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Servizi di orientamento e ICT: tra cenni storici e questioni etiche

PARTE SECONDA Orientarsi nell’era digitale

3. Servizi di orientamento e ICT: tra cenni storici e questioni etiche

I primi sistemi di orientamento computer-based hanno la loro origine intorno alla fine del 1960 (Harris-Bowlsbey & Sampson Jr 2005; Hooley et al. 2015; Harris- Bowlsbey 2013; Howieson & Semple 2013; Copeland et al. 2011). Nelle intenzioni degli ideatori – Donald Super, Martin Katz e David Tiedeman – la tecnologia rappresentava uno strumento per rendere operative le loro teorie circa lo sviluppo della carriera, la scelta e il processo decisionale: attraverso l’interazione con il sistema, gli utenti avrebbero appreso i concetti relativi alle loro posizioni teoriche, li avrebbero messi in pratica compiendo delle scelte e ciò avrebbe favorito la comprensione e la sedimentazione di tali conoscenze in vista di scelte future. Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, furono sviluppati una serie di sistemi volti a fornire informazioni sui percorsi educativi e sulle professioni. Durante questi anni, numerosi studi (Sampson & Stripling 1979) hanno esaminato l’effetto dei sistemi di orientamento computer-based sullo sviluppo della carriera degli studenti e riscontrato una maggiore maturità vocazionale negli studenti che utilizzavano sistemi di orientamento assistiti dal computer, nonché una maggiore efficacia di quest’ultimo, rispetto al consulente, nel fornire informazioni sulle opportunità educative ed occupazionali. Inoltre, la possibilità di avere accesso a informazioni computerizzate favorisce l’empowerment individuale sia dei giovani sia degli adulti: infatti “computers are an ideal medium for delivering career information because they can present current information objectively in an interactive format that is appealing to many clients” (Imel 1996).

Tuttavia è solo verso la fine del XX secolo, con l’avvento delle nuove tecnologie e del Worl Wide Web che proliferano sistemi web-based (siti stand alone28;

informazioni e orientamento internet-based; sistemi informativi che supportano la condivisione e la generazione di conoscenza; sistemi che forniscono informazioni e formazione) e che le tecnologie sono effettivamente riconosciute

come valido strumento (tool) di gestione della carriera per le persone. Nello specifico, gli studi effettuati mostrano che l’uso di sistemi e siti Web nei servizi di

guidance favorisce una maggiore conoscenza di sé e delle opportunità educative e

professionali, aumenta la consapevolezza della necessità di pianificare, e la capacità decisionale (career decidedness). Inoltre, l’uso della tecnologia è risultato più efficace se supportato dalla consulenza in presenza. La realizzazione di tali strumenti si accompagna alla definizione di una serie di principi deontologici specifici per l’uso delle tecnologie nei servizi di orientamento. D’altro canto “good practice in such roles cannot be separated from issues related to ethics and equality” (Henry 1996).

Alla base di ogni “ethical framework” i seguenti principi:

- il rispetto per la persona, laddove il significato che investe il termine persona è essenzialmente morale;

- l’autonomia personale, la quale fa riferimento alla capacità della persona di compiere scelte, alla sua capacità di autodeterminazione, di compiere ragionamenti sensati senza l’interferenza degli altri;

- l’assenza di ostilità, intesa come condizione di non interferenza da parte di altri;

- la benevolenza, che significa agire per il bene della persona;

- la giustizia, essa è intesa come giustizia sociale, pertanto, implica questioni relative all’equità nelle interazioni sociali e nell’allocazione delle risorse, al perseguimento del benessere personale, alle pari opportunità.

Il significato e l’applicazione di questi cinque principi, afferma Henry (1996), riflettono un’etica della cura che riguarda specificamente l’azione all’interno di un contesto di pratica professionale. Si afferma così, quella primarietà ontologica della cura – intesa quale luogo in cui ha inizio il senso dell’esserci e in cui si valorizza la

relazione diadica – di cui parla Mortari (2006), la quale sta ad indicare che l’essere umano ha bisogno di essere oggetto di cura, e nello stesso tempo di aver cura, cioè di esser oggetto di pratiche di cura: “la cura è un lavoro difficile, ma è questo il lavoro che sostiene la vita. Che i caregivers, cioè chi pratica la cura, valorizzino la cura non è indice di una falsa visione delle cose né di mero romanticismo, ma di una riflessione fondata su ciò che vale nella vita” (p. VIII).

Dagli anni ’60 in poi, al profondo mutamento della tecnologia si sono accompagnate nuove e rilevanti questioni etiche. Secondo Sampson e Makela (2014) le questioni sollevate riguardano, soprattutto, l’equità sociale, le risorse ed i servizi. Nell’erogazione elettronica di servizi di orientamento e consulenza la sfida maggiore è fornire accesso secondo principi di equità sociale, evitando che aumentino le opportunità soltanto per chi è collegato. Internet, infatti, consente di accedere a numerose risorse e servizi, permettendo all’orientamento e alla consulenza “to transcend geographic and physical barriers” (ibidem), tuttavia, per quanto in aumento, non tutte le persone hanno possibilità di accedervi. A tal proposito si pensi che 150 milioni di europei – quasi il 30% della popolazione – non ha mai usato internet. Questo gruppo, che spesso dichiara di non averne bisogno o di trovarlo troppo costoso, è costituito essenzialmente da persone di età compresa fra 65 e 74 anni, da persone a basso reddito, da disoccupati e da persone con un livello di istruzione non elevato. In molti casi l’esclusione è dovuta ad una mancanza di competenze da parte dell’utente, in materia di alfabetizzazione e di media informatici, che incide non solo sulla capacità di trovare un’occupazione ma anche di apprendere, creare, partecipare e usare con sicurezza e consapevolezza gli strumenti digitali29. In considerazione delle rilevanti

implicazioni del divario digitale, una parte della più recente giurisprudenza di merito ha riconosciuto l’esistenza di un vero e proprio “danno da digital divide”, provocato dalla violazione del diritto di accesso, che impedisce all’individuo il

regolare esercizio dei propri diritti online, configurando una peculiare tipologia di pregiudizio, qualificabile come danno alla persona sotto forma di perdita di possibilità di inclusione. In ambito giuridico, infatti, la Rete, per le sue caratteristiche,

“appartiene alla categoria dei global common goods, sottoposti al regime di res communis

omnium, che presuppone l’inappropriabilità del bene e la sua libertà d’uso. L’accesso

al web potrebbe, quindi, essere qualificato come servizio universale, che le istituzioni nazionali devono garantire ai propri cittadini gratuitamente o a costi sostenibili […] Il diritto di accesso acquisisce in tal modo sempre più rilevanza in termini di inclusione […] L’accesso ad Internet vuol dire accesso per tutti dal luogo e nel momento scelto individualmente alla conoscenza universale, all’esercizio con modalità innovative dei diritti costituzionali, all’adempimento più agevole degli obblighi, al rilancio dell’economia e alla possibilità di usufruire di nuovi e rivoluzionari servizi” (Allegria 2017, 158-159).

In questa direzione, l’art. 2 della Dichiarazione dei diritti di Internet – elaborata dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet ed approvata il 28 luglio 2015 – definisce l’accesso ad Internet “diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale”, pertanto le Istituzioni pubbliche sono chiamate a garantire “i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità. Garantire l’accesso ad Internet è condizione imprescindibile per favorire la partecipazione di tutti e di ciascuno alla vita della comunità.

Un’ulteriore questione etica riguarda la validità delle risorse basate sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e il supporto all’utente quando necessario. Rispetto alla validità delle risorse online, Clark et al. (2000) affermano che spesso su Internet accanto a materiali scientificamente ed eticamente validi si trovano materiali scadenti od incompleti: fornire informazioni inaccurate compromette la capacità degli individui di prendere decisioni informate in materia

di istruzione, formazione ed occupazione. Tuttavia, ad incidere sulla validità delle informazioni disponibili online è anche la capacità decisionale degli individui: persone dotate di una scarsa capacità decisionale avranno maggiori probabilità di utilizzare in modo inappropriato le risorse di auto-aiuto e di non usufruirne, a causa delle difficoltà di comprensione e utilizzo. Si comprende, dunque, come la facilità di accesso alle risorse favorita dall’uso della rete non garantisca la riuscita del processo orientativo. In conseguenza di ciò, “gli sviluppatori di siti Internet hanno la responsabilità etica di indicare quando e in che modo le persone potrebbero usufruire del supporto da parte del professionista” (Sampson & Makela 2014). L’erogazione dei servizi di orientamento e consulenza a distanza solleva, infine, questioni etiche inerenti la riservatezza, la privacy dell’utente e la gestione delle interazioni in nuovi contesti. Per i fornitori di questo tipo di servizi, garantire la sicurezza e la privacy dei dati personali degli utenti è fondamentale, considerando che i benefici che le persone potrebbero trarre dall’uso delle tecnologie digitali, sono limitati – oltre che dalla carenza di accesso ad internet, dall’usabilità dei sistemi, dalla mancanza di adeguate capacità – da preoccupazioni inerenti la riservatezza e la sicurezza: una mancanza di fiducia che rischia di ostacolare seriamente lo sviluppo dell’economia digitale in Europa. In questa direzione, l’Unione europea, in seguito ad un lungo e complesso procedimento legislativo, iniziato nel gennaio 2012, si è dotata nel maggio 2016 di nuove norme in materia di protezione dei dati personali mediante l’adozione del Regolamento Europeo 679/2016 per la Protezione dei Dati Personali che ha avuto piena applicazione a decorrere dal 25 maggio 2018.

La ratio di tale necessità si evince dalle note 6 e 7 del Regolamento:

(6) La rapidità dell’evoluzione tecnologica e la globalizzazione comportano nuove sfide per la protezione dei dati personali. La portata della condivisione e della raccolta di dati personali è aumentata in modo significativo. La tecnologia attuale consente tanto alle imprese private quanto alle autorità pubbliche di utilizzare dati personali, come mai in precedenza, nello svolgimento delle loro attività. Sempre più

spesso, le persone fisiche rendono disponibili al pubblico su scala mondiale informazioni personali che li riguardano. La tecnologia ha trasformato l’economia e le relazioni sociali e dovrebbe facilitare ancora di più la libera circolazione dei dati personali all'interno dell’Unione e il loro trasferimento verso paesi terzi e organizzazioni internazionali, garantendo al tempo stesso un elevato livello di protezione dei dati personali;

(7) Tale evoluzione richiede un quadro più solido e coerente in materia di protezione dei dati nell’Unione, affiancato da efficaci misure di attuazione, data l’importanza di creare il clima di fiducia che consentirà lo sviluppo dell’economia digitale in tutto il mercato interno. È opportuno che le persone fisiche abbiano il controllo dei dati personali che li riguardano e che la certezza giuridica e operativa sia rafforzata tanto per le persone fisiche quanto per gli operatori economici e le autorità pubbliche.

Ne deriva che, i professionisti che intendono fornire servizi di orientamento e consulenza online devono necessariamente utilizzare adeguate misure di sicurezza, come cambiare frequentemente password e utilizzare dati crittografati per le trasmissioni via Internet. La protezione dei dati, infatti, deve assumere un ruolo di primo piano per presidiare la dimensione digitale nella quale sempre più si dispiega la nostra esistenza (Bongiovanni & Mottino 2017). Per quanto riguarda, infine, la questione etica sollevata dall’erogazione dei servizi di orientamento e consulenza a distanza, occorre precisare che se da una parte essi consentono di raggiungere persone che potrebbero essere escluse dai servizi in presenza per via di limitazioni nella mobilità, della dislocazione geografica, o più semplicemente persone che preferiscono usufruire della comodità offerta dai servizi in remoto, dall’altra non sempre tali servizi potrebbero risultare appropriati. È evidente, pertanto, la necessità per il professionista di prendere conoscenza del contesto in cui andrà ad operare a distanza così da poter valutare la capacità del servizio di rispondere ai bisogni specifici dell’utente.

Alla luce di quanto detto, si evince che i progressi della tecnologia, e la sua diffusione massiva, sfidano i professionisti dell’orientamento a rivedere e modificare costantemente i propri codici e quadri di riferimento al fine di poter garantire servizi di qualità agli utenti. D’altra parte, occorre riconoscere che l’applicazione delle nuove tecnologie ai servizi di orientamento e consulenza spinge oltre i limiti del conosciuto, in territori inesplorati, verso aspetti etici non identificabili in via definitiva.