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Senso di Sé, esperienze corporee condivise e cognizione sociale

CAPITOLO 1:PRINCIPI NEUROSCIENTIFICI CHE SOSTENGONO

1.6. La multisensorialità, quanti sensi abbiamo?

1.6.4. Senso di Sé, esperienze corporee condivise e cognizione sociale

L’ipotesi è che«[…] la sensazione di ownership derivi dalla localizzazione delle nostre sensazioni corporee all’interno di uno spazio definito [Jeannerod 2007; Martin 1995], e che questo spazio corrisponda allo schema corporeo, aggiornato in maniera dinamica istante per istante sulla base delle informazioni multisensoriali (principalmente: visione, tatto e propriocezione) disponibili all’individuo [de Vignemont 2007] […] l’idea di fondo è che la regione di spazio che occupano le mie sensazioni corporee è unica, privata e non condivisibile. In poche parole è specifica per il mio Sé e preclusa al Sé di qualcun altro […] dalla sensazione proprietaria del corpo deriva anche il nostro senso del Sé, [il quale] non è legato ai singoli distretti corporei, ma dipende invece dal corpo nella sua globalità» (Bruno, Pavani, Zampini, 2010, p. 48-49).

Gli stessi autori poi riportano (da Blanke e Metzinger, 2009) che il senso del Sé infatti indica «l’esperienza conscia di essere un’entità olistica e distinta, capace di autocontrollo e controllo dell’attenzione, e che possiede – appunto - un corpo che occupa uno spazio e un tempo definiti» (Ibidem, p. 49).

modo di costruire la realtà sociale, soprattutto relativamente alla rappresentazione del nostro Sé nelle relazioni con gli altri nostri simili (il ruolo sociale, i gruppi a cui apparteniamo)?

Quando comunichiamo e ci rapportiamo con gli altri riceviamo continuamente informazioni multisensoriali per quanto riguarda la loro appartenenza a dei gruppi sociali, informazioni legate alla cultura (preferenze e comportamenti legati ad essa) ed anche su rappresentazioni e credenze a proposito della società in generale. Di fondamentale importanza è saper interpretare in modo corretto i segnali che riceviamo per poterci adattare all’ambiente. Interpretare correttamente i segnali che riceviamo potrebbe anche avere un ruolo importante nello sviluppo della cognizione umana: l’idea è che emerga la rappresentazione di una realtà condivisa durante le interazioni sociali, derivante dalla condivisione di esperienze percettive durante la comunicazione collaborativa. Questo potrebbe essere l’elemento che ci permette di accedere agli stati mentali interni degli altri. Nel 2009 Wiltermuth e Heath hanno svolto una ricerca e «hanno mostrato che i partecipanti cui veniva richiesto di condividere esperienze percettive e motorie durante attività sincronizzate riportavano successivamente maggior attaccamento sociale nei confronti del loro gruppo e maggiore tendenza a cooperare in giochi economici, rispetto ai partecipanti che non svolgevano le attività sincronizzate» (Bruno, Pavani, Zampini, 2010, p. 51).

Da tempo si cerca di studiare l’importanza, nella comunicazione sociale, degli aspetti multisensoriali ma, specialmente nell’uomo, queste ricerche sono ancora molto limitate. Uno degli studi riporta risultati simili a quelli già accennati precedentemente (nel paragrafo “Simulazione nell’osservazione degli altri”) riguardo ad una maggiore risonanza cerebrale nel caso in cui si osservino dei propri simili (ad esempio: persone nicaraguensi il cui cervello risuona di più nell’osservare gesti di un attore del Nicaragua che nell’osservare quelli di un attore euro-americano). In questo caso, ai partecipanti viene mostrato un volto e Serino, Giovagnoli e Làdavas (2009) hanno dimostrato che: l’abilità, nell’osservatore, di rilevare le stimolazioni tattili effettuate sul proprio volto cresce nel caso in cui il volto che gli viene mostrato sia il proprio o quello di un

coetaneo appartenente allo stesso gruppo sociale mentre riceve delle stimolazioni tattili analoghe; questa capacità sarà inferiore, di conseguenza, nel caso in cui l’osservatore veda stimolazioni tattili su oggetti neutri, come una parete. Anche questi studiosi, quindi, hanno voluto testare se effettivamente la categorizzazione sociale potesse mediare questa facilitazione multisensoriale della percezione tattile nel momento in cui il volto nel video appartenesse ad un membro dello stesso gruppo sociale dell’osservatore (chiamato, in psicologia sociale, ingroup), piuttosto che nel caso in cui il volto appartenesse ad un membro di un gruppo sociale estraneo (outgroup). È emerso quindi che la facilitazione visuotattile appariva in modo selettivo nel caso in cui il volto mostrato era categorizzato come facente parte dell’ingroup, sia che fosse un gruppo etnico o politico.

La conclusione relativa a questi studi è, quindi, che la categorizzazione sociale possa influire sulla percezione multisensoriale, sebbene vi siano ulteriori ricerche che sostengono un’inversione di ruoli e che sia, perciò, la percezione multisensoriale ad avere un effetto sul comportamento sociale. Anche in questo studio, il partecipante riceve una stimolazione tattile al volto mentre osserva un video nel quale è presente un estraneo cui viene toccato il volto, ma, ora, questo può essere la causa di una modifica nella categorizzazione dell’estraneo. Infatti, nel caso in cui le stimolazioni tattili somministrate all’estraneo siano sincrone a quelle del partecipante, allora l’estraneo sarà giudicato come più simile a lui, sia da un punto di vista fisico che sociale. In particolar modo, l’estraneo verrà categorizzato come più vicino all’osservatore dal punto di vista della relazione sociale e per quanto riguarda i tratti della personalità; gli effetti appena descritti di vicinanza sociale, però, non si verificano nel caso in cui non vi sia sincronia tra le stimolazioni tattili ricevute dall’osservatore e quelle ricevute dall’estraneo. Le potenzialità di queste ricerche, in un’ottica multidisciplinare, sono quelle di «offrire una nuova base empirica per l’osservazione antropologica che le azioni condivise e sincrone, quali ad esempio la danza, il canto o anche la marcia, possano giocare un importante ruolo di collante sociale», senza dimenticare che «la sfida per la ricerca […] è dunque quella di contestualizzare la cognizione sociale nell’ambiente multisensoriale nel quale viviamo ed esplorare le relazioni

esistenti fra gli aspetti solo apparentemente concettuali del nostro comportamento e gli aspetti multisensoriali e motori che sono alla base della nostra interazione con il mondo» (Bruno, Pavani, Zampini, 2010, p. 53).

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