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Nella settima giornata, dopo un primo tempo che ritrae una scena di folla, si raccontano i giochi di ringraziamento voluti e

Nel documento SIRACUSA (pagine 35-38)

organiz-zati da Merindo guarito. Ed ecco la gente mentre accorre curiosa a ve-dere i giochi, e la rappresentazione delle mirabili esibizioni dei pesca-tori nella loro arte pescapesca-toria:

Ivi i nostri pescatori, per mostrare alla coadunata turba quanto ne l’arte pescatoria destri erano, si adoperorno mirabilmente: al-tri, nudo buttandosi, fu visto in un istante uscir con le man piene d’ostreghe; altri coi tridenti quanti colpi lanciava tante volte traheva i feriti pesci; altri, picciole nasse entro l’onde ascon-dendo, piene ne le ritraheva; altri con canne, et ami per la gola quelli ai sottili lacci appesi, fuora dell’onde nell’aere mostrava; et altri con leggiadre reti subito buttate, e rihavuti, innumerabili pe-sci ingannavano. Onde per la gran copia, che dal mare trahemmo, comunemente fu estimato che Proteo havesse a noi tanta copia guidata79.

Regio dà ampio spazio alla descrizione dei giochi pescatorii. Alla fine dell’Arcadia i giochi pastorali, nel giorno dell’anniversario della morte di Massilia, avvengono sotto la guida di Ergasto. Nella Siracusa avvengono sotto la guida di Merindo e vogliono essere un’alternativa autonoma ai giochi pastorali. Al pari di Sincero/Sannazaro, il Solita-rio/Regio non vi partecipa e ha solo la funzione di spettatore, ormai vi-cino al rito del ritorno a Napoli. Nella Siracusa l’intero episodio dei gio-chi, come nell’Arcadia, è tessuto con frequenti richiami intertestuali a Virgilio, Omero, Stazio, superado i confini del genere, con apertura al genere epico e a quello bucolico-pastorale. La scrittura di Regio, per il possesso solido degli strumenti retorici e linguistici, ci pare degna di un confronto positivo col classicismo sannazariano80. Nella Siracusa però i

79 Siracusa pescatoria, p. 99.

80 Sono numerosi gli studi sul prosimetro in volgare di Iacopo Sannazaro: P. V. Mengal-do, La lirica volgare del Sannazaro e lo sviluppo del linguaggio poetico rinascimentale, in «La

Ras-Introduzione XXXV

giochi non sono funebri come nell’Arcadia e non avvengono nella pe-nultima giornata.

Il primo gioco coinvolge le barche di Ocenio e di Tirrenio. Vincitore sarebbe stato colui che, duellando sopra la prora, avrebbe mandato il rivale nell’acqua; come premio, un bellissimo timone accuratamente descritto:

Chi, giostrando, sopra la prora resterà mandando il compagno entro l’acque, li serà dato in premio questo timone, di tanta virtù ornato, che sovente dai superbi mari i naviganti scampa.

Era questo timone di pino maestrevolmente lavorato, a modo di curvato delfino [...]81.

Alla fine della gara Ocenio e Tirrenio vengono riconosciuti entrambi vincitori, perché entrambi cadono nell’acqua e subito risalgono sulla barca. Così Merindo offre ad Ocenio il timone e a Tirrenio una bellis-sima cetra.

Per il secondo gioco è in palio una robusta rete, destinata alla barca più veloce. In gara sono quattro barche con i loro guidatori: Clorido, Mopso, Atlantico ed Eritreo. A vincere è Eritreo per volere di Clorido, che gli consente di arrivare per primo. Merindo offre ad Eritreo la rete, ma premia anche gli altri tre: a Clorido offre un remo, a Mopso un tri-dente, ad Atlantico una tenda.

segna della Letteratura italiana», LXVI, 1962, pp. 436-482; E. Paratore, La duplice eredità vir-giliana nell’“Arcadia” del Sannazaro, in Idem, Antico e nuovo, S. Sciascia, Caltanissetta-Roma 1965, pp. 213-241; F. Tateo, L’umanesimo meridionale, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 148-175;

M. Corti, Metodi e fantasmi, Bompiani, Milano 1969; A. Caracciolo Aricò, L’“Arcadia” del San-nazaro nell’autunno dell’Umanesimo, Bulzoni, Roma 1995; AA. VV., La cultura napoletana nell’Europa del Rinascimento, a cura di P. Sabbatino, Olschki, Firenze 2000; I. Becherucci, L’al-terno canto del Sannazaro. Primi studi sull’Arcadia, Pensa Multimedia, Lecce 2012.

81 Siracusa pescatoria, p. 100. La descrizione di questo timone ritorna quasi identica nella Mergellina di Giulio Cesare Capaccio: «Haveva tra molte cose un picciolo timone, ove di bellissimo intaglio era formato un delfino, et ove di sottil lavoro era dipinto un orco, che aprendosi con due mani la bocca, dava timore ad un’ignuda Ninfa, che con una mano alla guancia, e con gli occhi spaventevoli, dava naturalmente ad intendere un’estrema paura» (Mergellina. Egloghe piscatorie, cit., p. 87).

XXXVI Introduzione

Come premio del terzo gioco Merindo offre un’ancora, destinan-dola a chi per primo l’avrà recuperata, una volta gettata in mare. Il pre-mio va a Spumario, molto celere nel raccogliere l’ancora. Ma, poiché Eusino esce dal mare con un’orata in mano, Libico con un polipo e Ma-rino con una triglia, anche a costoro Merindo offre rispettivamente una conca, un ramo di corallo, un piccolo coltello di fino acciaio.

Seguono altri due giochi e Merindo continua a mostrare grande ge-nerosità verso tutti i concorrenti. Il quarto gioco in particolare ha richia-mato l’attenzione di Vittorio Imbriani, il quale ha individuato con sod-disfazione il ritorno di Regio all’Eneide di Virgilio, con una leggera va-riante (alla colomba e al tiro dell’arco il poeta del tardo Rinascimento sostituisce «assennatamente» un uccello acquatico: il mergo), laddove Sannazaro sostituisce «mirabilmente» una caccia al lupo:

Jacopo Sannazaro imitò, mirabilmente, questo squarcio, nella prosa undecima dell’Arcadia, descrivendo i giuochi, in onore e commemorazione di Massilia; e seppe trovar nuove bellezze, so-stituendo, alla colomba virgiliana, un lupo, ed agli archi guerre-schi, le frombole o fionde pastorali. Il nostro Regio non potendo, al quadrupede, sostituire un pesce (che mai non usò tirare, al ber-saglio, su’ muggini od i tonni!) si scosta da Sincero; e si riavvi-cina, assennatamente, al prototipo virgilano; e fa che i suoi laz-zaroni siracusani, prendano, semplicemente, a sassate, a ciotto-late, a petrate, un uccello acquatico, un mergo82.

A conclusione dei giochi83, si susseguono i sacrifici, l’invocazione di Merindo alla dea Teti con un rito di devozione; e alla fine l’egloga di Merindo in terzine dantesche, che celebra la propria liberazione dai lacci amorosi. Nel canto, accompagnato dal suono del plettro, si ripete il verso: «d’ogni laccio d’Amor libero, e sciolto»84. Quindi la pacata in-vocazione rivolta ai venti, ai pesci, alle acque, agli scogli affinché siano partecipi della gioiosa liberazione. E, a seguire, l’invocazione di Glauco,

82 Della Siracusa, cit., p. 6.

83 L’ultimo gioco pone in palio un bastone di osso di orca marina, con in cima una testa di Medusa, avvinta da mille serpenti, che va al vecchio Fileno per aver portato fuori dell’acqua una bella e saporita murena.

84 Siracusa pescatoria, pp. 108-112.

Introduzione XXXVII

con l’invito a rispondere alle sue note, del dio del mare e di altre divi-nità (Giove, Apollo Giunone, ninfe e dèe marine); e ancora l’evocazione di molteplici miti, tra cui quelli di Apollo e Dafne e di Orfeo ed Euri-dice, e l’elogio del saggio medico in grado di guarire dai mali d’amore.

2.8. Nell’ottava giornata a riprendere la narrazione è il pescatore

Nel documento SIRACUSA (pagine 35-38)