Der Prozeß e la metafora della violenza che pone
4. Seduti davanti alla Legge, a contemplare la violenza dell'origine
4.1 Della contemplazione che precede il pensiero
Il processo è probabilmente uno dei romanzi più profondi, mai concepiti, sul
tema del diritto moderno. La genialità del testo non risiede nel messaggio ̶ aperto a più interpretazioni , tutte possibili ̶ , ma nell'esperienza in cui coinvolge il lettore, il quale sente sulla propria pelle l'impossibilità di un mondo privo di simboli, di un universo senza legge.259 Provata l'angoscia di un mondo al di qua della norma, di una giustizia confusa, fatta di immagini dissociate, folli e tuttavia legate tra loro da inquietanti affinità, ciò che egli vive non è l'esperienza dell'assurdo nel processo o dell'arbitrarietà delle regole, bensì il brivido che corre lungo la schiena per l'assenza di regole, l'inquietudine nel vedere la vita fluire incerta, dentro un universo precedente la rottura originaria, scandito dalle contraddizioni che preparano e rendono possibile la fondazione del diritto moderno.260
Di una siffatta esperienza, il lettore è vittima e testimone, al tempo stesso,261 dato che la sua immaginazione viene stimolata ad un punto tale da fargli vivere in prima persona la vicenda di K.: egli si introduce nella sua realtà, ne vive i cortocircuiti, le ambiguità, le preoccupazioni e si lascia affaticare dalle stesse pene che straziano K. e proprio perché sperimenta così da vicino la sciagura del protagonista , egli può testimoniarla in modo diretto. Tuttavia, la sua testimonianza, per essere veritiera, non può constare di sole parole, ma va arricchita con i gesti, ovvero con quei movimenti del corpo che il lettore ha immaginato sfogliando le pagine del libro e che gli hanno permesso di farsi un'idea globale dell'evento. Omettendo i gesti, egli amputerebbe, in modo consistente, il potenziale esplicativo dell'evento, riducendolo ad un costrutto logico, privo di carica emotiva e, pertanto, dimentico della sua origine e delle
259 Cfr. Antoine Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, op. cit., p. 243. 260 Ivi, pp. 243, 244.
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informazioni contenute nel momento originario. Difatti, l'esperienza di un evento , ancor prima di aggredire la sfera razionale ̶ dove viene organizzata in modo logico, per essere destinata alla discorsività, perdendo così molte delle informazioni captate sensorialmente ed irriproducibili nella forma del pensiero logico-razionale ̶ , passa per il corpo, che reagisce incoscientemente all'insieme di stimoli provenienti dall'esterno, avvertendoli tutti in un'unica frazione di tempo, seppur in modo confuso e globale.
Dunque, per testimoniare la vicenda di K., in tutta la sua complessità, non bastano le parole, servono anche i gesti e il potenziale informativo del loro non- detto; ma servono anche i quadri che appaiono ripetutamente nel romanzo e che K. contempla per intendere meglio l'universo giuridico in cui è stato trascinato ̶ come il dipinto della giustizia su cui lavora Titorelli. Per questo, le posture del suo corpo e le riproduzioni artistiche che osserva (quadri, fotografie, opere architettoniche) sono tanto importanti quanto l'ansia e l'angoscia che dice di sentire, e lo squallore che dice di vedere. Per capire K. e il mondo originario in cui vive, occorre attivare tutti i sensi, in particolar modo la vista, e fermarsi a sentire e contemplare anziché a pensare.
A darci istruzioni in questo senso, è Kafka stesso, il quale ci comunica l'esperienza processuale di K. ricorrendo a tropi, soprattutto metafore, da cui il discorso logico-razionale ne risulta stremato. Essi sono il segno della necessità di un ritorno alla conoscenza originaria, fatta di immagini e non ancora filtrata dalla ragione; una conoscenza che sperimenta una dipendenza molto forte dall'altro, che lo necessita per costruire il reale, non potendosi ancora affidare ad un sapere già organizzato e fruibile, nella misura in cui condiviso e adottato da una data comunità. Senza questo ritorno, la verità sul diritto positivo è compromessa; senza una memoria della sua origine, ciò che resta sono solo gli inganni necessari della scienza giuridica moderna, la quale, poggiando su un sapere sistematizzato nel rispetto di regole come la coerenza, l'organicità e la non- contraddizione, non può presentare le impurità, le co-implicazioni e i paradossi dell'origine.
Ma per tornare indietro, per riprodurre questa realtà originaria, occorre utilizzare strumenti di rappresentazione adeguati, i quali non la vincolino a forme
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storicamente determinate, che, in quanto successive al momento originario, la falsano. In questa direzione, il linguaggio ordinario è poco funzionale; utile nella comunicazione quotidiana, poiché preciso e ben ancorato alla realtà esterna, non lo è, invece, nella prospettiva kafkiana, che si situa in una dimensione originaria, dove distinzioni come esterno/interno, prima/dopo, non sono state ancora formulate, dove mancano, dunque, punti di riferimento e tutto si confonde con tutto. In questa dimensione, occorrono quelle che Kafka chiama Sinnbilder «immagini che hanno significato»,262 le quali aiutano il lettore e soprattutto il teorico del diritto a situarsi nel momento originario, laddove la scienza giuridica, con il suo sapere già acquisito, non permette di attardarsi. Secondo Günther Anders, la trasformazione, tipicamente kafkiana, di «processi» in «immagini» è dimostrata dalla sintassi dei suoi romanzi, che, silenziando il verbo, provoca un blocco nell'articolazione del messaggio e annulla la temporalità in cui esso andrebbe costruito.263 Ad esempio, continua Anders, Nella colonia penale, dove si parla di una «macchina della morte» e si evita di dire che «le macchine sono mortali», vengono evocate due immagini differenti, la macchina e la morte , che non sono risolvibili nel messaggio concreto e storicamente determinato ̶ il
carattere mortale delle macchine ̶ a cui rinvia, invece la seconda espressione.264
Dato l'utilizzo costante di immagini da parte dello scrittore praghese, si può ipotizzare che, per egli, l'unico strumento idoneo a comprendere la questione dell'origine del diritto moderno sia, proprio, una letteratura per immagine. Come ha sottolineato Calasso, la conoscenza, in Kafka, implica che venga evocata un'immagine e di essa va subito riconosciuto che è soltanto un'immagine.265 Per superarla, per andare oltre, occorre sostituirla con un'altra immagine.266 E ciò all'infinito. Il processo è inarrestabile perché non esiste immagine di cui non si possa dire che è soltanto un'immagine.267
262 Così Calasso citando Kafka. Cfr. Roberto Calasso, K, op. cit., p. 135. 263
Cfr. Günther Anders, Kafka pro e contro. I documenti del processo, op. cit., p. 85 264 Ibidem.
265 Roberto Calasso, K, op. cit., p.140. 266 Ibidem.
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4.2 Il volto ibrido della Legge
Come ha scritto Garapon, Der Prozeß ―può considerarsi un immaginario del
processo nel duplice senso di repertorio di immagini (…) e di esperienza al di là
della ragione‖.268
Tuttavia, il romanzo non è volutamente carico di immagini, non è volutamente ambiguo e non è volutamente metafora inesauribile. Esso ricorre alle immagini ̶ fonte di ambivalenza e significazione multipla ̶ non in virtù di un'attrazione estrema verso l'inconcluso, ma in ragione di una necessità dettata dall'universo originario in cui gravita. La ricerca della verità dell'origine del diritto moderno, a cui Kafka lo dirige, lo riporta indietro, in un mondo amorfo, dove, in assenza della Legge, è impossibile fare e pensare la differenza. In questo regno dell'indistinto, in cui non esistono ancora forme delimitate perché mancano i criteri per tracciare i contorni delle stesse, tutto è contiguo e illimitato. Non ci sono confini che delimitino gli interni dagli esterni o una categoria dall'altra.269 Così Kafka, che vuole parlare dell'origine, è costretto a confrontarsi ̶ e costringe i suoi personaggi a confrontarsi ̶ con questa realtà ambigua , dove il volto della legge non si distingue ancora da quello dello squallore, della violenza o del desiderio di potenza.
Diversi passaggi del romanzo provano questo confronto. Una prima testimonianza è presente nel terzo capitolo, dove K., recatosi sul posto del suo primo interrogatorio, deve trovare la sede del tribunale, non essendogli stata comunicata la direzione esatta. Egli crede di poter riconoscere il tribunale da qualche tratto peculiare ̶ come la maestosità dell 'edificio, l'imponenza del cancello d'entrata, la presenza di statue ̶ che lo distingua da altri luoghi comuni . Invece, nella Julius Strasse, dove dovrebbe sorgere il palazzo di giustizia, egli vede, ad ambo i lati, case quasi uniformi, alte, grigie e abitate da povera gente. In questo contesto, differenziare un edificio da un altro è difficile e la speranza di K., di incontrare il tribunale facendo affidamento sugli elementi architettonici che tradizionalmente lo contraddistinguono, deve scontrarsi con l'inutilità di questo sapere storicamente acquisito nel mondo originario in cui si svolge il suo
268 Antoine Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, op. cit., p. 244. 269
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processo. Del fasto dei tribunali, di cui si parla nei manuali di storia dell'architettura giudiziaria, non c'è qui alcuna traccia e lasciarsi orientare da questo simbolismo è inutile, oltreché ridicolo.
Un seconda testimonianza si situa nel quinto capitolo, dedicato alla punizione dei sorveglianti corrotti, denunciati da K.. Qui, l'indistinto opera a più livelli: in primo luogo, K. non ha denunciato regolarmente Franz e Willem, li ha solo accusati di corruzione nell'aula dove si è tenuta la sua prima udienza, ma pare che il tribunale non faccia distinzione tra lo sfogo liberatorio di K., indignato dalla condotta dei funzionari, e la regolare denuncia che K. stesso non è arrivato a sporgere; in secondo luogo, punire gli accusati in un magazzino della banca, dove Josef presta servizio e dove qualsiasi impiegato potrebbe accedere, assistendo all'orribile spettacolo, non è poi così diverso dall'infliggere la pena in luoghi appositamente adibiti a ciò; e, da ultimo, esercitare violenza sul corpo dei colpevoli, picchiandoli ripetutamente con una bastone, non sembra differire dal punire secondo giustizia.
Una terza testimonianza, la più incisiva, si trova nel settimo capitolo, in cui il volto di Dike, riprodotto in un dipinto dal pittore Titorelli, ospita più realtà, teoricamente distinte, come la vittoria, la caccia e la giustizia, ma stranamente riunite in un'unica immagine che non possiede ancora il ricordo della loro differenza. Osservando il quadro, K. fa notare, al suo autore, che l'idea di rappresentare la giustizia con le ali ai talloni non è buona; la giustizia dovrebbe star ferma per evitare l'oscillazione della bilancia, il cui equilibrio simbolizza la giustezza del verdetto. Tra l'altro, osserva K., raffigurata nel gesto di correre, Dike somiglia più alla dea della caccia che non a quella della vittoria. Ma Titorelli, gli spiega che, vi veda quel che vi veda, così gli era stato chiesto di ritrarla e, non da un committente qualsiasi, bensì da un giudice della Corte.
Si potrebbe continuare con l'elenco delle circostanze in cui K. ed altri protagonisti del romanzo sperimentano il carattere piatto, opaco e indistinto del mondo che popolano, ma si rischierebbe di dilungarsi troppo, dato che, come ha osservato Garapon, l'intero testo può essere letto come un esperimento di non
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razionalizzazione degli spazi e delle figure.270 Difatti, in Der Prozeß, tutto è estraneo alla più elementare sistematizzazione: gli ambienti esterni si confondono con quelli interni, lo spazio pubblico con quello privato, gli uomini della legge con i fuori-legge, gli innocenti con i colpevoli. Tuttavia, questa mancanza di razionalizzazione non va interpretata, come vorrebbe Garapon, nella forma di un invito a meditare sulla funzione simbolica del diritto, sulla necessità di procedere per distinzioni, a iniziare dai luoghi.271 Essa non è per Kafka semplicemente la versione ̔cattiva̕ del diritto , da sostituire con quella ̔buona̕ che utilizza distinzioni. Seppur tetra e minacciosa, essa è consustanziale al diritto moderno, gli dà i natali e gli appartiene tanto quanto la successiva razionalizzazione, con cui esso si presenta dal momento della fondazione in poi.
Pertanto, riprodurre questa realtà , attraverso un esperimento letterario , non significa, per Kafka , avvertire il lettore della bontà delle distinzioni ̶ o , perlomeno, non si riduce solo a questo. La sua vocazione, più che quella di un critico del diritto che non sa distinguersi dalla violenza, è quella di un pittore, che dipinge con tratti indistinti per creare un'immagine veritiera del diritto moderno, che includa la violenza come suo momento originario e condizione di possibilità. Questa inclinazione non converte Kafka in un sostenitore dei regimi totalitari, come hanno sostenuto alcuni autori.272 Egli non ha voluto essere né un critico di determinate ideologie né un difensore di altre , bensì ha cercato di costruire la memoria di un momento ̶ l 'origine del diritto moderno ̶ che la teoria del diritto non sapeva e non poteva formulare.
Per intendere Kafka, dice Calasso, bisogna prenderlo alla lettera273 e la lettera va colta in tutta la sua potenza.274 Così quando il cappellano del carcere dice che
270 Cfr. Antoine Garapon, Del giudicare, op. cit., p. 247. 271 Ivi, pp. 248, 249.
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Ad aver avanzato quest'idea, negli anni cinquanta, dunque, a pochi anni di distanza dalla fine del secondo conflitto mondiale, è stato Günther Anders, nel suo Kafka pro und contra. Die Prozeß-Unterlagen (op. cit.), sostenendo l'esigenza di combattere alcuni germi disseminati nell‘opera kafkiana, che legittimerebbero, consapevolmente o no, la sorte del popolo ebraico nel secolo passato. Ora, sebbene l'opera di Anders contenga delle buone intuizioni intorno alla poetica di Kafka, per questa sua affermazione, ha attirato su di se una forte diffidenza, impedendo un'analisi e uno sviluppo ulteriore delle riflessioni in essa avviate.
273 Cfr. Roberto Calasso, K, op. cit., pp. 35, 36.
274 Come ha notato Helmut Hiebel, alla tendenza alla connotazione corrisponde, in Kafka, la tendenza alla letteralità. Difatti, l'uso ininterrotto della metafora, che si inserisce in un processo
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tutto appartiene al tribunale , vuole esattamente dire che tutto ̶ la lussuria , la corruzione, la violenza, il potere ̶ fa parte del tribunale e quando K. dice di vivere in uno Stato di diritto, dove regna la pace e tutte le leggi sono in vigore, vuole dire proprio ciò che dice. Non c'è contraddizione, ma co-implicazione di più realtà che, all'origine, non hanno ancora avuto il tempo di tracciare i loro confini.
4.3 Der Prozeß: una memoria dell'origine violenta del diritto moderno
La letteratura kafkiana, che non ama parafrasarsi attraverso proposizioni e che, iniziando con una metafora, si dedica a potenziarla senza mai abbandonarla, contiene un ―elemento iconico‖.275
Quest'elemento, che secondo Henle, costituisce una componente esclusiva della metafora276 ̶ ciò che la differenzia dagli altri tropi ̶ , diviene, in Kafka, la colonna portante della sua poetica, dato che essa si presenta come una metafora inesauribile o, come dice Helmut Hiebel,
―in movimento‖ (gleitende Metaphor).277
Pertanto, le immagini che compongono Der Prozeß sono il risultato di una scrittura allusiva originaria che non risolve le metafore in commenti rivelatori del loro significato, ma le mantiene come tali, sostituendole di tanto in tanto con altre, più potenti.
Dell'utilizzo di una scrittura allusiva originaria, in Kafka, abbiamo discusso al principio di questo capitolo, precisando che il ricorso alla stessa non è sporadico,
auto-generativo senza fine, implica una materializzazione di ambedue le realtà evocate dalla metafora (Cfr. Hans Helmut Hiebel, Die Zeichen des Gesetzes. Recht und Macht bei Franz Kafka, Wilhelm Fink Verlag, München, 1983, p. 37). Ad esempio, quando Kafka parla di un ―guardiano della legge‖ senza rispondere, nel prosieguo del racconto , agli interrogativi posti dalla metafora ̶ quale legge ? perché davanti ad essa sta un guardiano ? ̶ , ma, al contrario, rendendo questi interrogativi ancora più incalzanti, attraverso l'uso di metafore successive potenziate, come quelle dei ―guardiani più potenti‖ che controllano le sale interne della legge , ciò che fa è costringere il lettore a prendere alla lettera le realtà a cui la metafora rinvia ̶ il guardiano e la legge . Tuttavia, tale letteralità non va confusa con quella del linguaggio ordinario, perché mentre quest' ultimo rinvia ad oggetti esterni, secondo un movimento centrifugo, quello metaforico non entra in contatto con il mondo esterno; al contrario, produce da sé gli oggetti a cui rimanda, i quali appaiono pertanto chiusi su se stessi. (Cfr. Paul Ricoeur, La Métaphore vive, Éditions du Seuil, Paris, 1975, tr. it. di Giuseppe Grampa, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione, Jaca book, Milano, 2010, p. 276).
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Paul Henle, Metaphor, in P. Henle (ed.), Language, Thought and Culture, University of Michigan Press, Ann Arbor, 1958, p. 177.
276 Ibidem.
277 Hans Helmut Hiebel, Die Zeichen des Gesetzes. Recht und Macht bei Franz Kafka, op. cit., p. 54.
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ma costante e risponde all'esigenza di costruire un discorso emancipato dal senso comune e dal suo legame con le cose. In esso, la metafora è originaria in un duplice senso: costituisce il punto di partenza, la scaturigine del testo; ed è ciò che vincola quest'ultimo a se stessa, impedendogli di risolversi in qualcosa di diverso.
Il carattere originario dell'allusività, che ha come effetti la sospensione della realtà naturale e l'apertura del senso all'iconico, è ciò che permette a Kafka di creare la visione di un momento ̶ l'origine del diritto moderno ̶ che nel discorso teorico giuridico resta invisibile, per le ragioni a cui abbiamo già fatto riferimento: la struttura logico-razionale dello stesso e la conseguente impossibilità di rappresentare realtà paradossali.
Tuttavia, questa immagine, che colma un vuoto nella teoria e nella filosofia del diritto, costruendo la memoria di un evento complesso e sfuggente , resta solo un'immagine, ovvero una visione senza l'oggetto visto ̶ presente nell'immaginario collettivo solo grazie alla letteratura.
È come se, edificando una memoria di quest'evento, Kafka cercasse di far presente al teorico del diritto che non ci sono soluzioni per il paradosso dell'origine del diritto mderno e che di fronte ad esso si può solo stare seduti a contemplarne il volto bifronte e a sentire la violenza della sua legge.