• Non ci sono risultati.

9

Contrappunti

-Negli anni ’90, l’allora vice presidente della Pro-vincia, Ernesto Carini, nel corso di un incontro sulla montagna ammoniva: “dobbiamo ricordarci sempre della montagna, noi che viviamo in pianu-ra, perché i problemi della montagna, se troppo a lungo dimenticati, finiranno per riversarsi anche sulla pianura”. Dopo oltre vent’anni diverse cose sono cambiate, tutte in peggio: la montagna è sem-pre più abbandonata (a sé stessa), con costi am-bientali, sociali ed economici sempre più alti. Ma una via d’uscita, un inversione di tendenza è pos-sibile? Forse sì, se diamo attenzione a un gruppo di persone, coraggiose e tenaci, che hanno scelto di restare a vivere in Appennino, nei territori di Curletti – Santa Giustina di Costa, tra Valdaveto e Valnure. Ecco una sintesi di quello che scrivono sul loro giornale “La nuova montagna”: “Un paese vive se c’è chi ci vive. Che ci siano meno villeg-gianti e più abitanti. Se nei paesi la gente ricomin-cerà a viverci ci sarà più forza per chiedere che la strada d’inverno sia mantenuta pulita, e dove ci sono bambini riaprono le scuole, e avrà senso chiedere di restituire gli uffici postali e i servizi sanitari e le linee delle corriere e forse ci potrà es-sere interesse ad aprire qualche bottega. E bisogna che le botteghe possano restare aperte senza essere schiacciate dal peso del fisco e da norme igieniche astratte. I paesi che sopravvivono per il riposo e il divertimento dei cittadini o come nicchia delle loro nostalgie sono luoghi tristi. Se non c’è chi ci vive e ci produce, va bene che i paesi si spengano:

lo ha deciso chi se ne è andato e chi ne amministra l’agonia, ma lo decide anche chi si rifugia nei ri-cordi e lì smarrisce il proprio tempo. La voglia del passato è voglia di nulla”. (Dedicato a don Dante che nel 1993 scelse di andare a Bardi, mentre tanti suoi coetanei cercavano parrocchie comode e

cal-che ancora avvertono l’esigenza, il bisogno di una propria identità – e non sentirsi soltanto le vittime di una grande tragedia – decidono di provare a ricostruire l’Europa su basi nuove, gettando, le fon-damenta della Comunità. Da allora tanta strada è stata fatta, tanti errori sono stati commessi e quin-di molta strada resta ancora da compiere lungo il cammino dell’unificazione europea. Ma questo è l’unico cammino possibile se vogliamo avere un futuro da protagonisti, indipendenti e non vassalli di altri potentati, russo, americano o cinese che siano, i quali naturalmente hanno tutto l’interes-se – economico in primis – ad attrarre a sé piccoli popoli, deboli e divisi. Un paese senza memoria è un paese senza futuro. Allora assistiamo agli at-tacchi all’Europa, portati soprattutto per non fare i conti con le nostre incapacità, i nostri errori, le nostre troppe furbizie e mi chiedo: quanta perdita di memoria e quanta incapacità di guardare il fu-turo dovremo ancora subire prima di risvegliarci dal sonno della ragione che, come noto, sempre genera mostri.

- “E’ tanto cretino che non riesce neanche ad es-sere buono”: questa vecchia battuta mi è tornata in mente leggendo gli attacchi (“doveva starsene a casa”, “se l’è andata a cercare”, “Cappuccetto ros-so che indica al lupo la casa della nonna”, i più riferibili) di cui è stata oggetto Silvia Romano, la volontaria italiana rapita in Kenia, qualche settima-na fa. Di mio, aggiungo che il cretino oltre a non riuscire ad essere buono, si nutre spesso di invidia e di rancore: il termine dispregiativo “buonista”

non può che averlo inventato un cretino e sono i suoi simili ad usarlo più spesso.

Il fatto è che il cretino pretende una vita calda, entusiasta, in discesa e col vento a favore, senza

36

1918 - 2018: Per non dimenticare. Vigolzone tra guerra e dopoguerra

Q

uesto è il titolo della mostra che nell'ottobre di quest'anno è stata curata dall'associazione

“Culture per lo sviluppo locale” con il patrocinio del comune. 4 Novembre 1918 è la data della vitto-ria dell'Italia nella prima guerra mondiale. Rappre-senta un avvenimento storico che abbiamo voluto solo ricordare, senza celebrarlo né condannarlo ma considerarlo come occasione per una riflessio-ne storica e sociale. In questa data si conclude uno dei conflitti più sanguinosi dell’umanità, lasciando dietro di sé un’enorme strascico di morti, carestie, famiglie distrutte, nazioni prostrate.

I numeri della vittoria sono terribili: 650 mila mor-ti, 500 mila mutilamor-ti, 23 miliardi di debiti.

Il nostro lavoro è ripartito da quello della mostra precedente del 2015 (realizzata in occasione del centenario dell'inizio della guerra) mettendo a fuo-co il periodo che va dalla disfatta di Caporetto alla conclusione del conflitto e al periodo successivo, analizzandolo nella sua generalità, ma rivolgendo un’attenzione particolare alla situazione del nostro territorio e della sua gente.

La loro vita, i loro piccoli e grandi problemi ri-tornano alla luce nei documenti degli archivi par-rocchiali e comunali e negli articoli della stampa locale conservati alla biblioteca comunale Passe-rini Landi. Gli “stati delle anime” compilati dal parroco in quegli anni ci hanno fornito dettagliate indicazioni numeriche sulla situazione del paese, in particolare delle famiglie, fornendoci uno spac-cato della vita di quei tempi. Abbiamo cerspac-cato di rendere più chiaro e accessibile questo complesso

periodo inserendo approfondimenti di carattere generale riguardanti gli eventi più gravi che han-no coinvolto anche la comunità vigolzonese: l’ar-rivo dei profughi dopo Caporetto, i prigionieri di guerra e i campi di prigionia, i costi umani della guerra (mutilati, invalidi), gli orfani, l’epidemia di spagnola. Gli archivi ci hanno fornito numerosi e interessanti documenti e avremmo voluto inserirli tutti, ma ragioni di spazio e di essenzialità ci hanno imposto una scelta drastica.

Come tutti gli anni siamo riusciti a portare a termi-ne il nostro lavoro di ricerca e allestimento della mostra che va ad aggiungere un' altro tassello alla grande storia del nostro paese e del nostro territo-rio. Liliana Cravedi - Andrea Rossi

38

Documenti correlati