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Il Trentino nel secondo dopoguerra

 

“Un angolo della nostra città più vicino di ogni altro al nostro quieto mondo

alpino”198. Questa frase, didascalia a una fotografia che correda un articolo pubblicato

sul quotidiano locale “L’Adige”, rappresenta per certi versi un utile punto d’affaccio per gettare lo sguardo sulla realtà trentina di metà anni Cinquanta. Nello scatto sono ritratti un prato, alcuni alberi e due panchine. Una è vuota, sull’altra è seduto di spalle un anziano intento a leggere il giornale. È un’istantanea adatta a raccontare il Trentino a partire dal quotidiano che la ospita. “L’Adige” è il foglio più diffuso sul territorio provinciale, è di proprietà della Democrazia Cristiana e della Curia di Trento, ed è nato nel 1951 dalle ceneri de “Il Popolo Trentino”, il quotidiano fondato da Flaminio Piccoli nel 1946. Quello che viene stampato è dunque contemporaneamente uno dei principali organi d’informazione e la voce di un partito, in una sovrapposizione tra il partito cattolico e Trentino che andrà ampiamente chiarendosi nelle pagine di questo studio e che per il momento è riassumibile in un dato, il 17,1%: quanto mediamente ottenuto in più dalla Democrazia Cristiana in provincia di Trento rispetto alla media di quanto lo stesso partito ottiene in Italia tra il 1948 e il 1992199. Così, il “quieto mondo alpino”

rilanciato in didascalia e il complessivo senso di staticità che la fotografia restituisce, sono efficaci nel far cogliere l’indole di un territorio che si descrive come non troppo incline alla sperimentazione, che considerava se stesso “lontano” dal resto d’Italia, e che si vedeva racchiuso in un mondo che il titolista non esitava a definire per due volte in poche parole: “nostro”.

Questi caratteri potrebbero indurre a ritenere il Trentino del Secondo dopoguerra una realtà piatta, una provincia dove poco o nulla accade anche perché tutto è al di sotto di un duplice controllo: quello esercitato dalla Democrazia Cristiana e quello della Chiesa cattolica. Non è del tutto vero. Certo, lo spazio dominante dell’agire collettivo                                                                                                                

198 La città vive, in “L’Adige”, 8 luglio 1955. Ho riflettuto su quest’immagine in un breve articolo: Tra

slanci e diffidenze. Cultura e culture nella Trento del Boom, in E. Tonezzer (a cura di), Boom! Istruzioni per l’uso. Trento 1955-1965, Trento, Fondazione Museo Storico del Trentino, 2009.

199 M. Brunazzo, S. Fabbrini, La geografia elettorale: l’egemonia democristiana, in A. Leonardi, P.

era chiuso in una sorta di margine, e la gran parte della classe politica democristiana intendeva la propria attività come una pratica “derivata”, che scaturiva da una partecipazione sociale precedente esperita nell’associazionismo cattolico e nel solidarismo ecclesiastico200. Si tende però spesso a far coincidere il capillare controllo

del territorio e del potere che scaturiva da una simile commistione, la povertà materiale e l’arretratezza così diffuse sul territorio, il ritardo – se non “l’alterità” – della politica trentina rispetto ai temi dominanti della politica italiana al tempo del boom economico, con i tratti di una provincia culturalmente arida o politicamente conservatrice. Simili ricostruzioni tendono tuttavia a semplificare un quadro, quello del Trentino nel Secondo dopoguerra, che è invece atipico e ricco di peculiarità.

Nell’Italia degli anni Cinquanta la povertà non è una peculiarità. Ma, in un contesto europeo dominato da una ricostruzione talvolta lenta e faticosa eppure costante, e alla cui dinamica “[l]’Italia partecipò […] con tassi di crescita del prodotto

interno lordo superiori alla media europea”, come ci spiega Andrea Bonoldi, il

Trentino fatica: “[i] dati statistici disponibili e le interpretazioni proposte mettono bene

in luce come il Trentino si sia trovato a lungo […] in netto ritardo rispetto alle tendenze che andavano affermandosi a livello nazionale […]”201. Questo ritardo, l’impellenza di

dover fronteggiare le problematiche di una popolazione che per oltre il 40% è dedita all’agricoltura (quasi sempre di sussistenza), la necessità di dover pianificare ed organizzare – e non solo assistere a – migrazioni stagionali o definitive202, l’urgenza di

affrontare in modo pratico e concreto i tanti problemi del territorio, sembrano in qualche                                                                                                                

200 Una partecipazione che in termini sociologici si sarebbe definita di tipo sub-culturale. Si veda in

merito lo studio curato da Pier Giorgio Rauzi e pubblicato a titolo La montagna bianca. Secolarizzazione

e consenso. La classe dirigente democristiana trentina dal dopoguerra agli anni Ottanta, Trento, Editrice

Pubbliprint, 1988, p. 51s; e le recenti testimonianze dirette raccolte nel mio Eravamo la Dc. Memorie

della classe dirigente democristiana in Trentino. Prefazione di Ilvo Diamanti, Trento, il Margine, 2013,

p. 72s.

201 A. Bonoldi, Ritardo strutturale, crescita, declino: realtà e problemi dell’industria e della politica

industriale, in A. Leonardi, P. Pombeni (a cura di), Storia del Trentino. L’età contemporanea., cit., p.

467. Sull’arretratezza economica del Trentino, sul suo essere terra dedita all’agricolutra di sussistenza, sui suoi livelli di crescita equiparati alle zone depresse del meridione d’Italia, si rimanda, per brevità ai saggi storici di Andrea Leonardi, di Andrea Bonoldi e di Cinzia Lorandini contenuti in A. Leonardi, P. Pombeni (a cura di), Storia del Trentino. L’età contemporanea, cit. e alle relative bibiliografie, nonchè al volume curato da A. Leonardi, La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo. 2. Economia, cit. Per uno sguardo contemporaneo ai fatti, l’analisi fondamentale è invece quella affidata dalla Giunta regionale alla direzione di Umberto Toschi (in concomitanza con il Piano Vanoni) e pubblicata in sette volumi tra il 1956 e il 1958, L’economia industriale della Regione Trentino-Alto Adige, Arti grafiche saturnia, Trento.

202 Per uno sguardo di contesto si veda R.M. Grosselli, Storia dell’emigrazione trentina. I protagonisti e i

paesi, Trento, l’Adige, 2005, per un caso emblematico M. Grigolli (a cura di), L’emigrazione trentina in Cile (1950-1974), Trento, Museo storico in Trento, 2005.

modo assorbire l’intera portata del dibattito politico e della produzione di politiche. In altre parole, come vedremo tra poco, sono tali e tanti i problemi strutturali del Trentino, che la sua classe dirigente pareva concentrarsi in modo quasi esclusivo su di essi, lasciando sullo sfondo e partecipando poco all’avvitarsi delle questioni politiche e partitiche provenienti da Roma. Certo potendolo fare, forte – la DC – di uno strapotere di governance ed elettorale, ma anche condotti a farlo dalla stringente drammaticità delle questioni aperte.

Una seconda e più marcata peculiarità trentina è rappresentata dal suo Statuto d’autonomia speciale203. Il Trentino e l’Alto Adige furono annessi all’Italia il 10

settembre 1919, in applicazione del trattato di Saint Germain che assegnava al Belpaese, come ricompensa per la sua entrata in guerra nel 1915 a fianco dell’Intesa, la parte di Tirolo collocata a sud del passo del Brennero. Con un gesto “arbitrario”204, veniva così

consegnato all’Italia un territorio abitato in larghissima parte da una popolazione di lingua tedesca; offrendo sì agli ambienti irredenti il raggiungimento di un obiettivo a lungo perseguito, ma causando alle popolazioni oggi definite sudtirolesi un trauma. Il quarto di secolo successivo fu un susseguirsi di momenti drammatici: le popolazioni dell’Alto Adige passarono dall’italianizzazione forzata voluta dal regime di Mussolini, alle “Opzioni”205 del 1939 per migrare in Germania, all’amministrazione civile e

militare tedesca decisa da Hitler con l’Alpenvorland del 10 settembre 1943.206

                                                                                                               

203 Ha scritto Valerio Onida: “L’autonomia della Regione Trentino Alto Adige e della Provincie

autonome di Trento e di Bolzano rappresenta, nel quadro costituzionale del nostro regionalismo, la specialità “più speciale”, così nella Presentazione dei tre volumi curati da M. Marcantoni, G. Postal, R. Toniatti, Quarant’anni di autonomia. Le istituzioni e la funzione legislativa, vol. I, Milano, Franco Angeli/tsm – Trentino School of Management, 2011, p. 19.

204 Ha scritto lo storico austriaco Rolf Steininger: “Esistono molti confini tracciati arbitrariamente. Tra i

più arbitrari c’è sicuramente quello del Brennero che divide la regione del Tirolo”, La questione

sudtirolese, in G. Ferrandi, G. Pallaver (a cura di), La Regione Trinito-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo. 1. Politica e istituzioni, Trento, Museo storico in Trento, 2007, p. 159.

205 Con le cosiddette “opzioni”, alla fine degli anni ’30 il regime di Mussolini, in accordo con Hitler,

impose alla popolazione di lingua tedesca (e anche alla minoranza ladina) di scegliere – optare, appunto – in alternativa la cittadinanza tedesca o quella italiana. Il primo caso presupponeva il trasferimento di quelle popolazioni all’interno dei confini del Terzo Reich, il secondo obbligava gli appartenenti ai gruppi etnici tedeschi e ladini ad integrarsi nella cultura italiana, rinunciando ad essere riconosciuti come minoranza linguistica. In provincia di Bolzano, su circa 230 mila votanti quasi 170 mila scelsero per la Germania. Si veda in merito Gustavo Corni, Spostamenti di popolazioni nella Seconda guerra mondiale.

Una nuova fonte sulle opzioni in Sudtirolo (1939-1943), in Demokratie und Erinnerung. Südtirol -

Österreich - Italien, Innsbruck-Vienna-Bolzano, Studienverlag, 2006, pp. 163–181.

206 Procedo a grandi falcate attraverso un tema nel quale anche i centimentri sono invece importanti. Per

esplorarli, oltre al volume curato da Ferrandi e Pallaver, rimando per brevità allo scritto di M. Marcantoni e G. Postal, Trentino e Sudtriolo l’autonomia della convivenza. Introduzione di Paolo Pombeni, Trento, tsm – Trento School of Management, 2013. Le implicazioni emotive di queste vicende sono al centro dei

Nemmeno la fine del secondo conflitto mondiale giunse a pacificare questi territori, stretti tra le richieste di annessione all’Austria presentate all’indomani dal cancelliere Leopold Figl, e l’azione diplomatica del governo italiano presieduto dal trentino Alcide De Gasperi – già deputato alla Dieta Tirolese di Innsbruck – fortemente motivato a mantenere il confine al Brennero.207 La disfida venne diplomaticamente risolta a Parigi

il 5 settembre 1946, con un accordo – siglato dallo stesso De Gasperi e dal ministro degli esteri austriaco Karl Gruber – che stabiliva una serie di misure speciali a tutela della minoranza etnica tedesca, e che riconosceva a quei territori italiani una potestà legislativa e amministrativa autonoma. Autonomia legislativa che necessitava però l’individuazione del quadro territoriale all’interno del quale riconoscerne l’applicazione (Trentino-Alto Adige o solo Alto Adige) e dell’ente cui affidarla (Regione Trentino- Alto Adige, o solo Provincia-Regione Südtirol). Con il preciso intento di battersi per l’autodeterminazione dell’Alto Adige, ed in subordine di mantenere l’ambito d’autonomia circoscritto alla sola provincia di Bolzano, l’8 maggio del 1945 era nata a Bolzano la Südtiroler Volkspartei (SVP). Il Partito popolare sudtirolese (questa la traduzione letterale) reagì con indignazione quando il 27 giugno 1947 l’Assemblea costituente approvò l’articolo 116 della Costituzione, riconoscendo particolare autonomia a cinque Regioni e, tra queste, al Trentino-Alto Adige. Proprio la mancata circoscrizione dell’autonomia alla sola popolazione sudtirolese fu uno degli argomenti attraverso il quale l’SVP spinse per ottenere ampie e altre concessioni all’interno dello Statuto d’autonomia in via di definizione. La principale tra queste, e in buona sostanza anche la ragione di questa breve digressione, prese forma giuridica nell’articolo 14 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, approvato dall’Assemblea costituente il 31 gennaio 1948 ed entrato in vigore alla fine del mese successivo. L’articolo, che per un ventennio sarebbe diventato fonte di scontri e diatribe, trasferiva – ferma restante l’individuazione della Regione come sede dell’autonomia – rilevanti competenze legislative alle due Provincie. Disponeva, nello specifico, che “La Regione esercita

normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni e ad

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

recenti bestseller dell’altoatesina Lilly Gruber, Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il

fascismo, Milano, Rizzoli, 2012; e Tempesta, Milano, Rizzoli, 2014.

207 Per un’analisi sulle frizioni della convinvenza in questi territori si veda l’interessante studio di

Domenico De Napoli, Altoatesini e Sudtirolesi. Una convivenza difficile (1945-1946), Roma, Apes, 1996; e le importanti riflessioni L’autonomia a 60 anni dall’Accordo De Gasperi-Gruber raccolte nella sezione Temi degli “Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento”, 32, 2006.

altri enti locali o valendosi dei loro uffici”208. Le prime elezioni regionali del 28

novembre 1948 chiarirono subito non solo la rispettiva egemonia dell’SVP in Alto Adige (67,6% dei consensi) e della DC in Trentino (57,6%), entrambe destinate a durare per quasi mezzo secolo209, ma mostrarono anche la difficile convivenza dei due partiti

nella stessa Giunta, e la controversa interpretazione dell’articolo 14. Come notano lucidamente Marcantoni e Postal:

Crescevano […] la diffidenza e l’incomprensione tra la SVP e la DC trentina. Il nodo politico principale era costituito dalla mancata applicazione dell’articolo 14 dello Statuto. La SVP ne dava una lettura storico-politica. Quella norma, secondo il punto di vista sudtirolese, sarebbe stata una sorta di “compensazione” per la mancata realizzazione di un’autonomia esclusivamente provinciale – la Regione del Tirolo del Sud – nello spirito dell’Accordo Degasperi-Gruber. Veniva, quindi, interpretata in una prospettiva di massimo trasferimento delle competenze amministrative. La classe politica trentina, invece, era ferma a un’interpretazione giuridica della norma, in base alla quale la delega non poteva essere generica e generalizzata.210

Complici quel “normalmente” interpretato come “quasi sempre” dall’SVP e strozzato in un “solo in caso di una specifica norma che lo preveda” dalla DC trentina, le crescenti pressioni dell’Austria per riaprire la questione del confine al Brennero (Austria che nel 1955 riacquista la propria sovranità e può dunque riprendere una propria azione di politica estera), e la risoluta posizione del Governo italiano, la collaborazione tra i due partiti in Giunta regionale entra rapidamente in crisi211. Una

crisi che con il passare dei mesi muterà terreno e intensità: da attrito politico a battaglia sociale, da ruggine politica a scintilla dell’attività terroristica. Appare importante notare come, per effetto del trattato di pace, l’Austria rappresentasse una sorta di “potere ultimo” nella definizione dell’ottenimento dell’autonomia Regionale. Questa internazionalizzazione della questione sudtirolese, che anche da un punto di vista tecnico rappresentava una soluzione originale in nome della pace, non prevedeva solo l’accettazione da parte italiana di una “sovranità limitata” su una sua Regione, ma in un certo senso faceva anche dalla DC e della SVP due partiti “transnazionali”.

                                                                                                               

208 Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, 26 febbraio 1948, titolo I, capo IV, Disposizioni comuni

alla Regione e alle Provincie, art.14, ora in P. Piccoli, A. Vadagnini (a cura di), Progetti e documenti per

lo statuto speciale di autonomia del 1948, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 586.

209 Con la prima, per la verità, ancora oggi nettamente partito di maggioranza relativa in Sudtirolo. 210 M. Marcantoni e G. Postal, Trentino e Sudtriolo l’autonomia della convivenza, cit., p. 55.

211 Nell’irrigidimento delle posizioni un ruolo non secondario fu giocato proprio dagli “optanti”. Famiglie

Come ho cercato d’illustrare per sommi capi, il Trentino degli anni Cinquanta è un realtà connotata da un particolare ritardo economico e da peculiari istanze politiche al contempo locali, nazionali e internazionali. Non solo, anche lo spettro dei partiti rappresentati in Consiglio regionale non è completamente sovrapponibile a quello nazionale. Innanzitutto per la presenza di simboli attivi esclusivamente in quel contesto, ma anche per un atipico peso ed equilibrio politico dei partiti “tradizionali”. Peso ed equilibrio che intendo brevemente ricostruire, a partire da un documento.

Il 2 settembre 1955, a circa un anno dal congresso di Napoli che ha visto il trionfo di Fanfani nella corsa alla segreteria nazionale, il comitato regionale della DC dedica una seduta a quelli che considera i temi caldi della campagna elettorale che va avviandosi in vista delle elezioni regionali previste per l’autunno successivo. Il senatore Luigi Benetti, incaricato della relazione, esamina la situazione politica della Regione per quelli che definisce “i suoi aspetti di topografia partitica”:

1) – S.V.P. – È un blocco unitario che agisce soprattutto in provincia di Bolzano. Per ora non ci sono segni di tentativi di interventi in provincia di Trento. Si pensa che sia perdere tempo e denaro intraprendere qualche azione che possa incrinare tale blocco unitario e perciò concentrare tutti gli sforzi sull’elettorato italiano nella provincia per aumentare le adesioni alla D.C.

2) – P.C.I. – È un partito che opera nelle due provincie e in modo particolare nelle due città di capoluogo. Dà segni di crisi interna che però non bisogna sopravvalutare. Comunque rimane sempre il nemico n° 1 da battere.

3) – P.S.I. – È un partito discretamente organizzato, forse più pericoloso del Partito Comunista in provincia di Trento, anche se la perdita dell’on. Ferrandi [l’ha] privato di un ottimo elemento.

4) – P.S.D.I. – Si presenterà come unico partito trentino che sappia rispondere alle esigenze sociali delle masse trentine che in generale non sono turbolente, ma può darsi che darà del filo da torcere perché cercherà di erodere ai margini estremi dello schieramento della Democrazia Cristiana. Bisogna quindi attaccare, se è necessario, senza pietà anche ad onta che sia nostro alleato al Centro.

A questo punto il sen. Benetti afferma che il P.S.D.I. è sempre stato il più sleale verso la D.C. perciò va ricambiato con pari moneta.

5) – P.L.I. – Non si pensa che possa dare fastidio, più che altro potrebbe erodere la destra dello schieramento democristiano.

6) – P.M.N. – Non sembra che abbia una consistenza se non un po’ relativa alla provincia di Bolzano.

7) – M.S.I. – È più organizzato e fa leva sui sentimenti nazionalistici nei confronti con i tedeschi; può provocare sorprese nell’Alto Adige.212

                                                                                                               

212 Istituto Luigi Sturzo Roma, archivio storico, Partito della Democrazia Cristiana, Comitato Regionale

del Trentino Alto Adige, Verbali del Comitato regionale (1955-1992), s. I, b.1, Verbale della seduta del

Comitato regionale della Dc (2 Settembre 1955), sottolineature nel testo. Il fondo archivistico della

Tra le righe dei commenti un po’ sbrigativi, compatibili con il clima di una riunione interna e a porte chiuse, è possibile innanzitutto cogliere come i quadri regionali della DC si trovassero a riflettere sull’inversione del pericolo che giungeva dalla loro sinistra. Se infatti a livello nazionale il Partito Comunista rappresentava per la Democrazia Cristiana la minaccia per antonomasia, sia in termini di distanza ideologica, sia in riferimento all’effettiva pericolosità elettorale della sua compagine, in Trentino le cose vanno diversamente. Innanzitutto, per ragioni di storia.

Nel settembre 1919, Cesare Battisti213 sarebbe certamente stato tra i più

soddisfatti irredenti in festa per l’annessione del Trentino-Alto Adige al Regno d’Italia. Nato nella Trento asburgica, socialista e deputato al Parlamento di Vienna, Battisti era però morto per impiccagione il 12 luglio 1916, ucciso dopo essere stato catturato mentre – volontario – combatteva come alpino per l’Italia sul Pasubio. Saliva però al patibolo

un trionfatore214, come scrisse Calamandrei, i cui scritti e il cui impegno divennero

rapidamente punti di riferimento in Italia, e le cui idee connotarono profondamente in senso socialisteggiante l’azione politica e l’identità di chi – nella sua terra – si richiamava a valori laici e di sinistra215. La consuetudine di ispirarsi a Battisti e agli

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

inventariato presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma e custodito presso l’Archivio Diocesano Tridentino, a Trento. In seguito ADTn, Partito della Democrazia Cristiana.

213 La biografia più completa di Cesare Battisti è ancora quella di Claus Gatterer (curiosamente un

altoatesino) pubblicata in tedesco nel 1967 per Europa Verlag, un editore viennese. Il testo è stato tradotto in italiano con alcune modifiche una decina di anno dopo, Cesare Battisti. Ritratto di un “alto traditore”, Firenze, La Nuova Italia, 1975. Utili riferimenti per un profilo si possono trovare anche in Vincenzo Calì,

Patrioti senza patria. I democratici trentini fra Otto e Novecento, Trento, Temi, 2003.

214 “Per la libertà contro tutte le tirannie […] tu salisti al patibolo come un trionfarore | e l’Austria fu

condannata | non tu | Battisti.” Così Piero Calamandrei in un’epigrafe dedicata all’irredentista trentino e pubblicata sul settimanase fiorentino “Fanteria”, ora in E. Rossi, L’Italia Libera, in M. Franzinelli (a cura di), Non mollare (1925): riproduzione fotografica con saggi di Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Piero

Calamandrei, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, p. 50. Come notato da Severino Vareschi, al termine

della Prima guerra mondiale era tale il “mito” battistiano che il vescovo di Trento mons. Celestino Endici individuò “uno speciale pericolo nelle alcune centinaia di giovani, in gran parte di orientamento ideologico laicista e socialista, che rientravano in Trentino”, La Chiesa cattolica trentina fra radici

cristiano-sociali e confronto con i tempi nuovi, in A. Leonardi, P. Pombeni (a cura di), Storia del Trentino. L’età contemporanea., cit., p. 282. Si vedano anche qui le partecipi riflessioni proposte da Calì

nel capitolo Battisti simbolo della nazione? Strumentalizzazioni, usi e riusi di un mito, del suo Patrioti

senza patria, cit. p. 113.

215 Emblematica in questo senso è la questione universitaria trentina, sulla cui apertura le avverse

posizioni battistiane di inizio ‘900 – il famoso “o Trieste o nulla” tanto criticato da De Gasperi – furono in buona parte riprese ad inizio anni Sessanta da quella parte di sinistra contraria all’apertura a Trento di

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