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Segue I «vantaggi conseguiti»

4. I criteri della compensazione: il quantum ed il quomodo

4.1 Segue I «vantaggi conseguiti»

In riferimento alla prima locuzione, quella che richiama i vantaggi “conseguiti”, è da chiedersi se sia necessario individuare un momento specifico e significativo a partire dal quale debba realizzarsi il beneficio e, in caso di risposta affermativa, quale sia tale momento. Anche al riguardo la lettera della legge non viene in aiuto.

Interpretando il dato testuale come se si riferisse ad un vantaggio conseguito grazie ad operazioni precedenti a quella incriminata, si dovrebbe, in primo luogo, escludere la necessità di un nesso eziologico e psichico tra la successiva condotta pregiudizievole ed il ritorno di utilità per la società danneggiata. Non servirebbe cioè, per l’applicazione del terzo comma dell’art. 2634 c.c., che la reintegrazione del patrimonio inizialmente sottratto sia casualmente connessa all’operazione incriminata, o meglio che quest’ultima sia stata realizzata anche in ragione di un futuro arricchimento della singola controllata. Basterebbe, invero, dimostrare che l’amministratore sappia che in virtù dell’appartenenza al gruppo la sua società abbia già tratto beneficio per ritenerlo a quel punto non penalmente responsabile a fronte di un successivo trasferimento infragruppo dannoso per la sua società, ma “anticipatamente” compensato sulla base del mero collegamento societario (si pensi alle utilità già conseguite derivanti dall’usufruire della tesoreria unica alla quale fanno capo i rapporti con le banche; della centralizzazione degli acquisti di beni e servizi; della centralizzazione di servizi comuni a tutte le entità del gruppo, quali il marketing, o la contabilità; dello sfruttamento gratuito o a prezzi di favore di know how in possesso di altre società del gruppo, ecc.)170.

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In questi termini COCCO, I confini tra condotte lecite, cit., p. 1036, nota n. 65. 170

Sembrano propendere per questa soluzione MUCCIARELLI, Il ruolo dei “vantaggi compensativi”, cit., p. 633 il quale afferma che “l’impiego del participio passato (vantaggi conseguiti, n.d.a.) rimanda a tutte le possibili utilità che la società ‘scarificata’ abbia (già) conseguito in ragione dell’appartenenza o del collegamento al gruppo”; nonché COCCO, I confini tra condotte lecite, cit., p. 1036, nota n. 65. Contra MASUCCI, Vantaggi del gruppo, cit., p. 904, che invece per “vantaggi conseguiti” intende quelli maturati nell’intervallo tra il verificarsi del danno e la celebrazione del processo.

Muovendo dall’assunto per cui i vantaggi conseguiti si riferiscono ad operazioni

precedenti a quella dannosa, a maggior ragione sarebbero, poi, da ritenersi valide le

considerazioni svolte nel precedente paragrafo, in ordine all’entità della compensazione stessa, in base alle quali non servirebbe un pareggio aritmetico costi-benefici; il calcolo, piuttosto, andrebbe effettuato sulla scorta di criteri più elastici, a prescindere da un effettivo ripristino matematico dello status quo ante. Se, infatti, si interpretasse la norma come se richiedesse una perfetta identità tra vantaggio precedentemente conseguito e danno successivamente subito, neppure si potrebbe parlare correttamente di danno patrimoniale, posto che la sua effettiva (ed anticipata) compensazione sul piano quantitativo influirebbe sulla stessa esistenza di tale elemento, che invece costituisce l’evento del reato la cui mancanza comporta un difetto di tipicità del fatto171.

Sul versante diametralmente opposto, ovvero nel caso in cui si interpretasse la locuzione “vantaggi conseguiti” come se si riferisse a benefici ottenuti in un momento cronologico successivo al compimento dell’operazione dannosa, riemergerebbe il problema in ordine alla “causa” del vantaggio stesso: se, cioè, sia sufficiente che il ritorno di utilità sia genericamente derivato dall’organizzazione dell’impresa in forma di gruppo, oppure se sia necessario, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che questo promani direttamente o indirettamente dallo stesso atto pregiudizievole172, o da una o più specifiche contro-operazioni a tal fine ordinate173.

Optare per la prima o per seconda soluzione incide significativamente sull’iter di accertamento delle modalità di conseguimento del vantaggio, e quindi sui confini di operatività della clausola in esame: se, cioè, possa assumere funzione “giustificante” qualsiasi tipo di generico vantaggio già conseguito prima del compimento

171

Ancora MUCCIARELLI, Il ruolo dei “vantaggi compensativi”, cit., p. 632 secondo cui se si interpretasse la legge come se chiedesse una compensazione effettiva ed aritmetica tra danno e vantaggio, “ il vantaggio precedentemente conseguito fronteggerebbe il danno derivante dall’atto di disposizione dei beni sociali nel momento stesso del suo realizzarsi e, per ciò solo, impedirebbe il consolidarsi del danno, che è elemento costitutivo della fattispecie”. In questo senso anche MASUCCI, Vantaggi del gruppo, cit., p. 903-904.

172

Come sembra lasciare intendere MASUCCI, Vantaggi del gruppo, cit., p. 904 che afferma che il sistema

andrebbe ricostruito nel senso che “precluda la condanna (…) quando l’atto abbia avuto ricadute favorevoli all’impresa, che emergano con certezza nel processo”. Contra COCCO, I confini tra condotte

lecite, cit., p. 1036, nota n. 65, il quale afferma essere “errato e, comunque, contra legem, pretendere che

il calcolo costi-benefici riguardi la specifica operazione perché ciò cancella il significato positivo e lecito del gruppo”.

173

Cfr. NAPOLEONI, Geometrie parallele, cit., p. 3798 il quale, in ordine a tale ultima ipotesi, riporta l’esempio della società figlia che vende alla società madre dei semilavorati per somma inferiore al fair

dell’operazione dannosa in virtù della mera appartenenza al gruppo174, oppure se possa ritenersi “vantaggio compensativo” ai sensi dell’art. 2634 terzo comma c.c. solo quel beneficio ottenuto successivamente alla realizzazione dell’atto depauperativo. In quest’ultimo caso un’ulteriore restrizione della clausola di esonero opererebbe nell’ipotesi in cui si interpretasse la norma nel senso che il vantaggio debba essere eziologicamente connesso ad una specifica operazione di reintegrazione del patrimonio sociale depauperato.

A nostro avviso il problema non attiene tanto al “prima” o al “dopo” del conseguimento del vantaggio rispetto all’atto dispositivo dannoso, quanto piuttosto alla necessità di un collegamento funzionale tra il pregiudizio subito dalla controllata, il

beneficio di natura compensativa da questa conseguito, e la politica di gruppo.

In questo senso, e come già si è avuto modo di ribadire in precedenza, lo scopo dell’art. 2634, terzo comma, c.c. sembra quello di tipizzare, a livello penale, un nuovo criterio di analisi del governo dell’attività d’impresa: si suggerisce, cioè, all’interprete un ulteriore angolo visuale da cui osservare le dinamiche gestorie infragruppo, tenendo conto in tal modo non già e non solo del microcosmo relativo alla situazione patrimoniale delle singole società, ma allargando la prospettiva al contesto globale in cui certe operazioni vengono realizzate. Quindi, ai fini del giudizio in ordine alla liceità dell’atto dispositivo infragruppo, si dovrà prendere cognizione sia del danno cagionato, sia del contesto in cui questo si è materializzato, sia della funzione che tale atto ha assunto nell’ambito della politica economica generale del gruppo nel medio e nel lungo periodo; valutando, altresì, i benefici preesistenti, contestuali o successivi di cui la singola ha goduto, gode o godrà grazie al collegamento societario. Al termine di siffatto calcolo prospettico l’interprete potrebbe trovarsi dinnanzi ad una serie di dati e di valori economici anche di gran lunga difformi rispetto a quelli che emergerebbero da un’analisi improntata sulla mera situazione patrimoniale della società isolatamente considerata.

174

Optano per questa interpretazione COCCO, I confini tra condotte lecite, bancarotta fraudolenta e

bancarotta semplice nelle relazioni economiche all’interno dei gruppi di società, in Riv. trim. dir. pen.. ec., 2003, p. 1036, nota n. 65, in cui si afferma che “occorre effettuare il calcolo costi-benefici in capo

alla singola società, che però per essere correttamente effettuato non può non tenere conto sia dei benefici da essa conseguiti in virtù della collocazione nel gruppo, prima dell’effettuazione dell’operazione

considerata di per sé dannosa, sia dei benefici che in capo alla stessa società ricadranno in futuro”;

MUCCIARELLI, Ruolo dei “vantaggi compensativi”, cit., p. 633-634; più di recente BELLACOSA, Obblighi

Sembra, allora, potersi affermare che, in presenza di un’aggregazione societaria, non potrà parlarsi di profitto ingiusto, ovvero di condotta abusiva ed infedele dell’amministratore ai sensi dell’art. 2634 c.c., quando il suo atto dispositivo, da cui derivi un danno patrimoniale per l’ente, sia giustificabile non già in virtù della mera appartenenza di questo al gruppo, ma in quanto funzionalmente riconducibile in termini di razionalità e coerenza alla globale politica del gruppo, che a sua volta deve essere improntata a criteri di corretta gestione imprenditoriale175. Il pregiudizio deve, cioè, rientrare nella soglia del rischio lecito d’impresa, soglia che muta qualitativamente al variare del contesto economico ed organizzativo in cui si viene ad operare (società uti

singola/società nel-del gruppo).