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che sempre più domina la scena politica in America come in Europa E in verità non si possono non condividere queste perplessità, ove

si consideri che la persona sottoposta all’obbligo di indossare un car-

tello autodiffamatorio, o di pubblicizzare in termini autodenigratori

la propria condanna, viene, di fatto, strumentalmente esposta alla

pubblica umiliazione a beneficio dell’‘educazione morale’ di tutti i po-

tenziali rei e della gratificazione dello spirito di gruppo della comunità

dei ‘cittadini onesti’ (i quali, per altro, paradossalmente, non devono

essere necessariamente persuasi della intrinseca ‘immoralità’ della con-

dotta censurata, per partecipare attivante ed efficacemente alla stigma-

tizzazione dei suoi autori, essendo sufficiente a spronarli il timore

della vergogna ‘per mancata dissociazione’)

246

, messi in condizione

BAUMAN, Social Issues of Law and Order, in Br. Journ. Criminol., 2000, p. 218 ss.

Un’altra articolata critica delle shame sanctions, da un punto di vista strettamente neoretributivo, si può leggere in D. MARKEL, Are Shaming Punishments Beautifully

Retributive? Retributivism and the Implications for the Alternative Sanctions De- bate, in Vand. Law Rev., 2001, p. 2157 ss.

244 In tema cfr., ex plurimis, G.F

IANDACA, Populismo politico e populismo giu-

diziario, in Criminalia, 2013, p. 95 ss.; D.PULITANÒ, Populismi e penale. Sull’attuale

situazione spirituale della giustizia penale, in Criminalia, 2013, p. 123 ss.; S.ANA- STASIA-M.ANSELMI-D.FALCINELLI, Populismo penale. Una prospettiva italiana, Pa-

dova, 2015, passim; A. GARAPON-D. SALAS, La repubblica penale, Macerata, 1997, p. 13 ss.

245 «Non si può perpetuare l’equivoco implicito nel periodico impeto di entu-

siasmo generalpreventivo del legislatore, che si manifesta in puntuali inasprimen- ti di pena per singoli reati, quasi questi fossero avulsi dal contesto criminologico in cui sono collocati, come se l’unica correlazione fondata fosse quella tra rigore delle sanzioni e abbassamento dei tassi di frequenza dei fatti criminosi, come se, cioè, dall’indubitabilità della circostanza che la minaccia della pena dissuade, potes-

se farsi discendere assiomaticamente che la presenza di una pena più grave dissuade ancora di più. Verifiche accurate sembrano dimostrare, viceversa, che non è così,

che in molti casi conta più la certezza della sanzione che non la sua gravità, più il fatto che sia avvertita, percepita, sentita dai consociati come giusta che non il grado della sua severità». Cfr.ROMANO, Prevenzione generale, cit., p. 157 s. Analogo monito in MARINUCCI, Politica criminale, cit., p. 467 s., nonché in F. STELLA, La

tutela penale della società, in MARINUCCI-DOLCINI, Diritto penale in trasformazione,

cit., p. 79 s. Per un inquadramento delle relazioni tra severità, certezza, prontezza ed efficacia della pena anche in una prospettiva più strettamente criminologica si veda inoltre, anche per tutti gli ulteriori riferimenti bibliografici, FORTI, L’immane

concretezza, cit., p. 118 ss.

246 Come è noto, l’ostracismo sociale nei confronti di soggetti in qualsiasi modo

stigmatizzati è mantenuto vivo da meccanismi in grado di ‘compattare’ i non stig- matizzati nel loro atteggiamento di spregio verso gli ‘outsiders’, primo tra i quali «il

(una volta tanto, nell’attuale ‘società liquida’)

247

di riconoscersi in una

forte identità collettiva per contrapposizione con il ‘deviante’

248

.

In questo modo, il condannato viene ‘reificato’

249

tre volte: perché

pettegolezzo di approvazione» nei confronti dei partecipanti alla ‘campagna di ver- gogna’ e la correlata «minaccia di pettegolezzo di disapprovazione» nei confronti di chi volesse discostarsi dal ‘sentire comune’ (cfr. N.ELIAS-J.L.SCOTSON, Strategie del-

l’esclusione, Bologna, 2004, p. 17 e, diffusamente in tema, p. 165 ss.). Un’espli-

cazione efficace di tali forme di ‘diffamazione sociale’ non richiede di per sé l’intima persuasione della ‘verità’ dei suoi assunti di base da parte della maggioranza del gruppo sociale ‘etichettante’. Esistono, infatti, meccanismi di c.d. «ignoranza plura- listica» in grado di produrre tale diffamazione, i quali operano in quei contesti in cui il pregiudizio contro il ‘bersaglio’ (individuo o gruppo) si rafforza attraverso una «disapprovazione orizzontale», ovvero spontaneamente esercitata dagli appartenen- ti al gruppo dominante, «persuasi, a torto» (in quanto «la maggioranza delle perso- ne non crede nella verità [della] proposizione ma tutti credono che ogni altro vi creda») «di dover ostracizzare i devianti per evitare di essere ostracizzati a loro vol- ta». Cfr. J.ELSTER, La spiegazione del comportamento sociale, Bologna, 2010, p. 465.

247 Cfr. Z. B

AUMAN,Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Bari,

2007, passim (in part. p. 5 ss. e 75 ss.); ID., Vita liquida, Bari, 2006, passim; ID.,

Vite di scarto, Bari, 2005, passim (in part. p. 105 ss.); ID.,Modernità e ambivalenza,

Torino, 2010, passim (in part. p. 82 ss., 221 ss. e 273). In quest’ultimo testo il so- ciologo evidenzia come la stessa attribuzione dello stigma partecipi appieno all’am- bivalenza delle società contemporanee: in un’epoca in cui la «consapevolezza della contingenza» si accompagna alla «sete di comunità», le «identità collettive, che un tempo erano “date” in modo non problematico, come “naturali” e oggettive, devono ora, per così dire, essere prodotte artificialmente. Questo le rende più che mai pre- carie», e in questo contesto lo stigma, la cui «essenza» è quella di «enfatizzare la differenza» (una differenza che «in linea di principio non può essere sanata, e dun- que giustifica un’esclusione permanente») tra i «membri dello stesso gruppo, […] considerati “umani” e degni di fiducia» e gli «estranei», «si localizza proprio al cen- tro di questa contraddizione. […] Lo stigma contrasta vistosamente con gli espliciti principi strumentali legati alla riproduzione della vita moderna», quali il princi- pio di pari opportunità e la libertà di autocostituzione. Per questo motivo «c’è una paradossale simmetria tra la situazione dello stigma e quella delle categorie che stigmatizza. Entrambe vivono sotto minaccia di aggressione, entrambe devono nascondere la loro vera identità e cercare false legittimazioni».

248 Sulle dinamiche sociali della stigmatizzazione e la loro rilevanza nella pro-

duzione dell’esclusione e della stratificazione sociale dei gruppi si rinvia alla già citata e fondamentale opera di ELIAS-SCOTSON,Strategie dell’esclusione, in part. p.

15 ss. e 231 ss. Come sottolineaNUSSBAUM (Nascondere l’umanità, cit. p. 273), benché non si possa negare che le dinamiche sociali di umiliazione e segregazio- ne siano sempre esistite, il fatto «che lo Stato si renda complice di pratiche di umiliazione fa una grande differenza», perché «c’è qualcosa d’indegno nell’idea che una società liberale, ovvero basata sulle idee di dignità, uguaglianza e rispetto per l’individuo, esprima» questa «denigrazione dell’umanità stessa» dei condan- nati «mediante il proprio sistema giuridico». Affine la posizione diMASSARO, The

Meanings of Shame, cit., p. 645 ss.

249 Sul concetto e le fonti sociali della reificazione si rinvia a A. H

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