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La SCD è uno degli enzimi chiave della sintesi endogena dell’acido rumenico (RA C18:2 c9-t11), il CLA più abbondante nel latte dei ruminanti (Griinari et al.,

2000).

I CLA sono una categoria di acidi grassi isomeri dell’acido linoleico, con i due doppi legami coniugati.

Questa categoria di acidi grassi è costituita da un numero considerevole di molecole che differiscono, sia per la disposizione dei doppi legami lungo la catena acilica (posizione 8,9,10,11 ecc.), sia per la conformazione geometrica (cis-cis, cis-trans, trans-cis, trans-trans).

Nel latte e nella carne dei ruminanti, però, la gran parte dei CLA è costituita da RA (90%) (Khanal e Dhinam, 2003; Lock e Garnsworthy, 2003).

La presenza dei CLA è nota da oltre 50 anni, ma il loro interesse è cresciuto in seguito alla scoperta dei loro potenziali effetti benefici sulla salute dell’uomo (anticarcinogenesi, antiaterogenesi, antidiabete e antiadipogenesi) (Banni et al., 2003; Khanal e Dhiman, 2004).

L’interesse della comunità scientifica verso questo composto è legato alla sua attività biologica e la National Academy of Science ha definito il CLA come

«l’unico acido grasso che mostra in maniera inequivocabile attività

anticarcinogena in esperimenti condotti su animali».

Il CLA compete con l’acido linoleico (LA) riducendo la formazione dell’acido arachidonico, precursore degli eicosanoidi che svolgono un ruolo importante nella carcinogenesi. Il CLA può essere metabolizzato come l’acido linoleico originando altri acidi grassi a lunga catena che interferiscono con la sintesi degli eicosanoidi. Esperimenti in vitro hanno evidenziato un’esterificazione preferenziale nella posizione sn-2 del trigliceride

Fra le attività dei CLA (isomeri cis9, trans11 e trans10, cis12) si ritrovano anche attività antiaterogenica ed ipocolesterolemica, infatti, si è osservata una diminuzione del tasso di colesterolo LDL nel plasma in topi sottoposti ad integrazione con i sopra citati isomeri CLA.

Gli effetti positivi sul diabete sono correlati al miglior utilizzo del glucosio presente nel plasma e ad una maggiore efficienza dell’insulina (Secchiari et al. 2005).

Il contenuto di CLA nel latte deriva da un’attività di sintesi piuttosto complessa, che ha origine nel rumine, dove sono prodotti i precursori e si completa a livello tissutale.

L’attività ruminale è condotta da microrganismi cellulosolitici (Butyrivibrio

fibrisolvens) (Kepler et al., 1966; Bauman et al., 1999; Buccioni et al., 2002; Lock

e Garnsworthy, 2003, Khanal et al., 2004).

Le reazioni di bioidrogenazione sono catalizzate da una serie di isomerasi e riduttasi, che trasformano l’acido linoleico e linolenico in acido vaccenico (VA, C18:1 t11) ed acido stearico (figura 4.5).

Il VA tende ad accumularsi nel liquido ruminale, poiché la sua riduzione ad acido stearico è il passaggio più lento dell’intero processo di bio-idrogenazione.

I due prodotti della bioidrogenazione, dopo l’assorbimento intestinale sono trasportati a livello tissutale dove sono ossidati ad opera della SCD con la formazione dell’acido oleico a partire dallo stearico e di RA a partire dal VA. Il processo ossidativo è particolarmente intenso a livello della ghiandola mammaria durante il periodo di lattazione (Bauman et al., 2006; Khanal e Dhinam, 2003; Secchiari et al., 2005).

Fig. 4.6: Processo di bioidrogenazione ruminale dell’acido linoleico e dell’acido α-linoleico (Modificato da Harfoot e Hazlewood, 1997)

Il contenuto di CLA nel latte non dipende soltanto dall’attività della SCD, ma anche da fattori ambientali, legati essenzialmente al sistema di allevamento (condizioni di stalla, stress dell’animale, malattie e alimentazione).

La dimostrazione che il CLA presente nel latte è di origine tissutale e non ruminale, si è avuta in un lavoro compiuto da Griinari et al. nel 2000, mediante la soppressione della SCD attraverso somministrazione di acido sterculico a vacche in lattazione.

Il grasso del latte e dei tessuti appartenenti alle specie ruminanti è caratterizzato da un contenuto più elevato di acido rumenico rispetto ai monogastrici benchè tale acido venga sintetizzato da entrambe le specie. Esistono differenze specie- specifiche nella capacità di convertire l’acido vaccenico in acido rumenico; in particolare, nell’ambito dei ruminanti, il latte con un contenuto di CLA maggiore è quello ovino (0,84-2,15 g/100g grasso), seguito da quello bovino (0,3-0,7 g/100g grasso) e da quello caprino (0,64-0,74 g/100g grasso); nell’ambito dei

Acido linoleico (C18:2 c9,c12) Acido linolenico (C18:3 c9,c12,c15) Acido rumenico (C18:2 c9,t11) C18:3 c9,t11,c15 Acido vaccenico (C18:1 t11) C18:2 t11,c15 Acido stearico (C18) isomerasi isomerasi riduttasi

monogastrici, è il latte di donna a contenere quantità più elevate di CLA (0,4 g/100g grasso) (Jahreis et al. 1999).

4.5 SCD nella ghiandola mammaria

La ghiandola mammaria è l’organo di maggiore espressione della SCD nei ruminanti in lattazione (Ward et al., 1998).

Subito dopo il parto, si nota una riduzione dell’attività desaturasica a livello del tessuto adiposo, sito di maggiore attività della SCD, ed un incremento parallelo a livello della ghiandola mammaria (Griinari et al, 2000).

I principali substrati della SCD, a livello della ghiandola mammaria, sono il C18, il C16, il C14 e il VA, da cui si ottengono i rispettivi acidi insaturi (C18:1 cis9, C16:1, C14:1, RA).

La somministrazione di acido sterculico, un potente inibitore della SCD, comporta una notevole riduzione del contenuto dei substrati della SCD stessa nel latte (C14:1 -70%, C16:1 -60%, C18:1 cis9 -45%, C18:2 cis9-trans11 -40%) (Corl et al., 2001; Griinari et al., 2000; Kay et al., 2004).

L’attività della SCD può essere stimata sulla base del rapporto tra il prodotto e il substrato dell’enzima stesso (Lock e Garnsworthy, 2003; Bernard et al., 2005). Alla luce delle conoscenze attuali i rapporti di riferimento sono quattro, perché tali sono i substrati a livello della ghiandola mammaria.

In realtà, il migliore indicatore dell’attività desaturasica è il rapporto miristoleico/miristico, poiché l’acido miristico viene sintetizzato completamente a livello della ghiandola mammaria e di conseguenza anche il miristoleico (Lock e Garnsworthy, 2003; Bernard et al., 2005).

Gli altri prodotti della SCD possono formarsi de novo a livello mammario, oppure essere importati tal quali dal flusso sanguigno. La valutazione del rapporto C14:1/C14 durante l’anno, mostra come l’attività desaturasica incrementi in primavera, raggiungendo il suo massimo a maggio, per poi diminuire nei mesi successivi (Lock e Garnsworthy, 2003).

4.6 SCD nei bovini

Il gene scd bovino è localizzato sul cromosoma 26q21 ed ha una lunghezza di 17,088 kb. La sequenza nucleotidica del gene è stata pubblicata in banca dati da Medrano et al nel 2003 (N° di accesso AY241932).

Il cDNA è lungo 5331 bp così divisi: 367 bp della regione 5’UTR, 1080 bp della ORF (Open Reading Frame) e 3884 bp della regione 3’UTR (Taniguchi et al., 2004). Come si può notare anche nel gene bovino la regione 3’UTR si presenta insolitamente lunga come nel ratto e nell’uomo. In questa regione sono stati individuati 4 motivi “ATTTA” che hanno la funzione di ridurre la stabilità dell’RNA messaggero, come riportato per topo e uomo (Sessler et al., 1996; Zhang et al., 1999).

La proteina SCD è lunga 359 aminoacidi come in altre specie, e mostra un’alta omologia con quella di capra (93.9%), di pecora (93.6%), uomo (87.2%) e topo (80.5%) (figura 4.6) (Taniguchi et al., 2004).

Il lavoro condotto da Medrano et al. (2003), ha portato alla scoperta di tre SNP a livello del quinto esone. I primi due polimorfismi non comportano sostituzioni di aminoacidi nella sequenza proteica, mentre il terzo determina la sostituzione di una valina con una alanina a livello del 293° residuo della proteina (figura 4.7). I tre SNP vengono ereditati contemporaneamente (linkage disequilibrium), pertanto vanno a costituire un aplotipo. Il confronto tra le sequenze peptidiche di alcune specie di mammiferi, mostra che la valina, nel 293° residuo, è altamente conservata; questo fa supporre che sia l’aminoacido ancestrale.

Al momento, i due aplotipi sono stati individuati in differenti razze (Holstein, Brown Suisse, Jersey e Japanese Black Cattle).

Il lavoro condotto da Taniguchi et al. (2004), ha permesso di individuare altri 5 SNP nella regione 3’UTR del cDNA: al 1905° bp (G/A), al 3143° bp (C/T), al 3351° bp (A/G), al 3537° bp (A/G) e al 4736° bp (A/G).

L’analisi della sequenza del promotore ha mostrato una similarità del 67% e del 59% con quelle di uomo e di topo rispettivamente (figura 4.3). In particolare, le regioni maggiormente conservate sono quelle di regolazione dell’espressione genica, vale a dire PUFA-RE e NF-Y (Keating et al., 2005).

Fig. 4.7: Confronto fra le sequenze aminoacidiche SCD di alcune specie: bovino (BAC54826), capra (AAK01666), pecora (CAA04502), uomo (AAD29870), topo (NM009127). Le tre regioni istidiniche sono evidenziate in giallo. Le lettere riportate in grassetto indicano le regioni caratterizzanti le regioni istidiniche. Le lettere in rosso rappresentano gli aminoacidi differenti rispetto alla sequenza bovina. La lettera sottolineata indica l’aminoacido che è in relazione con il 3° SNP del 5° esone bovino.

Bovino 1 MPAHLLQEEISSSYTTTTTITAPPSRVLQNGGGKLEKTPLYLEEDIRPEMRDDIYDPTYQ Maiale 1 MPAHLLQEEISSSYTTTTTITAPSSRVLQNGGGKLEKTPQYVEEDIRPEMKDDIYDPTYQ Uomo 1 MPAHLLQDDISSSYTTTTTITAPPSRVLQNGGDKLETMPLYLEDDIRPDIKDDIYDPTYK Capra 1 MPAHLLQEEISSSYTTTTTITAPPSKVLQNGGGKLEKTPLYLEEDIRPEMRDDIYDPTYQ Pecora 1 MPAHLLQEEISSSYTTTTTITAPPSRVLQNGGGKLEKTPLYLEEDIRPEMRDDIYDPNYQ Topo 1 MPAHMLQ-EISSSYTTTTTITAPPS---GNEREKVKTVPLHLEEDIRPEMKEDIHDPTYQ Bovino 61 DKEGPKPKLEYVWRNIILMSLLHLGALYGITLIPTCKIYTYIWVLFYYLMGALGITAGAH Maiale 61 DKEGPRPKLEYVWRNIILMSLLHLGALYGIILIPTCKIYTLLWAFAYYLLSAVGVTAGAH Uomo 61 DKEGPSPKVEYVWRNIILMSLLHLGALYGITLIPTCKFYTWLWGVFYYFVSALGITAGAH Capra 61 DKEGPKPKLEYVWRNIILMGLLHLGALYGITLIPTCKIYTFLWVLFYYVMSALGITAGVH Pecora 61 DKEGPKPKLEYVWRNIILMGLLHLGALYGITLIPTCKIYTFLWVLFYYVISALGITAGVH Topo 57 DEEGPPPKLEYVWRNIILMVLLHLGGLYGIILVPSCKLYTALFGIFYYMTSALGITAGAH Bovino 121 RLWSHRTYKARLPLRVFLIIGNTMAFQNDVFEWSRDHRAHHKFSETDADPHNSRRGFFFS Maiale 121 RLWSHRTYKARLPLRVFLIIANTMAFQNDVYEWARDHRAHHKFSETDADPHNSRRGFFFS Uomo 121 RLWSHRSYKARLPLRLFLIIANTMAFQNDVYEWARDHRAHHKFSETHADPHNSRRGFFFS Capra 121 RLWSHRTYKARLPLRVFLIIANTMAFQNDVFEWSRDHRAHHKFSETDADPHNSRRGFFFS Pecora 121 RLWSHRTYKARLPLRVFLIIANTMAFQNDVFEWSRDHRAHHKFSETDADPHNSRRGFFFS Topo 117 RLWSHRTYKARLPLRIFLIIANTMAFQNDVYDWARDHRAHHKFSETHADPHNSRRGFFFS Bovino 181 HVGWLLVRKHPAVKEKGSTLNLSDLRAEKLVMFQRRYYKPGVLLLCFILPTLVPWYLWDE Maiale 181 HVGWLLVRKHPAVKEKGGLLNMSDLKAEKLVMFQRRYYKPGILLMCFILPTIVPWYCWGE Uomo 181 HVGWLLVRKHPAVKEKGSTLDLSDLEAEKLVMFQRRYYKPGLLLMCFILPTLVPWYFWGE Capra 181 HVGWLLVRKHPAVREKGATLDLSDLRAEKLVMFQRRYYKPGVLLLCFILPTLVPWYLWGE Pecora 181 HVGWLLVRKHPAVREKGATLDLSDLRAEKLVMFQRRYYKPGVLLLCFILPTLVPWYLWGE Topo 177 HVGWLLVRKHPAVKEKGGKLDMSDLKAEKLVMFQRRYYKPGLLLMCFILPTLVPWYCWGE Bovino 241 TFQNSLFFATLFRYALGLNVTWLVNSAAHMYGYRPYDKTINPRENILVSLGAVGEGFHNY Maiale 241 AFPQSLFVATFLRYAIVLNATWLVNSAAHLYGYRPYDKTISPRENILVSLGAVGEGFHNY Uomo 241 TFQNSVFVATFLRYAVVLNATWLVNSAAHLFGYRPYDKNISPRENILVSLGAVGEGFHNY Capra 241 TFQNSLFFATLLRYAVVLNATWLVNSAAHMYGYRPYDKTINPRENILVSLGAVGEGFHNY Pecora 241 SFQNSLFFATFLRYAVVLNATWLVNSAAHMYGYRPYDKTINPRENILVSLGAVGEGFHNY Topo 237 TFVNSLFVSTFLRYTLVLNATWLVNSAAHLYGYRPYDKNIQSRENILVSLGAVGEGFHNY Bovino 301 HHTFPYDYSASEYRWHINFTTFFIDCMAAIGLAYDRKKVSKAAILARIKRTGEESYKSG Maiale 301 HHTFPYDYSASEYRWHINLTTFFIDCMAALGLAYDRKKVSKAAILARIKRTGDESYKSG Uomo 301 HHSFPYDYSASEYRWHINFTTFFIDCMAALGLAYDRKKVSKAAILARIKRTGDGNYKSG Capra 301 HHTFPYDYSASEYRWHINFTTFFIDCMAAIGLAYDRKKVSKAAVLARMKRTGEESCKSG Pecora 301 HHTFPYDYSASEYRWHINFTTFFIDCMAAIGLAYDRKKVSKAAVLGRMKRTGEESYKSG Topo 297 HHTFPFDYSASEYRWHINFTTFFIDCMAALGLAYDRKKVSKATVLARIKRTGDGSHKSS

Fig. 4.8: Aplotipi del gene scd a livello del 5° esone. Le lettere in grassetto indicano i nucleotidi della regione esonica. Le lettere evidenziate di gialle rappresentano i siti dei tre SNP.

4.7 SCD negli ovini

Lo studio sulla SCD degli ovini non è stato così approfondito come quello condotto sui bovini. Il gene è localizzato sul cromosoma 22q21 (Bernard et al., 2001).

Ward et al. nel 1998 sono riusciti ad isolare e sequenziare il cDNA da individui di razza Finn Dorset. La sequenza ha mostrato un’omologia del 64% e del 58% con SCD1 e SCD2 di topo rispettivamente, a livello della regione 5’UTR; valori pressoché identici sono stati rilevati nella regione 3’UTR (Ward et al., 1998). L’assenza del tratto poli-A e motivi di poliadenilazione all’estremità 3’, suggeriscono che la sequenza di cDNA riportata sia incompleta, soprattutto nella regione 3’UTR (Bernard et al., 2001).

La SCD ovina manifesta un’espressione, decisamente ubiquitaria, anche se i tessuti che mostrano un maggiore livello di mRNA sono il tessuto adiposo, il fegato e la ghiandola mammaria durante il periodo lattazione (Ward et al., 1998).

4.8 SCD nei caprini

Lo studio della SCD caprina, al pari di quella degli ovini, non è stato così approfondito come quello dei bovini e dei topi.

Aplotipo V 10081 tgtgatctctcaatgcaggtactacaaacctggtgtcctgttgttgtgcttcatcctgcc 10141 cacactcgtgccatggtatctgtgggatgaaacgtttcaaaacagcctgttttttgccac 10201 cttattccgttatgcccttgggctcaacgtcacctggctggtgaatagtgctgcccatat 10261 gtatggataccgcccttatgacaagaccatcaacccccgagagaatattctggtttccct 10321 gggagctgcgggtaagtcagcagtccacagcaagaccacgtctagtggtctgctgcttag Aplotipo A 10081 tgtgatctctcaatgcaggtactacaaacctggtgtcctgttgttgtgcttcatcctgcc 10141 cacactcgtgccgtggtatctgtgggatgaaacgtttcaaaacagcctgttttttgccac 10201 cttattccgttacgcccttgggctcaacgtcacctggctggtgaatagtgctgcccatat 10261 gtatggataccgcccttatgacaagaccatcaacccccgagagaatattctggtttccct 10321 gggagctgtgggtaagtcagcagtccacagcaagaccacgtctagtggtctgctgcttag

Alcuni studi hanno permesso di individuare e sequenziare il cDNA, estratto a livello della ghiandola mammaria (N° di accesso alla GeneBank AF325499) (Bernard et al., 2001).

L’omologia della sequenza del cDNA di capra è molto alta con quelle degli ovini, dei bovini e dei suini, mentre è piuttosto bassa con quelle di uomo e di topo (Bernard et al., 2001). Pur non conoscendo la sequenza completa del gene, è stato ipotizzato che siano presenti cinque introni e sei esoni, secondo la struttura già individuata nei topi, nell’uomo e nei bovini (Bernard et al., 2001).

Il gene SCD è posizionato sul cromosoma 26q21, l’individuazione è stata possibile grazie alla tecnica dell’ibridazione in situ (FISH) (Bernard et al., 2001). Il trascritto del gene scd caprino è lungo 5,1 kb con una ORF di 1080 nucleotidi e la 3’UTR di 3,8 kb (Bernard et al., 2001).

Bernard et al. (2001) hanno rilevato la presenza di un polimorfismo a livello della regione 3’UTR. Al contrario della SCD bovina, in questo caso non si tratta di SNP, ma della presenza o assenza del motivo trinucleotidico TGT, posto tra il 3178 e il 3180 bp (Bernard et al., 2001).

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