• Non ci sono risultati.

IL SIMBOLO DEL «MITO»: LA Tempesta

Non si parla di Giorgione senza citare la Tempesta. Essa è divenuta il dipinto più celebre e “misterioso” dell’artista, forse più della “Pala di Castelfranco” o della Laura di Vienna, oppure dei Tre filosofi, tanto per citare alcune tra le opere più conosciute e certe del catalogo giorgionesco. La critica contemporanea non ne riconosce il tema, anche se supposizioni e proposte di lettura più o meno suffragate da collegamenti letterari, filosofici e storici, sono state numerose e intriganti. Sembra davvero che i concetti e i termini usati per spiegare la sua pittura siano tutti racchiusi all’interno di questo dipinto: “paesaggismo”, “tonalismo”, “libertà espressiva”, pittura “senza soggetto”, testimonianza visiva di un Giorgione fondatore della “maniera moderna” nel Veneto. L’immagine della Tempesta è stata utilizzata per adornare numerose copertine di cataloghi d’arte, di saggi, di guide e di manifesti relativi a mostre di pittura veneta cinquecentesca; essa è stata ispiratrice di romanzi612 e addirittura la sua immagine, visibile in un francobollo emesso dalla Repubblica di San Marino nel 2010, ha voluto ricordare i Cinquecento anni dalla morte del suo esecutore. Malgrado l’evidente incertezza esecutiva nell’esecuzione delle figure, nel calcolo della prospettiva e nel tracciamento delle linee verticali, il dipinto sembra avere in sé una sorta di magnetismo che sofferma l’osservatore e lo trasporta in una sorta di limbo, in sospensione tra ragione e spirito. Forse la fama della Tempesta deriva da ciò, da un enigma ancora da risolvere: il suo “vero” e tuttora recondito significato, se ne dovesse avere uno.

Diversamente, Pietro Zampetti ha affermato che «la fama del dipinto non deriva dalla oscurità del suo significato e dalla esigenza di sciogliere un enigma rimasto incomprensibile, bensì nasce da un fatto puramente di gusto. Essa insorge nella seconda metà dell’Ottocento, proprio nel momento in cui trionfa la teoria della pura visibilità e dei valori formali, quando nell’opera d’arte non tanto valeva il soggetto, quanto il modo in cui esso veniva rappresentato»613. Egli aggiungerà: «mentre gli esegeti discutono sui significati finalmente risolti, oppure definitivamente sepolti, la gente continua a rimanere affascinata dal dipinto, uno dei più famosi che l’uomo abbia creato. Una bellezza dunque consacrata dal “suffragio universale”, senza un soggetto riconosciuto. È un problema da meditare»614.

È interessante notare come tuttora, la comune e popolare percezione emotiva del dipinto sia ancora la stessa del secolo scorso: “sensualità”, “esaltazione estetizzante, esoterica-poetica” di matrice dannunziana; a titolo di esempio il romanzo di Mauresing descrive così la Tempesta:

Che dire di quell’ineffabile quadro? In esso, all’ardore dell’intelligenza si accompagna una possente sensualità. Di primo acchito, il suo strumento è quello dei sensi, quasi a volerci dire-il pittore-che è attraverso i sensi che la vita ci parla, ed è grazie a essi che egli descrive e produce le sue opere. Appare fin troppo evidente che, per lui, i sensi sono quanto di più penetrante e vivo si possa

612 L’ultimo pubblicato è del 2009, intitolato “La tempesta” e scritto da Paolo Mauresing. 613

ZAMPETTI, “La quiete dopo la tempesta”…cit., p. 276.

124

immaginare. Nessuna forma di modestia, imposta dall’educazione familiare o religiosa, potrebbe indurlo, neppure in minima parte, a mitigare la sensualità. Egli non solo privilegia i sensi, ma li affina, li appuntisce e li usa con tale maestria da farli vibrare in noi, come per l’effetto di un diapason. Tutto il nostro apparato percettivo si risveglia di fronte a quel dipinto: oltre alla vista, già pienamente soddisfatta, anche il tatto, l’udito e l’olfatto si risvegliano. Già avvertiamo in volto l’umidità, annusiamo l’alito palustre che la brezza temporalesca solleva dalle sponde del fiume, e l’udito, cullato dal sommesso gorgoglio del ruscello, resta in attesa di un tuono che seguirà a breve lo squarcio del fulmine in lontananza. Non resta che chiarire a noi stessi quale sarà il seguito a una premessa così strepitosa. Capiremo ciò che gli è stato suggerito dal suo genio e che lui intende trasmettere? La premessa dei sensi è così potente che la nostra aspettativa non può non venire ripagata. Osservando quel quadro noi procediamo da una figura all’altra aspettandoci che, una alla volta, o anche contemporaneamente, parlino e dicano perché si trovano in quel luogo, e che cosa ci fanno lì; domanda, questa, che non ci verrebbe mai di fare ad alcuno, a meno di non trovarlo nottetempo in casa nostra. Con ciò voglio dire che, per quanto le due figure armonizzino magistralmente con il paesaggio (?), la loro collocazione è non solo improbabile, ma addirittura sconcertante. Sembrano infatti arrivate fin lì perché desiderose di intrattenere con l’osservatore un rapporto pieno, ininterrotto, direi quasi ansioso, di comunicazione. Il dipinto risulta estremamente provocatorio per una mente che sia in cerca di un approccio critico, in quanto, pur dandoci un apparente sensazione di completezza, risulta privo di limiti. Esso ci obbliga a interrogarci sulle stesse ragioni del suo potere di tenerci in scacco, ci chiama alla più stimolante delle sfide: quella di arrivare a capire da quale fonte sacra scaturisca la sua malia.615

La fortuna critica del dipinto è iniziata dopo la metà dell’Ottocento, ma è chiaro che la strada del suo successo verrà tracciata dalla pubblicazione della Notizia d’opere… Come ha correttamente evidenziato Janie Anderson, prima di allora, oltre a esservi «pochissima documentazione per le pitture che Giorgione dipinse per committenti privati»616, la Tempesta era conosciuta solamente da un ristretto pubblico di “intendenti” e da quella “élite turistica” che poteva permettersi il “Grand tour” in Italia.

Lo stesso abate Morelli, nella trascrizione degli appunti di Marcantonio Michiel, allora anonimo in quanto l’identità dell’autore venne scoperta successivamente da Don Daniele Francesconi, non mise subito in relazione la famosa nota …El Paesetto in tela con la tempesta, con la cingana e soldato, fu de man de Zorzi

da Castelfranco, con il dipinto allora visibile presso il palazzo della famiglia Manfrin a Venezia. Passeranno

quasi vent’anni dalla prima pubblicazione dell’ Anonimo morelliano, prima di trovare una nota del Morelli «in una copia personale della sua pubblicazione (ora in Archivio Morelliano 73-12579. Pag. 80) (dove) annota accanto alla descrizione della Tempesta: “E’ nella Galleria del conte Girolamo Manfrin”»617.

Non è comunque certo che il dipinto fosse già presente nella Galleria di famiglia al tempo della prima pubblicazione della Notizia d’opere…: ciò che potrebbe far presumere la sua presenza nella collezione prima di allora, sarebbe «la notevole fortuna accumulata da Gerolamo Manfrin già nel 1787, in quanto procedette all’acquisto del veneziano Palazzo Venier e di centinaia di quadri al fine di arredarlo»618.

Anche Dal Pozzolo619 ne appoggia l’ipotesi e pone tale data come termine “post quem” per la sua acquisizione nella collezione Manfrin, ma è altresì noto che «suo figlio Pietro abbia acquisito successivamente altre opere e potrebbe aver acquisito anche il dipinto»620.

615 P

AOLO MAURESING, La Tempesta, Trento, Morganti, 2009, p. 71.

616 A

NDERSON, Mito e realtà di Giorgione…cit., p. 623.

617

GIOVANNA NEPI SCIRÈ,SANDRA ROSSI, Giorgione “Le maraviglie dell'arte”, a cura di Iid., Venezia, Marsilio, 2003, p. 134.

618 W

ILLIAM HAUPTMAN, Some new nineteenth-century references to Giorgione's 'Tempesta', in “The Burlington magazine” 136 (1994), London, 1994, pp. 78-82, qui p. 78.

619

DAL POZZOLO, Giorgione…cit., p. 427.

620 H

125 A ogni modo la Tempesta non sembra essere stata mai citata nelle guide turistiche, dove erano elencate le opere dei palazzi veneziani o in genere nella letteratura da viaggio dell’epoca. Essa non appare nemmeno nelle guide stampate per la visita alle gallerie Manfrin, come ha evidenziato William Hauptman:

Nemmeno la disposizione di allora delle gallerie Manfrin, né il grado di importanza di questa grande famiglia, viene registrato all’inizio del XIX secolo, anche se vennero stilati generici inventari. Tuttavia, una certa cura è stata apparentemente fornita, per permettere al visitatore le condizioni possibili con cui studiare i dipinti, una rarità nelle gallerie veneziane del tempo: infatti, veniva fornita una guida stampata di alcune opere, consistente in un piano di quattro pagine, per ciascuno degli undici saloni, dove ciascuna pagina era corrispondente alla organizzazione generale del salone con le definizioni sommarie delle opere, le quali indicavano il titolo e l’autore; ma non ci sono prove che la Tempesta abbia mai figurato in queste guide. Questa assenza non deve necessariamente essere interpretata come non presenza nella collezione, ma piuttosto che essa fosse considerata un dipinto secondario rispetto agli altri quadri, considerati esempi più pregiati della pittura di Giorgione.621

George Gordon Byron, conosciuto dai più come Lord Byron, arrivò a Venezia nel novembre del 1816 e vi risiedette per tre anni. Il 14 settembre 1817 visitò le gallerie Manfrin per la prima volta. In una successiva lettera al suo editore John Murray, egli citò alcuni dipinti presenti nella collezione che lo attirarono particolarmente; tra questi vi era «un dipinto in cui vi era raffigurata la moglie di Giorgione»622.

Da tale visione scaturirono i famosi versi in “ottava rima” del suo poema Beppo, composto alcuni mesi più tardi, in cui Byron rima sul ritratto di Giorgione, di suo figlio e la moglie. Con la pubblicazione dell’opera poetica, il dipinto divenne famoso con il titolo di Famiglia di Giorgione e ricevette commenti ed elogi da critici e scrittori negli anni successivi. Dal 1820 in poi, le guide di viaggio individuarono il dipinto come una delle opere più preziose della collezione, senza alcun dubbio che esso rappresentasse proprio la famiglia del pittore. Ma ciò che vide il poeta inglese non fu la Tempesta, bensì un «triplice ritratto a mezza figura di anonimo tizianesco, esportato a Londra nel corso del 1857, conservato oggi ad Alnwich Castle»623.

Effettivamente il triplice ritratto della collezione Manfrin, visto da Byron, fu sostituito alla metà del secolo con la Tempesta, a cui fu attribuito lo stesso titolo di “Famiglia di Giorgione”, per evitare commenti sulla vendita e non deludere chi si recava a visitare il celebrato e ormai scomparso “capolavoro”. Lo conferma il reverendo Henry Christmas, antiquario inglese che visitava l’Italia nel 1851 e che riteneva di non poter far eco a Byron a proposito del dipinto raffigurante Giorgione in persona vestito come una specie di brigante, che osserva sua moglie e suo figlio vestiti di niente. E fu la Tempesta, non più il quadro decantato da Byron, che il Christmas invece vide, credendo trattarsi dello stesso dipinto. La “Famiglia di Giorgione”, ovvero i “Tre ritratti” scomparve dalla collezione Manfrin verso il 1850, prima ancora di essere esportato a Londra nel corso del 1857, e fu sostituito dalla Tempesta. Ne è conferma il Catalogo dei quadri esistenti nella Galleria Manfrin in Venezia, del 1856, che reca al num. 225: “Famiglia del Giorgione” tela, cm. 74 × 83. Il dettaglio della materia e della misura ci indica che si tratta della Tempesta mentre i “Tre ritratti” non risultano più presenti nella collezione. La ragione di questa vendita e di altre, si comprende facilmente se si pensa che nel 1849 la collezione Manfrin era stata divisa tra i nuovi eredi Antonio e Bartolomea Plattis, figli della marchesa Giulia Manfrin Plattis.624

È quantopoco sorprendente che la Tempesta, da quadretto di genere considerato di secondaria importanza nella collezione Manfrin, sia divenuta famosa grazie a un rimpiazzo, solo per aver preso il posto di un dipinto realizzato da un anonimo tizianesco che gli eredi Manfrin decisero di vendere. I soggetti

621 Ivi, p. 80. 622 Ibidem. 623

MAURIZIO CALVESI, La “Tempesta” di Giorgione, in “Storia dell’Arte”, 124, 2009, pp.31-42, qui p. 40.

126 rappresentati nella Tempesta potevano benissimo essere spacciati come “famiglia”, allo stesso modo dell’opera venduta.

Il dipinto sarà quindi presentato al pubblico dopo il 1851, con il titolo di Famiglia di Giorgione, accreditando la testimonianza del reverendo Christmas riportata da Calvesi e rimarrà con tale titolo fino al 1877, così come risulta dalle documentazioni pubblicate da Linda Borean e Stefania Mason625:

Si accludono due testimonianze che illustrano la considerazione di cui il dipinto di Giorgione godeva nel 1877: Scipione Fapanni, nel suo Elenco manoscritto (Venezia, 1877 e 1889) annotava: “l’abate G. Nicoletti (estensore del catalogo Manfrin nel 1872) suddetto mi riferisce: la Famiglia di Giorgione fu venduta nell’anno 1876 al governo italiano per 30.000 Lire italiane. Ora è a Roma, e sarà consegnata all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Apparteneva alla Galleria Manfrin, la quale oggi è dimezzata. Mi disse poi Paolo Fabris: «La Famiglia di Giorgione, a quanto sembra, è un quadretto di brevi dimensioni, trasversale, circa mezzo metro, o poco più. Lo hanno giudicato di Giorgione: io però ne dubito. Gli inglesi lo hanno veduto e tutti lo rifiutarono. La Galleria fu spogliata dei migliori; quelli che oggidì ci sono, gli scarti e quelli di minor interesse, Venezia 14 aprile 1877”.626

Da tale documentazione si evince altresì che la considerazione artistica della Tempesta non fu unanimamente positiva, così come l’attribuzione a Giorgione.

Tra le varie “guide artistiche” di Venezia pubblicate a metà Ottocento, non si trova alcuna citazione afferente al dipinto, neanche in quelle che hanno descritto le opere presenti nella collezione Manfrin, per esempio la Guida artistica e storica di Venezia e delle isole circonvicine627 del 1852.

La tela era comunque visibile al pubblico già molto prima del 1851 ed esposta come opera di Giorgione: William Hauptman, da un esame di documenti inediti ritrovati alla National Gallery di Londra, assieme a una serie di schizzi realizzati dal pittore svizzero Charles Gleyre durante il suo unico soggiorno veneziano nel mese di ottobre e novembre del 1845, ha dimostrato che l’attuale Tempesta era già conosciuta come opera di Giorgione, così come si desume da uno dei disegni presente nel libro di schizzi del Gleyre, che riproduce non solo il dipinto, ma lo dichiara «opera di Georgione»628.

Tuttavia la testimonianza più antica che riguarda la presenza del dipinto nelle gallerie Manfrin, rimane quella sopraccitata dell’abate Morelli, del 1820.

Nel 1855 con la pubblicazione di una guida turistica alle opere d’arte italiane, Jacob Burckhardt inserirà la

Tempesta tra ciò che è ritenuto interessante visitare a Venezia. La descrizione del dipinto è strutturata

attraverso un’ottica di tipo narrativo: il Burckhardt avalla l’ipotesi che vi sia rappresentato Giorgione stesso, assieme alla sua amante e il loro bambino appena nato, sullo sfondo di una città murata.

La pubblicazione de Il Cicerone contribuirà in modo determinante a far conoscere il dipinto a un più vasto pubblico e contribuirà a modificare il profilo artistico di Giorgione che verrà modernizzato a una visione estetica di matrice romantica.

625

LINDA BOREAN e STEFANIA MASON, Figure di collezionisti a Venezia tra Cinque e Seicento, Udine, Forum, 2002.

626 B

OREAN e MASON, Figure di collezionisti…cit., p. 47.

627 P

IETRO SELVATICO e VINCENZO LAZARI, Guida artistica e storica di Venezia e delle isole circonvicine, Venezia, Ripamonti

Carpano P., 1852.

628 H

127 Ecco che Giorgione «pittore di ritratti e “pseudo-ritratti” e di opere con figure monumentali piene di azione e di effetto espressivo»629 viene trasformato dalla critica artistica contemporanea nel «pittore per eccellenza di “soggetti sublimi e misteriosi”»630. Con la The School of Giorgione, lo scrittore inglese Walter Pater paragonerà l’opera dell’artista alle più alte espressioni musicali. Inizierà così il “mito romantico” di Giorgione a cui rimando al paragrafo specifico, dove sarà interessante rileggere la descrizione della

Tempesta che l’abate G. Nicoletti631 ha inserito nella sua guida del 1872, accompagnata da una succinta e romanzata biografia dell’artista.

3.1 I documenti

Prima di proseguire con le inesauribili interpretazioni della Tempesta che la critica artistica ha prodotto da metà Ottocento in poi, è necessario volgere lo sguardo all’indietro per individuare la sua storia, quali furono i suoi possessori, che considerazione artistica ha avuto il dipinto a partire dalla sua prima citazione scaturita con la visita del 1530 di Marcantonio Michiel presso il palazzo di Gabriele Vendramin a Santa Fosca.

Se dovessimo poi considerare le date di esecuzione proposte per la Tempesta dagli storici e dai critici dell’arte, spazianti in un arco temporale di ben dieci anni (dal 1498-99 al 1509), tuttora avremmo un vuoto storico da colmare di minimo vent’anni.

È quindi lecito chiedersi se il dipinto sia sempre appartenuto a Vendramin e ciò presupporrebbe una eventuale committenza, oppure se egli l’abbia acquisito da terze persone.

Negli ultimi anni una buona parte degli storici dell’arte è più propensa nel considerare Gabriele Vendramin uno dei possessori della Tempesta e non più il committente, per i seguenti motivi:

- un attestato e dinamico mercato di oggetti d’arte che alimentava il circuito collezionistico; nel caso specifico del Vendramin, Michel Hochmann632 ha scritto: «Gabriele dunque commissionava opere (quali il ritratto di Cariani), le scambiava (come nel caso di una testa di donna seduta ad Antonio Pasqualino in cambio di un torso marmoreo antico) e le riceveva in eredità, persino a saldo di debiti, da “amici carissimi”, fra cui Michele Contarini»633.

- la descrizione del dipinto nell’Anonimo morelliano, come ha evidenziato Piermario Vescovo, alquanto generica e banale, deriverebbe da un «interesse parziale»634 di Vendramin e di Michiel «per il suo contenuto simbolico. Il loro interesse era incentrato, da “conoscitori”, alla sua fattura e al suo pregio […].

629 B

ERNARD AIKEMA, Giorgione, La Tempesta, Milano, Ed. Silvana, 2003, p. 14.

630 Ibidem. 631

G.NICOLETTI, Pinacoteca Manfrin, Venezia, Visentini, 1872.

632 M

ICHEL HOCHMANN,Dalle origini al Cinquecento, a cura di Michel Hochmann, Rosella Lauber e Stefania Mason, in Il collezionismo d'arte a Venezia, Venezia, Fondazione di Venezia, Marsilio, 2008.

633

HOCHMANN,Dalle origini al Cinquecento…cit., p. 319.

634 V

128 Dal punto di vista del manufatto ciò sembra implicare un cambio di proprietà, la perdita della collocazione originaria e la sua acquisizione, ad altri fini, da parte del collezionista. Statisticamente la collezione Vendramin si componeva in larghissima parte di acquisti di opere precedentemente in altrui possesso»635. Con Vescovo concorderà Marco Paoli nell’escludere Vendramin quale committente, altrimenti Gabriele ne avrebbe conosciuto il soggetto: «Se Gabriele Vendramin fosse stato il committente […] pare improbabile che Michiel avesse dovuto lasciare la casa di Gabriele con una generica notizia sul soggetto della

Tempesta»636.

- La ricerca di un “soggetto nascosto” nel dipinto, dichiara Mauro Lucco, ha sempre avuto un secondo sottinteso: «che Gabriele Vendramin, oltre che fortunato possessore, fosse anche il committente dell’opera. Ma allora, è mai possibile che visitando una collezione rinomata, il cui possessore era considerato un vero esperto di questioni artistiche e antiquarie, questi non sapesse dire al visitatore (avendo tutto l’interesse che le sue cose si conoscessero al meglio, nel caso l’opera del Michiel fosse pubblicata) non sapesse, insisto, dire al visitatore il soggetto di un dipinto che egli stesso aveva fatto fare»637.

- La presenza della Tempesta nella collezione di Gabriele Vendramin nel 1530, come ha sottolineato Dan J. Lettieri, «vent’anni dopo la morte dell’artista, è sufficiente a dedurre una teoria plausibile sulla commissione e perfino sul significato dell’opera?»638.

In un suo saggio pubblicato nel 2010, già Salvatore Settis è ritornato sul tema “committenti e possessori” nel collezionismo a cavallo tra i due secoli in questione, per sottolineare che «la Notizia d’opere di disegno di Marcantonio Michiel è assunta spesso come punto di partenza, traendone come “committenti” di Giorgione i collezionisti dei suoi quadri che vi sono nominati. Il metodo giusto non è certamente questo […] e in ogni caso, ricordando opere di Giorgione, indica a chi appartenevano, non chi le aveva commissionate: ed è ben possibile che un quadro sia stato venduto o ceduto dal primo committente»639.

635

Ibidem.

636 P

AOLI, La “Tempesta” svelata…cit., p. 11.

637 L

UCCO, Il Cinquecento…cit., p. 26.

638

LETTIERI, Landscape and lyricism…cit., p. 67.

639 S

129 3.2 Citazioni, testamenti e inventari

La citazione di Michiel del 1530, El Paesetto in tela con la tempesta, con la cingana e soldato fu de man de

Zorzi da Castelfranco, collegata unanimamente dalla critica artistica alla Tempesta, è la più antica che finora

si conosce. Essa è povera di informazioni: non c’è soggetto o più precisamente, sembra che sia …El Paesetto stesso. Non è citato il bambino, come se la sua presenza servisse solo a individuare la figura della cingana.

Documenti correlati