della rubrica dell'articolo sia l'atto interpretato che l'intento interpretativo, e di distinguere rigorosamente le disposizioni d'interpretazione autentica da quelle modificative con effetto retroattivo.

Nel prosieguo della trattazione vengono inseriti dei suggerimenti riguardanti le deroghe, le proroghe e le sospensioni delle norme. Partendo dalle prime, il paragrafo 84 ce ne offre una definizione, descrivendole come delle eccezioni ad una normativa generale, che conserva immutato il suo contenuto letterale. La norma derogata e la norma derogante sono legate dal rapporto lex generalis-lex specialis, dove la legge speciale sottrae una o più fattispecie all'ambito di applicazione della legge generale, ma in caso di abrogazione o annullamento della legge speciale, la norma generale espande i suoi effetti ricomprendendovi anche quelle fattispecie in precedenza sottratte dalla norma derogatoria. Analogamente all'istituto della modifica (inteso nel suo senso lato) anche la deroga può essere di tipo implicito e esplicito, e anche in questo caso il discrimine tra le due tipologie è dato dalla sussistenza o meno dell'espressa manifestazione di volontà del legislatore di derogare ad una norma generale. Nelle deroghe implicite l'intenzione del legislatore di disciplinare in maniera eccezionale un singolo caso non viene segnalata, mentre nella deroga esplicita il legislatore ricorre a formule del tipo “in deroga alla legge X” et similia. Inoltre quest'ultimo tipo di deroghe possono configurarsi come testuali, quando in testo della disposizione derogata viene riformulato

inserendovi l'eccezione, che ne diventa parte integrante; oppure non testuali, quando cioè, l'eccezione, seppur prevista, non compare all'interno del testo normativa in oggetto. Il Manuale consiglia di optare sempre per la deroga esplicita di tipo testuale, la quale, a differenza della deroga implicita e della deroga esplicita non testuale, persegue le finalità di attribuire carattere chiaro e univoco alla disposizione nella sua interezza.

Le proroghe e le sospensioni invece, riguardano l'efficacia degli atti, subordinandola a determinati parametri temporali. Le proroghe si verificano quando il legislatore prevede che una data disposizione, che avrebbe dovuto cessare la sua vigenza ad una data prestabilita, perderà invece efficacia o ad un determinato termine o al verificarsi di una determinata condizione. Con la sospensione invece, viene prescritto che una certa disposizione non debba essere applicata per un determinato periodo o fino al verificarsi di una determinata condizione. L'atteggiamento del Manuale riguardo questi istituti è il medesimo tenuto nei confronti delle deroghe e delle modifiche generiche; anche in questo caso viene ritenuto preferibile che, sia le proroghe che le sospensioni, entrino a far parte della disposizione in oggetto attraverso modifiche testuali, ed inoltre il Manuale suggerisce di circoscrivere precisamente l'oggetto delle stesse, al fine di consentire a tutti gli interessati dalla norma, di sapere se la fattispecie a loro riferibile rientri nel contesto della prorogatio, della interruptio o di nessuno dei due. La parte in oggetto si conclude poi