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La scrittura come mestiere (1895-1901)

Nel documento Enrico Thovez (1869-1925). Critico d'arte (pagine 39-106)

Rachitismo e altre patologie

Nel numero del 16 ottobre 1895 del “Corriere della Sera” compariva in prima pagina l’articolo Il nuovo rachitismo dell’arte, il contributo iniziale di Thovez dedicato all’arte moderna.1 La testata milanese, in quel momento tra le più lette e diffuse in Italia, si distingueva ormai da tempo per l’attenzione riservata ai contenuti di natura culturale, mostrandosi tra le più sensibili sull’argomento rispetto l’intero panorama giornalistico nazionale. In particolare, la decisione di ampliare l’offerta dei suoi contenuti all’ambito letterario e artistico era stata fortemente voluta dal direttore Eugenio Torelli Viollier, che a partire dalla fine degli anni Settanta dettava la linea editoriale del quotidiano, imponendo un livello qualitativo alto per le sue collaborazioni.2

1 E. Thovez, Il nuovo rachitismo dell’arte, in “Corriere della Sera”, 16-17 ottobre 1895, pp. 1-2.

2 Nei propositi per l’anno 1879, appariva infatti la seguente precisazione: “Il movimento intellettuale italiano non ha avuto finora nel Corriere che un’eco fioca e intermittente. La critica e la polemica letteraria non vi hanno fatto che fugaci apparizioni. È questo un difetto comune a quasi tutti i giornali italiani: non si potrebbero citare che due o tre eccezioni. Ed il motivo c’è: questa parte del giornale è la più difficile: un articolo politico può esser mediocre e tuttavia soddisfare il lettore: ma in fatto di articoli letterari, o bisogna dar l’ottimo o nulla” (Ai nostri lettori, in “Corriere della Sera”, 17-18 novembre 1878, p. 1). Andrea Moroni, nel suo volume dedicato ai primi decenni del quotidiano milanese, descrive così la politica editoriale del direttore: “la linea editoriale di Eugenio Torelli, finché restò alla guida del quotidiano, fu rivolta alla realizzazione di due obiettivi tra loro complementari: da una parte accrescere le corrispondenze particolari del giornale […]; dall’altra parte rendere il giornale il più possibile vario, attraverso l’introduzione di nuove rubriche che spaziavano dal resoconto dei dibattiti parlamentari al commento artistico e letterario, dalla cronaca ai consigli pratici, dal romanzo di appendice alle cronache di moda, nel tentativo di riunire in un unico foglio il rigore e la serietà della cronaca politica con l’amenità del passatempo e delle rubriche mondane” (A. Moroni, Alle origini del Corriere della Sera. Da Eugenio Torelli Viollier a Luigi Albertini (1876-1900), Franco Angeli, Milano 2005, p. 90). Per le rubriche culturali del giornale, si veda in particolare il contributo di I. Furiosi, La evoluzione della problematica critica nella pubblicistica letteraria del “Corriere della Sera” dal 1876 al 1900, in “Aevum”, a. XXXIX, fasc. III-IV, maggio-agosto 1965, pp. 289-324. Relativamente alla storia del quotidiano milanese, rimane valido G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Rizzoli, Milano 1976. Per un panorama più completo sul giornalismo in Italia si veda V. Castronovo, L. Giacheri Fossati, N. Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana nell’età liberale, Laterza, Roma Bari 1979; V. Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Laterza, Roma Bari 1973; P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle gazzette a Internet, il Mulino, Bologna 2014.

L’assenza di una rubrica fissa di commento artistico permetteva a Thovez di venir accettato tra le colonne del giornale senza troppi problemi. Il suo nome si affiancava così alle più note firme di Corrado Ricci, Luigi Chirtani, Luca Beltrami e Gustavo Macchi, che da tempo animavano gli spazi del quotidiano (Macchi, proprio in quell’anno, si occupava di recensire la prima esposizione internazionale di Venezia).

Già nel titolo, Il nuovo rachitismo dell’arte, Thovez tentava un paragone forte e sicuramente avvertito dai lettori del “Corriere”, associando la questione figurativa contemporanea a una patologia medica: quella della malattia ossea, all’epoca assai diffusa e combattuta, determinata dalla mancanza di vitamina D, che colpiva principalmente le classi meno abbienti delle grandi città soprattutto in età infantile, impedendone lo sviluppo organico della corporatura.3

Il paragone serviva per lanciare un’accusa rivolta alla situazione delle arti del tempo e nei confronti degli stessi artisti, più propensi – secondo Thovez – a ripiegarsi sulle facili suggestioni del passato piuttosto che indagare i caratteri che la modernità poteva offrire. Come nel titolo, il presupposto di partenza trovava proprio nel dato biologico – o più precisamente nelle “scienze dello spirito” – la matrice del suo svolgimento. Thovez, applicando in una chiave di estetica fisiologica i principi del darwinismo sociale, affermava come il processo evolutivo dell’uomo avesse determinato una graduale sensibilizzazione delle facoltà intellettive e sensoriali degli individui, indispensabili alla stessa pratica figurativa:

come potenza visiva e metodo rappresentativo l’uomo moderno ha una capacità artistica superiore a quella dei suoi predecessori. Anche nella più mediocre delle opere d’arte moderne salta agli occhi l’agilità ottica della comprensione moderna a della forma. E questa agilità risulta dall’assimilazione istantanea delle conquiste pazientemente accumulate in tanti secoli dai progenitori, dalla squisitezza nervosa prodotta da una vita più rapida, nervosa, febbrile, dalla visione continua di questa rapidità e nervosità, infine dal sussidio delle arti fotomeccaniche, le quali ci danno un’analisi della forma del movimento quale non si era mai sognato avere.4

L’indicazione, che tradiva certamente la conoscenza delle formulazioni espresse da

Jean-

3 Sulle condizioni mediche e sanitarie in quello scorcio di secolo in Italia si veda G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste nera ai giorni nostri, Laterza, Roma Bari 2005 (in particolare i paragrafi Città e campagna: malattie della miseria e malattie del progresso, pp. 295-314; Le “magnifiche sorti e progressive” e la triplice endemia, pp. 358-387). Il problema del rachitismo, particolarmente avvertito all’epoca, non manca di essere evidenziato da uno scrittore attento alle problematiche sociali come Edmondo De Amicis. Il capitolo Maggio del suo romanzo Cuore, ambientato proprio a Torino, si apre con la descrizione di un istituto per bambini rachitici.

Marie Guyau nei suoi Problèmes de l’esthétique contemporaine,5 serviva come punto di partenza per sferrare un attacco nei confronti del preraffaellismo inglese, considerato come un movimento regressivo. Un attacco che non riguardava tanto – come egli stesso preciserà in seguito –6 la fase originaria del gruppo (quella incarnata da pittori quali Ford Madox Brown, John Everett Millais e William Holman Hunt) ma piuttosto la deriva assunta in tempi più recenti da un folto numero di epigoni, operanti soprattutto nel campo nell’illustrazione e delle arti applicate (tra i nomi citati compaiono, un po’ confusamente, quelli di Walter Crane, William Morris, Pierre Puvis de Chavannes, Carlos Schwabe, ma anche artisti quali Max Klinger, Jan Toorop, Josef Sattler e Gerhard Munthe):

Il prerafaelismo [sic] ha vinto, è entrato nelle abitudini, si è imposto alla critica e agli amatori, si infiltra in tutti i rami, dalla pittura pura all’illustrazione, dalla decorazione all’arte industriale. Ha trionfato in Inghilterra, si propaga in Francia e Germania, minaccia l’Italia.7

Pur riconoscendo alla fase primigenia il merito di aver riportato i contenuti della pittura a un livello aristocratico e letterario – in contrapposizione rispetto a quell’arte realista “che andando ad abitare tra i buoi e le vacche, seguendo l’aratro o il carro del letame, […] non poté darsi a speculazioni filosofiche, né aprirsi a sottigliezze di sentimento” –8 Thovez reputava intollerabile che alle soglie del ventesimo secolo ci si potesse accontentare di un appiattimento di contenuti su un passato così lontano. Il richiamo al mondo medievale dei preraffaelliti suonava profondamente anacronistico rispetto alle esigenze della società contemporanea, ormai accelerata dai processi produttivi e tecnologici della vita moderna:

5 M. Guyau, Problèmes de l'esthétique contemporaine, Felix Alcan Editeur, Paris 1884. In particolare, nel capitolo L’avenir de l’art et de la beauté d’après la statistique et la physiologie il filosofo francese affermava “L’organe actif par excellence est et sera de plus en plus le cerveau: c’est donc lui qui attire à soi toutes les puissances de l’être. Selon certains anthropologistes, le système nerveux de l’homme civilisé est plus vaste de trente pour cent que celui du sauvage; il ira s’accroissant encore, et cela aux dépens du système musculaire” (ivi, p. 94); aggiungendo poco più avanti “On pourrait dire, en empruntant à la science contemporaine sa terminologie, que les anciens ont connu surtout la “statique” de l’art; il reste à l’art moderne, avec le mouvement et l’expression, ce que nous appellerons la “dynamique” de l’art. Suivant dans son progrès l’évolution même de la beauté humaine, l’art tend à remonter, en une certaine mesure, des membres au front et au cerveau” (ivi, p. 97).

6 Nel 1921, ripubblicando l’articolo all’interno della raccolta Il Vangelo della Pittura ed altre prose d’arte, Thovez preciserà i termini del suo discorso, definendolo inoltre come “prerafaelismo [sic] di moda”: “È appena il caso di avvertire che l’indirizzo artistico preso in esame è l’arcaismo medievale, che, dalla degenerazione di certi elementi dell’arte del Rossetti, informò l’opera della seconda generazione dei prerafaeliti [sic] e fu diffuso come una formola fissa dal Burn e Jones [sic] e dai suoi seguaci, prerafaelismo che non ha nulla di comune con il primo e vero prerafaelismo col quale è in Italia quasi sempre confuso, col prerafaelismo di Madox Brown, del Millais giovane e di Holman Hunt, che non fu affettazione arcaica medievale ma naturalismo espressivo, sano, schietto e sincero, che fu anzi storicamente assai più di quello dei veristi francesi, il vero verismo dell’arte moderna, perché non fu grettezza, ma poesia.” (E. Thovez, Il Vangelo della Pittura ed altre prose d’arte, S. Lattes & C., Torino-Genova 1921, p. 121)

7 E. Thovez, Il nuovo rachitismo dell’arte, cit., p. 2. 8 Ivi, p. 1.

Che vale che noi abbiamo potuto credere che la complessità dell’anima moderna richiedesse una più potente complessità di rappresentazione, che la mobilità muscolare sviluppata dalla vita più rapida domandasse una figurazione più nervosa e agitata? Ecco invece le pose semplici fino all’idiotismo, i movimenti rigidi e impacciati. È il medio evo che grazie al suo fascino di sentimentalità, di semplicità ingenua, riesce a imporre la sua puerile impotenza grafica, la sua gaucherie rappresentativa.9

La sua voce non si trovava sicuramente al di fuori del coro. La questione del “preraffaellismo alla moda” era già da tempo affrontata in Italia (alcuni mesi più tardi, Thovez scoprirà con stupore gli articoli che Giulio Aristide Sartorio dedicava a Dante Gabriele Rossetti sul “Convito”, apprezzandone i contenuti),anche con toni polemici, così come nel resto dell’Europa.10 Non mancavano inoltre le letture contraddistinte da un approccio pseudo-scientifico di matrice positivista, come quella data dallo studioso ungherese Max Nordau, che annoverava il movimento inglese tra le forme di degenerazione della società contemporanea, poiché impregnato di un misticismo eccessivo, conseguenza di un’alterazione nervosa. Un’interpretazione che non doveva sicuramente suonare estranea a Thovez e che si muoveva sfruttando le categorie antropologiche formulate nelle teorie di Lombroso, applicate da Nordau nel frangente delle arti e delle lettere (“I degenerati non sono sempre delinquenti, prostitute, anarchici o pazzi dichiarati. Talvolta sono scrittori ed artisti”).11

L’inesperienza di Thovez lo portava, in definitiva, a ricadere su posizioni generiche e vaghe, soprattutto quando tentava di fornire i termini che il rinnovamento contemporaneo avrebbe dovuto attendere, decisamente poco utili in una chiave di applicazione pratica: “Sorga una generazione nuova e […] allora dal trionfo pieno e incontrastato della forma

9 Ivi, p. 2.

10 “Ora sono occupato a leggere il ‘Convito’ alla Filotecnica. […] leggo gli studi del Sartorio sul Rossetti. Sai che costui minaccia dì diventare il miglior pittore italiano? È pieno di idee giuste e di tendenze elevate” (Lettera di E. Thovez ad A. Torasso, Torino, 22 settembre 1896, Diario e lettere, p. 625).

Circa la diffusione di preraffaelliti in Italia si veda: B. Saletti, I Preraffaelliti nella critica d’arte in Italia Tra Ottocento e Novecento, in G. Oliva (a cura di), I Rossetti tra Italia e Inghilterra, atti del Convegno internazionale di studi (Vasto, 23-24-25 settembre 1982), Bulzoni, Roma 1984, pp. 427-436; G. Pieri, The Influence of Pre-Raphaelitism on Fin de siècle Italy: Art, Beauty, and Culture, MHRA, London 2007; M. Piccioni, Fortuna dei Preraffaelliti in Italia in M. T. Benedetti, S. Frezzotti, R. Upstone (a cura di), Dante Gabriel Rossetti, Edward Burne-Jones e il mito dell’Italia nell’Inghilterra vittoriana, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 24 febbraio- 12 giugno 2011), Electa, Milano 2011, pp. 270-275.

11 M. Nordau, In luogo di prefazione, in Id., Degenerazione, F.lli Dumolard, Milano 1893, p. XII. Come indicato nelle pagine introduttive al volume, lo studio di Nordau è dedicato a Lombroso “per riconoscere apertamente e lietamente il fatto, che senza i di Lei lavori non sarebbe stato possibile scrivere il presente volume” (ivi., p. XI). Per l’influenza dello studioso ungherese sulla cultura italiana si veda S. Acocella, Effetto Nordau. Figure della degenerazione nella letteratura italiana tra Ottocento e Novecento, Liguori editore, Napoli 2012.

moderna, della forma agile, balzante, nervosa, palpitante di gioventù, sorgerà finalmente l’arte capace di riflettere la poesia del mondo moderno”.12

In questo senso, non sarebbe andata meglio neanche con il successivo articolo, Alla ricerca

di uno stile,13 apparso sei mesi più tardi e dedicato nello specifico alle arti applicate. Il confronto si sarebbe qui spinto a denunciare la mancanza di uno stile decorativo in grado di interpretare i caratteri della contemporaneità (come invece era avvenuto nelle epoche storiche precedenti, soprattutto quelle più antiche), contestando poi fermamente la tendenza eclettica, per troppo tempo abusata dagli artisti:

finché bagnerete di lagrime, ugualmente tenere, i merli medievali, le arcate del Colosseo, finché vi sentirete fluttuare l’anima nel lago del cuore tanto davanti alle guglie della Cattedrale di Strasburgo quanto di fronte al campanile di Giotto, voi sarete degli intelligenti storici dell’arte, dei gaudenti squisiti, ma non mai dei creatori14

La linea segnalata da Thovez per l’avverarsi di un nuovo stile – già espressa nell’articolo sul “rachitismo” con le parole “bisogna ricordare che [i risultati] vanno ottenuti colle forme e secondo lo spirito del proprio tempo” e qui ribadita con l’affermazione “Uno stile nuovo, a non voler essere una rifrittura inorganica o una effimera creazione artificiale, ha da uscire dalla fantasia collettiva di un’intera razza” – altro non era che una trasposizione molto lucida (ma un po’ fuori tempo massimo) delle condizioni storiche ed evolutive di race,

milieu, moment, indicate da Hippolyte Taine nella sua Philosophie de l'art. Contributo

teorico sicuramente conosciuto e studiato dal critico torinese, che in alcuni casi si offre a un confronto stringente con le proprie affermazioni.15

Una volta pubblicati, i due articoli per il “Corriere” ottennero una serie di commenti, soprattutto negativi,16 ma nulla di paragonabile al clamore che la polemica dannunziana

12 E. Thovez, Il nuovo rachitismo dell’arte, in “Corriere della Sera”, cit., p. 2. 13 Id., Alla ricerca di uno stile, in “Corriere della Sera”, 10-11 aprile 1896, pp. 1-2. 14 Ivi, p. 2.

15“per comprendere un’opera d’arte, un artista, un gruppo di artisti, è necessario farsi una fedele rappresentazione dello stato generale dello spirito e dei costumi del tempo a cui essi sono appartenuti. Là troveremo la spiegazione ultima. Là risiede la causa prima che determina tutto il resto. Questa verità, signori, è confermata dall’esperienza. In effetti, se si percorrono le principali epoche della storia dell’arte, si scopre che le arti appaiono e poi scompaiono in concomitanza con certi stati dello spirito dei costumi ai quali sono collegate” (H.-A. Taine, Filosofia dell’arte, a cura di O. Settineri, Bompiani Testi a fronte, Milano 2001, p. 33); “Ogni nuova situazione deve dunque produrre un nuovo stato d’animo, di conseguenza, un gruppo di opere nuove. In ultima analisi, anche l’ambiente, che oggi è in via di formazione, deve produrre le sue opere, come gli ambienti che lo hanno preceduto” (ivi, p. 210). Una serie di appunti e trascrizioni, conservati presso l’archivio thoveziano e riuniti sotto il titolo “Studi sul fenomeno artistico”, richiamano direttamente il pensiero di Taine, con riferimenti puntuali alla sua Philosophie de l'art; cfr. Torino, Centro Studi piemontesi, Fondo Thovez, serie 6, “Scritti critici e teoretici”, 109.

16 Sul “Corriere della Sera” Augusto Valeriani criticava l’articolo di Thovez (A. Valeriani, Cose d’arte. Alla ricerca di uno stile, in “Corriere della Sera”, 20-21 luglio 1896, p. 3), così come un anonimo commentatore del giornale bergamasco “L’Unione” (Fra libri e giornali, in “L’Unione”, 11-12 aprile 1896, p. 2); il

sollevata dallo stesso Thovez aveva nel frattempo innescato. I quattro articoli sui plagi, pubblicati dalla “Gazzetta letteraria” a partire dal dicembre del 1895 e usciti sino al febbraio dell’anno successivo,17 portarono il nome di Thovez alla ribalta europea, decretando una temporanea notorietà alla stessa rivista, sino ad allora relegata entro lo stretto giro dei cultori di letteratura (“non fu mai tanto letta e non fu mai tanto attesa”).18 Attraverso un minuzioso lavoro di comparazione e di studio, Thovez rintracciava all’interno della produzione dannunziana le evidenze del plagio, fornendo sulle pagine del periodico le incontestabili prove dei suoi furti, perpetrate ai danni di poeti e scrittori stranieri. Thovez mise a impietoso confronto le opere dannunziane con gli stralci di altrettanti componimenti o testi, provenienti dalle produzioni letterarie di autori quali Gustave Flaubert, Guy de Maupassant, Théodore de Banville e Joséphin Péladan, Charles Baudelaire e Paul Verlaine, Lev Tolstoj, Fëdor Dostoevskij e Walt Whitman.

Il clamore suscitato dalle accuse thoveziane superò ben presto i confini nazionali, riverberandosi ampiamente nella stessa Francia,19 dove il poeta abruzzese godeva a quella data già di una buona notorietà. Non a caso, la risposta di Gabriele D’Annunzio alle

commento di quest’ultimo avrebbe particolarmente indispettito Thovez che, sul proprio diario, appuntava: “ho ricevuto un giornale dove mi dicono villanie a proposito del mio articolo del ‘Corriere’. C’era da aspettarselo. La mia via sarà dura. Devo risparmiare le mie forze per resistere” (E. Thovez, diario, 16 aprile 1896, Diario e lettere, p. 598). Nell’ambiente cittadino torinese, invece, gli articoli parevano aver ottenuto un buon successo: “Grandi congratulazioni pel mio articolo Alla ricerca di uno stile sul “Corriere” […]. Il Prefetto Carta mi fece le più vive congratulazioni […]. Disse che l'avevano letto tutti in biblioteca con meraviglia e con allegrezza....: che non v'era una linea ch'egli non approvasse salvo un accenno ai Della Robbia. E a quel proposito mi seppellì sotto una valanga di erudizione di codici miniati e di testimonianze dell'Aretino.... Mi disse ancora. Questa gente si solleverà, protesterà malgrado l'equilibrio, la sincerità, la moderazione del suo articolo, Lei non risponda, non se ne curi, stia da sé, ne scriva un altro, continui per la sua strada, non si lasci traviare da debolezze e da concessioni, chiuda gli orecchi, non ascolti che sé. Io ho ammirato l'equilibrio, la sintesi del suo studio: soprattutto il coraggio. Molti qui la pensavano come lei, ma non avevano la visione netta e mancavano del coraggio. Continui così.” (E. Thovez, diario, 13 aprile 1896, ivi., p. 597).

17 E. Thovez, La farsa del superuomo, in “Gazzetta letteraria”, a. XIX, n. 49, 7 dicembre 1895, pp. 3-4; id., L’arte del comporre del Signor Gabriele D’Annunzio, in “Gazzetta letteraria”, a. XX, n. 1, 4 gennaio 1896, pp. 1-2; id., I fondi segreti del Signor D’Annunzio e il mistero del Nuovo Rinascimento, in “Gazzetta letteraria”, a. XX, n. 3, 18 gennaio 1896, pp. 1-3; id., Le briciole del Superuomo, in “Gazzetta letteraria”, a. XX, n. 9, 29 febbraio 1896, pp. 1-5. Relativamente alla polemica, Thovez pubblicava inoltre la lettera Risposta, in “Gazzetta letteraria”, a. XX, n. 5, 1 febbraio 1896, pp. 4-5.

Sulla vicenda dei plagi dannunziani si veda G. Mirandola, La «Gazzetta Letteraria» e la polemica dannunziana (1882–1900), in “Lettere Italiane”, vol. 22, n. 3, luglio-settembre 1970, pp. 298-324; M. R. Giacon, «Impones plagiario pudorem». D’Annunzio romanziere e l’affaire des plagiats, in “Archivio d’Annunzio”, vol. 1, ottobre 2014, pp. 43-72.

18 F. Flora, La Gazzetta Letteraria. II. La polemica dannunziana, in “Emporium”, Vol. LXXXV, n. 509, maggio 1937, pp. 259-264 (260).

19 Ne avrebbero trattato i quotidiani “Le Temps”, “Le Figaro”, “Journal des débats”, “Gil Blas”, “L'Écho de Paris”, “Le Journal” “Le Gaulois”, “Le Soleil” e le riviste “La Revue des revues”, “La Revue des Deux Mondes” “L’Illustration”, “La Vie Parisienne”.

schermaglie di Thovez sarebbe pervenuta non tanto sui fogli nazionali ma piuttosto sul noto quotidiano parigino “Le Figaro”, a dimostrazione della visibilità raggiunta.20

La risonanza ottenuta, non priva di risvolti umoristici e di interpretazioni più estemporanee,21 spinse una rivista come “Il Capitan Cortese” ad affrontare l’argomento, per lungo tempo, sulle sue pagine, promuovendo lo stesso dibattito sulla polemica. Il settimanale milanese lanciò infatti nel febbraio del 1896 un’inchiesta sulla campagna dannunziana innescata da Thovez, inviando “ai letterati più chiari d’Italia” una circolare recante la seguente domanda: “Potranno le accuse mosse al d’Annunzio intaccare il valore della sua grande produzione, e, potendolo, fino a qual punto?”.22

A parte alcune dimostrazioni di solidarietà, come quelle esternate, ad esempio, da Remigio Zena, Angiolo Silvio Novaro e Corrado Corradino,23 il giudizio verso l’operato di Thovez

Nel documento Enrico Thovez (1869-1925). Critico d'arte (pagine 39-106)

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