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La sfida dei servizi ecosistemici alla cultura della monetizzazione e della compensazione

PARTE I – IL QUADRO NAZIONALE

41 Le caratteristiche orografiche di queste Regioni in prevalenza montuose hanno sicuramente influito

5.4 La sfida dei servizi ecosistemici alla cultura della monetizzazione e della compensazione

P. Pileri, F. Assennato, C. Calzolari, P. Giandon, M. Marchetti, D. Marino, E. Morri, D. Pettenella, L. Sallustio, L. Salvati, R. Santolini, F. Terribile, F. Ungaro, I. Vinci, M. Munafò

La lezione rivoluzionaria del concetto di servizio ecosistemico, a volerla cogliere attentamente, sta nel mostrarci quanto potente è ogni singola risorsa in natura e quanto è vitale per l’uomo e l’ambiente. Ogni risorsa fa cose impensabili ai più e sempre senza chiedere nulla in cambio all’uomo. Studiosi e ricercatori di ogni disciplina hanno elencato e classificato i servizi e i benefici, producendo un lungo e approfondito elenco. Davanti a tale vastità e al fatto che tutto è legato con tutto, all’uomo è chiesto di rivedere il suo approccio alla natura. Ma questa è la teoria e, come ogni buona teoria, si affida alla buona volontà del destinatario. Anche in questo caso non possiamo nascondere che il concetto è tanto

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rivoluzionario quanto a rischio di essere travisato da banali interpretazioni e astute minimizzazioni. In questa sede vogliamo porre l’attenzione su due questioni principali che prendono il nome di monetizzazione e di compensazione. Le preoccupazioni legate a questi due fronti sono qui brevemente richiamate. A queste va aggiunto sempre l’impatto negativo che ogni banalizzazione dei concetti scientifici ha sulla opinione pubblica, sulla cultura politica e amministrativa. Di questo non diremo ma si tratta ovviamente di aspetti che dovrebbero destare molte preoccupazioni.

1. Monetizzazione. Dalla fine degli anni ’90 con gli articoli di Robert Costanza, si è aperto il fronte della ‘monetizzazione’ dei servizi resi dalla natura. Se questo sforzo di traduzione in moneta ha in sé delle buone ragioni come ad esempio mostrarci il valore di una risorsa con un codice a tutti noi noto, il valore monetario, dall’altro rischia di alimentare un perverso e incancellabile retro-pensiero secondo il quale, in fondo, ogni risorsa è una merce con tanto di prezzo e, quindi, con un possibile mercato di scambio. Insomma, se si fissa un equivalente monetario bisogna poi fare i conti con il fatto che ci potrebbe essere qualche operatore economico con la disponibilità finanziaria e l’interesse ad acquistare il diritto a ‘risarcire’ l’umanità a fronte della distruzione di una risorsa utile per tutti. Può essere un’opzione remota, ma potrebbe invece essere più prossima e comune di quanto crediamo non sia. Il principio di precauzione e di prevenzione degli impatti ci porta a ricordare con forza che occorre fare ogni sforzo perché un approccio commerciale non si impossessi delle risorse naturali e non governi l’offerta di servizi ecosistemici. Qui non si tratta di scendere a compromessi, ma di salire verso principi non derogabili, stimolando le forze economiche a elaborare capacità per produrre senza impattare, anziché stimolare scorciatoie pericolose. Va ricordato e affermato a gran voce, pertanto, che l’impiego da parte di tutto il mondo tecnico-scientifico e, più recentemente, anche dei decisori politici del concetto di servizio ecosistemico ci spiega che è ora di mandare in soffitta per sempre l’antico adagio di una certa economia secondo la quale “tutto ha il proprio prezzo” e quindi tutto può essere messo sul mercato. Questo approccio semplicemente non ha senso nel campo di molti beni ambientali, e in generale dei beni pubblici. Se una risorsa non rinnovabile viene consumata, a poco serve la consolazione di una contropartita monetaria, che peraltro esaurisce il suo beneficio nel breve termine, la quale mai e poi mai potrà restituire la risorsa e i suoi benefici. Bisogna che la comunità scientifica non perda occasione per ribadire che la monetizzazione dei servizi ecosistemici – pur nella sua grande utilità - non annulla i limiti all’uso delle risorse non rinnovabili, né apre a una loro possibile commercializzazione, né può superare o ignorare l’impegno culturale che una parte importante della società sta facendo per rendere tutti più consapevoli delle minacce a cui sono ancora sottoposte tali risorse. La monetizzazione, perciò, è funzionale solo e soltanto a rendere ancor più evidente, tangibile e chiaro il valore delle risorse stesse, anche per far comprendere quanto i loro servizi e benefici siano in diversi casi impagabili e necessariamente, da tutelare.

2. Compensazione. L’innalzamento dell’attenzione generale verso la natura ha prodotto un aumento delle attenzioni progettuali (anche se ancora lontano dagli obiettivi minimi auspicati da più parti) che spesso, ma non sempre, ha nella valutazione ambientale un momento di confronto cruciale. Le valutazioni ambientali hanno lo scopo di verificare anticipatamente gli impatti possibili delle trasformazioni e, in casi estremi, di fermare alcune trasformazioni. Sappiamo che non sempre una valutazione critica degli impatti ambientali blocca progetti di investimento. Anziché fermare trasformazioni che hanno impattato notevolmente, ci si è spesso adoperati, sicuramente in Italia, per ri-decidere cosa andava valutato e cosa no, per cercare di evitare le procedure valutative accampando possibili esclusioni e, quando tutto ciò non era possibile, a trasferire sulle azioni di riduzione, mitigazione e compensazione la partita degli impatti. Se riduzione e mitigazione si rivolgono direttamente all’opera che trasforma il territorio, la compensazione è un’azione che implica la restituzione ‘altrove’ dei valori ambientali distrutti senza quindi tradursi in una modifica degli impatti del progetto trasformativo. In questo senso la compensazione è fortemente connessa con la monetizzazione. Anzi, purtroppo e troppo spesso, la compensazione si è sostanziata proprio in una corresponsione monetaria all’ente sul cui territorio ricadeva l’opera, anche quando gli impatti riguardavano risorse non rinnovabili e servizi ecosistemici di grandissimo valore. Questa opzione è prevista nel nostro ordinamento ma, con tutta evidenza, proprio per il valore etico e di pubblica utilità di quanto viene tolto alla collettività, non restituisce affatto i beni ambientali distrutti, producendo uno sbilanciamento ecologico tra danno e risarcimento dello stesso. Nel paradosso che a contraddizione corrisponda, spesso, un’altra contraddizione, non di rado è accaduto che quei finanziamenti compensativi siano stati usati per fare altre opere che, in non pochi casi, hanno concorso alla perdita di

63 ulteriori risorse ambientali. Per queste ragioni, l’istituto della compensazione si è rivelato molte volte fallimentare e il legislatore, così come l’amministratore, non è stato all’altezza del compito delicato, da tempo richiesto, di porre un freno al consumo delle risorse primarie non rinnovabili. La questione non si esaurisce in questa ‘leggerezza’ con cui l’istituto, pur legittimo, viene usato. La compensazione da tempo è percepita come la ‘via di uscita’ canonica del negoziato ambientale, soprattutto dai soggetti ‘forti’ ovvero con buone disponibilità finanziarie. Perché rivedere il progetto di un’opera per ridurne gli impatti quando c’è la compensazione, strumento per giunta facile da utilizzare? La compensazione, va ricordato, deve essere la cosiddetta ‘ultima spiaggia’ del processo progettuale e di quello valutativo. Ovvero prima va verificata la effettiva necessità dell’opera che non può mai essere data per scontata, anche in rapporto a possibili alternative di realizzazione; poi si valuta la riduzione degli impatti immaginando modifiche all’opera e/o riprogettazione di intere parti e, solo a questo punto del processo, si ragiona sulla mitigazione, ovvero alla provvista di un corredo di interventi ecologici o ambientali accessori che, in prossimità dell’opera, ne attenuino gli impatti. Al termine di questo percorso valutativo, che deve essere rigorosissimo e condotto da soggetti terzi rispetto a proponente ed ente territoriale dove ricade l’opera, e solo per ciò che rimane degli impatti che non si è trovato modo di eliminare o mitigare, si passa alla compensazione. Mai questa viene intrapresa prima di ognuna delle fasi ricordate. Nella realtà avviene troppo spesso il contrario e la negoziazione tra territorio offeso dagli impatti e proponente scivola subito sulla compensazione, per di più spesso non ambientale o ecologica. Questo è un ulteriore punto dirimente su cui occorre essere di gran lunga più rigorosi: se sono eliminati dei valori ambientali rari e di alto valore, sono questi e solo questi che vanno ripristinati con la compensazione e non con sostituti imperfetti come una rotonda stradale o la riparazione di un tetto di una scuola (cosa in sé onorevolissima ma ‘fuori tema’). Conseguenza ovvia di tutto ciò è che la compensazione ambientale e/o ecologica non va mai monetizzata e sempre anticipata rispetto agli impatti residuali. È lo stesso principio a cui ci richiama la Commissione Europea quando indica le priorità da seguire per raggiungere l’obiettivo di azzerare l’incremento dell’occupazione di terreno, ossia evitare e limitare, prioritariamente, la trasformazione di suolo agricolo e naturale, quindi mitigare e ridurre gli effetti negativi dell’impermeabilizzazione del suolo e infine, solo se gli interventi dovessero risultare assolutamente inevitabili, compensarli attraverso la rinaturalizzazione di una superficie con qualità e funzione ecologica equivalente.

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