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CAPITOLO 3: Azioni di politica industriale in Italia: efficacia delle misure e confronto con

3.2 Industria 4.0 in Italia

3.2.1 Il sistema industriale italiano

La storia recente dell’industrializzazione italiana può essere fatta partire dagli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conflitto dal quale il Paese uscì distrutto anche sotto il profilo economico; fu proprio dall’industria, tuttavia, che partì il processo di ricostruzione post-bellica, sostenuto in modo fondamentale dal programma di aiuti da parte degli Stati Uniti, definito Piano Marshall. La struttura economica del sistema Italia assunse un carattere “misto”: da un lato la progressiva apertura internazionale dovuta all’influenza americana e alla necessità di superare l’autarchia del regime fascista, dall’altro lato un forte controllo da parte dello Stato sul mercato interno a supporto dei produttori domestici67. Strumento privilegiato attraverso cui lo Stato dava atto alle proprie strategie industriali, intervenendo direttamente sul mercato, erano le imprese pubbliche: una di queste, importante per la crescita di molti settori, fu l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), che fornì sostegno agli investimenti (anche in ricerca) e allo sviluppo di

65 Eurostat (2016) 66 Istat (2018) 67 Toniolo (2013)

produzioni ad alta tecnologia68. Complessivamente, le imprese pubbliche furono gestite efficacemente tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, periodo del boom economico italiano, contribuendo ad un forte sviluppo del settore manifatturiero: la crescita fu sostenuta dall’apertura verso l’estero, dalla protezione delle imprese nazionali sul mercato interno e dalla posizione, assunta dallo Stato, di produttore di beni a costi competitivi grazie allo sfruttamento di economie di scala69.

Se la conduzione della politica industriale caratterizzata dall’intervento pubblico diretto ha costituito una spinta importante all’economia italiana nel ventennio 1950-1970, allo stesso tempo non è stata in grado di dotare il sistema della dinamicità necessaria ad affrontare le sfide tecnologiche, sociali ed economiche che hanno investito il mondo a partire dalla fine degli anni Settanta: con l’avvento del nuovo paradigma tecnologico che ha costituito la Terza Rivoluzione Industriale, le industrie di riferimento sono diventate principalmente quelle delle telecomunicazioni e dell’elettronica; l’Italia, specializzata in settori a medio-bassa tecnologia (Toniolo, 2013), non ha reagito alle mutate condizioni attraverso ulteriori investimenti, soffrendo negli anni successivi un calo di competitività a livello internazionale.

Come evidenziato in FIGURA 3.2, che confronta l’andamento del PIL pro capite in Italia e negli Stati Uniti dal 1970 al 2016, negli anni successivi al boom economico si è raggiunta la massima convergenza tra i valori nei due Paesi; dalla metà degli anni Ottanta in poi il divario si è allargato progressivamente.

68 Lucchese et al. (2016) 69 Toniolo (2013)

FIGURA 3.2: PIL pro capite ($), Stati Uniti e Italia, 1970-2016

Tra i principali motivi della debole o mancata crescita italiana, Lucchese et al. (2016) e Toniolo (2013) individuano:

• la scarsa crescita della produttività del lavoro;

• la marcata riduzione di dimensione delle imprese, con conseguente calo nei grandi investimenti in ricerca e sviluppo;

• l’avversione nei confronti dell’innovazione, con preferenza per i settori più tradizionali dove le imprese hanno subito l’entrata in scena dei Paesi emergenti;

• la politica comunitaria orientata verso la progressiva riduzione dell’intervento statale nell’economia, non pienamente sostituito dagli investimenti privati e quindi causa dell’aumento delle disparità regionali e nazionali.

Il tema della produttività è un elemento di forte debolezza in relazione ad altri Paesi sviluppati: l’Italia, infatti, è insieme alla Spagna l’unico Stato, tra quelli più avanzati, a non aver aumentato la propria produttività totale dei fattori (PTF) nel periodo 1995-2007, sperimentando addirittura un calo rispetto al valore di inizio periodo70.

A peggiorare una situazione già strutturalmente debole è intervenuta in modo particolarmente duro la crisi finanziaria globale del 2008, che ha provocato in Italia una recessione dell’economia manifestatasi soprattutto nella riduzione del PIL del 5,5% nel solo 2009, con effetti che continuano a protrarsi a distanza di anni: nel 2016, il PIL era ancora inferiore a quello raggiunto prima dell’inizio della crisi71. La FIGURA 3.3 fornisce evidenza dell’andamento del PIL in base alle principali componenti: i momenti di peggiore recessione corrispondono al 2009, in cui esplose la crisi finanziaria globale, e al biennio 2012-2013 di crisi dei debiti sovrani. In quest’ultimo periodo, a differenza del primo, la domanda estera netta in crescita ha attutito gli effetti negativi legati prevalentemente al calo dei consumi privati e degli investimenti fissi lordi: su questo punto, le evidenze riportate da diversi studi (Lucchese et al., 2016; Nascia et al., 2017) confermano il fatto che il problema più grave per l’economia italiana sia stato il calo della domanda interna, da cui è susseguito il calo della produzione industriale; a partire dal 2014, la crescita della componente consumi è ripresa, seppur con “differenze nel timing e nell’intensità della ripresa”72 rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea presi a riferimento. Dal 2013 al 2017, i consumi in Italia sono cresciuti (su base congiunturale) in media dello 0,2%, contro lo 0,4% ottenuto dalla Germania, lo 0,5% della Spagna e lo 0,3% della media dell’Unione Europea.

70 Stöllinger et al. (2013) 71 Istat (2017)

Per quanto concerne l’altra componente che maggiormente contribuisce alle variazioni della domanda interna, solo dal 2015 si registra una variazione totale positiva per gli investimenti fissi lordi (Istat, 2017). Occorre sottolineare che gli investimenti hanno un ruolo ancora più importante, e duplice, rispetto ai consumi privati: essi, infatti, contribuiscono alla crescita (o diminuzione) della domanda interna nel breve periodo, ma anche ad un aumento di produttività nel medio-lungo periodo73. L’Italia, anche in questo caso caratterizzata da una crescita più debole e soprattutto iniziata in ritardo temporale rispetto ad altri Paesi europei, registra due dati principali:

• gli investimenti in attività materiali sono cresciuti mediamente, dal 2014 al 2017, dello 0,8%, un dato inferiore ma comunque non distante da quello di altri Stati; soprattutto, considerando il valore al netto degli investimenti in costruzioni, la performance italiana sale all’1,8%, superando l’1,6% della Spagna;

• gli investimenti fissi in attività immateriali (proprietà intellettuale) crescono in modo decisamente più lento rispetto ad altri Paesi, e di conseguenza hanno un peso inferiore sul PIL (Istat, 2018).

In conclusione, dai dati è possibile affermare che nell’ultimo periodo l’Italia ha registrato un ritorno alla crescita nelle due componenti fondamentali della domanda aggregata (consumi ed investimenti fissi lordi), ma con ritmi più lenti rispetto agli altri Stati Membri dell’Unione Europea. Come spiegato nel successivo paragrafo, l’incentivo agli investimenti è proprio il punto cardine del Piano Nazionale Impresa 4.0 avviato nel 2017.

73 Istat (2018)

FIGURA 3.3: variazione del PIL italiano in base alle principali componenti