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Segue I «vantaggi fondatamente prevedibili»

4. I criteri della compensazione: il quantum ed il quomodo

4.2 Segue I «vantaggi fondatamente prevedibili»

A conferma del fatto che, in materia penale, il bilanciamento tra beneficio e profitto non debba necessariamente esprimersi in termini di rigida proporzionalità quantitativa, interviene il richiamo ai vantaggi “fondatamente prevedibili”, cioè non ancora conseguiti, o addirittura non conseguiti affatto.

La formula fornisce un ulteriore avallo alla correttezza logica, da molti invero negata176, della scelta del legislatore penale di collegare il vantaggio al profitto del gruppo o di altra società collegata e non già al danno di quella inizialmente depauperata.

La compensazione, infatti, deve essere calcolata sulla base della proporzione tra l’arricchimento del gruppo conseguito in virtù dell’operazione dannosa posta in essere dall’amministratore della controllata, ed il vantaggio ottenuto od ottenibile da quest’ultima per il fatto di appartenere al gruppo, in modo tale da poter escludere che il soggetto qualificato abbia agito nell’esclusivo interesse extrasociale di terzi.

Non già, quindi, equilibrio tra l’iniziale perdita e la futura utilità, ma congruità tra guadagno del gruppo e ritorno economico per la singola, alla luce di un’analisi

175

In questo senso si veda ACQUAROLI, Alcune osservazioni sul reato di infedeltà patrimoniale, cit., p. 191.

176

Tra gli altri, ACQUAROLI, Alcune osservazioni sul reato di infedeltà patrimoniale, cit., p. 189 e ss.; BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 139; FOFFANI, Le infedeltà, cit., p. 360; MUCCIARELLI, Il ruolo

dei “vantaggi compensativi”, cit., p. 630 e ss.; NAPOLEONI, Geometrie parallele, cit., p. 3796. Contra MASUCCI, Vantaggi del gruppo, cit., p. 903 e ss.

complessa e globale che non isoli le singole operazioni, ma che sia correlata al più ampio contesto della generale operatività del gruppo.

In questi termini il profitto non sarà ingiusto quando - sulla base di calcoli certi e sicuri effettuati ex post (vantaggi conseguiti), o in virtù di prognosi calibrate, però, su parametri di oggettiva ragionevolezza in una prospettiva ex ante (vantaggi fondatamente prevedibili) – questo risulterà proporzionato col beneficio ottenuto dalla controllata o, per essa, solo preventivato177.

L’art. 2634, terzo comma, allora, non fa che fornire all’interprete un criterio di calcolo: la congruità richiesta per far sì che venga meno il requisito dell’ingiustizia del profitto (cioè la extrasocialità dell’interesse per cui l’amministratore ha agito) deve essere ricostruita mediante un’analisi di natura globale, che tenga conto dei risultati economico-aziendali diversamente ricollocati (o ricollocabili) e ridistribuiti (o ridistribuibili) tra le varie entità del gruppo, anche nel medio e nel lungo periodo.

Così facendo, il giudizio in ordine alla irrilevanza penale di determinati trasferimenti patrimoniali infragruppo muoverà non solo dall’accertamento di un

effettivo ristoro in seno alla società inizialmente impoverita, ma potrà dipendere, altresì,

dalla ragionevolezza della previsione di un ritorno di utilità che di fatto non si realizzi, per cause successive ed indipendenti dal volere o dall’agire dei protagonisti dell’operazione stessa. Ecco chiarito, allora, come il vantaggio compensativo non sia funzionale, nella struttura dell’art. 2634 terzo comma, c.c., a riportare ad equilibrio una situazione patrimoniale precedentemente contaminata: siffatto riequilibrio, alla luce del richiamo al vantaggio non conseguito ma fondatamente prevedibile, potrebbe anche mancare, e ciò non sarebbe comunque sufficiente a qualificare la condotta in termini di illecito abuso. Ma v’è di più: il riferimento normativo ad un criterio di natura soggettiva, ancorché qualificato dall’avverbio “fondatamente” sembra nuovamente confermare come non sia determinante, ai fini dell’esenzione dalla condanna, che sulla bilancia della compensazione poggino valori di egual specie, o di egual misura. E ciò anche per ragioni di carattere logico: il contenuto previsionale di un vantaggio collocato nel futuro, infatti, non può che escludere la correttezza del calcolo in termini di esatto corrispettivo178.

177

Richiama il requisito della proporzione MASUCCI, Infedeltà patrimoniale, cit., p. 268 e ss. 178

Alla luce di tali considerazioni l’estensione dell’operatività della clausola di esonero risulta innegabile. Come, del resto, appare evidente il rischio di incompatibilità di una formulazione tutta incentrata su fattori di tipo prognostico, di natura psicologica e quindi variabile, con le esigenze di tassatività e determinatezza tipiche dell’ordinamento penale179. A tale pericolo è possibile, d’altro canto, porre rimedio riconoscendo il giusto spazio al significato dell’avverbio “fondatamente”, che qualifica e caratterizza l’atteggiamento psichico dell’agente in ordine alla previsione del vantaggio futuro180.

Questo, infatti, non deve essere semplicemente “prevedibile”: il contegno psicologico va ancorato, piuttosto, a parametri di tipo oggettivo, nel senso che l’aspettativa circa il ritorno di utilità deve essere ragionevolmente fondata181, non potendo l’amministratore giustificarsi allegando una mera speranza di guadagno futuro, o adducendo personali previsioni ottimistiche di vantaggio per la società. In tal senso, il rischio di vie di fuga dalla responsabilità penale sarebbe eccessivamente elevato.

A favore di una interpretazione che tenga conto, tra le altre cose, anche del dato obiettivo in ordine alla prevedibilità del vantaggio milita, inoltre, l’esigenza di evitare che in sede di accertamento sia lasciato un eccessivo spazio alla discrezionalità dell’interprete, senza dimenticare che all’attività d’impresa è connaturato un carattere intrinsecamente rischioso a fronte della molteplicità di fattori, spesso aleatori ed incontrollabili, che possono influire negativamente o positivamente sull’andamento

179

Si vedano sul punto le remore espresse da ACQUAROLI, Alcune osservazioni sul reato di infedeltà

patrimoniale, cit., p. 187; MACCARI, Commento all’art. 2634 c.c., cit., p. 164-165; MUCCIARELLI, Il ruolo

dei “vantaggi compensativi”, cit., p. 633;

180

Lo rileva anche MASUCCI, Infedeltà patrimoniale, cit., p. 277 e ss. 181

Sul punto v. MEZZETTI, L’infedeltà patrimoniale, cit., p. 237, secondo il quale “occorre recuperare la locuzione ad un’accezione ‘oggettiva’ di aspettative di vantaggi mediamente e ragionevolmente auspicabili in base a valutazioni economico-finanziarie standard secondo parametri dettati dal mercato, considerando anche aspettative di redditività di medio e/o lungo periodo, specialmente se collocate in una ‘logica’ economica di gruppo, e tenuto conto dei margini di rischio insiti in alcune operazioni che risentono in misura maggiore delle reazioni del mercato”. Nonché MUCCIARELLI, Il ruolo dei “vantaggi

compensativi”, cit., p. 634 che, ai fini del giudizio di razionalità della previsione, richiama i canoni

oggettivi riconducibili alle regole aziendali, economiche e finanziarie. Di diversa opinione MASUCCI,

Vantaggi del gruppo, cit., p. 906 che, invece, richiama la fondatezza della previsione quale limite negativo, nel senso che dovrebbe ritenersi lecita la condotta dell’amministratore, e quindi fondata la sua

previsione, “ove manchino circostanze oggettive che attestino oltre ogni dubbio l’assenza di fondamento di una prognosi di successo dell’operazione economica”. L’autore muove dalla considerazione secondo cui, a fronte dell’esigenza di riconoscere all’imprenditore il necessario spazio affinché egli possa compiere le sue valutazioni tecniche, non sarebbe ammissibile un’ingerenza da parte del giudice in ordine a tali scelte gestorie quando questa si trasformi in una “indiscriminata penalizzazione del rischio”. Più nel dettaglio MASUCCI, Infedeltà patrimoniale, cit., p. 277 e ss., ed in particolare p. 284 e ss.

economico della società, a prescindere dalle scelte dei tecnici che operano al suo interno182.

La giurisprudenza, dal suo canto, muovendo da tali presupposti, e cioè sottolineando correttamente l’esigenza di evitare di fondare il giudizio profitto/vantaggi su parametri meramente soggettivi, ha assunto una posizione piuttosto rigida e rigorosa: peccando forse per eccesso, infatti, i giudici di legittimità hanno precisato che i “vantaggi fondatamente prevedibili” devono essere basati non già su una mera probabilità o speranza in ordine al ritorno di utilità, ma piuttosto su elementi sicuri, riconducibili ad una “quasi certezza”183.

Nonostante la condivisibilità dell’assunto da cui muove la Corte di Cassazione, cioè l’esigenza di restituire tassatività e determinatezza ad un formula legislativa sicuramente poco chiara e di difficile interpretazione, appare tuttavia piuttosto discutibile il punto d’approdo cui pervengono i giudici: richiedere la “quasi certezza” rispetto al conseguimento di un vantaggio futuro, infatti, significa sostanzialmente disconoscere la natura fisiologicamente rischiosa dell’attività dell’impresa che, lungi dall’essere governata da regole di carattere scientifico, costituisce piuttosto l’estrinsecazione di operazioni di cui è impossibile garantire a monte, con assoluta certezza, il buon fine184.

Per evitare, dunque, un’interpretatio abrogans della formula prognostica del “vantaggio fondatamente prevedibile” il giudice dovrà, invero, valutare caso per caso, sulla base della situazione specifica in cui l’operatore economico si è trovato ad agire, e tenendo conto degli elementi da lui conosciuti o conoscibili in quel momento storico se, secondo le massime d’esperienza desunte dall’osservazione dei mercati, le regole giuridiche ed aziendali applicabili al caso concreto, i principi economico-finanziari e statistici, nonché gli standard di avvedutezza imprenditoriale fosse ragionevolmente

182

Cfr. MACCARI, Commento all’art. 2634 c.c., cit., p. 165; FOFFANI, Le infedeltà, cit., p. 360, nota n. 42. 183

V. Cass. pen., sez. V, 23.6.2003, n. 38110, Sama, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2004, p. 656 con nota di MASUCCI; in Giur. comm., 2004, p. II, p. 599 con nota di CODAZZI; v. altresì Cass. pen., sez. V, 18.11.2004, n. 10688, in Cass. Pen., 2005, p. 3781 con nota di NAPOLEONI; in Dir. pen. proc., 2005, p. 747 con nota di LEMME.

184

Sul carattere fisiologicamente rischioso dell’attività d’impresa v. NUVOLONE, Il diritto penale del

fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, p. 202 il quale afferma che “il rischio è

elemento essenziale della vicenda economica e non si può impedire all’imprenditore di affrontarlo senza condannare l’impresa a morte sicura”.

possibile conseguire per la società danneggiata un vantaggio futuro185. Il criterio corretto, allora, risulta non già quello della “quasi certezza” del beneficio, ma quello della “ragionevolezza” della sua previsione nell’ambito di una più generale politica economica di gruppo186, ragionevolezza che prescinde dal dato quantitativo (probabilità del 20, del 50 o del 90% che l’operazione economica infragruppo abbia esito positivo per la controllata), fondandosi, piuttosto, sulla qualità della prognosi effettuata, cioè sulla sua logicità e credibilità razionale rispetto al dato empirico ed economico esistente al momento dell’azione.

5. Assonanze e dissonanze tra disciplina civile e disciplina penale in materia di