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L’Aspirina è il farmaco antiaggregante più ampiamente utilizzato. Essa agisce per mezzo di un’inibizione irreversibile dell’enzima ciclo ossigenasi-1 (COX-1), il quale genera endoperossidi ciclici dall’acido arachidonico, che sono i precursori della sintesi Trombossano A2. Quest’ultimo è un potente attivatore piastrinico ed è essenziale per promuovere e sostenere il processo di aggregazione.

Uno dei primi studi condotti mostra come l’Aspirina non influisca sull’espressione di P-selectina nelle piastrine attivate a seguito di stimolazione con ADP, suggerendo che essa non sia in grado di intervenire nel regolare le interazioni piastrine-leucociti. [110]

Successivamente altri studi condotti su volontari sani hanno confermato che l’Aspirina non ha nessun effetto né sull’espressione piastrinica di P-selectina , né sulla formazione di aggregati leucociti piastrine (PLA), un marker più sensibile di attivazione piastrinica in vivo, dopo stimolazione con ADP, trombina e fattore attivante le piastrine.

Questa apparente discrepanza tra le evidenze cliniche che dimostrano una comprovata efficacia antitrombotica del farmaco e i dati derivanti dallo studio condotto con citometria a flusso su sangue intero per verificarne l’ azione sull’attivazione delle singole piastrine circolanti, può essere spiegata da fatto che l’effetto antitrombotico dell’aspirina coinvolge anche meccanismi diversi

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dall’inibizione di COX-1. Considerando quindi l’effetto globale dato dalla sinergia dei suoi meccanismi d’azione, sembra che l’aspirina svolga un ruolo di importanza limitata per quello che riguarda l’attivazione delle singole piastrine ma la sua attività si esplichi soprattutto al momento della creazione di strette interazioni di contatto piastrina-piastrina. [111]

Un importante prerequisito che merita di essere sottolineato per l’uso dell’aspirina nei pazienti ipertesi è il controllo ottimale della pressione arteriosa allo scopo di minimizzare il rischio di sviluppare emorragie cerebrovascolari o in altri distretti corporei. Infatti un’analisi retrospettiva della Thrombosis Prevention Trial mostra come tra i pazienti ipertesi che ricevono una dose giornaliera di 75mg di Aspirina una maggior riduzione del rischio di eventi cardiovascolari sia presente in coloro che mantengono un controllo ottimale dei livelli pressori. [112]

Nel corso degli anni si sono succedute varie meta-analisi e diversi trials randomizzati che hanno esaminato la mortalità per malattia cardiovascolare e l’incidenza di eventi cardiovascolari in funzione del trattamento a lungo termine con aspirina nel contesto della prevenzione primaria.

Una delle prime meta analisi pubblicate dalla Anti-Platelet Trialists

Collaboration ha esaminato gli effetti dell’Aspirina sull’incidenza di

eventi cardiovascolari in varie categorie di pazienti. Nei soggetti “ad alto rischio”, così definiti per la presenza di malattia vascolare o altre condizioni che predispongono ad un aumento dell’incidenza di eventi trombo-occlusivi, la terapia aspirinica in dosi di 75-325 mg/die riduceva significativamente il rischio di gravi eventi cardiovascolari rispetto al placebo. Nel gruppo di pazienti “a basso rischio”, ovvero soggetti con anamnesi negativa per malattia cardiovascolare, il beneficio derivante dal trattamento con aspirina

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sull’incidenza di infarto miocardico acuto non fatale, si accompagna ad un aumento non significativo della comparsa di ictus, risultando perciò in una riduzione assoluta degli eventi vascolari più piccola rispetto a quella osservata nei soggetti “ad alto rischio”. [113]

In quanto la terapia a lungo termine con aspirina raddoppia all’incirca il rischio di gravi complicanze legate al sanguinamento il vantaggio di usare questa terapia nei pazienti ad alto rischio dovrebbe superare la probabilità del verificarsi di tali eventi emorragici. [114]

Uno studio più recente condotto da Bredie et al. conferma che l’uso dell’aspirina riduce l’incidenza di IMA ed ha un effetto neutro su quella degli eventi cerebrovascolari. Questo effetto protettivo è apparentemente più evidente nei pazienti con un aumentato rischio di sviluppare manifestazioni cliniche dovute alla patologia aterosclerotica. Anche questo gruppo sottolinea che nonostante questi risultati resta essenziale bilanciare per ciascun paziente il profilo di rischio cardiovascolare con il lieve incremento del rischio di sanguinamento in caso di trattamento con basse dosi di Aspirina. [115]

Il primo studio progettato per esaminare l’uso della terapia aspirinica nella prevenzione primaria di eventi cardiovascolari in soggetti ipertesi è stato il Hypertension Optimal Treatment (HOT) trial. I pazienti con un controllo ottimale dei livelli di pressione arteriosa sono stati suddivisi casualmente in due gruppi ad uno dei quali sono stati somministrati giornalmente 75mg di aspirina mentre all’altro il placebo. Il verificarsi di eventi cardiovascolari maggiori si è ridotto del 15% nel gruppo che aveva ricevuto il farmaco rispetto a quello con placebo. È interessante notare come l’incidenza di ictus nel gruppo che ha ricevuto il trattamento non si

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sia ridotta, mentre come previsto, in esso si è avuto un incremento di incidenza delle complicanze emorragiche.

Il merito del HOT trial è stato quello di essere la prima sperimentazione a mostrare che nella malattia ipertensiva l’aspirina può conferire un ulteriore vantaggio nel ridurre l’incidenza di cardiopatia coronarica al di là del mantenimento di un controllo ottimale dei livelli pressori. [116]

Il ruolo che la terapia antiaggregante piastrinica con basse dosi di ASA ricopre all’interno della prevenzione primaria nei pazienti con un basso rischio globale per eventi cardiovascolari non è tutt’ora chiaro.

Una Cochrane review riporta come nel contesto della prevenzione primaria non ci siano differenze nell’ incidenza di eventi cardiovascolari tra il trattamento con aspirina e quello con placebo, pertanto non vi sarebbe alcun beneficio, riguardo alla mortalità per tutte le cause di eventi cardiovascolari, nell’uso dell’Aspirina in pazienti ipertesi a basso rischio. [117]

Inoltre gli stessi autori giungono a conclusioni simili in una review più recente sottolineando come una terapia con ASA nella prevenzione primaria non debba essere raccomandata in pazienti con elevata pressione arteriosa in quanto l’entità del beneficio di riduzione per l’ evenienza di infarto miocardico acuto viene annullato da un danno di importanza simile i.e. un aumento degli eventi emorragici maggiori. [118]

Una meta-analisi molto recente, che include i dati provenienti da sei sperimentazioni primitive tra cui HOT e The Thrombosis Prevention

Trial, conclude analogamente che l’uso dell’ASA nella prevenzione

primaria resta da determinare e che il guadagno nella riduzione delle maggiori complicanze cardiovascolari deve essere ponderato

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a fronte di un rischio di emorragie gastrointestinali ed extracraniche più elevato. [119]

Le ultime Linee Guida dell’ European Society of Hypertension raccomandano l’uso di Aspirina a basse dosi per la prevenzione secondaria in tutti i pazienti ipertesi con precedenti di eventi cardiovascolari, a meno che essi non abbiano controindicazioni per il trattamento. Inoltre viene suggerito che, per la prevenzione primaria, basse dosi di aspirina siano usate solo in soggetti con un rischio cardiovascolare globale > del 20% a 10 anni, o in pazienti con un’età superiore ai 50 anni che abbiano una moderata compromissione della funzionalità renale. [13]

5.2

Ruolo del Clopidogrel

Il Clopidogrel è un nuovo derivato della tienopiridina chimicamente correlato alla ticlopidina. Esso blocca l’attivazione piatrinica indotta dall’ ADP inibendo in maniera selettiva ed irreversibile il legame di questo agonista con il suo recettore piastrinico (P2Y12) opponendosi così all’attivazione ATP-dipendente del complesso GPIIb-IIIa, il principale recettore per il fibrinogeno presente a livello della superficie piastrinica. I recettori P2Y12 hanno un ruolo di primo piano nella completa risposta piastrinica successiva in quanto responsabili dell’inibizione ADP-mediata dell’adenil ciclasi di membrana il cui prodotto principale, cAMP, impedisce l’aggregazione piastrinica. [120,121]

Inoltre studi clinici in cui è stato comparato l’effetto di diversi trattamenti antiaggreganti piastrinici sull’interazione piastrine- leucociti, hanno dimostrato l’efficacia degli antagonisti dei recettori P2Y12 nel prevenire l’espressione di P-selectina, così come la

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formazione di aggregati piastrine-monociti e/o piatrine-neutrofili, sia nei soggetti sani che in pazienti con aterosclerosi e precedenti manifestazioni di sindrome coronarica acuta. [122]

Considerando l’intrinseco potenziale pro-aterogeno degli aggregati piastrino-monocitari (MPA) circolanti e delle piastrine attivate, le suddette osservazioni portano a ritenere che il trattamento con Clopidogrel potrebbe esercitare un ulteriore effetto protettivo, in aggiunta a quello dell’aspirina, contro la progressione dell’aterosclerosi e soprattutto contro il verificarsi delle complicanze aterotrombotiche ad essa correlate. Tuttavia, se il Clopidogrel abbia effettivamente questo potenziale non è chiaro allo stato delle nostre attuali conoscenze data la mancanza di un’ampia gamma di dati sull’ outcome clinico a seguito di tale trattamento.

Uno dei primi studi intrapresi al riguardo è stato quello del protocollo CAPRIE (Clopidogrel versus Aspirin in Patients at Risk of

Ischemic Events). Tutti i soggetti coinvolti avevano manifestazioni

vascolari di malattia aterosclerotica e più del 50% di essi era iperteso. La terapia con Clopidogrel (75mg/die) si è mostrata di poco superiore all’aspirina (325mg/die) nel ridurre il rischio combinato di ictus ischemico, infarto e morte per cause vascolari, sebbene non siano state evidenziate grandi differenze in termini di sicurezza tra i questi due regimi terapeutici. [120]

Più recentemente il gruppo CHARISMA (The Clopidogrel for High

Aterothrombotic Risk and Ischemic Stabilization, Management, and Avoidance) ha valutato l’impatto della terapia con Clopidogrel e

Aspirina versus la monoterapia con ASA in soggetti ad alto rischio per lo sviluppo di eventi aterotrombotici considerando come endpoint primario di efficacia il complesso di infarto miocardico, ictus o morte per cause cardiovascolari. Questo trial ha testato

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l’ipotesi che il trattamento a lungo termine di pazienti ad alto rischio con l’ associazione terapeutica di Clopidogrel e Aspirina conferisca una maggior protezione contro il verificarsi di eventi cardiovascolari rispetto al trattamento con la sola Aspirina. Dai dati raccolti emerge come il trattamento di associazione non comporti vantaggi significativi rispetto a quello con placebo e Aspirina nel ridurre l’incidenza dell’end point primario. Inoltre il tasso di emorragie severe non è apparso notevolmente maggiore per il trattamento con il Clopidogrel rispetto a quello con placebo, ma è stata notata una preoccupante tendenza dell’antagonista del recettore P2Y12 a provocare un incremento della quota di emorragie moderate. Viste le informazioni a disposizione non è quindi consigliato l’uso della duplice terapia antiaggregante in questi pazienti nonostante sia stato riscontrato un potenziale beneficio nei soggetti sintomatici con malattia cardiovascolare constatata, la cui influenza merita di essere valutata con ulteriori studi. [123]

64

Capitolo 6.

Conclusioni

Nei pazienti con ipertensione essenziale sono state riscontrate numerose alterazioni suggestive della presenza di uno stato pro trombotico. Infatti le principali complicanze di questa patologia sono di natura trombotica piuttosto che emorragica, fenomeno conosciuto come “Birmingham paradox”. Le anomalie individuate sono a carico della funzione endoteliale, dei sistemi della coagulazione e fibrinolitico, e dell’attivazione piastrinica. L’endotelio dei pazienti ipertesi mostra una compromissione della capacità di sintetizzare ossido nitrico (NO), un potente vasodilatatore, e un incremento di rilascio di vWF, TF, t-PA e PAI-1. Oltre ad essere dei markers di disfunzione endoteliale queste molecole sono in grado di agire direttamente sul sistema emostatico. Il TF, esposto a livello delle zone di endotelio danneggiato, innesca la via estrinseca della coagulazione. Livelli elevati di t-PA e PAI-1 indicano invece una inibizione a carico del sistema fibrinolitico quindi che il sangue si trova in uno stato di ipercoagulabilità. Le cellule endoteliali attivate immettono in circolo anche micro particelle endoteliali che si ritiene abbiano proprietà pro-infiammatorie. Alla luce di ciò emerge sempre più l’idea, da confermare con ulteriori studi clinici, che le misurazioni dei markers circolanti di disfunzione endoteliale possano essere complementari alla valutazione dei livelli di rischio per l’inquadramento dei pazienti ipertesi. Il fattore di von Willebrand che viene rilasciato è in grado di mediare l’adesione e l’attivazione piastrinica. Tuttavia le piastrine dei pazienti ipertesi mostrano già di per sé una maggiore tendenza intrinseca all’attivazione. È stata individuata la presenza di una correlazione lineare tra tale fenomeno e i livelli di pressione arteriosa. Tra i vari cambiamenti morfologico-funzionali riscontrati a carico delle piastrine,

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l’incremento del volume piastrinico medio (MPV) è stato proposto come fattore di rischio di infarto miocardico acuto. In quest’ultima condizione clinica sono stati inoltre recentemente rilevati livelli elevati di micro particelle piastriniche (MPA). La terapia “classica” adottata nel trattamento dei pazienti ipertesi si è dimostrata nel complesso efficace riguardo alle alterazioni presenti nello stato pro trombotico, anche se non tutte le evidenze cliniche sono completamente concordanti. I farmaci che agiscono sul sistema renina angiotensina, ACE-inibitori e bloccanti del recettore AT1, si sono dimostrati in grado di ridurre i livelli dei markers circolanti, sia di quelli di disfunzione endoteliale che quelli di attivazione piastrinica. Inoltre i sartani (Losartan) contrastano l’attivazione piastrinica ex vivo bloccando la via di segnalazione del trombossano A2 un potente agonista piastrinico. Anche i Calcio antagonisti bloccano efficacemente l’aggregazione piastrinica sia in

vitro che in vivo. Questo fatto non stupisce data l’importanza dello

ione calcio nel processo di attivazione piastrinica. L’uso della terapia anti-aggregante nei pazienti ipertesi è giustificato dal ruolo centrale che assumono le piastrine attivate nel contesto pro trombotico. È stato dimostrato che tale terapia migliora la prognosi nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare ed in quelli con malattia aterosclerotica clinicamente manifesta. Al contrario non è ancora stato valutato con precisione il ruolo dei farmaci antiaggreganti nei pazienti con basso rischio cardiovascolare globale. Ad oggi si raccomanda l’uso di basse dosi di Aspirina per la prevenzione secondaria in pazienti con precedenti episodi cardiovascolari in anamnesi. Nella prevenzione primaria il suo ruolo rimane incerto, data l’alta incidenza di eventi emorragici maggiori e minori. Questo tasso può comunque essere minimizzato tramite il raggiungimento di un controllo ottimale della pressione arteriosa che è un prerequisito fondamentale al trattamento. Un nuovo agente antiaggregante, il Clopidogrel, si è mostrato di poco più efficace

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della Aspirina nel ridurre l’incidenza di infarto miocardico acuto, ictus e morte vascolare. A livello teorico il Clopidogrel offre certamente dei vantaggi rispetto al trattamento con Aspirina per la prevenzione primaria delle complicanze cardiovascolari nell’ipertensione. Oltre alla comprovata efficacia antitrombotica potrebbe anche rivelarsi utile nel prevenire la progressione della malattia aterosclerotica in questi pazienti, essendosi dimostrato un inibitore potente della formazione di MPA. Per chiarire quest’ultimo aspetto saranno necessari studi prospettici comparativi a lungo termine.

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