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(senza però darne ragguaglio alcuno) e ne derivassero anche qualche

particolare.

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A me naturalmente preme che i lettori vedano quale

[230]concetto lo Zilioli avesse di madonna Gasparina, e ripubblico il

1 INNOCENZIGREGGIO E., In difesa di G. Stampa cit., p. 65 sg. La vita dello Zilioli, dalla egregia studiosa è pubblicata in fine al cap. IV del suo studio, e veramente stona nella serie dei « lodatori della donna gentile » ivi raccolti: l’autrice si sarà trovata in un certo imbarazzo, nel dovere far passare per laudativa quella vita, ch’ella avreb-be invece dovuto senz’altro dire menzognera come le altre testimonianze contrarie alla Stampa. È vero che ella dice che nello Zilioli ci sono « molte inesattezze facil-mente constatabili e parecchie esagerazioni », e che si tratta di scrittore « un po’ maligno » (p. 64); ma i lettori vedranno da sé che non si tratta di semplici esagera-zioni », bensì d’un giudizio severissimo su tutta la vita della poetessa. E vedranno anche, dalle parole che lo Zilioli dedica agli amori della Stampa dopo l’abbandono di Collaltino, se è proprio vero quello che la Innocenzi Greggio (p. 65) gli fa dire, ch’egli cioè affermi aver Gaspara amato soltanto il signore di Collalto. No; il do-cumento dello Zilioli o s’impugna come bugiardo o non può non essere riconosciu-to in buona fede gravissimo. E dell’attendibilità dello Zilioli e della sua « vita », a cui danno rincalzo altri documenti, discuto largamente nel testo.

2 Gli editori del 1738 non soppressero soltanto la vita dello Zilioli; ma credo anche le lettere di Orazio Brunetti alla Stampa. Di queste lettere, su cui ha richiamato l’at-tenzione nostra l’INNOCENZIGREGGIO, ci occuperemo più oltre, dimostrando per quale ragione non si trovino tra le testimonianze in lode della poetessa nell’ediz. del 1738, sebbene forse già note allo Zeno. E anche la dedica di F. Sansovino alla poetessa, che sta innanzi nell’Ameto nell’edizione giolitina del 1545, fu solo in pic-cola parte riprodotta dagli editori del 1738, che, gelosi della reputazione di ma-donna Gasparina, più de’ contemporanei di lei, omisero i sunti poco castigati delle poco oneste novelle dell’operetta boccaccesca (cfr. il mio primo artic. p. 12 sg.). A chi mi rimbeccò, come a scolaretto ignorante, che l’Ameto, « come tutti sanno, è tutt’altro che un libro osceno », non posso rispondere se non che le novelle in esso narrate (come sanno tutti coloro che le han lette) sono della stessa indole morale di quelle non oneste del Decameron. Di queste novelle dice H. HAUVETTE (Boccace, Pa-ris, Colin, 1914, p. 112 sgg.): « Les sept récits... sont un mélange déconcertant de mythologie et d’anecdotes parfois très libres »; e dell’allegoria di esse giudica: « elle frise l’inconvenance ... quand on lit les exploits licencieux dont se vantent ces pretendues vertus, cardinales ou théologales », tra le quali Agapes (la Carità) « fit un portrait répugnant de son vieil époux, avec un tableau par trop réaliste de ses déceptions conjugales ».

3 Tra i sonetti di verseggiatori settecentisti, che ad esaltazione della Stampa, del co. Antonio Rambaldo di Collalto e della Bergalli si trovano in fine all’ediz. del 1738, la sig. INNOCENZIGREGGIO (p. 99) ha trascelto a conclusione della sua difesa, un son.

documento.

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GASPARASTAMPA.

Costei, giovane bellissima, nata in Venezia, ma d’origine forestiera, essendo dopo la morte del padre, che deliziosa e virtuosamente l’aveva allevata, rimasta in libertà e senz’alcuno che l’avesse a regge-re, s’applicò in un istesso tempo agli amori et alla poesia; poiché datasi a

conversar liberamente con gli uomini dotti, indusse tanto scandalo di sé, che se la molta virtù sua e la onorevolezza della poesia in particolare non avesse ricoperti e quasi cancellati i mancamenti suoi, sarebbe da stimarsi de-gna di biasmo, che di lode alcuna, e non averebbe meritato d’essere in questo tempio d’onore fra tante donne valorose coll ocata.

Ma questo è il premio nobilissimo de’ virtuosi, se altro giamai non ri-cevessero dalla fortuna, che i vitii loro, o restano totalmente nascosti, od

almeno escusati e difesi dalla virtù. Onde l’acquisto di essa si rende tanto

più desiderabile e meritevole di essere con ogni fatica da tutte le con-dizioni di uomini procurato.

del co. Antonio Rambaldo, nel quale si accenna (rivolgendo il discorso a m. Gaspa-rina) ai molti lodatori che Gaspara ebbe e ad un solo, menzognero, che tentò mac-chiar la virtù di lei.

Da quei fior da cui trae l’ape ingegnosa Il mel più dolce alla stagion novella, Ben succhia umor la vile aragna anch’ella, Ma di venen forma sostanza ascosa.

Così dotti scrittori e versi e prosa Trasser da’ merti tuoi, dalla tua bella Sembianza, e in un dall’una e l’altra stella Onde fosti e sarai chiara e famosa.

Solo da tue virtù, dal tuo costume Sì degno e onesto, trasse atro mortale Veleno, invido autor ribelle al lume.

L’odio e il livore al menzogner che vale? Scemar tua gloria in vano egli presume Quando mill’altri (!) l’han resa immortale.

« Esso, se non m’inganno, — osserva la sig. INNOCENZIGREGGIO (p. 99) — fu ispi-rato dagli stessi versi velenosi che il Salza ha riesumati ». A me invece non pare dubbio che il sonetto alluda precisamente all’inedito Alessandro Zilioli, che nell’ediz. del 1738 non è nemmeno nominato, appunto a cagione del severo giudi-zio che la sua vita dà intorno al costume di madonna Gasparina. Quanto ai « versi velenosi », chi ci dice che fossero noti al co. Rambaldo?

1 Dal codice Marciano It. X, 118, già posseduto da Apostolo Zeno, contenente la Hi-storia delle vite de’ poeti italiani di ALESS. ZILIOLI, c. 75 sg.

Avendo pertanto la Gaspara acquistata non solo in Venetia, ma per tutte le città d’Italia fama celebre di virtù e di leggiadria, ebbe di subi-to alle porte un numero quasi infinisubi-to di poeti e di letterati, che con ambizione immensa procuravano d’esser introdotti alla conversazio-ne e pratica di lei, come facilmente conseguirono. Percioché desidero-sa d’ostentare la sua bellezza e l’eloquenza, ricettava volentieri in ca-sa tutti quelli che al discorrere et ad altri pasca-satempi di suoni e di canti volevano ridurvisi. Dove ella col liuto in mano o con la viola fra le gambe cantando in voce soavissima canzoni leggiadre da lei o da altri composte, teneva in festa la compagnia e gli amanti suoi, ed i poeti in particolare, a’ quali parendo di dovere aver seco più autorità degli altri, si erano anco più degli altri infervorati nel servirla, né mancavano tutto ’l giorno con polite et affettuose compositioni solle-citarla agli amori loro: ancorché ella se ne facesse beffe: perciò che in-tanto che così ac-[231] cesi d’amore si trattenevano la notte passeg-giando sotto le finestre di lei con diversi allettamenti di musiche e d’altre piacevolezze, ella più accorta di loro stretta fra le braccia di

Colla-tino Collalto giovane illustre, a cui voleva tutto il suo bene, se ne stava ridendo della sciocchezza loro e godendo de’ frutti de’ suoi amori con quella

consolazione che si può conoscere da qualcheduno de’ suoi sonetti in questo proposito fatti.

O notte a me più chiara e più beata ecc. (riportato per intero).

I quali amori finalmente, avendo il Collalto presa per moglie Giulia Torel-li, ebbero fine, con grave dolore di M. Gaspara, la quale non si potendo

consolare d’esser rimasta priva per altra donna del tanto suo caro et amato Collatino, ne visse mesta e lagrimosa per molti mesi: benché

po-scia nell’avvenire non gli mancassero occasioni di sodisfare al suo ap-petito, et di consolare qualchedun altr o, come ella stessa disse.

A mezzo ’l mare, ch’io varcai tre anni ecc. (riprodotto per intero).

Morì nel fiore delletà sua, avendo passato di poco i trent’anni, consumata da infirmità crudele e che si crede esserli stata procurata col veleno, non

senza molte lagrime de’ virtuosi, dalle penne de’ quali, e vivendo e dopo morte, ricevé immortali onori. Scrisse diverse rime, le quali tut-te raccoltut-te in un volume furono mandatut-te alla stampa da Cassandra sua sorella, e dedicate a Monsignor Giovanni della Casa Arcivescovo di Benevento. Giorgio Benzone fra gli altri riverì la memoria di questa gentilissima Anassilla, che così ella secondo l’uso de’ virtuosi Acca-demici si faceva chiamare, con quel sonetto:

Ben è d’alta vaghezza il mondo scarco ecc. (riprodotto per intero).

Se intorno alla vita mondana della Stampa, avessimo soltanto

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