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Una giunta difficile

 

Il 2 agosto del 1960 Fanfani si era presentato alle Camere per le dichiarazioni programmatiche dell’Esecutivo di “convergenze democratiche”, o “parallele”, che si avviava a guidare. Nonostante la composizione monocolore del suo Governo, lo stesso aveva ricevuto il sostegno di Repubblicani e Socialdemocratici, convinti e soddisfatti entrambi che il nuovo Gabinetto e l’astensione del PSI rappresentassero i segni inequivocabili della definitiva archiviazione delle stagioni del centrismo e degli “sbandamenti a destra”.333 Stessa percezione e opposto umore albergava in una parte

della DC e delle gerarchie cattoliche. Solo due mesi prima, il 18 maggio, un editoriale de “L’Osservatore Romano” aveva chiarito quanto il diritto dei vertici della Chiesa di intervenire nella sfera politica e sociale non rappresentasse affatto un’ingerenza, ma al contrario un “punto fermo” da ribadire per contrastare la “malsana teoria laicista” che attraversava la politica italiana.334 Simile linea dura non rappresentava la totalità del

“pensiero Vaticano”, e nemmeno incontrava il favore della sua Guida terrena335, l’agone

era però tale che il voto d’obbedienza per chi in abito talare, e il rispetto della disciplina di partito per chi laico, non erano di per sé sufficienti a sedare gli animi e le penne delle componenti più agguerrite.336 In questo contesto, la segreteria nazionale del partito viene

sottoposta a pressioni e richiami che Moro tesse con difficoltà, convinto che la tenuta dell’Esecutivo Fanfani, del Partito di maggioranza e della stessa nazione siano in quel guerreggiato frangente oltremodo collegate. Come osservato da Marchi, infatti: “egli                                                                                                                

333 La stessa astensione del PSI fu valutata dai due segretari, Saragat e Oronzo Reale, in questo senso. Si

veda in merito Francesco Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana. III, cit., p. 245.

334 Punti fermi, in “L’Osservatore Romano”, 18 maggio 1960. L’editoriale, non firmato, era frutto del

lavoro dei cardinali Ottaviani, Tardini e Siri, ed era in parte stato mitigato grazie all’intervento di mons. Dell’Acqua. Si veda quanto in nota a P. Pombeni, Moro e l’apertura a sinistra, cit. p. 82.

335 Riguardo all’articolo, Giovanni XXIII annotò: “tutto ben considerato […] non reputo più ne opportuna

né prudente la pubblicazione”, così in un appunto manoscritto ora in M. Marchi, Moro, la Chiesa e

l’apertura a sinistra, cit., p. 154.

336 Utili riflessioni (e una ricca bibliografia) sul rapporto tra Democrazia Cristiana, organizzazioni

cattoliche e consenso politico sono tracciate nel volume di Antonio Parisella, Cattolici e Democrazia

Cristiana nell’Italia repubblicana. Analisi di un consenso politico, Roma, Gangemi editore, 2000. Per i

tratti, e il ruolo, della cultura democristiana in epoca pre-democristiana si rimanda invece a A. Giovagnoli, La cultura democristiana. Tra Chiesa cattolica e identità italiana. 1918-1948, Roma-Bari, Laterza, 1991. Per uno sguardo d’insieme, F. Traniello, Città dell’uomo, Cattolici, partito e Stato nella

avverte e denuncia spesso i pericoli di una ‘passionalità’ e di un’irrazionalità latenti nel paese che, coniugandosi alla fragilità delle strutture dello Stato, possono travolgere la democrazia italiana”.337 In questa condizione, o meglio, per il superamento di questa

condizione l’innovazione politica delle “giunte difficili”338 insediatesi tra mille

polemiche e difficoltà in grandi città come Milano, Genova e Firenze all’inizio del 1961, rappresentavano un significativo cambio di passo nella direzione di un accordo con tra la DC e i Socialisti a livello nazionale. Allo stesso tempo però, la narrazione che di simili alleanze amministrative si proponeva restituisce oggi in modo efficace la complessità dell’operazione. Non solo in riferimento alla per certi versi scontata attività “diffamatoria” dei suoi oppositori, ma anche – e per certi soprattutto – prestando attenzione a quanto i suoi primi artefici (Moro e Nenni) fossero cauti nel considerarle semplici sperimentazioni (il primo), e alla stregua di una seconda scelta solo laddove un’alleanza di governo con il PCI non appariva percorribile (il secondo).339 Nemmeno i

deliberata del Consiglio Nazionale della DC del febbraio 1961, o la mozione approvata il mese dopo dal XXXIV Congresso nazionale del PSI340, permisero di abbandonare

cautele e prudenze. Il primo, al quale Moro arrivò dopo mesi di “offensiva religiosa”341,

si chiuse con una formulazione sibillina che approvava l’operato del segretario ma precludeva “ogni possibilità di collaborazione […] con le estreme totalitarie […] o con

i partiti che ad esse si riconducono”342; il secondo, al quale il PSI giunse “nel peggiore dei modi”343, venne anch’esso “salvato” da un’espediente retorico, l’evocazione di un

“socialismo vivente”, formula con la quale Nenni cercava di comporre le divergenti                                                                                                                

337 Così M. Marchi in Aldo Moro segretario della Democrazia Cristiana. Una leadership politica in

azione (1954-1964), in Mondo Contemporaneo, n. 2-2010, p. 106.

338 Ci si riferisce con questo termine alla composizione di Giunte di centro-sinistra effettivo, con la

partecipazione diretta di esponenti Democristiani e Socialisti, in alcuni medi e grandi comuni (trentatrè, entro il marzo 1961) a seguito delle elezioni amministrative del 6 novembre 1960.

339 Si veda per brevità F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana. III, cit. p. 246-55. 340 Mozione che Saragat nemmeno attese prima di esprimere sull’intera assise socialista, dalla pagine

dell’edizione del 16 marzo 1962 del quotidiano socialdemocratico “La Giustizia”, un giudizio durissimo: “Dai lavori del congresso del PSI non si può non ricavare l’impressione di un organismo che va alla deriva”, lo cito da G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, cit., p. 69.

341 L’espressione è di Michele Marchi, che segnala tra le molte pressioni due insidiose missive che

l’Assistente ecclesiastico generale del Movimento laureati cattolici di Azione Cattolica Emilio Guano indirizza “da sacerdote” al “carissimo Aldo” per rimarcare la necessità di “ponderare con grande attenzione piena di senso cristiano oltre che civico ciò che la Gerarchia suggerisce” e augurarsi “con tutto il cuore” che “non possano rimanere dubbi sulla tua adesione alle direttive dell’autorità ecclesiastica”. Così in due lettere del 12 maggio 1960 e del 19 febbraio 1961, ora in M. Marchi, Moro, la Chiesa e

l’apertura a sinistra, cit., p. 154-5.

342 Consiglio nazionale dc del 20-22 febbraio 1961, Roma, Cinque Lune, 1961, p. 233.

343 Così Scroccu per sintetizzare la caotica situazione interna del partito socialista, ne Il partito al bivio,

visioni di autonomisti e sinistra, ma che in realtà mal celava la “divisione cruciale fra le

correnti, perché persisteva molto forte nella sinistra interna la convinzione che fosse impossibile realizzare e stabilire un rapporto con la DC, se non al prezzo di una ‘socialdemocratizzazione’ del partito”344.

In un simile contesto, anche i neoeletti Consigli della Provincia di Trento e della Regione autonoma Trentino-Alto Adige erano chiamati a riformare Giunte e ridisegnare equilibri. L’assetto politico e amministrativo che con continuità aveva retto dal Secondo dopoguerra non appariva infatti riproponibile. A scardinarlo non era stata la complessa reazione di fronte alla prospettiva di un governo del territorio aperto ai socialisti, o il duro rimbrotto di qualche alto prelato, e nemmeno un’ancora pallida frammentazione interna al partito cattolico trentino. La crisi non era nata per una fibrillazione innescata da qualche terremoto con epicentro romano. La discontinuità s’imponeva innanzitutto per mano altoatesina, dunque per ragioni di politica regionale e per volontà dell’SVP, e le sue implicazioni – come anticipato – non si limitavano alle alchimie di composizione delle Giunte, ma investivano in pieno l’architettura istituzionale del territorio così come Italia e Austria l’avevano decisa al termine del Secondo conflitto mondiale. Un’architettura che all’inizio del decennio 1960 individuava ancora nella peculiare autonomia di una Regione lo strumento di composizione e convivenza tra la maggioranza italiana e la minoranza tedesca, ma che nel volgere di due lustri avrà quasi definitivamente compiuto una mutazione istituzionale che collocherà nelle due

Provincie la sede, e dunque il cuore pulsante, dell’autonomia. Non sarà facile fissare di

volta in volta lo stato di questo passaggio, e rendere conto con precisione e in ogni frangente dove stesse il potere, e dove l’autorità. Se sarà infatti visibile, come in due vasi comunicanti, lo svuotamento della Regione e il corrispettivo aumento di risorse e competenze incardinate nelle due Provincie, non sarà semplice restituire la fondamentale dinamica politica attraverso la quale, in poco più di dieci anni, si verificherà il meno appariscente e più sfumato – ma tuttavia definitivo – passaggio di peso politico dall’ambito regionale a quello provinciale di Trento e Bolzano. Al di là dunque dei passaggi di poteri dall’una alle altre, al di là degli accordi sottoscritti ad ogni                                                                                                                

344 Ibid., p. 277. I diari di Nenni lasciano peraltro intendere una discreta e ufficiosa condivisione da parte

dei due segretari nazionali dei timori connessi a, ma anche degli obiettivi racchiusi in, un simile esperimento. Si veda in merito quanto appuntato dal leader socialista addì 20 gennaio 1961, P. Nenni, Gli

anni del centro sinistra. Diari 1957-1966, a cura di Giuliana Nenni e Domenico Zucàro, prefazione di

livello e delle commissioni istituite col bilancino, è importante tenere presente che mentre per tutti gli anni Cinquanta il vertice del potere politico e amministrativo fu il presidente della Giunta regionale (e attorno a quella figura si concentrarono lotte, ambizioni e richieste), nel corso degli anni Sessanta il rilievo politico dei presidenti delle Giunte provinciali crescerà d’importanza fino ad oscurare (nel corso degli anni Settanta) il ruolo della Regione, dei suoi organi, e dei suoi rappresentanti.

I voti che la politica trentina si trovava a dover comporre per formare la Giunta regionale, avevano attribuito alla DC venti seggi, all’SVP quindici, tre e quatto a PSDI e PSI, due ai Comunisti e ai Missini, mentre un solo consigliere era stato eletto nelle liste del PATT e dei Liberali345. Il Comitato provinciale democristiano aveva valutato un

simile risultato con soddisfazione. Grigolli aveva sorriso alla “confermata solidità della

Democrazia Cristiana trentina alla quale gli elettori hanno inteso con i loro consensi mantenere un ruolo primario nella vita regionale”, osservando senza trasporto “la battuta d’arresto riscontrata nello schieramento dei partiti di destra”, e segnalando

invece “la pericolosa incidenza dimostrata dal PCI e dal PSI nello schieramento

elettorale”, crescita bilanciata da una bona ripresa del PSDI, che il segretario

“sottolinea[va] con compiacimento”. Nell’insieme, aveva concluso: i “risultati elettorali

delle elezioni regionali del 1960 ci hanno indicato che le nostre posizioni elettorali hanno subito un lieve ridimensionamento e che le sinistre hanno mostrato una notevole capacità di movimento”. 346 Il tema tuttavia era quello di stabilire come procedere e –

soprattutto – con chi. Tullio Odorizzi infatti, nonostante la DC lo avesse pubblicamente difeso (chiarendo che una sua eventuale sostituzione non sarebbe stata un cedimento ai                                                                                                                

345 Con riferimento al Trentino-Alto Adige, dati come il numero di voti, le percentuali ottenute da ciascun

partito, il numero di consiglieri eletti sono rintacciabili in modo disorganico in diverse pubblicazioni. Un discreto tentativo di racoglierli lo si trova nell’appendice del primo dei tre volumi curati da Sergio Benvenuti col titolo Storia del Trentino. Volume 1. Periodizzazione e Cronologia politico istituzionale, Trento, Edizioni Panorama, 1995, p. 217s.

346ADTn, Partito della Democrazia Cristiana, Comitato provinciale di Trento, s. II, b. 5, Verbale del

comitato provinciale (20 novembre 1960). A dimostrazione di come fosse ormai aperta la questione di

metodo lanciata dal “piano Kessler”, quando l’ex Paolo Berlanda, analizzando la tornata elettorale, aveva proposto di considerare la leggera perdita dello scudocrociato come un ritorno ai livelli abituali: “Le posizioni raggiunte nel 1956 devono essere considerate eccezionali, i fatti ungheresi hanno avuto allora una influenza notevole. La diminuita percentuale del 3% in queste elezioni non deve essere valutata come una perdita di voti, ma come un ritorno alla normalità”. Accennando al fatto che forse non si era “sottolineato a sufficienza il tema ideologico”, Flaminio Piccoli, pur non essendoci sullo sfondo dell’argomentazione di Berlanda alcun richiamo polemico alla linea pragmatica proposta da Kessler, aveva colto l’occasione al balzo per ribadire le distanze ancestrali: “[b]isogna[va] dare ai cittadini idee costruttive di ordine cristiano, l’avanzata del comunismo è un problema di costume. La gente toccata dal malcostume vota comunismo”.

ricatti del SVP, e “premiandolo” alle elezioni di novembre con il numero più alto di preferenze dell’intero partito), aveva già da alcuni mesi comunicato la sua disponibilità a cedere la presidenza della Giunta regionale347. Grigolli riferisce dunque sull’avvenuto

inizio dei colloqui da parte della delegazione del Comitato regionale, colloqui intercorsi “a tutt’oggi, solo con la SVP”, e che per il momento lasciavano “la convinzione che la

SVP voglia riservarsi una certa libertà d’azione, non vuole comunque impegnarsi in nessun campo”. Comunica dunque che “[n]ei prossimi giorni proseguiranno i colloqui con gli altri partiti dell’area democratica”.348

Seguono sei giorni di fitti colloqui, al termine dei quali il Comitato provinciale viene nuovamente riunito. Il segretario Grigolli riassume dunque nel dettaglio posizione e prospettive:

Nei giorni scorsi hanno avuto luogo le prese di contatto, deliberate dal comitato regionale, con i partiti escluse le estreme (MSI – PCI). Per prima è stata consultata la SVP. Dai colloqui si è avuta la convinzione che il partito di lingua tedesca parteciperà al Consiglio regionale. Non entrerà però in Giunta. Intende mantenere una completa libertà di azione di fronte a possibili maggioranze che abbiano come perno la DC. Non esclude che a tale maggioranza possano partecipare anche altri gruppi di lingua italiana. Si è avuta anche l’impressione che un’intesa DC –PPTT per la Giunta dovrebbe assicurare una astensione dell’SVP; non è parso però possibile impegnarla in modo preciso e duraturo in questo senso. Dai colloqui con gli altri partiti è parso che fra tutti i meglio disposti ad appoggiare il programma Kessler siano il PPTT e il PSI.

Il partito liberale ritiene di considerarsi partito necessario di una futura maggioranza. Esprime in proposito anche esplicite richieste di un Assessorato e dichiara di voler arrivare ad una distensione con la SVP, anche se ciò dovesse costare un ingresso del PPTT nella maggioranza. In merito al programma non

                                                                                                               

347 Della cosa aveva avvisato l’amico Segni con due missive del marzo e del luglio 1960, chiedendo in

cambio del suo passo indietro un incarico di prestigio. A queste Segni aveva risposto ringraziandolo, e confermandogli che sia Fanfani che Moro s’erano espressi sostenendo “che il tuo sacrificio fosse necessario nell’interesse del partito stesso”, e prospettandgli un incarico nella Presidenza del Consorzio Operere Pubbliche: “dove la tua capacità tecnica sarebbe molto utile”. Si veda in merito quanto ricostruito da F. Giacomoni e R. Romasi, Dall’Asar al Los Von Trient, cit. 395-6.

348 ADTn, Partito della Democrazia Cristiana, Comitato provinciale di Trento, s. II, b. 5, Verbale del

comitato provinciale (20 novembre 1960). È interessante notare come l’alterità politica trentina fosse tale,

che anche la definizione di quali partiti consultare – e dunque considerare appartenenti all’area democratica – non fosse un processo di mera ricezione di quanto stabilito a livello nazionale, ma invece una questione da dibattere, e sulla quale poi deliberare. Nello specifico, Dalvit chiede: “se tutto il comitato provinciale è d’accordo che dai colloqui devono essere esclusi solo il MSI e il PCI”, ma Veronesi – in barba al fatto che il PSI sia ormai da anni nell’orbita del governo nazionale, reagisce incredulo: “Perché il PSI sì e il MSI e PCI no? Vogliamo forse avallare l’equivocità del PSI?”. Alcuni membri dell’esecutivo, tra i quali Piccoli, Galvagni e Albertini propongono d’invertire il ragionamento, e dunque di “estendere i colloqui anche con gli altri partiti tanto per non dare la patente di democraticità al PSI.” Alla fine la spunta Odorizzi che chiede che la decisione venga presa dal Comitato Regionale e non da quello provinciale.

chiede alla D.C. un accantonamento definitivo di tutte le idee enunciate attraverso il discorso Kessler.

Il partito socialdemocratico italiano considera fatto auspicabile un’intesa D.C. + PSDI in astensione concordata del PSI. Vede possibile come seconda ipotesi una maggioranza DC – PSDI – PLI – PPTT. Si è avuta l’impressione che l’accenno al PSI fosse fatto per amore di tesi (il PSI non è stato ancora sentito). Si è anche notata la diversità di atteggiamenti fra il PSDI di Bolzano e PSDI di Trento, l’uno di tendenza assai dura e quasi di provocazione nei confronti della SVP, l’altro più possibilista sia in ordine all’alleanza che al programma.

[Con i]l partito popolare tirolese trentino [PPTT, è] stato un colloquio piuttosto umiliante. Si è avuta l’impressione che l’unico che potesse dire qualche cosa fosse solo il dott. Pruner. Si mantiene su una posizione molto possibilista anche se lascia trasparire il desiderio di entrare nella maggioranza.349

L’SVP ha dunque confermato di non voler entrare in Giunta regionale, e ha comunicato che valuterà con attenzione se esprimere alla stessa voto contrario o d’astensione. Lo stabilirà sulla base delle scelte Democristiane in materia di alleanze e programma. I Liberali e il PPTT sembrano voler cogliere la palla al balzo, sfruttando la risolutezza dei rappresentanti della minoranza tedesca per ottenere un posto nell’Esecutivo. Simile discorso giunge anche per parte Socialdemocratica, con la proposta di una Giunta bipartitica con astensione del Partito Socialista, richiesta che Grigolli considera più scolastica che frutto di reale convinzione, stante il fatto che i riferenti del PSDI si sono affrettati a dirsi aperti anche ad altre prospettive (ad esempio ad un quadripartito con PLI e PATT). Le “estreme” non sono state sentite, ma mentre le audizioni di Comunisti e Missini sono state scientemente escluse, l’incontro con i Socialisti è in curioso quanto utile ritardo, e il parere del partito “non è stato ancora sentito”. Ciò che traspare dai verbali, è il grande senso d’autonomia con la quale la DC trentina ragiona di scenari e alleanze. Le “giunte difficili” di altre città non vengono mai nominate, così come non vengono prese ad esempio – ma nemmeno messe all’indice – le varie alleanze parlamentari che hanno sorretto gli ultimi Governi. L’unico spazio che Roma si conquista nel dibattito per la formazione della nuova Giunta regionale, ha per tema la Regione stessa. Grigolli dà infatti notizia del confronto avvenuto in Direzione centrale con Moro e il sen. Attilio Piccioni: “Roma è d’accordo sulla formula DC – PLI

– PSDI – PPTT. Comunque consiglia che si faccia tutto il possibile per evitare attriti

                                                                                                               

349 ADTn, Partito della Democrazia Cristiana, Comitato provinciale di Trento, s. II, b. 5, Verbale del

con il gruppo etnico tedesco in vista delle trattative internazionali. Raccomanda di agire in concordanza con il Governo e la Direzione centrale”.350 La risoluzione

dell’ONU dell’ottobre 1960, infatti, non era stata vista di buon grado dai leader dell’SVP, e il Governo nazionale temeva un’ulteriore irrigidimento delle posizioni in previsione degli incontri tra Italia e Austria previsti per il gennaio successivo. Il sen. Benedetti conferma le preoccupazioni riportate dal segretario: “Il governo sta

preparando un quadro entro il quale dovranno svolgersi le trattative. Per ora il Governo prega di non tirare troppo la corda”.351 Kessler invita allora i colleghi di

partito ad esprimersi con più chiarezza, chiedendo: “se la presenza delle trattative tra

Italia e Austria sia fondata su una collaborazione a quattro” in giunta Regionale.352 Gli

risponde Flaminio Piccoli, richiamando l’assoluta necessità per il Trentino di una sponda col Governo nazionale, consigliando a tutti di “ingoiare il rospo” per conservare l’autonomia:

Noi dobbiamo conservare l’autonomia. Questo costerà sacrifici alla D.C. trentina. L’ONU non si è chiuso tutto a nostro vantaggio, il problema è stato internazionalizzato. Se la situazione politica si deteriorasse anche la SVP tenterebbe di risolvere la situazione a proprio favore. Noi dobbiamo fare il nostro interesse come non mai, noi trentini dobbiamo dimostrare che l’autonomia regionale è essenzialmente incontro tra i due gruppi etnici. Noi dobbiamo dimostrare a ogni costo che vogliamo facilitare l’incontro con il gruppo etnico tedesco. Noi dobbiamo resistere al cedimento di fronte alla SVP consistente nell’imbarco del PPTT; il fatto che il Governo dia via libera al PPTT perché venga spianata la via alle trattative, ci costringe a fare ogni sforzo per inghiottire “il rospo” fermi restando i nostri scopi.353

La richiesta di Kessler e la risposta di Piccoli, anche se solo un frammento in un discorso dominato per lo più da altre questioni, rappresentano a mio parere un indizio cruciale per cogliere una dinamica importante. Una dinamica nei primissimi anni Sessanta ancora poco visibile, ma i cui effetti andranno via via chiarendosi lungo tutto il

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