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Nutraceutici come terapia supplementare nelle malattie infiammatorie croniche.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

Nutraceutici come terapia supplementare nelle malattie

infiammatorie croniche

Relatore:

Prof. Vincenzo Calderone

Candidata:

Mariza Zarka

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Indice

Sommario

INTRODUZIONE ... 5 INFIAMMAZIONE CRONICA ... 9 DEFINIZIONI ... 9 EZIOLOGIA ... 10

CELLULE E MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE CRONICA. ... 11

Macrofagi ... 11 Linfociti ... 15 Linfociti B ... 19 Eosinofili ... 20 Mastociti ... 21 Neutrofili ... 21 LO STRESS OSSIDATIVO ... 21 I radicali liberi ... 21 Le specie reattive ... 21 Danno molecolare ... 24

Infiammazione indotta da stress ossidativo ... 25

Amplificazione dell’infiammazione ... 28

RIPARAZIONE ... 31

CITOCHINE E FATTORI DI CRESCITA PRO-FIBROGENICI COINVOLTI NEL RIMODELLAMENTO TISSUTALE FIBROTICO .. 36

ARTRITE REUMATOIDE ... 39

FASE I — INNESCO AUTOIMMUNE IN INDIVIDUI SANI ... 39

FASE II — SINOVITE ... 41

Fattore Reumatoide (RF) ... 43

Anti-citrullinated protein antibodies (ACPA) ... 43

FASE III — SINOVITE CLINICA ... 45

NUTRACEUTICA ... 45

Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) ... 46

La Vitamina D ... 50

INFIAMMAZIONE CRONICA INTESTINALE ... 52

PEPTIDI BIOATTIVI E AMMINOACIDI ... 55

LIPIDI ALIMENTARI E VITAMINE LIPOSOLUBILI ... 57

FITOCOSTITUENTI ... 62 PROBIOTICI ... 63 NEURODEGENERAZIONE ... 68 SINTOMI ... 70 NEURO-INFIAMMAZIONE ... 70 NUTRACEUTICA ... 74

Sostanze ad azione sul sistema colinergico (colina e sostanze ad azione anticolinesterasica) ... 75

Sostanze ad attività anti-amiloidogenica (omotaurina) ... 77

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Macro- e Micronutrienti con possibile attività neuro-protettiva ... 80

Medical food ... 85

L’ONCONUTRACEUTICA ... 86

L’INFIAMMAZIONE CRONICA — IL FILO ROSSO CHE COLLEGA I FATTORI DI RISCHIO COL CANCRO ... 86

IL RUOLO DELLA NUTRACEUTIUTICA ... 88

CHEMIOPREVENZIONE ... 90

DIPENDENZA DA ROS ... 92

NUTRACEUTICA ... 94

I POLIFENOLI SONO MODULATORI REDOX. ... 96

Azione Antiossidante ... 97

Azione pro-ossidante ... 98

TERAPIA ADIUVANTE ... 101

RITARDARE LA POLIFARMACOREISTENZA ... 103

TRIALS CLINICI E STUDI EPIDEMIOLOGICI ... 105

ASPETTI FARMACOCINETICI ... 110

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Alla mia famiglia per i sacrifici e il sostegno

e ad Andrea

per l’amore infinito e sincero.

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INTRODUZIONE

“Farmaco: ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.”

Ministero della salute “Integratore: Prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate.”

Ministero della salute Cos’è la Nutraceutica?

Ancora oggi, manca una definizione normativa esplicita per le sostanze nutraceutiche da parte della legislazione comunitaria anche se, sono passati ormai molti anni da quando il Dr. Stephen DeFelice coniò il neologismo nutraceutical, che unisce i vocaboli “nutrizione” e “farmaceutica”.

Partendo da ciò che materialmente viene definito nutraceutico, i Quaderni della Salute descrivono quanto menzionato come: “un alimento che, grazie al contenuto di particolari costituenti, è in grado di rivendicare un effetto benefico svolto su una specifica funzione dell’organismo, in quanto riconosciuto scientificamente. L’effetto rivendicabile può arrivare a riguardare anche la riduzione di un fattore di rischio di malattia.1

E ancora dal Giornale Italiano di Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione 2014 “… un alimento, o parte di un alimento con comprovati effetti benefici e protettivi sulla salute sia fisica che psicologica dell’individuo.2

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1. supplementi della dieta compresi i prodotti botanici (Vitamine, Ginkgo Biloba, Ginseng, ecc.);

2. alimenti funzionali (alimento che oltre al proprio valore nutrizionale è dotato di effetti addizionali dovuti alla presenza di componenti, generalmente non nutrienti, che interagiscono selettivamente con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo, in modo tale che risultino evidenti un miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o una riduzione del rischio malattia);

3. nutraceutici veri e propri, ovvero i principi attivi derivati da alimenti, da piante o da fonti microbiche che presentano attività terapeutica o di prevenzione.

Alla luce della legislazione alimentare, i prodotti nutraceutici sono individuabili in quegli alimenti che possono legittimamente reclamare specifici effetti benefici sull’organismo, grazie alla qualità funzionale dell’alimento, sotto forma naturale o arricchita. La differenza con gli integratori alimentari, è implicita nel ruolo di quest’ultimi, mentre la nutraceutica suscita l’idea di qualcosa somigliante “all’approccio farmacologico”. È piuttosto interessante il fatto che, conseguentemente alla poca chiarezza normativa, siano presenti alcune sostanze, sia come farmaci veri e propri che come integratori-nutraceutici. (Venoruton/Flebil plus; Esapent/ Equatre omega3)

Nonostante l’inquadramento legislativo poco definito, negli ultimi dieci anni, il pensiero nutraceutico, in maniera inarrestabile si è proiettato nel settore produttivo e consumeristico (grazie anche ai social) con una propria identità commerciale, alimentato da crescente attenzione posta alla prevenzione e al benessere.

Un’elevata domanda e offerta riconosce diverse concause:

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2. l’aumento delle patologie croniche; 3. l’utilizzo quotidiano dei farmaci;

4. l’assenza di una normativa che ne vieti la vendita.

In linea con i trend crescenti dell’aspettativa di vita, l’aumentato fabbisogno preannuncia una necessità che trascende dal concetto di medicina della malattia e si pone su un livello di successful aging.

Le previsioni demografiche secondo l’ISTAT con orizzonte ultimo, l’anno 2065, dipingono uno scenario che vede innalzati i livelli di sopravvivenza.

Il guadagno in termini di aumento dell’età media assume però sfumature tristi, considerando l’incremento parallelo nella popolazione di malattie cronico-degenerative; Infatti, anche se gli uomini possono contare su un'aspettativa di vita di 80,1 anni e le donne di 84,7 anni, gli ultimi 9,3 anni per la donna e 7 anni per l’uomo sono Disability Adjusted Life Years (DALY).

La modifica delle abitudini alimentari e degli stili di vita ha comportato un incremento di patologie quali infarto, diabete, cancro, obesità, artrite, malattie infiammatorie intestinali e neuro-degenerative, tutte accomunate da meccanismi d’infiammazione cronica.

Far coincidere un’aspettativa di vita semplicemente lunga, con un’aspettativa di vita lunga e attiva, vuol dire prendere consapevolezza che la cura inizia quando si è sani per mantenersi tali più a lungo.

In tale ottica la nutraceutica si afferma come una disciplina emergente inserita nell’intervallo beyond diet, before drug ovvero nell’ampio ambito della medicina di iniziativa, dove il nutraceutical care si introduce come un valore aggiunto ad uno stile di vita sano e attivo conforme ad un corretto approccio nutrizionale da un punto di vista quali-quantitativo.

L’infiammazione non è più vista solamente come un sintomo da “spegnere” con il giusto farmaco, ma una condizione ben più grande, in quanto se prolungata agisce silenziosamente in modo subdolo con sintomi subclinici. Se sottovalutata e

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trascurata crea uno stato di sofferenza dell’organismo con il rischio che divampi con una reazione esagerata, cronica e quindi patologica.

Il mondo nutraceutico rappresenta un valido aiuto, grazie a numerose soluzioni, di monoterapia o trattamento di supporto al farmaco, compatibilmente alle esigenze sia di sicurezza che di costo- efficacia.

Fitocostituenti fenolici, prebiotici, probiotici, acidi grassi ω-3, vitamine e così via sono solo alcuni dei prodotti nutraceutici rivelati in grado di regolare squilibri fisiologici e controllare la componente immuno-infiammatoria.

Occorre sottolineare onde evitare pericolosi “fraintendimenti” che i prodotti nutraceutici non si sostituiscono ai farmaci ma si posizionano all’interno di un programma terapeutico di prevenzione come un supplemento ove richiesta “un’ottimizzazione fisiologica”.

Un impulso considerevole sul ruolo dell’alimentazione e dell’integrazione nella prevenzione primaria proviene anche dalle ultime scoperte in fatto di nutrigenomica e nutrigenetica. Se il cibo può modulare l’espressione genica, a maggior ragione potrà modulare sia il corredo sintomatico che la “storia naturale” di alcune patologie.3

Essendo un mondo in continua espansione e con grande possibilità applicative il futuro riserva moltissime sfide. Sono richiesti ulteriori studi clinici per ampliare le conoscenze in questo settore, accertare vantaggi e criticità, verificare l'efficacia ponendo l’attenzione ai dosaggi e alle caratteristiche formulative.

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Infiammazione cronica

Definizioni

L’infiammazione è una risposta protettiva, di vitale importanza per la sopravvivenza, volta ad eliminare gli invasori esterni e i tessuti danneggiati o necrotici. Strettamente correlata al processo riparativo, è un meccanismo rapido messo in atto a favorire il ripristino strutturale-funzionale del tessuto e riportare lo stato di salute all’ospite.

La risposta deve anche essere disattivata rapidamente per evitare una reazione eccessiva che potrebbe causare danni irreversibili. 4

L’evento conclusivo dipende però da molteplici variabili. Sebbene lo scopo sia la delimitazione del danno provvedendo la restitutio ad integrum, ci possono essere risvolti con conseguenze patologiche come ad esempio la cronicizzazione.

L’infiammazione cronica è una condizione flogistica promotrice di disturbi patologici debilitanti, come malattie autoimmuni, neuro-degenerazione, sindrome metabolica, aterosclerosi e cancro.

Questa risposta può insorgere come sequel di una fase acuta causata da uno stimolo flogogeno persistente oppure nasce già cronica e silenziosamente si sviluppa con un decorso insidioso.

Durante questo processo concorrono con diverse combinazioni:

• un’attività infiammatoria attiva, dove prevale l’infiltrazione di cellule mononucleate (macrofagi, linfociti, plasmacellule)

• la lesione tissutale • i tentativi di riparazione.4

Senza dubbio, la principale differenza tra la l’infiammazione risolutiva auto-limitante e l’infiammazione cronica è data dal fattore tempo.

L'infiammazione cronica è un processo lento che si protrae per periodi prolungati di diversi mesi o anni. Vari meccanismi complessi si interconnettono tra loro contribuendo alla durata e alla cronicità lesiva, come:

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• la conversione dell'infiammazione acuta in infiammazione immunitaria attraverso l’immunità acquisita;

• l'amplificazione e progressione dei processi infiammatori mediante meccanismi di feedback positivi o la soppressione dei meccanismi di feedback negativi;

• progressione dell'infiammazione mediante una catena di cambiamenti che coinvolgono popolazioni di cellule attive nel sito infiammatorio; • rimodellamento tissutale;

• cambiamenti epigenetici associati ai processi sopra enunciati, per sostenere l'infiammazione

.

5

Eziologia

In vie generali l'infiammazione cronica può derivare dalle seguenti situazioni: • Insuccesso nell’impresa di rimuovere l’agente che causa un'infiammazione

acuta come organismi infettivi tra cui, Mycobacterium tuberculosis, protozoi, funghi e altri parassiti che possono resistere alle difese dell'ospite e rimanere nel tessuto per un periodo prolungato.

• Esposizione a determinate sostanze endogene o esogene che non possono essere eliminate per degradazione enzimatica o fagocitosi. Un esempio è l'esposizione prolungata ad agenti tossici esogeni come la polvere di silice. L'inalazione di silice per lunghi periodi di tempo provoca una malattia polmonare infiammatoria chiamata silicosi.

Un altro esempio è l'aterosclerosi, un processo infiammatorio cronico della parete arteriosa indotto da componenti lipidiche plasmatiche endogene che si depositano sulle superfici luminali delle arterie.6 • La perdita di tolleranza ai self-antigeni porta a risposte autoimmuni

abnormi, non regolate e inadeguate. Sono caratterizzate da componenti di infiammazione cronica che si automantiene, dando luogo ad una lesione cronica dei tessuti. Un esempio è rappresentato dall’artrite reumatoide.4

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• Induttori infiammatori e biochimici che causano stress ossidativo e disfunzione mitocondriale, come per esempio l’aumento della produzione di molecole di radicali liberi, prodotti finali di glicazione avanzata (AGEs), cristalli di acido urico (urato), lipoproteine ossidate, omocisteina.7

Ci sono poi patologie come la neuro-degenerazione e neoplasie dove l’infiammazione cronica diventa rilevante nonostante non siano considerate classicamente malattie infiammatorie. Il microambiente tumorale che è modellato e dominato dal tumore, forma un ambiente immunologico unico, favorendo il reclutamento di varie cellule infiammatorie soppressive, che supportano la crescita del tumore e aiutano quest’ultimo a sfuggire alla stretta sorveglianza del sistema immunitario.8

Cellule e mediatori dell’infiammazione cronica.

Macrofagi

L’infiammazione cronica è caratterizzata da un continuo reclutamento di monociti circolanti e linfociti T. La migrazione di queste cellule dal sangue nei tessuti è regolata da grandi famiglie di molecole di adesione e chemochine. I monociti migrano nei tessuti e si differenziano in fagociti specializzati che si chiamano macrofagi. Quest’ultimi rappresentano la componente cellulare predominante nelle reazioni infiammatorie croniche, ma sono inoltre protagonisti chiave nell’immunità innata con ruoli ben definiti nella risposta primaria agli agenti patogeni, ma anche nell'omeostasi tissutale, nel coordinamento della risposta immunitaria adattiva, risoluzione e riparazione. Sono un gruppo eterogeneo di cellule localizzate nei tessuti corporei in grado di ingerire e processare materiali estranei, cellule morte, detriti cellulari e reclutare ulteriori macrofagi in risposta a segnali infiammatori.6

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Molti studi rivelano che la plasticità è una caratteristica peculiare dei macrofagi e questo implica risposte adattive ai segnali ambientali.9,10

I macrofagi possono essere attivati in modo differenziale dal microambiente e svolgere varie funzioni nella risposta infiammatoria e vengono classificati in due gruppi:

1. macrofagi M1 (attivati classicamente) indotti da:

o ligandi come le endotossine che attivano i TLR (recettore Toll-like); o segnali derivati dai linfociti TH1, in primis la citochina IFN-γ, nelle

risposte immunitarie;

2. macrofagi M2 (o macrofagi attivati alternativamente) indotti da: o IL-4, IL-13 prodotte dai linfociti TH2

o IL-10

o ormoni glucocorticoidi

o molecole rilasciate da cellule apoptotiche o immunocomplessi.6

La polarizzazione dei macrofagi, quindi, rispecchia la polarizzazione delle cellule T helper TH1 / TH2.11,12 [Figura 1]

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I macrofagi M1 producono alti livelli di citochine e chemochine pro-infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale (TNFα), IL-12, IL-6 e CXCL13 (B lymphocyte chemoattractant), così come l'ossido di azoto e specie reattive dell'ossigeno. Presentano anche potenti proprietà microbicide e promuovono le risposte dei linfociti TH1.

All’opposto, I macrofagi M2 producono citochine antinfiammatorie come IL-10. La funzione principale dei macrofagi attivati alternativamente è la riparazione tissutale. Essi secernano fattori di crescita che promuovono l’angiogenesi, attivano i fibroblasti e stimolano la sintesi del collagene. I macrofagi M2 sono coinvolti nel contenimento dei parassiti e promuovono le risposte TH2-mediate, il rimodellamento tissutale e la progressione del tumore.13,14

Poiché queste cellule sono estremamente versatili in funzione dei segnali provenienti dall’ambiente in condizioni omeostatiche o patologiche, è necessario sottolineare che M1 e M2, cellule completamente polarizzate, costituiscono gli estremi, in uno spettro ampio di stati di attivazione. Cambiamenti dinamici che si verificano nell’attivazione macrofagica, guidati da una rete di segnalazione molecolare complessa, sono spesso associati ad uno stato patologico. L'esposizione dei macrofagi M2 ai segnali M1, o viceversa, può indurre una "ri-polarizzazione" dei macrofagi già differenziati, un'altra prova della loro elevata plasticità funzionale.15

Senza dubbio sono parte integrante della risposta infiammatoria e insieme ai neutrofili rappresentano la prima linea di difesa contro i patogeni. Però a differenza di altre cellule mieloidi, come i neutrofili, caratterizzate da una brevissima durata di pochi giorni, i macrofagi vivono più a lungo, fino a qualche mese nei tessuti, per cui sono considerati i principali orchestratori dei disturbi infiammatori cronici.

In parte, è da attribuire a loro la risoluzione dell'infiammazione, in quanto fagocitano le cellule morte e i detriti cellulari, il che diminuisce il pericolo di produrre mediatori pro-infiammatori e pro-fibrotici.6

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Mentre una risposta infiammatoria acuta viene risolta in modo tempestivo prevenendo la lesione tissutale, una risoluzione inadeguata e la mancata restituzione del tessuto all'omeostasi, determina la distruzione mediata dai neutrofili, dai mediatori infiammatori ed enzimi proteolitici rilasciati dai macrofagi.

Molti meccanismi possono compromettere la risoluzione e perpetuare l’infiammazione, come, l'incapacità di eliminare l'agente incriminato, una clearance insufficiente delle cellule pro-infiammatorie, l'alterazione funzionale delle cellule immunitarie. Ad esempio, l'apoptosi dei neutrofili, seguita dalla loro tempestiva rimozione dai macrofagi è considerata un evento chiave nella riuscita risoluzione dell'infiammazione. I neutrofili apoptotici che non vengono rimossi possono essere sottoposti a necrosi, spargere il loro contenuto tossico e perpetuare la risposta infiammatoria. [Figura 2]16

L’infiammazione incontrollata e non risolutiva guida la distruzione dei tessuti, la cancerogenesi e malattie autoimmuni.8

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Linfociti

Come accennato, l'infiammazione è classicamente considerata una caratteristica dell'immunità innata, che differisce dall'immunità adattativa dai recettori che mediano la sua attivazione e la sua rapida insorgenza. L'immunità innata è anche più evolutivamente antica dell'immunità adattativa ed è innescata da strutture microbiche e virali estranee, note come pattern molecolari associati ai patogeni (PAMPs), o normali costituenti cellulari rilasciati dopo la ferita e la morte cellulare,

Figura 2 - Ruolo dei macrofagi nell'infiammazione e nella riparazione dei tessuti.

Lo stimolo nocivo attiva monociti e macrofagi residenti che rimuovono i detriti tissutali e producono segnali infiammatori promuovendo la risposta infiammatoria. I macrofagi producono una vasta gamma di citochine, chemochine e fattori di crescita che favoriscono l'infiammazione, la sua regolazione e il ripristino del tessuto. I neutrofili apoptotici che non vengono rimossi e sottoposti a necrosi, riversano il loro contenuto tossico e

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noti come pattern molecolari associati al danno (DAMPs). Sia i PAMPs che i DAMPs sono riconosciuti dai recettori dell’immunità innata (PRRs-pattern recognition receptor), molti dei quali appartengono alla famiglia TLR (recettori Toll-simili). Una volta attivata, l'immunità innata determina una upregulation di molecole MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) di classe I e II e molecole costimolatorie espresse da cellule dendritiche, nonché numerose chemochine infiammatorie e citochine che attraggono e innescano l’attivazione delle cellule T. L'attivazione di una risposta immune specifica dipende dal riconoscimento del nonself da parte dei recettori TCR dei linfociti, e dalla presenza di un segnale costimolatorio fornito dalle cellule dell'immunità innata. In altre parole, sono gli elementi dell'immunità innata che decidono se far partire una risposta immunitaria adattativa. Tuttavia, se questo processo è prolungato o inefficiente, progredisce verso uno stato cronico infiammatorio.

Le cellule immunitarie adattative attivate, i linfociti T e B, amplificano ulteriormente la risposta infiammatoria iniziale, in quanto orchestrano l’attività immunologica attraverso la produzione di citochine e anticorpi.

Quindi la natura, la durata e l'intensità degli eventi infiammatori cronici sono in gran parte determinati dalla presenza e dalla persistenza dell'antigene che viene riconosciuto e eliminato dalle risposte immunitarie acquisite.17 Pertanto, la regolazione delle cellule T è fondamentale per l'esito delle risposte infiammatorie/immunitarie.

Quando si incontra un agente patogeno, la risposta immunitaria più efficace è una risposta di tipo TH1 cellula-mediata. La differenziazione a TH1 è indotta da IL-12 prodotta dai macrofagi e cellule dendritiche, con attivazione di STAT4 (trasduttore e attivatore del segnale di trascrizione 4) ed è caratterizzata dalla produzione di interferone gamma insieme all'espressione del fattore di trascrizione T-bet.

Tuttavia, a lungo termine, questa risposta immunitaria può essere devastante per l'ospite, in quanto se non regolata può distruggere rapidamente la funzione locale

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dei tessuti e degli organi, poiché IFN-γ, promuove l’attivazione dei macrofagi mediante la via classica.18,19

Inoltre, le risposte mediate da TH1 possono portare a condizioni infiammatorie croniche inutili, dovute a risposte eccessivamente reattive dirette contro antigeni endogeni e composti cellulari anormalmente esposti, come nelle malattie autoimmuni e nel cancro.

Pertanto, la risposta immunitaria deve essere modulata, direzionata verso una risposta meno dannosa per il tessuto, che nelle cellule T è regolata dalla produzione di IL-4, IL-5, IL-13 da parte di TH2 e dall'attivazione di STAT6 (trasduttore e attivatore del segnale di trascrizione 6) che porta all'espressione del fattore di trascrizione GATA3.20,21

I linfociti TH2 favoriscono quindi l’attivazione macrofagica alternativa.6

Sebbene questa variazione di risposta non rappresenti un cambiamento improvviso, piuttosto una transizione graduale, le conseguenze a lungo termine dell'infiammazione cronica sono spesso il risultato di un fenotipo combinato di citochine, che porta a un’alterata funzione dei macrofagi e al danno tissutale continuo.17

Esiste una comunicazione bidirezionale attiva tra macrofagi e linfociti T in siti di infiammazione, mediata sia dal contatto cellula-cellula tramite i recettori delle cellule T e molecole MHC classe II, sia da citochine specifiche (es. IL-12 e IFN-y).6 Chiaramente, la regolazione di entrambe le risposte immunitarie di tipo TH1 e TH2 è fondamentale per risolvere le risposte infiammatorie e limitare i danni una volta che l'agente causale è stato rimosso.17

Un altro punto cruciale durante lo sviluppo delle risposte croniche è la differenziazione delle cellule T-regolatorie (Treg).22,23 Questo sottoinsieme di cellule, è suddiviso in due sottopopolazioni:

o le cellule Treg naturali (nTreg) o le cellule Treg inducibili (iTreg)

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Le cellule Treg naturali si sviluppano nel timo e sono essenziali per il controllo delle malattie autoimmuni sopprimendo l’auto reattività patologica del sistema immunitario, mentre le cellule indotte (iTreg) si sviluppano in seguito ad un evento di attivazione antigene-specifico e sembrano modulare una risposta già in corso. Inoltre, le cellule Treg possono anche essere suddivise in base al meccanismo di inibizione che usano, come la produzione di IL-10 e/o TGFβ o l'uso di CTLA-4 (cytotoxic T-lymphocyte-associated protein-4).17

Questa popolazione cellulare sembra essere centrale per la regolazione delle risposte immunitarie che se subissero anomalie in questo percorso porterebbero a fenotipi di malattie croniche. Nell'uomo, le mutazioni eterozigoti nel CTLA-4 portano a gravi disturbi di autoimmunità e infiammazione cronica a causa di una perdita parziale della funzione Treg.24,25

Ricerche più recenti hanno fatto emergere il ruolo di un ulteriore sottogruppo di cellule T helper, TH17 che producono IL-17, coinvolto in risposte infiammatorie croniche stimolando cellule di natura immunitaria e non.

Il suo ruolo in questo contesto è di promuovere indirettamente il reclutamento dei neutrofili attraverso l'induzione di CXCL8 (fattore chemiotattico per i neutrofili) nei macrofagi, nelle cellule epiteliali ed endoteliali e nei fibroblasti.26

Inoltre, il fattore di necrosi tumorale (TNFα) e il fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi (GM-CSF), secreto dalle cellule TH17, contribuiscono ulteriormente al reclutamento, all'attivazione e alla sopravvivenza dei neutrofili.26 Simile alle cellule Treg, la differenziazione di queste cellule dipende dall'esposizione al TGFβ, ma dipende anche da IL-6 o altri segnali STAT3 (trasduttore del segnale e attivatore della trascrizione 3) insieme a RORγt (recettore orfano) ed è rafforzata dall'IL-23, una citochina della famiglia IL-12.26 Il requisito condiviso del TGFβ nella regolazione reciproca dei loro principali fattori di trascrizione RORγt e Foxp3 suggerisce una dicotomia nella generazione di cellule TH17 e Treg. Ancora più importante, c'è una plasticità fenotipica e funzionale

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riportata in entrambe le popolazioni che consente alle cellule differenziate di "ri-differenziarsi".27

Ad esempio, IL-6 non solo migliora la differenziazione TH17 attraverso l'attivazione di STAT3 in cellule T naïve ma promuove anche la ri-differenziazione di Treg in cellule TH17 in presenza di TGF-β e IL-1.28

Osservazioni simili sono state pubblicate da Deknuydt et al.29 dopo il trattamento in vitro di Treg isolati con IL-6 e IL-1β, e non con IL-6 da sola.

Il ruolo fisiologico di questo adattamento fenotipico e funzionale delle cellule, alle mutevoli condizioni ambientali, può risiedere nel mantenimento di un'appropriata immunoregolazione, in risposta alla presenza di alcuni microbi, citochine e altri segnali dalle cellule immunitarie innate.27

A causa dei loro effetti opposti sulla risposta immunitaria, il bilancio TH17/Treg è fondamentale per il mantenimento dell'omeostasi immunitaria.

In condizioni infiammatorie, la funzione di Treg viene meno e possono essere convertite in cellule TH17.

Concludendo, in uno sforzo coordinato per rimuovere meglio un agente patogeno infettivo, la combinazione di risposte TH1 e TH17 sembra essere il fattore scatenante più dannoso per l'esacerbazione di una malattia autoimmune cronica. Chiaramente, questi sottoinsiemi, e le citochine che producono, dettano l'esito di una risposta cronica non solo basata sulla cascata di mediatori che inducono, ma anche dai sottoinsiemi di leucociti che vengono utilizzati come effettori di fase terminale durante le risposte.27

Linfociti B

I linfociti B attivati e le plasma cellule, produttrici di anticorpi sono spesso presenti nei siti dell’infiammazione cronica. Gli anticorpi possono essere specifici per antigeni estranei o self, persistenti nel sito infiammatorio o contro componenti dei tessuti danneggiati.4

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Il ruolo patogenetico del sistema immunitario umorale è stato implicato in una serie di fenotipi della malattia cronica, comprese le risposte allergiche, le malattie autoimmuni, l'artrite, la vasculite e qualsiasi altra malattia in cui i complessi immunitari sono depositati nei tessuti.30,31

Gli anticorpi prodotti dai linfociti B sono un mezzo cruciale per la risposta immunitaria acquisita nel combattere gli organismi patogeni. Per essere efficaci, gli anticorpi devono avere la capacità di legarsi a specifici antigeni sulla superficie dell'agente patogeno e attraverso la loro porzione Fc facilitare la fagocitosi da parte dei macrofagi e dei polimorfonucleati (PMN). Tuttavia, queste caratteristiche possono anche portare a danni ai tessuti dovuti ad un'attivazione inappropriata delle popolazioni di cellule effettrici infiammatorie. In particolare, uno degli effetti collaterali più patogeni della funzione effettrice degli anticorpi è l'inappropriata attivazione dei PMN che portano al rilascio dei loro prodotti granulari e alla distruzione del tessuto ospite.

Gli autoanticorpi diretti contro gli antigeni tissutali possono anche causare danni dovuti al cross linking FcR su cellule fagocitiche tra cui PMN, macrofagi e cellule-NK. Questo è spesso un meccanismo centrale per iniziare l'infiammazione e il danno locale nelle risposte autoimmuni, come nelle articolazioni dei pazienti con Artrite Reumatoide (AR).17

Eosinofili

Gli eosinofili sono presenti in quantità consistente nei siti di infezione da parassiti e risposte immunitarie mediate da IgE. La migrazione di eosinofili verso questi siti è regolata da una chemochina chiamata eotassina o altre molecole di adesione derivate da leucociti e cellule epiteliali. Gli eosinofili possiedono granuli che contengono la proteina basica maggiore, una proteina cationica tossica per i parassiti ma che provoca anche la lisi di cellule epiteliali tissutali.4

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Mastociti

I mastociti partecipano alle reazioni infiammatorie croniche poiché secernono una grandissima varietà di citochine, in grado di promuovere reazioni infiammatorie.4

Neutrofili

Nonostante i neutrofili siano le cellule caratteristiche dell’infiammazione acuta, molte forme di infiammazione cronica, della durata di mesi, continuano a mostrare un gran numero di neutrofili, indotti da microrganismi persistenti o da mediatori prodotti dai macrofagi attivati e dai linfociti T.4

Lo stress ossidativo

I radicali liberi

I radicali liberi sono specie chimiche instabili, di breve durata e altamente reattive, contenenti uno o più elettroni spaiati nell'orbitale più esterno che derivano da fonti endogene (mitocondri, perossisomi, reticolo endoplasmatico, fagociti ecc.) o da fonti esogene (inquinamento, alcool, fumo di tabacco, metalli pesanti, metalli di transizione, solventi industriali, pesticidi, alcuni farmaci come l'alotano, il paracetamolo e le radiazioni).

Come risultato dell'elevata reattività, i radicali liberi possono sottrare elettroni da altre molecole oppure cedere elettroni producendo altri radicali liberi, dando inizio ad una cascata di reazione a catena.32

Le specie reattive

Esistono tre diverse classi di specie reattive rilevanti in biologia: o specie reattive dell'ossigeno (ROS)

o specie reattive dell'azoto (RNS) o specie reattive di cloro

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Gli esempi per i radicali comprendono il superossido (𝑂"#), il radicale dell'ossigeno

(𝑂"∙∙), l'idrossile (OH·), il radicale alcossi (𝑅𝑂.), il radicale perossilico (ROO·),

monossido di azoto (NO·) e biossido di azoto (𝑁𝑂 "∙).34

L'alta reattività di questi radicali è dovuta alla presenza di un elettrone spaiato che tende a donarlo o ad ottenere un altro elettrone per raggiungere la stabilità. Le specie non radicaliche comprendono il perossido di idrogeno (H2O2), l'acido

ipocloroso (HOCl), l'acido ipobromoso (HOBr), l'ozono (O3), l'ossigeno singoletto

(1O2), l'acido nitroso (HNO2), il catione nitrosilico (NO+), l'anione nitrico (NO-),

triossido di diazoto (N2O3), tetraossido di didiazoto (N2O4), nitronio catione (𝑁𝑂"(),

perossidi organici (ROOH), aldeidi (HCOR) e perossinitrito (ONOOH).34,35

Tra le specie reattive, l'anione superossido è di importanza fondamentale, poiché è la specie primaria prodotta dalle cellule. Molte altre specie reattive di significato fisiologico, tra cui H2O2, il radicale idrossile (OH•) e ONOO-, derivano da

𝑂"# come prodotti a valle di una cascata di reazioni.36

Il radicale superossido (𝑂"#), esiste in due forme: anione superossido (𝑂"#), e

idroperossido (HO2). Il radicale idroperossido può entrare facilmente nel doppio strato fosfolipidico delle membrane cellulari.

È prodotto principalmente nei mitocondri. A pH fisiologico, il superossido è la forma più comune e riduce i complessi di ferro come il citocromo c e l'acido etilendiamminotetracetico ferrico e ossida l'acido ascorbico e il tocoferolo. Gli enzimi convolti nella sintesi del superossido includono xantina ossidasi, lipossigenasi, cicloossigenasi, nicotinammide adenina dinucleotide fosfato (NADPH) ossidasi dipendente (NOX), ossido nitrico sintasi e citocromo P450.32

Il perossido di idrogeno (H2O2), si forma in vivo in una reazione di

dismutazione catalizzata dal superossido dismutasi (SOD). Può attraversare facilmente le membrane biologiche e danneggiare indirettamente il DNA formando dei radicali idrossili, che possono reagire con molecole organiche e inorganiche.37 I principali enzimi antiossidanti che possono eliminare l'H2O2 includono catalasi, glutatione perossidasi e perossiredossina.32

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Il radicale idrossile (OH·), si forma durante la reazione di Fenton, tra perossido di idrogeno e ioni metallici (Fe+2 o Cu+) spesso legati alla ferritina, alla ceruloplasmina o ad altre molecole.

In condizioni di stress, un eccesso di radicale anione superossido causa il rilascio del ferro dalla ferritina. Il ferro libero rilasciato partecipa alla reazione di Fenton per formare il radicale ossidrile.

È anche formato dalla reazione tra il radicale superossido e l'H2O2 in una reazione chiamata reazione di Haber-Weiss.32

L’ossido nitrico, NO, è un secondo messaggero intracellulare cruciale coinvolto in molte attività biologiche come la regolazione della pressione arteriosa, il rilassamento della muscolatura liscia, la neurotrasmissione, la difesa cellulare e la regolazione immunitaria. Viene prodotto ad opera dell’enzima, monossido nitrico sintetasi (NOS), le cui isoforme includono: la NOS neuronale (nNOS), la NOS endoteliale (eNOS) e la NOS inducibile (iNOS). Il perossinitrito, che è un composto molto tossico, si forma durante la reazione tra il radicale superossido e NO (monossido di azoto). Successiva protonazione porta a nuovi composti reattivi (nitroso-perossi-carbossilato o acido perossinitoso) che causano l’ossidazione dei lipidi, delle proteine (metionina e tirosina) e del DNA (si forma nitroguanina).32

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Figura 3 – Rappresentazione delle principali reazioni in cui sono coinvolte le specie reattive.

Danno molecolare

Uno squilibrio tra la produzione ROS/RNS e la difesa antiossidante porta a stress ossidativo e stress nitrosativo. Alti livelli di ROS possono provocare danni diretti, indiretti o entrambi:

• Il danno diretto alle proteine, al DNA e ai lipidi altera queste frazioni, influenzando le loro normali funzioni cellulari.

• Il danno indiretto può avvenire attraverso la modifica delle proteine (ossidazione delle catene laterali dei residui di aminoacidi) o delle basi del DNA.

Poiché molte di queste proteine agiscono come fattori regolatori e di trascrizione per i processi cellulari, la modifica della loro struttura, attiva cascate di segnalazione che portano a funzioni cellulari alterate. Le conseguenze biologiche includono alterazioni funzionali nonché mutagenicità e genotossicità.38

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Le specie reattive dell'ossigeno (ROS) e dell'azoto (RNS), agiscono su classi cruciali di molecole biologiche, attraverso processi di perossidazione e nitrazione.

La nitrazione delle proteine è molto pericolosa per la cellula o l'organismo. Infatti, la nitrazione delle proteine strutturali, compresi i neurofilamenti e l'actina, può interrompere l'assemblaggio del filamento con importanti conseguenze patologiche.39 D'altro canto, la nitrazione delle molecole di segnalazione o dei fattori di trascrizione può modificare notevolmente la funzione fisiologica delle proteine interessate.40

Inoltre, il perossinitrito media la disfunzione mitocondriale calcio-dipendente e la morte cellulare attraverso l'attivazione di calpain.41

La perossidazione lipidica indotta dall’idrossile (OH•) e l'idrossilazione del DNA sono le principali vie attraverso cui si verifica un danno ossidativo. Il radicale OH• è la specie più reattiva conosciuta, in quanto può attaccare e danneggiare quasi ogni molecola presente nelle cellule viventi.42

L’idrossile può dare inizio ad una cascata di reazioni a catena interagendo con i lipidi di membrana con conseguenze deleterie. Gli effetti complessivi della perossidazione lipidica sono la diminuzione della fluidità della membrana, con conseguente perdita della funzionalità delle proteine di membrana, inattivando i recettori, gli enzimi e i canali ionici.43

Il radicale OH• può reagire con la struttura ad anello della guanina nel DNA formando l’addotto 8-idrossi-2'-deossiguanosina (8-OHdG), un radicale, che può propagare una reazione a catena e causare alterazione chimica delle basi con la rottura del filamento di DNA. La riparazione imperfetta di tali danni può portare a mutazioni, arresto della crescita cellulare o apoptosi.44

Infiammazione indotta da stress ossidativo

A seconda dei livelli delle specie reattive, vengono attivati diversi fattori di trascrizione redox-sensitive e si coordinano risposte biologiche distinte. A livelli moderati, ROS e/o RNS sono coinvolti in funzioni fisiologiche essenziali come la

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regolazione immunitaria, la risposta mitogenica, la segnalazione cellulare e la regolazione redox.45,46 Nonostante questo, le specie reattive e lo stress ossidativo, sono la principale causa di attivazione delle vie infiammatorie.

Esiste una notevole sovrapposizione tra i processi infiammatori e lo stress ossidativo; sembrano verificarsi contemporaneamente e si promuovono a vicenda tramite meccanismi a feedback positivi.

Le cellule infiammatorie rilasciano ROS nel sito d’infiammazione, aumentando lo stress ossidativo, mentre le ROS possono avviare cascate di segnalazione intracellulare che aumentano l'espressione genica pro-infiammatoria. Questi mediatori chiave possono attivare cascate di trasduzione del segnale e indurre cambiamenti nei fattori di trascrizione, come il Fattore Nucleare-κB (NF-κB). Il Fattore Nucleare kappa B è un fattore di trascrizione redox-sensitive (ROS-regolato). In forma inattiva è localizzato nel citoplasma e legato a proteine citosoliche come l'IκB. Ossidanti o ROS modificano le proteine IκB, e così la fosforilazione da una serin-chinasi (IKK), porta alla sua degradazione, liberando NF-kB che può quindi traslocare nel nucleo dove, da solo o in combinazione con altri fattori di trascrizione, induce l'espressione di diversi geni che codificano per proteine pro-infiammatorie.47–50 L'NF-KB, ha un ruolo importante durante l'infiammazione e una sua alterata regolazione, causata dallo stress ossidativo, potrebbe portare ad uno squilibrio tra il meccanismo di guarigione e l'apoptosi che serve ad avviare l'infiammazione cronica, le malattie autoimmuni e il cancro.51

È stato osservato che oltre a NF-KB, altri fattori di trascrizione, sono regolati da ROS, come l'attivatore proteico-1 (AP-1), il fattore ipossia-inducibile (HIF-1α), il recettore gamma attivato dal proliferatore perossisomiale (PPAR-γ), β-catenina / Wnt, e il fattore nucleare Nrf2.52–54

Fattori di trascrizione, come quelli sopra menzionati, possono alterare centinaia di geni che inducono l’espressione di molecole di adesione cellulare (CAM), fattori di crescita (come il fattore di crescita dell'endotelio vascolare, VEGF), citochine e chemochine. Le citochine o chemochine (citochine e basso peso molecolare 7-15kDa) sono mediatori di segnalazione d’infiammazione e si legano ai rispettivi

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recettori dando inizio alla produzione di specie reattive oppure attivano le chinasi o dei fattori di trascrizione che portano all'induzione di altri segnali infiammatori. Le citochine e le chemochine complessivamente inducono il reclutamento di sottogruppi ben definiti di cellule immunitarie (leucociti, neutrofili cellule polimorfonucleate (PMN), macrofagi, cellule dendritiche, ecc.),55–58 seguito da un evento cruciale nella risposta infiammatoria che è l'aderenza alla parete dei vasi sanguigni.

Una volta all'interno del tessuto, queste cellule rilasciano ROS necessarie per la clearance degli agenti invasivi tissutali, promuovendo esacerbazione del ciclo stress ossidativo-infiammazione.59,60

Sono molte le vie attraverso cui lo stress ossidativo produce infiammazione; una di queste vede come protagonista l’attivazione dell'inflammasome 3 NOD-like receptor protein (NLRP3).61–63

L'inflammasoma NLRP3 è un complesso molecolare oligomerico che innesca difese immunitarie innate attraverso la maturazione di citochine pro-infiammatorie come IL-1β e IL-18 mediante la via di segnalazione della caspasi.64

Sebbene il percorso canonico per l'attivazione dell'inflammasoma avvenga tramite il "riconoscimento" PAMP-DAMP, ci sono diversi rapporti secondo cui ROS e altri ossidanti attivano il complesso dell'inflammasoma.65,66

Le ROS rilasciate dal mitocondrio danneggiato attivano l’inflammasoma NLRP3 portando alla secrezione di IL-1β e all'infiammazione localizzata.63

È stato anche scoperto che l’ossidazione del DNA mitocondriale attiva gli inflammasomi NLRP3 durante l'apoptosi.62

Inoltre, in condizioni di stress ossidativo, le ROS provocano la dissociazione della Thioredoxin-interacting protein, dalla tioredoxina endogena antiossidante e questo permette alla Thioredoxin-interacting protein di legarsi con NLRP3 portando all'attivazione dell'inflammasoma NLRP3.61

Un altro esempio, di come lo stress ossidativo induca l’infiammazione, riguarda la suscettibilità delle proteine all’ossidazione, presenti nei fluidi extracellulari e nella superfice delle cellule, a causa dei gruppi tioli nei residui di cisteina (Cys). La

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cisteina (Cys) e disolfuro cistina (CySS) costituiscono la più abbondante coppia redox a basso peso molecolare di tiolo/disolfuro nel plasma e l'omeostasi Cys è influenzata negativamente durante la risposta infiammatoria a infezioni e lesioni. Il potenziale redox EhCySS extracellulare ha un ruolo centrale nella regolazione degli eventi aterosclerotici precoci. Lo stress ossidativo induce l'ossidazione del potenziale redox extracellulare della cisteina plasmatica (Cys) e della sua cistina disolfuro (CySS) (EhCySS). Molti studi hanno dimostrato che EhCySS ossidato innesca l'adesione dei monociti alle cellule endoteliali vascolari, attiva NF-KB e aumenta l'espressione della citochina pro-infiammatoria IL-1β.67,68

Concludendo, questo ambiente infiammatorio/ossidativo innesca un circolo vizioso, che se prolungato può danneggiare le cellule epiteliali e stromali vicine sane e a lungo termine, può portare alla carcinogenesi.

Amplificazione dell’infiammazione

Come descritto nel paragrafo precedente, l'infiammazione e lo stress ossidativo sono inestricabilmente correlati.

La generazione di radicali liberi costituisce parte della normale risposta infiammatoria e facilita la clearance dei patogeni invasivi tissutali.

Durante il processo infiammatorio, fagociti professionali come neutrofili e macrofagi, vengono reclutati nel sito dell’infiammazione e attraverso il cosiddetto "burst respiratorio" (esplosione respiratoria) producono grandi quantità di ROS, RNS e specie reattive di cloro tra cui superossido, perossido di idrogeno, radicale ossidrile, ossido nitrico, perossinitrito e acido ipocloroso con lo scopo di eliminare gli agenti invadenti.69 I PMN generano ROS prevalentemente attraverso l'enzima NADPH ossidasi 2, la cui attività è mediata attraverso l'assemblaggio della subunità catalitica gp91phox (NOX2).38

In presenza di alti livelli di mediatori pro-infiammatori (citochine, agonisti TLR, mediatori lipidici), il NOX2 può essere iperattivato, determinando una produzione eccessiva e prolungata di ROS.70

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Per diversi anni, le ROS derivate da NOX2 sono stati considerati come agenti pro-infiammatori, ma recenti rapporti hanno messo in discussione questo dogma e suggeriscono che possano anche essere anti-infiammatorie.71

Ovviamente l’azione antinfiammatoria va di pari passo con una produzione limitata nel tempo e nello spazio.

Oltre al ruolo fisiologico "ROS-uccisione diretta" durante la fagocitosi, le ROS derivate da NOX2 producono "effetti di segnalazione paracrina-redox" che possono modulare la risposta immunitaria. Infatti, le ROS derivate dal NOX2 possono smorzare l'infiammazione T-cell-dipendente, attraverso l'alterazione dello stato di ossidazione della membrana delle cellule T72 e dello sviluppo delle cellule Th17 / Treg.70 Un chiaro esempio di malattia umana correlata a difetti del NOX2 o delle subunità associate è la malattia granulomatosa cronica.73

Come conseguenza della carenza di NOX2, la morte dei neutrofili è difettosa a causa del “burst” respiratorio estremamente basso in queste cellule durante la fagocitosi.74,75 Pertanto, la carenza cronica di NOX2 può causare un'infiammazione "ROS-indipendente" in cui le specie reattive non sono il fattore causale. Questa infiammazione "ROS-indipendente" è anche osservata nelle malattie autoimmuni come mostrato nei modelli animali.76–78

In presenza di alti livelli di mediatori pro-infiammatori (citochine, agonisti TLR, mediatori lipidici), il NOX2 può essere iperattivato, determinando una produzione eccessiva e prolungata di ROS.79

Quando sono sovraprodotti, diventano pro-infiammatori in quanto inducono lo stress ossidativo e cambiamenti nell'omeostasi cellulare durante una "infiammazione ROS-dipendente".

Le specie reattive dell’ossigeno generate dagli enzimi NOX possono controllare la funzione vascolare tramite la modulazione della bioattività dell’monossido d’azoto.80 Nel cervello, il NO può esercitare un ruolo modulatorio sia nell'accoppiamento neuro-vascolare che nella funzionalità della catena respiratoria mitocondriale. Pertanto, il NO derivato da neuroni, può essere considerato un regolatore principale dell'asse di accoppiamento

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neurovascolare-neuroenergetico. Una disfunzione nell’asse funzionale metabolico neurovascolare-neuroenergetico NO-dipendente è stata correlata al declino cognitivo associato all'invecchiamento cerebrale e alla malattia di Alzheimer.81 Infine, l'infiammazione e lo stress ossidativo possono partecipare all’insorgenza di tumori altamente metastatici attraverso l'attivazione di cascate pro infiammatorie via TLR4.82

Tuttavia, a parte le cellule fagocitiche professionali, anche le cellule non fagocitiche possono produrre specie reattive in risposta a citochine pro-infiammatorie.83,84

L'interferone gamma, una citochina infiammatoria e il componente pro-infiammatorio della parete cellulare batterica, il lipopolisaccaride, sono risultati capaci di aumentare sinergicamente la produzione di ROS nelle linee cellulari di carcinoma del pancreas umano e nella pancreatite umana attraverso l'espressione TLR-4-NF-κB-dipendente Duox2.84

Inoltre, IL-6 porta alla produzione di ROS attraverso l'aumentata espressione di NADPH ossidasi 4 (NOX4) nel carcinoma polmonare non a piccole cellule. È stata riscontrata che la sovra espressione di NOX4 rafforza la produzione di IL-6 ed esiste un circuito di feedback positivo tra IL-6 e NOX4, rispettivamente, i due mediatori dell'infiammazione e dello stress ossidativo.83

Le cellule infiammatorie alimentano la flogosi anche attraverso la produzione di mediatori solubili, come i metaboliti dell'acido arachidonico, che agiscono reclutando ulteriori cellule infiammatorie nel sito, aumentando il rilascio di più specie reattive.

L'8-isoprostano, un marker dello stresso ossidativo, è un prodotto finale dell'acido arachidonico, appartenente agli isoprostani F2. È stato trovato in grado di aumentare l'espressione della chemochina infiammatoria IL-8 nei macrofagi umani attraverso l'attivazione di chinasi proteiche mitogene-attivate (MAP chinasi).85

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Concludendo, le ROS generate dalle cellule infiammatorie, oltre a causare lo stress ossidativo diretto per rimuovere i patogeni, stimolano dei percorsi che esaltano l'amplificazione dell'infiammazione.

Se lo stress ossidativo appare come anormalità primaria in un organo, l'infiammazione alla fine si svilupperà e accentuerà ulteriormente lo stress ossidativo. Viceversa, se l'infiammazione è l'evento primario, si svilupperà uno stress ossidativo con ulterioriore esacerbazione dell'infiammazione.86 [Figura 4]

Figura 4

Riparazione

La riparazione dei tessuti è un processo biologico fondamentale che consente il ripristino funzionale e strutturale dei tessuti danneggiati dagli stimoli lesivi acuti/ cronici, tra cui infezioni, reazioni autoimmuni, lesioni meccaniche e infiammazione.

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Una prima fase rigenerativa, in cui le cellule danneggiate vengono sostituite da cellule dello stesso tipo che sopravvivono alla lesione, senza lasciare alcuna prova duratura del danno; In alcuni casi la rigenerazione avviene grazie al contributo delle cellule staminali.

La seconda fase è nota come fibroplasia, o fibrosi, in cui il tessuto connettivo sostituisce il normale tessuto parenchimale. Questo avviene quando il tessuto non è in grado di sostenere la rigenerazione in quanto la sua struttura è gravemente compromessa. Il termine fibrosi viene spesso usato per indicare la deposizione di collagene in vari organi (reni, fegato, polmone) come conseguenza dell’infiammazione cronica, oppure nel miocardio dopo vasta necrosi ischemica. Sebbene inizialmente vantaggioso, il processo di guarigione diventa patogeno se prosegue in modo incontrollabile, con conseguente sostanziale rimodellamento della matrice extracellulare e formazione di tessuto cicatriziale permanente. In alcuni casi, potrebbe portare ad insufficienza d'organo e morte.

I più comuni disturbi infiammatori cronici dei sistemi d’organi (tra cui fibrosi polmonare, sclerosi sistemica, cirrosi epatica, malattie cardiovascolari, nefropatia progressiva) e delle articolazioni (come AR e artrosi) sono una delle principali cause di morbilità e mortalità ed un onere enorme per i sistemi sanitari.

Una caratteristica comune di queste malattie è la distruzione e il rimodellamento morfo-funzionale della matrice extracellulare che ha un effetto significativo sull’architettura e sulla funzione del tessuto.87

Un delicato equilibrio tra, deposizione di proteine della matrice extracellulare (ECM) dai fibroblasti e degradazione da parte dei leucociti tissutali, determina l’esito del processo di riparazione, ovvero, la ristrutturazione del tessuto durante il processo di riparazione e la corretta funzione rispetto allo sviluppo di cicatrici patologiche.17

La funzione dell'ECM va oltre il fornire supporto fisico all'integrità e all'elasticità del tessuto: è una struttura dinamica che viene costantemente rimodellata per mantenere l'omeostasi tissutale.88

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I componenti dell'ECM interagiscono costantemente con le cellule di un tessuto fungendo da ligandi per i recettori cellulari come le integrine, trasmettendo in tal modo segnali che regolano l'adesione, la migrazione, la proliferazione, l'apoptosi, la sopravvivenza o la differenziazione.89

Le macromolecole dell’ECM possono sequestrare e rilasciare localmente fattori di crescita (quindi come un “serbatoio” di ligandi), come il fattore di crescita epidermico (EGF), il fattore di crescita dei fibroblasti (FGF), il fattore di crescita trasformante-β (TGFβ) e altre molecole di segnalazione.

Una anomalia nella regolazione della composizione, della struttura, della rigidità e dell'abbondanza dell'ECM è associata a diverse condizioni patologiche, come la fibrosi e il cancro invasivo. Ad esempio, un'eccessiva degradazione della ECM è collegata all'osteoartrite.89

I fibroblasti sono le principali cellule effettrici del rimodellamento tissutale. Tipicamente, rispondono ai segnali per la riparazione tissutale localizzata con migrazione e proliferazione nel sito della lesione.

Nella famiglia delle cellule stromali oltre ai fibroblasti, ci sono anche le cellule endoteliali, i periciti e le cellule epiteliali.

Le cellule stromali producono le componenti della matrice extracellulare, fornendo un’importante costituente strutturale per le cellule parenchimali di un organo. I fibroblasti però, sono il tipo di cellula più abbondante nello stroma e sono responsabili della produzione di collagene, glicosaminoglicani, glicoproteine, fibre elastiche e reticolari.6

Tuttavia, la loro capacità di produrre e rispondere ai fattori di crescita, consente interazioni reciproche paracrine che mantengono l'omeostasi nelle cellule adiacenti come le cellule epiteliali ed endoteliali.

Queste interazioni regolano la morfogenesi delle strutture epiteliali ed endoteliali nei tessuti e di conseguenza, i fibroblasti svolgono un ruolo fondamentale durante lo sviluppo, la differenziazione e la riparazione dei tessuti. Ovviamente i fibroblasti residenti nei tessuti assumono una posizione cruciale nel guidare la risposta infiammatoria.

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Essendo l’infiammazione un processo non generico ma contestuale, queste cellule non sono semplicemente dei soggetti passivi nelle risposte immunitarie, ma svolgono un ruolo attivo nel governare la persistenza della malattia infiammatoria, oltre a permettere che la memoria immunologica si stabilisca in modo site-specific.90

Una caratteristica delle reazioni infiammatorie croniche è l'accumulo di sottogruppi di leucociti all'interno del sito di reazione, che sono organizzati in una struttura simile a un tessuto linfoide. I fibroblasti svolgono un ruolo nel reclutamento e nella ritenzione dei leucociti in questi siti attraverso la produzione di chemochine come CXCL13 e CCL21, così come la molecola di adesione intercellulare-1 e la molecola di adesione delle cellule vascolari-1 (VCAM-1).6 In precedenza, Parsonage et al.91 e Fries et al.92 hanno evidenziato che i fibroblasti isolati da diversi siti mostrano profili trascrizionali distinti che definiscono la loro capacità migratoria, la produzione di matrice extracellulare e le funzioni immunomodulatorie. Le differenze sono anche osservate nei fibroblasti provenienti dallo stesso sito anatomico (sinovia) ma da diverse malattie (reumatoide versus artrite da artrosi), e queste differenze sono mantenute allo stesso modo nonostante la coltura a lungo termine.93,94

Vi sono ora evidenze che le cellule stromali definiscono la topografia tissutale, forniscono memoria posizionale e regolano il passaggio dalla risoluzione all'infiammazione persistente.95,96

L'interazione tra leucociti e cellule stromali durante una risposta infiammatoria acuta e risolutiva dipende dall'espressione sequenziale di molecole di adesione, chemochine e citochine. L'espressione aberrante temporale e spaziale di queste proteine e dei loro recettori porta a ritenzione e sopravvivenza persistente dei leucociti in questi microambienti stromali cellulari inappropriatamente stabili. Infatti, l’infiammazione cronica (o lesioni tissutali croniche), sostiene la produzione di enzimi proteolitici, fattori di crescita, citochine fibrogeniche e chemochine, che insieme orchestrano un'eccessiva deposizione di tessuto

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connettivo e una progressiva distruzione della normale architettura e funzione tissutale.

Per esempio, il fattore di crescita trasformante-β (TGFβ), il fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF), l'interleuchina-13 (IL-13) e altri fattori, stimolano i fibroblasti e altre cellule stromali a produrre un’eccessiva ECM, con conseguente fibrosi patologica. L'eccesso di ECM spinge ulteriormente i fibroblasti a continuare a produrre ECM, creando un ciclo di feedback positivo.

La fibrosi è un importante fattore di rischio per lo sviluppo del cancro, tra cui il carcinoma epatocellulare e il cancro al seno.89

Un meccanismo che contrasta la deposizione di ECM e la formazione di focolai fibrotici è l'attivazione di metallo-proteinasi a matrice (MMP), che rappresentano una classe di enzimi catalitici che degradano vari componenti di ECM. Tutte le MMP sono composte da molecole comuni ma hanno strutture primarie diverse.97 Le MMP sono prodotte come precursori innativi (zimogeni) e devono essere attivate mediante la rimozione di un propeptide dal sito attivo. Alcuni MMP sono costitutivi o omeostatici (MMP-2) ed espressi nella maggior parte delle cellule in condizioni normali. Altri sono inducibili (MMP-9) o infiammatori. Le attività delle MMP dipendono sempre da un equilibrio tra proteasi e inibitori naturali (inibitori tissutali specifici delle metalloproteinasi [TIMPs]).98 Può darsi che la upregulation dei TIMP durante le malattie croniche possa essere più determinante per lo sviluppo di fibrosi gravi rispetto alla downregulation delle MMP. 17

Concludendo, si può affermare che l'infiammazione cronica è spesso associata ad un processo di rimodellamento patogeno cronico.

L'equilibrio sensibile tra la sintesi e la degradazione delle componenti della matrice extracellulare (ECM) è disturbato e i fibroblasti attivati in modo continuo producono una quantità eccessiva di ECM con conseguente sostituzione del tessuto parenchimale col tessuto connettivo.

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Citochine e fattori di crescita pro-fibrogenici coinvolti nel rimodellamento tissutale fibrotico

L'infiammazione cronica, come denominatore comune delle malattie fibro-proliferative, è inizialmente rappresentata dal reclutamento di neutrofili e macrofagi; tuttavia, quasi tutti i tipi di cellule immunitarie tra cui, TH1, TH2, TH17, T regolatorie (Treg), linfociti B, granulociti eosinofili e basofili sono coinvolti nel processo.

Queste cellule immunitarie e le quelle danneggiate dell'organo interessato, come le cellule endoteliali ed epiteliali, rilasciano una vasta gamma di citochine infiammatorie e fattori di crescita che contribuiscono al mantenimento dell'infiammazione cronica, alla proliferazione dei fibroblasti alla produzione di collagene, e la neo-vascolarizzazione.

Alterazioni nel bilancio delle citochine possono portare a cambiamenti patologici, riparazione anormale dei tessuti e fibrosi tissutale.

Le citochine più studiate coinvolte in questi processi includono TGFβ, TNFa, fattore di crescita derivato dalle piastrine, fattore di crescita dei fibroblasti FGF2, proteina chemoattrattante i monociti-1, proteina infiammatoria dei macrofagi-1α e 1, IL-13 e IL-8.17

La TGFβ è una delle citochine pro-fibrotiche più studiate.

La upregulation del TGFβ1 è stata associata a processi fibrotici patologici in molti organi, come le malattie fibrotiche polmonari, la formazione di cataratta, la sclerosi sistemica, la fibrosi renale, l'insufficienza cardiaca e molti altri.99–105 La famiglia TGFβ rappresenta un gruppo di citochine multifunzionali e comprende almeno cinque isoforme note, tre delle quali sono espresse da cellule dei mammiferi (TGFβ1-3).106,107 Gli effetti indotti dal TGFβ sono principalmente mediati attraverso i recettori del TGFβ. Le isoforme del TGFβ inducono l'espressione delle proteine ECM (come il collagene I, il collagene III e il collagene V, la fibronectina e un numero di glicoproteine e proteoglicani normalmente associate allo sviluppo) nelle cellule mesenchimali e stimolano la produzione di inibitori delle proteasi. Gli inibitori delle proteasi impediscono la disgregazione

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enzimatica dell'ECM. Inoltre, alcune proteine ECM (come la fibronectina) sono note come agenti chemiotattici per i fibroblasti e sono rilasciate in quantità aumentate da quest’ultimi e cellule epiteliali in risposta al TGFβ.108 Elevata espressione di TGFβ negli organi interessati si correla con la deposizione anormale del tessuto connettivo osservata durante l'inizio di malattie fibrotiche.109,110

Un'altra citochina che è stata spesso collegata a malattie croniche con rimodellamento patologico è la TNFa. È una citochina rapidamente espressa in risposta a molti tipi di stress (lesioni meccaniche, ustioni, irradiazione, virus, batteri)111–113, ed è un mediatore pro-infiammatorio coinvolto nella complessa rete ECM.17

L'artrite reumatoide (RA) rappresenta una malattia cronica che evidenzia l'importanza del TNFa. Le cascate di citochine dipendenti da TNFa vennero identificate nella coltura in vitro della sinovia delle giunture di pazienti con AR. Questo ha condotto a studi sperimentali sul blocco di TNFa in modelli animali con RA. Il successo del targeting TNFa è stato osservato in un certo numero di malattie croniche in cui la terapia anti-TNF è stata approvata per l'uso. Attualmente viene studiata anche in numerose altre malattie infiammatorie, infettive e neoplastiche Tuttavia, la terapia anti-TNF non è appropriata in tutte le malattie, in quanto vi sono stati numerosi studi clinici falliti, compresi quelli che hanno usato il trattamento anti-TNF per la sclerosi multipla e l'insufficienza cardiaca congestizia.17

Inoltre, un potenziale effetto collaterale dell'uso della terapia anti-TNF è il maggiore sensibilità agli organismi infettivi.114

Altre citochine hanno un ruolo distinto nella regolazione della fibrosi d'organo, per esempio quelle derivate da TH2 (IL-4, IL-5, IL-6, IL-13 e IL-21).

Una delle interleuchine TH2 più studiate è IL-13, che esercita un forte effetto pro-fibrotico, promuovendo la differenziazione di fibroblasti in miofibroblasti e aumentando l'espressione di TGF-β.

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Altre citochine TH2 tra cui IL-5 e IL-21 possono aumentare l'effetto pro-fibrotico di IL-13 aumentando la sua produzione e/o l'espressione del suo recettore. Tuttavia, IL-21 può promuovere la fibrosi tissutale anche inducendo la differenziazione delle cellule T naïve in cellule TH17

Le cellule TH17 producono una varietà di citochine diverse: tra queste l'IL-17 è la più studiata. È stato dimostrato che IL-17 contribuisce allo sviluppo della fibrosi in diversi organi tra cui il polmone, il rene, l'intestino, il cuore e il fegato. Elevato livello di IL-17 è stato trovato nella stenosi intestinale umana e i miofibroblasti esprimono il suo recettore (IL-17RC) durante la fibrosi associata alla malattia di Crohn (CD).115

Alcune citochine, come l'interleuchina-33 (IL-33), favoriscono la fibrosi attivando il sistema immunitario.116 Nel fegato, IL-33 promuove l'espansione delle cellule linfoidi innate residenti, che producono IL-13 per attivare le cellule stellate epatiche, i principali produttori di ECM nel fegato.

Recentemente, vengono alla luce i membri della famiglia IL-10 come mediatori antinfiammatori correlati alla fibrosi.

La famiglia di citochine di IL-10 consiste in nove molecole: IL-10, IL-19, IL-20, IL-22, IL-24, IL-26, IL-28A, IL-28B e IL-29. Queste citochine possono essere classificate in tre sottofamiglie con funzioni biologiche diverse:

1) sottofamiglia IL-10 rappresentata dallo stesso IL-10;

2) sottofamiglia IL-20 (IL-19, IL-20, IL-22, IL-24 e IL-26) che svolgono un ruolo nei meccanismi di difesa dell'ospite contro i batteri;

3) interferoni di tipo III (IFN): IL-28A, IL-28B e IL-29, che inducono risposte antivirali.

IL-10 ha un effetto soppressivo generale; inibisce entrambe le risposte immunitarie innate e adattive, prevenendo così esacerbazioni aumentate. In tal modo IL-10 svolge un ruolo significativo nella prevenzione del danno tissutale che è un elemento comune delle malattie fibro-proliferative croniche.

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Le osservazioni suggeriscono che riducendo la risposta infiammatoria, IL-10 può inibire anche la proliferazione dei miofibroblasti e la sintesi del collagene.117

Artrite Reumatoide

L'artrite reumatoide (AR) è una malattia autoimmune caratterizzata da flogosi cronica a carico delle articolazioni diartriali. Si estrinseca come una sinovite iperplastica con tratti di progressiva distruzione articolare e associate comorbidità sistemiche come ad esempio, polmonari, neurologiche e cardiovascolari.

Colpisce circa l'1% degli adulti in tutto il mondo con una prevalenza nelle donne che negli uomini.118

La piena comprensione di come si sviluppa AR nel tempo è importante per sviluppare terapie per prevenire l'AR invece di trattare i sintomi.

Analisi epidemiologiche e genetiche, nonché osservazioni cliniche, suggeriscono che la fisiopatogenesi dell'AR può essere suddivisa in tre fasi distinte:

La AR inizia con un background genetico ad alto rischio che, in combinazione con modificazioni epigenetici ed esposizioni stocastiche a fattori ambientali, innesca l’autoreatività immunitaria.

In secondo luogo, si verifica una reazione infiammatoria specifica che colpisce le articolazioni (sinovite).

E alla fine l'infiammazione viene convertita in un processo cronico che porta alla distruzione e al rimodellamento dei tessuti, la cosiddetta artrite cronica distruttiva.119

Fase I — Innesco autoimmune in individui sani

La prima fase di attivazione immunologica preclinica precede la manifestazione clinica dell’artrite reumatoide e si sviluppa in individui sani ma geneticamente predisposti.

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Più di 100 loci sono associati al rischio e alla progressione della malattia ed il contributo genetico è stimato intorno al 50-60%.

Tra questi loci predominano geni che codificano per molecole MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) di classe II, in particolare alcune varianti alleliche del gene HLA-DRB1, raggruppate nel gruppo HLA-DRB1 SE, ovvero alleli contenti lo Shared Epitope (SE), chiamato anche “susceptibility epitope”.119

Gli alleli HLA-DRB1*01 e HLA-DRB1*04, sono stati osservati spesso in pazienti con AR rispetto ai controlli sani, consentendo di attribuire alla presenza di tali alleli l’aumentata suscettibilità alla malattia. La presenza di un allele HLA SE conferisce un odds ratio per sviluppare RA intorno a 4, e la presenza di due copie SE aumenta l’odds ratio a circa 11.120

“L’epitopo di suscettibilità” è strettamente correlato alla gravità della malattia, come manifestazioni extra-articolari e progressione delle erosioni.

Grazie a numerosi studi GWAS (studio di associazione genome-wide), emerge che atri alleli HLA e mutazioni in loci non-HLA concorrono al rischio di sviluppare RA: Tra questi, Protein tyrosine phosphatase non receptor type 22 (PTPN22), Peptidylarginine deiminases citrullinating enzyme 4 (PADI4), Tumor necrosis factor receptor-associated factor 1 and complement component 5(TRAF1-C5), Signal transducer and activator of transcription 4 (STAT4), Fcγ receptors (FCGR) hanno evidenziato il maggior grado di relazione con AR.

Su questo sfondo genetico operano forti fattori ambientali (fumo, disbiosi etc) ed epigenetici per promuovere la malattia.121 Accertare questi fattori significa identificare individui adatti alle strategie terapeutiche per una migliore gestione della AR.

Infatti, è stato inoltre sviluppato un modello predittivo basato sull’integrazione di uno score genetico di rischio, fattori epidemiologici e storia familiare. Tra quelli con una storia familiare positiva, i modelli che utilizzavano fattori epidemiologici e genetici erano altamente discriminatori per la sieropositività e la sieronegatività.122

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