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A cosa serve la letteratura

Collegata alla questione dell'amore, si trova nella Strega e il capitano un'insolita dichiarazione di poetica sciasciana.

Ancora all'inizio dell'opera lo scrittore rileva ciò che rende il caso, di cui ha iniziato a occuparsi, particolare, ovvero il fatto che Vacallo, già innamorato di Caterinetta, convintosi di essere oggetto di magia praticata dalla madre della ragazza e che in tale affatturamento fosse coinvolta anche Caterina, rivedendo quest'ultima in casa Melzi, la denuncia come strega. Mediante «l'aggiuto divino», dice Ludovico Melzi, si sarebbe scoperta la causa del male del padre, cioè mediante la rivelazione di Vacallo. Sciascia, dopo aver fatto riferimento alla «banalità del male», come fa in altri punti dell'opera, riprende il sintagma e lo risemantizza con effetto ironico:

«l'aiuto di un cretino che non riconosce in sé il divino. Il divino dell'amore. Il divino della passione amorosa. E viene da invocare (come Brancati, per un personaggio che non sapeva precisare e definire l'aspirazione alla libertà, invocava i poeti che la libertà avevano cantato): perché il canto quinto dell'Inferno di Dante o quello della pazzia di Orlando dell'Ariosto, un sonetto del Petrarca, un carme di Catullo, il dialogo di Romeo e Giulietta (proprio in quell'anno Shakespeare moriva) non volarono ad aiutare un tal nefasto cretino a guardare dentro di sé, a capirsi, a capire? (Poiché nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende)»155.

Innanzitutto qui si spiega il significato del titolo. Evenemenzialmente, tutto nasce da un capitano, Vacallo, che accusa una donna di essere strega. Più profondamente, tutto il problema per Sciascia sta qui, nel motivo per cui un uomo non riconosce l'amore, ché se Vacallo lo

154 Leonardo Sciascia, Il dolore, Le passioni, in «Nuove Effemeridi», anno III, n. 9, 1990 I, p. 8. 155 L. Sciascia, La strega e il capitano, cit., p. 207.

avesse riconosciuto, non avrebbe creduto di essere affatturato. Questo è il nodo che tanto interessa Sciascia. Su questo nucleo si innestano, anche ad offuscarlo, tutte le altre questioni che porteranno Caterina alla morte e che sono a loro volta sottintese dal titolo, in esso è infatti presente la differenza di genere (femminile/maschile), l'opposizione tra ciò che si ritiene moralmente cattivo e ciò che è buono, la differenza sociale, la differenza di prestigio sociale tra chi non ne ha nessuno e chi ce l'ha, il peso di questi fattori sul funzionamento della giustizia e le credenze sulla stregoneria; tutti elementi che Sciascia ha ben presente nell'analizzare le carte del processo156.

Ma tutti funzionano perché il capitano ha messo in moto il meccanismo inquisitoriale e lo ha messo in moto perché non ha capito che era innamorato. Ecco il nucleo che tanto brucia: perché le grandi opere della letteratura mondiale fino ad allora scritte non hanno impedito che quell'errore accadesse? Si badi che non si tratta di un appello genericamente retorico. Ad escludere il sospetto di uno slancio banalmente generico, tiene a rimarcare che sta parlando proprio di quel caso lì, di Vacallo, di quegli autori di opere non successive al fatto e che il capitano, quindi, conosceva o poteva conoscere. Addirittura definisce l'anno in cui il fatto è accaduto come vero termine ante quem, nel momento in cui si riferisce alla morte di Shakespeare, avvenuta proprio allora.

La letteratura serve all'uomo a capirsi, a capire il proprio animo, strepitosa definizione, che solo Sciascia poteva mettere tra parentesi, e che è tra parentesi perché è come sospesa alla domanda centrale che precede.

Prima di tornare a tale centralità è dunque opportuno si consideri la definizione di letteratura. Si tratta di una dichiarazione perfettamente in linea con la poetica che a partire dagli anni '70 sempre più, come riconosce Onofri157, è andata definendo la letteratura come unico mezzo conoscitivo della realtà, la quale però contemporaneamente andava perdendo di lineare intellegibilità. Tale dichiarazione può essere considerata una specie di vera e propria cristallizzazione di quella pratica scrittoria e di quella parallela riflessione estetica che lo scrittore aveva condotto soprattutto dagli anni '70. Pur avendo sempre tenuto presente l'impegno demistificatorio contro il potere, la scrittura sciasciana è andata cambiando fino a questa definizione che nasce in un'opera che racconta una vicenda il cui nucleo generativo Sciascia non individua nel potere, ma nell'amore non riconosciuto come tale, negato e fatto passare per stregoneria. Tutta la vicenda che ne segue è poi interamente connessa alla

156 Per C. Boumis, La verità bella, cit., p.176 «il ruolo del capitano nella vicenda risulta in fondo di secondo

piano rispetto a quello dei padroni e dei servi di casa Melzi, tanto da far apparire in parte incongruo il titolo scelto da Sciascia», forse perché per lui, come visto, il «nefasto cretino» è Luigi Melzi.

157 M. Onofri, Storia di Sciascia, cit., pp. 225-231. Su questo passo si veda anche C. Boumis, , La verità bella,

questione del meccanismo del potere che viene denunciato da Sciascia, come sempre. Che vi sia un intreccio tra questioni affettivo-amorose e potere, che la letteratura sia collegata ad entrambe, e forse sia lo strumento deputato a scoprirne le connessioni, lo dichiara in un qualche modo Sciascia stesso che appunto parla di «mondo» e «uomini» come oggetti della conoscenza raggiungibile attraverso la letteratura. In più, poco sopra lo scrittore cita Brancati come modello per la domanda successiva. Egli è l'autore che ha trattato del gallismo siciliano e fascista (quindi di una dimensione amorosa e erotica quasi patologica), è un modello di scrittore e di antifascista158, qui nominato per un suo personaggio che non sa riconoscere in sé l'aspirazione alla libertà. Così, anche attraverso Brancati, la letteratura viene riportata alla vita civile e politica che in personaggi come Candido, Di Blasi e come i narratori-protagonisti dell'Antimonio e della Zia d'America è collegata al mondo dell'amore. Si è visto del resto come libertà e amore per Candido siano entrambi espressione di un medesimo istinto alla conservazione.

Se la letteratura ha dunque questa altissima capacità, tanto più è seria la domanda posta da Sciascia.

Perché non ha funzionato la letteratura? È possibile incidere sul mondo con la letteratura? E non per modificare una organizzazione statuale, per fare la rivoluzione, per migliorare le condizioni sociali di interi gruppi di persone, ma per far chiarezza nell'animo di un uomo così, che chi gli sta a fianco non debba soffrire?

Sciascia si pone la domanda per sé, per il suo essere scrittore e per le sue opere. Essa corrisponde alla ricerca di senso per tutta la sua produzione letteraria e dunque per la sua vita, che ha voluto fosse quella di uno scrittore159. Se ne ha una prova nell'arco cronologico tratteggiato dal passo in questione, preceduto dal riferimento alla banalità del male: si va dal personalissimo riferimento a Brancati e quindi al fascismo, a quello inevitabile al nazismo, per la banalità del male, sino all'oggi, in cui appunto la banalità del male sarebbe più forte che in qualsiasi altra età umana. Sciascia di fatto corre dall'inizio della propria esperienza letteraria fino ai giorni che vive, mentre sta scrivendo160.

158 Si veda ad esempio Leonardo Sciascia, Don Giovanni a Catania, in La corda pazza, Opere 1956-1971,

Bompiani, Milano, 2004 pp. 1121-1128, Leonardo Scaiscia, L'omnibus di Longanesi, in Fatti diversi di

storia letteraria e civile, Opere 1984-1989, a c. di Claude Ambroise, Bompiani, 2002, pp. 632-634 e,

precedente a quest'ultimo, per i brani brancatiani, l'antologia sciasciana, la cui prima edizione è del 1976, Leonardo Sciascia (a c. di), La noia e l'offesa. il fascismo e gli scrittori siciliani, Sellerio, Palermo, [1976] 19912.

159 C. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia, cit., pp. 13-26.

160 Già in L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 120, lo scrittore si era chiesto, di fronte alla mancanza di

senso critico in Italia, quale incidenza e dunque quale senso avessero avuto le sue opere. In una intervista apparsa su una rivista slovena nel 1982 dice: «A mio parere i libri hanno una grande influenza su singole persone, gruppi e storia. Noi siamo qui, dove siamo, proprio perché i libri c'erano. Il libri hanno mosso la storia. Basta pensare già alla rivoluzione francese. Anche quando sembra che i libri non abbiano nessuna