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Quale scrittura, quale letteratura

Constatata l’impossibilità di una soluzione pubblica del problema giustizia, l’uomo

solo Sciascia individua nella scrittura (e, di conseguenza, nella letteratura) lo strumento

in cui aver fede per avvicinare se stesso e i lettori alla verità nascosta dal reale.

Da questo punto di vista, fa parte ormai della tradizione critica citare le considerazioni, presenti in Nero su nero, relative alla composizione de La scomparsa di

Majorana249 e dell’Affaire Moro250. L’idea cardine di letteratura generalmente attribuita a Sciascia è perciò relativa al secondo momento della produzione del siciliano: partito agli esordi da una scrittura tendenzialmente realista, impegnata nel proprio intento accusatore di ogni ingiustizia reale (Onofri giustamente sottolinea i sostrati gramsciani e lukácsiani di questa tendenza, già comunque compromessi da Pirandello), arriva poi a una visione che non condanna e non rinuncia a questi intenti, ma li declina in modi e forme che ormai, «sciolti gli ormeggi della realtà» soffocata dalle menzogne della

248 L. Sciascia, Storia della colonna infame, cit., pp.1073-1074.

249 L. Sciascia, Nero su nero, cit., p.834: «[…] sulla letteratura (che per me, e ne ho avuto piena coscienza da quando ho finito di scrivere sulla scomparsa di Majorana, è la più assoluta forma che la verità possa assumere)».

250 Ibidem., p.830: «E allora: che cos’è la letteratura? Forse un sistema di “oggetti eterni” (e uso con impertinenza questa espressione del professor Whitehead) che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi – e così via – alla luce della verità. Come dire: un sistema solare».

storia, sfociano nella finzione letteraria di un possibile che può risultare più vero («moralmente, filosoficamente, esteticamente») della realtà stessa: è insomma avvenuto il transito dagli «atti relativi» agli «atti assoluti»251. Ovvero, come spiegherà lo stesso Sciascia ne La Sicilia come metafora:

Dalla scrittura-inganno qual era per il contadino e qual è stata per me stesso, sono arrivato alla scrittura-verità, e mi sono convinto che, se la verità ha per forza di cose molte facce, l’unica forma possibile di verità è quella dell’arte. Lo scrittore svela la verità decifrando la realtà e sollevandola alla superficie, in un certo senso semplificandola, anche rendendola più oscura, per come la realtà spesso è […]. C’è però una differenza tra quest’oscurità e quella dell’ignoranza: non si tratta più dell’oscurità dell’inespresso, dell’informe, ma al contrario dell’espresso e del formulato252.

In questo modo, nel rendere evidente (semplificare) ciò che è ingarbugliato e nascosto (oscurità), la scrittura si rivela essere l’unico dispositivo reale di lotta contro il Potere che dominia sulle cose e sulle persone. È in questo modo che, seguendo Paul-Louis Courier, i colpi di penna di Sciascia si riveleranno veri e propri colpi di spada.

Dunque, l’emersione delle diverse facce del reale (dove le più oscurate e celate sono quelle della verità) è possibile solo affidandosi alle certezze dell’arte e al suo «ordine di somiglianze»253 archetipali, certe, vere, che consentono, appunto, d’ordinare «eventi e sentimenti entro una razionale gerarchia di somiglianze, entro un sistema teleologico, all’incrocio di profezia e destino»254. La verità dunque, tentando d’oltrepassare la realtà smascherandola, si protende oltre questa, nel tentativo di assolutizzarsi strappandosi dal corrotto ciclo storico (il quale, in questo modo, pur se dovesse indirizzarsi in una direzione diversa dalla scenario ipotizzato nella produzione letteraria, non è in grado in alcun modo depotenziare il suo essere verità). Ecco perché, come nota Traina, Sciascia giungerà alla conclusione che «la letteratura non è mai del tutto innocente»255: la letteratura è una forza eversiva, una ribellione al Potere senza volto ed è per questo, agli occhi dell’ingiusto diritto codificato, colpevole; e con lei lo scrittore, con le sue

251 M. Onofri, Storia di Sciascia, cit., p.193: «Solo nella luce della verità, delle possibilità che la verità postula, a cui la letteratura attinge, malgrado, e qualche volta contro la realtà, i fatti da “relativi” diventano “assoluti”».

252 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 87.

253 L. Sciascia, L’ordine delle somiglianze, in Cruciverba, cit., p.989: «Non c’è ordine senza le somiglianze, non c’è conoscenza, non c’è giudizio. I ritratti di Antonello [da Messina] somigliano; sono l’idea stessa, l’archè, della somiglianza».

254 M. Onofri, Storia di Sciascia, cit., p.234.

lacerazioni e i suoi dubbi, si sgancia dal reale, estraniandosi, ma rimanendo, pasolinianamente, l’unico in grado di dire Io so.

Nel concreto, il passaggio dalla scrittura-inganno alla scrittura-verità comporterà anche una mutazione delle forme narrative. Già Pasolini aveva compreso che «l’unica analisi possibile e fruttuosa dei libri di Sciascia è proprio un’analisi linguistica»256: dietro all’apparente facilità e felicità della scrittura sciasciana, tale che la stessa «tende a non esserci» per effetto della «discrezione» dell’autore, si nasconde «un interesse linguistico […] molto più forte e accanito di quello richiesto a una scrittura vistosamente espressiva»257. Da Pasolini in poi, perciò, non solo è consigliabile ma diviene necessario, da parte della critica, lo studio stilistico e linguistico delle forme espressive di Sciascia, per poterne saggiare la complessità architettonica e la portata ideologica.

Bisogna anzitutto rilevare come l’evoluzione delle forme non sia una metamorfosi totale, un rinnegamento degli scritti precedenti, nei quali fin da subito Sciascia è «naturalmente predisposto», come detto, «a raffigurare stoicamente la violenza del Potere e la pulsione di morte»; tuttavia è solo «dagli anni Settanta in poi» che sembra «capace di allestire le più lucide allegorie di un preciso contesto» sociale, culturale e politico. Di conseguenza, si può dire che «la modalità dominante nella scrittura sciasciana, ibrida di accecamento verticale e orizzontalità argomentativa, resta il sistema luminoso delle prime poesie accompagnato all’antropologia pessimistica delle prime

Favole»258. Ciò che muta è la possibilità d’indagine della realtà da parte degli intellettuali, che significherà, nella scrittura di Sciascia, la maggiore importanza assunta da elementi stilistici come l’ibridazione romanzo-saggio e l’utilizzo della citazione.

La collocazione mediana tra romanzo e saggio di molti testi qui presi in esame, risiede nella volontà di Sciascia di evitare «il racconto totale, che finirebbe col travolgere empiricamente le verità più profonde della storia, e il saggio totale, che finirebbe con l’astrattizzare la storia scaricandone fuori dunque, ancora una volta, le

256 P.P. Pasolini, Mafia, ambienti e personaggi di Leonardo Sciascia, in AA.VV., Leonardo Sciascia. La

verità, l’aspra verità, cit., p.223. Poco più avanti, in merito all’analisi specifica del tema mafioso (p.226):

«Dunque, in parole povere, il suo atteggiamento di scrittore realista non può essere che razionale: ma la materia su cui parla è in se stessa non razionalizzabile».

257 Ibidem., p.223.

verità vitali»259. Tutto ciò, verrebbe da dire, senza mai perdersi in un genere indefinibile e senza mai dimenticare che è nella scrittura letteraria che risiede la spada e la fiducia:

Lo scrittore rappresenta la verità, la vera letteratura distinguendosi dalla falsa solo per l’ineffabile senso della verità. Va tuttavia precisato che lo scrittore non è per questo né un filosofo né unostorico, ma solo qualcuno che coglie intuitivamente la verità. Per quanto mi riguarda, io scopro nella letteratura quel che non riesco a scoprire negli analisti più elucrubranti, i quali vorrebbero fornire spiegazioni esaurienti e soluzioni a tutti i problemi. Sì, la storia mente e le sue menzogne avvolgono di una stessa polvere tutte le teorie che dalla storia nascono260.

Il compenetrarsi delle forme narrative e saggistiche avviene tramite tecniche di digressione e divagazione261; il montaggio di una successione di frammenti in modo «calibrato […] che fa pensare a una loro interna necessità»262; la riscrittura parzialmente finzionale di fatti storici rilevanti, dimenticati o non conclusi e chiariti; e, in ultima istanza, tramite le citazioni.

Gli espedienti retorici delineati sono enfatizzati dall’utilizzo di forme letterarie minori e meno attuali come il pamphlet o la sotie263; e soprattutto, costruendo spesso opere prive di chiara conclusione, esigono una consistente attività ermeneutica del lettore264, chiamato soprattutto nel possente corpo citazionale a sbrogliare il filo intrecciato da Sciascia. Lo studio più importante in questo senso rimane quello condotto da Ricciarda Ricorda265, la quale individua proprio nello utilizzo citazionale la possibilità di una distinzione tra una prima e una seconda fase della produzione sciasciana, il cui punto di rottura viene a coincidere, cronologicamente, con la pubblicazione de Il contesto. Si parte da un uso occasionale delle citazioni, che ancora non possiedono un ruolo determinante all’interno della narrazione e quindi si presentano

259 Giuseppe Zagarrio, Sciascia tra impostura e verità, in AA.VV., Leonardo Sciascia. La verità, l’aspra

verità, cit., pp. 184-185.

260 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 81-82.

261 L. Sciascia, La sentenza memorabile, in Opere [1984.1989], cit., p.1217: «Di divagazione in divagazione – e nulla è più delizioso, per uno scrittore, del divagare, dell’estravagare: lo scrivere sembra diventare pura, trasparente esistenza».

262 Fabio Moliterni, La nera scrittura. Saggi su Leonardo Sciascia, B.A. Graphis, Milano, 2007, p.113.

263 L. Sciascia, Nero su nero, cit., p.784: «Non ci resta che lo scherzo, se vogliamo salvarci; se vogliamo, cioè, salvare l’intelligenza delle cose, dei fatti. Lo scherzo dentro di noi, dentro le cose, i fatti, le idee […]. Lo scherzo ha raggiunto il momento in cui mutarsi in rivelazione e provocare una seria, necessaria, improrogabile meditazione».

264 L. Sciascia, L’abitudine a morire, intervista a cura di Francesco Madera, «Epoca», 8 febbraio 1975: «Ho molta stima del lettore. Almeno […] del mio lettore. E lo faccio complice del giuoco. Tuttavia non è un giuoco che ha funzione di giuoco. È un’esigenza più profonda».

265 Ricciarda Ricorda, Sciascia ovvero la retorica della citazione, in Pagine vissute. Studi di letteratura

come degli inserti266, che la studiosa riconduce (forse esagerando) a un sostrato neorealista di Sciascia, una sua «esigenza civile di storicizzare»267 ; e si arriva a un momento in cui la citazione cessa di fornire un aggancio saggistico e storico certo ma «finisce per stemperarsi in una serie di procedimenti fortemente allusivi, in una scrittura che tende ad emblematizzare situazioni e personaggi proiettandoli […] su un piano atemporale ed astratto che prescinde da localizzazioni storiche, con l’adozione di processi da cui la saggistica è certamente aliena»268. Ciò significa che se «il ricorso alla citazione in genere – e non solo all’inserto – indica la persistenza dell’istanza saggistica […], al tempo stesso crea le premesse per il suo superamento»269: la citazione diviene una parte strutturale della narrazione, accogliendo in sé i tratti retorici dell’analogia (soprattutto quando la citazione rimane implicita) e incarnando quindi la mutazione di rapporto tra Sciascia e i lettori, chiamati ora a comprendere le metamorfosi interiori dei personaggi e la caduta della razionalità della narrazione, la quale tende a confondersi negli sbalzi temporali che le citazioni comportano (e perciò a sfociare in un misticismo del dubbio, consequenziale al palesarsi della sconfitta della ragione nella possibilità di scandaglio della realtà, ormai possibile solamente tramite quelle correlazioni archetipali dell’arte di cui sopra, e che, dopotutto, non sono che citazioni).

Avendo individuato questi tre punti di discontinuità della produzione di Sciascia (slittamento del senso della verità e di possibilità d’analisi di questo; maggiore tendenza all’ibridazione e alla digressione; passaggio da citazioni storico-occasionali a citazioni metafisico-strutturali), è chiaro come l’insistenza critica del vedere l’opera sciasciana come un unico grande libro può essere valida, al massimo, solamente da un punto di vista intenzionale-contenutistico, e assolutamente non riguardo l’aspetto formale. Permangono infatti l’impegno civile, la denuncia e la lotta contro il Potere (sebbene anche qui, come detto, con un progressivo impoverimento del margine d’azione nel reale della ragione); mentre stilisticamente, Sciascia, proprio con la scrittura, la finzione e il progressivo affilare della penna, sopperirà alla mancanza di verità al di fuori della letteratura.

266 A riguardo, con estrema efficacia, Ricorda cita un aforisma di Benjamin : «Le mie citazioni sono come predoni armati che balzano fuori all’improvviso e strappano l’assenso al lettore ozioso». Riportato anche da Renato Solmi nell’Introduzione a Angelus novus, cit., p.XIII.

267 R. Ricorda, Sciascia ovvero la retorica della citazione, cit., p.158.

268 Ibidem.