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1.4 Calcolo dei parametri di Judd-Ofelt

2.1.5 Il sistema ottico

Senza dubbio un grande pregio della crescita Czochralski è la possibilità di control- lare direttamente il materiale fuso e il cristallo durante tutte le fasi della crescita; così è possibile intervenire in modo opportuno in ogni momento. Nel nostro caso oltre al controllo del “crescitore”, si ha a disposizione anche un sistema ottico, che controlla direttamente sulla superficie del melt la posizione del menisco, che si forma quando siamo in fase di crescita, figura 2.3.

CCD

Laser

specchio

menisco

Figura 2.3: Schema dell’apparato di controllo del diametro.

L’apparato di controllo è costituito da un computer, un laser a diodo che emette nel rosso, uno specchio e una telecamera con CCD. Sopra uno dei tre oblò che guardano direttamente il crogiolo, si ha un piccolo supporto su cui è montato il laser a diodo, questo è inviato sullo specchio che è posto al centro dell’oblò. Il sistema è allineato per illuminare la parte centrale del melt, dove poi si formerà il menisco del cristallo in crescita; la riflessione del laser sul menisco viene a sua volta

rivelata dalla telecamera CCD.

In questo modo possiamo ottenere una stima della larghezza del cristallo, osservando la coordinata y del punto riflesso nella camera CCD; in più, è possibile utilizzare un sistema automatizzato di controllo del diametro. Tramite un programma sviluppato in ambiente labview usiamo la stessa procedura per il controllo e la variazione della temperatura: otteniamo la larghezza tramite lettura della coordinata in riflessione, si imposta una larghezza obbiettivo, e il calcolatore provvede a scegliere la giusta temperatura, basandosi sulle coordinate ottenute con il sistema descritto sopra.

2.2

Descrizione operativa

La crescita di un materiale tramite tecnica Czochralski, richiede un periodo di tempo che va da una ventina di giorni a oltre un mese, a seconda del materiale e delle caratteristiche dei campioni che dobbiamo crescere. Durante questo periodo ci sono delle operazioni standard da compiere, affinché si ottenga un campione otticamente perfetto. Possiamo dividere la crescita in quattro fasi principali, di cui la prima preliminare alla crescita, elencate di seguito:

• Preparazione forno e backing. • Pesature delle polveri e fusione. • Pulizia del fuso.

• Crescita.

Preparazione forno e backing

Per iniziare si puliscono le pareti interne del forno e tutti gli oggetti al suo interno con isopropilico, in modo tale da non avere contaminanti della crescita precedente. Inoltre si controlla lo stato meccanico di tutti componenti interni della fornace; con il forno completamente aperto, si lubrificano con un grasso per alto vuoto gli

2.2 – Descrizione operativa

O-ring delle varie giunzioni. Dopodiché si richiude e si fa il vuoto con rotativa e turbo in questo ordine, così da far degassare i componenti della fornace; ottenuto il vuoto di ∼ 107 mBar si accende il forno e si applica una rampa a salire in

temperatura fino a circa 600◦C; mantenendo le condizioni di vuoto dinamico anche

ad alta temperatura, fino ad un massimo di circa 1000 ◦C. Questo procedimento è

conosciuto come il “backing” del forno. Con questa ultima procedura ci assicuriamo che il materiale di altre crescite precedenti, la polvere esterna e le inclusioni di aria, non siano presenti nella fornace.

Pesature delle polveri e fusione

Durante la fase del backing vengono preparate le polveri di crescita, e pesate con una bilancia elettronica. Quindi si apre il forno, viene caricato il crogiolo e succes- sivamente si fa un altro backing, per far degassare anche le polveri di crescita. Una volta ottenuto un livello di vuoto accettabile (∼ 107 mBar), allora si possono chiu-

dere le valvole che collegano le pompe al forno. A questo punto si inserisce l’Argon all’interno del forno e possiamo scaldare fino ad arrivare alla completa fusione di tutto il materiale nel crogiolo.

Pulizia del fuso

Quando arriviamo alla temperatura di fusione, generalmente abbiamo del materiale che galleggia sulla superficie del fuso, sotto forma di chiazze di colore leggermen- te diverso, o piccoli punti neri. Questo è il materiale di scarto del nostro fuso, e proviene dallo sputtering delle resistenze di grafite, che scaldando perdono piccole quantità di carbonio, che vanno inevitabilmente a depositarsi sul fuso. Lo sporco può anche provenire dalle polveri, introdotte nelle fasi di preparazione oppure dal rilascio di materiale da parte del crogiolo, o infine anche da residui di sporco rimasti all’interno del forno.

Questo sporco viene tolto con delle retine di platino; immergendole nel melt, porta- no via la parte sporca che si appiccica ad esse, lasciando così la superficie del fuso

pulito; viene iterato il procedimento fino alla completa pulitura. Inoltre le retine sono un modo per raccogliere informazioni riguardo la temperatura di fusione e lo stato di sottoraffredamento del fuso: si può capire dalla viscosità del materiale nel momento dell’immersione, e dalla quantità di materiale che viene portato via soli- dificandosi sulla retina.

Generalmente si parte con le prime retine da temperature sopra la Tf us, e poi mano

a mano che la superficie si pulisce, ci abbassiamo in temperatura, andando nella re- gione di sottoraffredamento; così da ottenere un melt pulito e sottoraffredato pronto per il contatto con il seed.

Crescita

A questo punto si parte con la crescita vera e propria, in fondo all’estensione di platino viene legato, tramite un filo anch’esso di platino, il nostro seed; che consiste in un campione cristallino orientato dello stesso materiale non dopato, oppure di un altro cristallo con la stessa struttura cristallina e passo reticolare. Si può usare come seed anche un filo di platino. Attaccato il seed all’estensione, si cala lentamente per ottenere una termalizzazione senza stress; infine si fa il contatto con il fuso, immergendolo per 1 mm nel melt affinché si sciolga la prima parte, e tirando su di 0.5 mm.

Quando cresciamo, il seed viene tirato verso l’alto a bassa velocità (vpull ∼ 1mm/h),

dipendente dal tipo di cristallo, e in più ruota a qualche giro al minuto. Importante all’inizio è l’operazione di necking, ovvero ridurre il diametro della boule nella prima parte della crescita; infatti se il collo è molto sottile, nel cristallo si propaga solo un dominio cristallino, evitando il propagarsi di eventuali faglie o difetti presenti nel seed. Con la tecnica Czochralski, quindi si possono ottenere dei cristalli di buona qualità anche partendo da un seed con difetti. Una richiesta fondamentale per la crescita è che la temperatura superficiale del fuso sia minore rispetto a quella interna; in questo modo si evitano nucleazioni spurie, che potrebbero partire dal fondo del crogiolo. Ottenuta la boule del materiale si da una rampa di raffreddamento finale

2.2 – Descrizione operativa

in tre giorni, per portare la temperatura del materiale e del forno a quella del laboratorio; dopodichè possiamo estrarre finalmente il cristallo e ricavarci i vari campioni per lo studio e per le applicazioni varie.

Capitolo 3

Il cristallo cresciuto: KY

3

F

10

: Ho

3+

3.1

KY

3

F

10

Il KY3F10 è un cristallo che presenta una struttura cubica, otticamente isotropa;

il gruppo spaziale è Fm3m (Z=8), ovvero nella cella primitiva abbiamo otto atomi di potassio (vedi 3.1), con passo reticolare di a ' 11,55 Å [15]. Il cubo è formato da ioni di potassio (K+), posizionati sugli spigoli, mentre gli ioni di Ittrio (Y3+)

si posizionano sulle facce del cubo, con simmetria C4v. Inoltre il cristallo presenta

due strutture distinte di ioni di fluoro (F−); la sua cella unitaria è composta da due gruppi ionici il [KY3F8]2+ e il [KY3F12]2− che formano rispettivamente un cubo e un

cubo-ottaedro di ioni di fluoro, come in figura 3.2; questi si alternano regolarmente lungo i tre assi cristallografici.

Il materiale presenta un alta stabilità chimica e buone proprietà termo meccaniche, è possibile drogarlo con ioni trivalenti di terre rare, i quali si sostituiscono nei siti degli ioni Y3+. Inoltre ha un energia fononica bassa (E

f o ∼ 400 cm−1), tipico

dei fluoruri, questa caratteristica lo rende un buon candidato per applicazioni laser nell’infrarosso.

Figura 3.1: Struttura dela cella primitiva del KY3F10, dove le sfere di colore rosso

sono gli atomi di Ittrio (Y ), mentre quelle sono gli atomi di potassio (K) e i Fluori (F ) sono quelli verdi.

Figura 3.2: Particolare della struttura interna del KY3F10, dove si nota bene i due

3.2 – KY3F10: Ho3+ Struttura Cubica Gruppo di simmetria Fm3m Simmetria puntuale Y3+ C 4v Costanti reticolari (Å) a = 11.55 Temperatura di fusione (◦C) ∼ 1020 Durezza (Mohss) 4.5 Densità (g/cm3) ρ ' 4.3 Conducibilità termica (W/m) σ = 4 W/(m K) (300 K) [16]

Tabella 3.1: Caratteristiche del cristallo KY3F10

3.2

KY

3

F

10

: Ho

3+

L’interesse nella crescita di cristalli drogati con ioni di olmio, è dovuto alla loro pro- prietà di emissione laser sia nell’infrarosso 2 µm, che nel visibile (650 nm, 550 nm e 450 nm).

Nell’applicazioni laser solitamente viene pompato con il laser al tulio (λem = 1.9 µm),

il quale popola il primo livello eccitato dell’olmio 5I7. Tali laser, lanciati in fibra,

hanno applicazioni nella microchirurgia [17] e nelle telecomunicazioni. In particola- re l’emissione a 2 µm può essere sfruttata per osservazioni in atmosfera sul vapore d’acqua e sulla CO2 [18]. Inoltre campioni cristallini opportunamente drogati con

Ho3+, vengono usati come amplificatori a stato solido [19] nei laser di potenza.

3.3

Le crescite

3.3.1

Prima crescita

Per la prima crescita abbiamo caricato nel forno circa 90 g di polveri, riempiendo il crogiuolo grande; la composizione delle polveri era 88.956 g di fluoruro di potassio (KF ) e 0.962 g di fluoruro di olmio (HoF3), affinché si rispettasse la concentrazione

di drogante dello 0.8% atomico. Dopo aver raggiunto un vuoto di 1.2 · 107 mBar,

melt asportando materiale spurio con le retine, e ad ogni passaggio siamo scesi in temperatura fino a 1037◦C.

(a) Seed con filo intrecciato. (b) seed con filo avvolto a spirale.

(c) Seed con cristallo di KY3F10: Ho.

Figura 3.3: Varie tipologie di seed usati durante le crescite.

Poichè veniva affrontata per le prima volta la crescita di questa matrice cri- stallina, non avevamo a disposizione campioni di KY3F10 undoped. Per ovviare al

problema, abbiamo deciso di usare come seed il filo di platino, in particolare abbia- mo legato tre fili di platino tra loro tipo “treccia”, come in figura 3.3a. Prima del contatto il seed deve essere avvicinato al crogiolo molto lentamente, in modo tale che raggiunga la temperatura del fuso.

3.3 – Le crescite

Abbiamo impiegato alcuni giorni in tentativi di contatto, abbassando la temperatura del fuso gradualmente di 1◦C per volta, senza ottenere risultati positivi. Dopodiché

abbiamo deciso di cambiare il filo di platino, e rimontarlo come un avvolgimento a spirale (foto 3.3b) rispetto ad un secondo filo, il nuovo contatto è stato fatto alla temperatura di 1010.7C con i seguenti parametri di pulling: una velocità di ti-

raggio vpull = 1 mm/h e una rotazione di 5 rpm. In questa nuova configurazione

riuscivamo ad ottenere la nucleazione sul filo, ma non partiva la crescita della boule.

Figura 3.4: Foto della prima boule di

KY3F10: Ho3+

Questa situazione è stata risolta cam- biando il gradiente di temperatura appena sopra il melt, dove stazionava il seed; infat- ti per una buona crescita, la temperatura deve diminuire allontanandosi dalla super- ficie del melt. Per cambiare il gradiente abbiamo alzato la posizione del crogiuolo di 5 mm. In questa nuova configurazione abbiamo dovuto alzare la temperatura di 10◦C, per evitare il congelamento del ma-

teriale; quindi in seguito abbiamo fatto un nuovo contatto a 1018◦C.

Alla fine siamo riusciti a crescere, abbassando lentamente la temperatura fino a 1016.5C, il primo campione di KY

3F10 : Ho3+ figura 3.4. In seguito è stato ana-

lizzato al diffrattometro e tagliato, in modo tale da ricavarci dei campioni ad uso di seed, vedi figura 3.3c.

3.3.2

Seconda crescita

Per questa crescita abbiamo pulito nuovamente il melt con alcune retine, e abbiamo tentato un nuovo contatto alla temperatura di 1017 ◦C, con il seed ricavato dalla

prima crescita. Scendendo gradualmente in temperatura fino a 1011.5C, il cristallo

non cresceva mentre il melt iniziava a congelare in superficie. Perciò abbiamo alzato di nuovo la posizione del crogiuolo di altri 20 mm, affinché cambiasse il gradiente di

temperatura sopra il fuso.

Nella nuova configurazione siamo ripartiti da 1030◦C, con relative retine di pulizia

fino a 1020◦C; dopodichè abbiamo fatto altri tentativi di contatto abbassando gra-

dualmente la temperatura, fino a 1014.7C. Dopo aver iniziato una crescita, alla

mattina seguente abbiamo notato una crescita non regolare, e larga quasi quanto l’intero diametro del crogiuolo, così abbiamo deciso di rifondere la boule, spegnere il forno e aggiungere nuovo materiale (29 g).

Ricominciando dall’inizio con tutta la procedura di backing precedentemente de- scritta, abbiamo ottenuto un vuoto di 3 · 10−7 mBar; raggiunta la fusione, abbiamo

osservato uno strato di sporco in superficie, molto probabilmente dovuto all’opera- zione di spegnimento e accensione del forno. Sono stati fatti ben otto cicli di retine per pulire completamente il melt, e poi abbiamo fatto il contatto alla temperatura di 1018.3C.

La mattina seguente abbiamo trovato il computer bloccato, con una temperatura di 1015 ◦C, e il cristallo troppo largo per ricavarci campioni utili ai nostri scopi.

Quindi abbiamo sciolto il tutto a 1025 ◦C e riprovato il contatto alla temperatura

di 1019◦C, ritrovando il giorno dopo una situazione analoga.

A questo punto abbiamo alzato il crogiuolo di altri 3 mm, per il solito motivo, e ab- biamo sciolto anche l’ultimo tentativo di crescita. Mentre facevamo i cicli di retine di pulizia, abbiamo raddrizzato l’estensione di platino al tornio in officina. Que- st’ultima modifica è stata apportata perchè la precessione che aveva l’asta rendeva il controllo ottico automatico impossibile, costringendoci a seguire tutti i momenti della crescita nell’intero arco della giornata.

Il nuovo contatto è stato fatto a 1031 ◦C, scendendo in temperatura lentamente in

modo da ottenere un collo molto sottile, siamo arrivati a 1022.7C temperatura in

cui il cristallo sembrava finalmente aumentare in diametro. Solo a questo punto ci siamo serviti del controllo del diametro, per impostare i vari step di crescita. Alla fine, quando abbiamo considerato finita la crescita, abbiamo impostato una rampa

3.3 – Le crescite

di raffreddamento veloce alla boule; così facendo ci siamo assicurati una buona qua- lità del cristallo, evitando l’aspetto lattiginoso che può presentarsi per i campioni di KY3F10, cresciuti tramite Chozchralsky. Questa tecnica è stata brevettata dal

gruppo del Prof. Tonelli [20].

Abbiamo ottenuto una boule di 25 g, si nota in fig 3.5 alcune imperfezioni nella crescita; probabilmente sono dovute a dello sporco depositato sul melt che ha reso irregolare la superficie e ha cambiato considerevolmente il diametro nel momento in cui si è attaccato al cristallo.

(a) Foto del campione ricavato dalla parte

centrale della boule.

(b) Campione usato per la spettroscopia.

Capitolo 4

Descrizione apparato per la

caratterizzazione del materiale

In questo capitolo verranno descritti gli apparati di misura, che sono stati uti- lizzati per studiare i nostri campioni cristallini; dalla caratterizzazione degli assi cristallografici allo studio delle caratteristiche ottiche.

4.1

Orientazione del cristallo

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