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Man mano che la malattia si sviluppa, le cellule del rivestimento sinoviale proliferano, formando un pannus invasivo che alla fine si traduce in perdita di cartilagine, distruzione ossea e grave perdita della funzione125 con conseguente restringimento dello spazio articolare (JSN).

I meccanismi patogenetici responsabili dello sviluppo dell'erosione e del JSN nell'AR sono ben definiti da un’ampia letteratura scientifica. In breve, per quanto riguarda l'erosione, l'infiammazione all'interno del tessuto sinoviale induce osteoclastogenesi attraverso l’aumento dell'espressione dell'attivatore del recettore del fattore nucleare κB (RANKL) mediato da citochine pro- infiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale α (TNFα), IL-1 e IL-6. Inoltre, l'espressione della proteina 1 correlata a Dickkopf (Dkk-1) da parte dei fibroblasti sinoviali porta all'inibizione della differenziazione degli osteoblasti e alla produzione di sclerostina, che inibisce l'attività degli osteoblasti. Questi due processi paralleli portano ad un aumento del riassorbimento osseo e alla riduzione della formazione ossea, inducendo la formazione dell'erosione.

Parlando della degradazione della cartilagine, l'evento centrale è la produzione di enzimi degradanti la matrice, come aggrecanases (ADAMTS) e metalloproteasi (MMP), da parte di condrociti e fibroblasti indotti da IL-1, IL-17 e TNFα. Infine, la morte dei condrociti porta alla formazione di lacune vuote e priva la cartilagine della capacità di ricostituire la matrice.126

Concludendo, una robusta risposta tissutale dove i fibroblasti sinoviali assumono un fenotipo infiammatorio, invasivo, destruente, insieme a un catabolismo condrocitario avanzato e osteoclastogenesi sinoviale, promuovono la distruzione articolare.

Nutraceutica

L'immunosoppressione rimane la “pietra angolare” del trattamento per la AR e questo è si ottiene attraverso l'uso di farmaci antireumatici modificanti la malattia

(DMARD), steroidi e terapie più mirate, tra cui DMARD biologici (ad es. inibitori del TNFα)) o piccole molecole (ad es. inibitori di janus kinase [JAK]). Queste terapie hanno reso la remissione un possibile obiettivo nel trattamento del AR. Tuttavia, l'eterogeneità della fisiopatologia della artrite reumatoide non consente la remissione clinica per molti pazienti, con conseguente ridotta mobilità, disabilità e scarsa qualità della vita. Rimane una percentuale sostanziale di persone che continua a soffrire di sintomi di malattia in corso, nonostante l'uso di una farmacoterapia efficace. Nel tentativo di alleviare i loro sintomi, i pazienti cercano spesso "terapie alternative”, come adiuvanti o addirittura come sostituti dei loro trattamenti farmacologici. Avere prove solide scientifiche su cui basare consigli e raccomandazioni specifici come parte della cura clinica di routine dei pazienti con artrite è importante, specialmente se è una domanda spesso incontrata dai pazienti.

Per esempio: “Cosa posso mangiare / Quali integratori posso prendere per migliorare i miei sintomi / Ci sono alimenti che dovrei mangiare / non mangiare?”). Ragion per cui, l'impatto dei nutraceutici nell'artrite reumatoide (AR) è stato oggetto di crescente attenzione negli ultimi anni.

Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA)

Indicazioni sull'efficacia degli acidi grassi polinsaturi per le malattie infiammatorie croniche originano da studi epidemiologici condotti su popolazioni di Inuit della Groenlandia, nativi dell'Alaska e abitanti di Okinawa, in Giappone. Rispetto alle controparti europee occidentali di pari età e sesso, gli eschimesi per esempio avevano tassi di incidenza eccezionalmente bassi di malattie autoimmuni e infiammatorie come il diabete mellito di tipo 1, l'asma bronchiale, la sclerosi multipla e la psoriasi. Ciò che accomuna queste popolazioni sono il consumo di alti livelli di PUFA n-3.

Molti studi negli anni ’80/’90 hanno dimostrato uniformemente una relazione tra lo stile di vita e il gravame dell’infiammazione cronica. Pertanto, è stato generato

il postulato che i PUFA n-3 possano essere protettivi contro le malattie infiammatorie croniche, in particolare le malattie cardiovascolari (CVD). Da questi primi studi, sono state condotte delle ricerche per confermare questa relazione e per studiare l'efficacia, in altri stati patologici con una componente infiammatoria cronica come l'artrite reumatoide (AR) e le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD).125

Studi condotti su animali hanno mostrato una relazione diretta tra l'aumento dei livelli cellulari di EPA e DHA e la loro capacità di modulare i mediatori pro- infiammatori.

La sperimentazione clinica ha confermato e fornito ulteriori prove che sostengono il ruolo anti-infiammatorio, interferendo con il metabolismo dell'acido arachidonico e riducendo la sintesi degli eicosanoidi pro-infiammatori (PGE2, LTB4).127 Numerosi studi clinici randomizzati hanno riportato miglioramenti in termini di indici clinici e indici di infiammazione sistemica.

I dati provenienti da ampi studi osservazionali supportano l'efficacia degli acidi grassi polinsaturi ω-3, principalmente acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA), nel prevenire l'infiammazione abbassando i livelli ematici di biomarcatori infiammatori quali IL-6, TNFα, proteina C-reattiva (CRP), siero amiloide A e conta leucocitaria.118

A tal proposito, diversi indagini cliniche, raccolte da un review del Journal of Clinical Rheumatology (2017)127 hanno rivelato che l'integrazione con i PUFA ω-3 (0.2-4.6 g/die EPA – 0.2-2.1 g/die DHA) è efficace nel ridurre il dolore articolare, la durata della rigidità mattutina, il numero di articolazioni doloranti o gonfie e l’uso dei farmaci antinfiammatori non steroidei nei pazienti con AR.

Recenti scoperte rivelano che i PUFA ω-3 possono essere convertiti enzimaticamente in vivo in nuovi mediatori lipidici bioattivi denominati mediatori pro-risolventi specializzati, tra cui resolvins, protectin e maresine, che promuovono la risoluzione di infiammazione e hanno effetti più potenti dei loro precursori lipidici.

È stato dimostrato che RvE1 inibisce la osteoclastogenesi e il riassorbimento osseo indotti da RANKL. RANKL è un membro della superfamiglia delle citochine TNF ed è noto per indurre osteoclastogenesi in seguito alla differenziazione dei monociti in osteoclasti. Interazione Rankl- Rank risulta essenziale per regolazione dell’assorbimento osseo.

Il legame di RANKL con il suo recettore RANK, espresso sui precursori degli osteoclasti, induce l'espressione e/o l'attivazione di fattori di trascrizione, compreso il fattore nucleare delle cellule T attivate c1 (NFATc1) e c-fos (gene), che si sono dimostrati essenziali per la differenziazione degli osteoclasti. 128

OPG è un recettore decoy solubile per RANKL che impedisce di legarsi a RANK agendo tra trappola molecolare.

Utilizzando linee cellulari di osteoblasti MC3T3-E1, è stato dimostrato che RvE1 potrebbe correggere lo squilibrio dell'espressione di RANKL e OPG. Negli osteoblasti, il RANKL è indotto dalla prostaglandina E2 (PGE2), che a sua volta è fortemente indotta da IL-17.

Il meccanismo d'azione della RvE1 consiste nella downregulation di NFATc1 e c- fos negli osteoclasti e nella soppressione dell'espressione di RANKL negli osteoblasti. Questi risultati suggeriscono il potenziale di RvE1 come nuovo approccio terapeutico alla RA, fornendo le basi per ulteriori indagini precliniche e cliniche sul ruolo antinfiammatorio di EPA e DHA nel AR.128

In seguito sono riportati i risultati di una meta-analisi118 che ha coinvolto 20 RCT (studio controllato randomizzato) e 1288 pazienti con RA. Tutti i pazienti hanno mantenuto il trattamento farmacologico convenzionale per tutta la durata dello studio. Sono stati analizzati gli effetti degli acidi grassi ω-3 (0.30-9.60g/die) per via orale, sia come integratore che da fonti alimentari, per un periodo ≥ 3 mesi. L'efficacia degli acidi grassi ω-3 è stata valutata confrontando i risultati con quelli di un gruppo di controllo, con o senza l'uso del placebo. Sono stati valutati 27 marker di severità e progressione dell'AR.

L’integrazione orale con PUFA ω-3 (cioè EPA, DHA e ALA) ha comportato un miglioramento significativo dei marker di severità della malattia, ovvero riduzione della durata della rigidità articolare mattutina e il numero di articolazioni doloranti e gonfi.

Inoltre, sono stati trovati gli effetti benefici sui trigliceridi del sangue, un'osservazione che potrebbe implicare un ruolo importante dei PUFA ω-3 nel

ridurre il rischio di malattie cardiovascolari nei pazienti con AR.

Gli autori nel lavoro sottolineano miglioramenti in termini di marcatori di attività della malattia, come per esempio, Tasso di sedimentazione eritrocitaria (ESR) scala del dolore, Forza di presa (GS), LSG (forza di presa sinistra), (RAI) Indice articolare Ritchie e LTB4.

LTB4 è un mediatore infiammatorio eicosanoide che innesca l'adesione all'endotelio attivando e reclutando i leucociti sul sito della lesione. Quando è in eccesso, LTB4 svolge un ruolo patogeno e può sostenere l'infiammazione cronica in malattie come l'asma, RA e malattie infiammatorie intestinali.

In una recente meta-analisi di 18 studi clinici randomizzati129, i risultati hanno mostrato che l'integrazione con ω-3 PUFA diminuiva significativamente i livelli di LTB4 in pazienti non sani rispetto al placebo. Nello stesso studio, implementando l'analisi in sottogruppi negli individui non sani, la riduzione di LTB4 era più profonda nei pazienti con AR.

È probabile che gli effetti di EPA e DHA sugli esiti della salute siano dose- dipendenti, anche se nella maggior parte dei casi non sono stati identificati chiari dati di questo tipo.

Inoltre, in molti casi non è evidente se sia l'EPA che il DHA abbiano lo stesso effetto o potenza e quindi quale sia il più importante per una particolare indicazione. Quindi, nonostante diversi decenni di ricerca sugli effetti degli acidi grassi a catena lunga n-3 e meccanismi coinvolti, importanti domande rimangono al momento senza risposta e molte aree restano da esplorare nella ricerca futura.130

La Vitamina D

La vitamina D è un micronutriente liposolubile, con un ruolo essenziale per la salute delle ossa e l’omeostasi del calcio/fosfato, la cui carenza è associata al rachitismo, osteomalacia, iperparatiroidismo e osteoporosi.

Le due forme più importanti della vitamina D sono la vitamina D2

(ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo). Circa il 20% della vitamina D3 viene assunta con la dieta e l’80% deriva dal 7-diidrocolesterolo dopo

l'esposizione ai raggi UVB.131

La D2 è di origine vegetale, sintetizzata in seguito all'irradiazione dello sterolo vegetale, l'ergosterolo.

Il colecalciferolo viene considerato un proormone liposolibile in quanto richiede due step metabolici per trasformarsi nella sua forma attiva, il calcitrolo (1,25- diidrossicolecalciferolo abbreviato in 1,25-(OH)2D3).

La prima idrossilazione in posizione 25 avviene nel fegato ad opera degli enzimi P450 2R1 (CYP2R1) e P450 27 (CYP27A1) e si forma il calcidiolo. La seconda, in posizione 1, avviene ad opera dell’enzima 1α-idrossilasi renale (CYP27B1) la cui attività è controllata dal paratormone (PTH) e il fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF-23).131 I livelli della vitamina D nell’organismo vengono valutati mediante la misurazione di calcidiolo sierico, poiché il calcitriolo ha un'emivita molto breve.132

Modelli murini geneticamente modificati hanno fornito prove sufficienti sulla relazione tra il deficit della vitamina D3 e l’inizio/progressione di malattie autoimmuni, inclusa l’artrite reumatoide. Il ruolo della vitamina D nella modulazione della funzione immunitaria è supportato dalla scoperta dei recettori della vitamina D (VDR) espresso sulle cellule immunitarie come macrofagi, linfociti e cellule dendritiche. Anche a livello genetico esiste un supporto per questa correlazione in quanto le mutazioni nei geni coinvolti nel trasporto della vitamina D, nel metabolismo o nell'attività trascrizionale del recettore della vitamina D (VDR) sono state associate ad una maggiore incidenza e/o gravità di queste malattie.

Dati sperimentali e clinici hanno dimostrato che la carenza di vitamina D può essere un importante fattore di rischio ambientale che influenza l’incidenza di AR specialmente in popolazioni di particolare area geografia, clima ed etnia. Nei pazienti affetti dall’artrite è stato trovato un’associazione inversa tra la concentrazione sierica della vitamina D e l’attività della malattia.133 Non è insolito che i pazienti affetti da AR presentino segni di carenza silente della vitamina D (ad esempio dolore amplificato, debolezza muscolare, cambiamenti nella crescita di unghie e capelli, cambiamenti d’umore ecc.).132 Per cui la supplementazione con la vitamina D può essere un opzione ragionevole nella gestione dell’artrite reumatoide.

Uno studio prospettico svedese basandosi sui dati dello studio Epidemiological Investigation of Arthritis Reumatoide (EIRA) che comprendeva 727 pazienti con AR provenienti da 10 ospedali in Svezia conclude che elevata assunzione di vitamina D e omega-3 alimentare durante l'anno precedente l'inizio della terapia con DMARD può essere associato a migliori risultati di trattamento in pazienti con RA iniziale.134

Un trial cinese di fase II ha esaminato gli effetti del calcitrolo (50 000

IU/settimana) e uno suo analogo, 22-oxa-calcitrolo (50 000 IU/settimana) su 369 pazienti con artrite reumatoide clinica.

Sia il 22-oxa-calcitriolo che il calcitriolo hanno ridotto con successo le

articolazioni gonfie, ed entrambi hanno mostrato un miglioramento dei punteggi dell'indice di valutazione della salute, nei questionari, e dei livelli di vitamina D sierica. Tuttavia, il calcitriolo ha causato ipercalcemia, non osservata con il suo analogo.135

Uno studio più recente dell’Italian Society of Rheumatology (SIR), che ha incluso 61 pazienti ai quali era stata diagnosticata l’Artrite Reumatoide e che erano in terapia con DMARD, ha analizzato gli effetti della vitamina D3 con un dosaggio di 100’000 UI/mese.

La supplementazione con la vitamina D3 è stata associata a diversi ma significativi effetti positivi sul dolore e sull’attività della malattia nei pazienti non

originariamente carenti di vitamina D. A seconda dei livelli sierici di 25(OH)D, il deficit della vitamina D (<20 ng/ml) sembra essere principalmente correlato al dolore, mentre i livelli sierici elevati potrebbero avere effetti sul sistema immunitario.136

Mentre alcuni autori descrivono un miglioramento nell’attività della malattia, molti altri non hanno dimostrato effetti sul decorso della stessa; nel prossimo futuro ulteriori approfondimenti potrebbero aprire la strada a potenziali usi terapeutici di questa vecchia ma promettente molecola.

Infiammazione cronica intestinale

Le malattie infiammatorie croniche intestinali comprendono un gruppo di disturbi idiopatici e recidivanti, caratterizzati dalla presenza di flogosi cronica.

Le due principali tipologie sono la colite ulcerosa (UC) e il morbo di Crohn.

Si differenziano in base alla distribuzione dei siti colpiti e sull'espressione morfologica della malattia in quei siti.

La colite ulcerosa è limitata al colon e al retto e interessa la mucosa e la sottomucosa; i più comuni sintomi includono dolore addominale, diarrea, malnutrizione, dolore rettale e sanguinamento.

Al contrario, la malattia di Crohn è considerata un'infiammazione transmurale dell'ileo e del colon, sebbene possa interessare qualsiasi parte del tratto gastrointestinale ed è caratterizzata dalla formazione di granulomi, fistole e stenosi nell'intestino. I pazienti con la malattia di Crohn hanno spesso dolori addominali, diarrea, febbre, perdita di appetito e peso, anemia e ragadi anali intermittenti.

La suscettibilità di un individuo alle malattie infiammatorie intestinali (Inflammatory Bowel Disease o IBD) dipende dall'interazione di diversi fattori eziologici, come fattori ambientali, malattie infettive, la predisposizione genetica, l’alimentazione e il microbiota intestinale. Questa complessa rete di interazioni

potrebbe causare l'attivazione della risposta immunitaria sulla mucosa e il rilascio di numerose citochine.137

Le citochine sono molecole di segnalazione cellulare generate prevalentemente da cellule immunitarie, ed hanno ruoli specifici nella comunicazione tra cellule e nell'insorgenza dell'infiammazione locale o sistemica. In condizioni normali, la mucosa intestinale mantiene l'equilibrio tra citochine pro-infiammatorie, quali TNFα, IFNγ, IL-1, IL6 e IL-12 e citochine antiinfiammatorie, come IL-4, IL-10 e IL-11. Nei pazienti con IBD, l'omeostasi intestinale e il delicato equilibrio tra citochine pro e antinfiammatorie, è interrotta. Ragione per cui aumenta di numero l’attività delle citochine pro-infiammatorie sulla mucosa, con conseguente infiammazione e danno tissutale. Inoltre, la funzione di barriera epiteliale intestinale risulta indebolita e l’aumento della permeabilità facilita l’infiammazione della mucosa.138,139

L'infiammazione cronica intestinale è più diffusa nella parte settentrionale che nella parte meridionale del mondo con i più alti tassi di incidenza riportati in Nord America, Europa del Nord, Australia e Regno Unito.140–142 Tuttavia, il rapido aumento dell'incidenza di IBD negli ultimi decenni, in particolare nei paesi con tassi di morbilità precedentemente bassi, come quelli nell'Europa sudorientale, in Asia, e in gran parte del mondo in via di sviluppo, suggerisce un forte coinvolgimento del fattore ambientale per queste malattie, tra cui le adozioni di abitudini alimentari e stili di vita occidentali.137

Componenti dietetici, come acidi grassi polinsaturi omega-6, acidi grassi saturi a catena lunga, proteine e carboidratidigeribili, possono contribuire alla patogenesi dell'IBD alterando il microbiota intestinale, aumentando la permeabilità intestinale e promuovendo l'infiammazione. Al contrario, gli acidi grassi polinsaturi omega-3, i trigliceridi a catena media, i peptidi bioattivi e i carboidrati non digeribili sembrano migliorare la salute intestinale.143 Altri componenti dietetici, in particolare quelli con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie come le sostanze fitochimiche, nonché probiotici e prebiotici, con potenti effetti sul

microbiota intestinale, possono essere utili nel migliorare i sintomi e ridurre le ricadute nei pazienti con IBD.137

Attualmente non esiste una terapia efficace in grado di curare completamente l'infiammazione cronica intestinale. Le attuali opzioni terapeutiche non sono in grado di mirare ai meccanismi patogenetici sottostanti l’IBD; invece, sono specificamente progettati per indurre e mantenere la remissione della malattia. Aiutano soprattutto a mitigare le complicanze nei pazienti.

Aminosalicilati e corticosteroidi sono considerati terapia di prima linea per l’IBD. Entrambi questi farmaci hanno dimostrato efficacia nel ridurre la gravità e i sintomi attraverso la loro capacità di downregolare le citochine proinfiammatorie e le loro vie di segnalazione. Gli agenti immunosoppressori, tra cui l'azatioprina, la 6-Mercaptopurina, la ciclosporina A e gli antibiotici, che sono utilizzati principalmente come terapie accessorie, possono ridurre l'infiammazione intestinale sopprimendo la risposta immunitaria della mucosa.139

Un approccio più recente e innovativo è chiamato "terapia biologica", dove anticorpi monoclonali, come infliximab e adalimumab, vengono utilizzati per downregolare le vie di risposta immunitaria.144

Tuttavia, la scelta delle strategie terapeutiche dipende dalla gravità e dall’ubicazione della malattia ed è condizionata da diversi fattori, per esempio:

o Nonostante forniscano un sollievo sintomatico e temporaneo, le attuali terapie farmacologiche producono effetti collaterali gravi.

o Le terapie biologiche, che sono attualmente un pilastro per il trattamento dell’IBD, sono costose e associate a effetti avversi.

o Una scarsa aderenza alla terapia peggiora questo scenario, portando alla ricerca di alternative per un approccio più sicuro, economico ed efficace nella gestione dei pazienti con IBD.

I composti naturali bioattivi e gli alimenti funzionali sono stati l'obiettivo principale della ricerca nell'ultimo decennio come potenziali terapie per l'IBD, e molti gruppi di ricerca hanno documentato entusiasmanti risultati positivi.

Peptidi bioattivi e amminoacidi

Gli amminoacidi e i peptidi bioattivi sono generati dalle proteine alimentari attraverso la digestione gastrointestinale, l'idrolisi chimica ed enzimatica o il metabolismo batterico.137

Nel quadro di un potenziale ruolo terapeutico, è stata dimostrata la loro capacità di modulare le funzioni immunitarie intestinali e influenzare le risposte infiammatorie.145

I meccanismi alla base di queste azioni comprendono: o scavenging diretto dei radicali

o downregulation della sintesi dei radicali

o l’eliminazione dei precursori per le specie reattive o la chelazione dei metalli di transizione

o l’inibizione dell’enzima xantina ossidasi

o l’incremento di sistemi antiossidanti endogeni

A dimostrazione di quanto detto, i peptidi derivanti dal tuorlo d'uovo, dalla soia e dal latte riducono lo stress ossidativo intestinale e questa attività antiossidante può essere utile nell'IBD poiché l'aumento dello stress ossidativo con diminuite difese antiossidanti è stato identificato nelle biopsie della mucosa del colon dei pazienti.137 L'efficacia antiossidante di questi peptidi funzionali è determinata dagli amminoacidi nelle regioni C-terminali146.

Alcuni amminoacidi isolati, hanno manifestato la stessa attività antiinfiammatoria, in particolare quelli contenenti un gruppo tiolo (cisteina, metionina, taurina) o una catena laterale aromatica (triptofano, tirosina, fenilalanina) attraverso studi in vitro e vivo.

La L-Cys reagisce con l’acido L-glutammico e la glicina per sintetizzare il glutatione (GSH), un antiossidante endogeno vitale. Il metabolismo del GSH contribuisce a ripristinare l'omeostasi redox nell’organismo e proteggere i tessuti dal danno ossidativo causato dalle specie reattive prodotte durante le risposte immunitarie. Invece la taurina prodotta principalmente nel fegato è il prodotto finale del

metabolismo della cisteina. La taurina di per sé ha sia proprietà anti-ossidanti che immunomodulatorie.145

La supplementazione con L-cisteina in un modello di colite suina indotta da DSS ha ridotto le chemochine locali e l'espressione di citochine pro-infiammatorie e l'afflusso dei neutrofili, attenuando così le risposte infiammatorie intestinali e ripristinando l'omeostasi immunitaria.147

Un aumento della cisteina nella dieta ha migliorato la sintesi delle mucine in un modello murino trattato con DSS.148 Le mucine sono glicoproteine ricche di cisteina molto importanti per l'integrità epiteliale intestinale. Sono secrete dalle cellule caliciformi e proteggono l'epitelio intestinale dai danni causati dal fluido digestivo, dai microrganismi e dalle tossine.

Diversi peptidi della soia e del siero di latte hanno mostrato effetti antinfiammatori nel colon, principalmente a causa della riduzione del rilascio di citochine pro-infiammatorie. In un modello murino con colite ulcerosa-DSS indotta, il dipeptide alanina-glutammina ha ridotto l'espressione dei mediatori infiammatori, l’elevata espressione della mucina 2 e della proteina di shock termico 72, incentivando il recupero della mucosa.149

Una diminuzione del triptofano è stata riscontrata in pazienti con infiammazione cronica intestinale150 e questo amminoacido essenziale ha mostrato effetti benefici in un modello di suino con IBD-DSS indotta.151 Il triptofano ha ridotto l'infiammazione inibendo la risposta dalle cellule TH1 attraverso l'induzione dell'apoptosi delle cellule T.

Un altro candidato promettente è la glutammina, intensamente studiata nel trattamento dell’IBD sulla base del suo ruolo nella riparazione degli strati epiteliali, nel mantenimento della funzione della mucosa intestinale e nel

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