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Studio spettroscopico di ioni trivalenti di olmio in matrice cristallina KY3F10.

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali

Corso di Laurea in Fisica

Tesi di Laurea Magistrale

Studio spettroscopico di ioni

trivalenti di olmio Ho

3+

, in

matrice cristallina KY

3

F

10

Relatore:

prof. Mauro Tonelli

Candidato:

(2)
(3)

Indice

Introduzione 2

1 Aspetti teorici 3

1.1 Le terre rare . . . 3

1.1.1 Modello a ione libero . . . 4

1.1.2 Ione con campo cristallino . . . 6

1.2 Meccanismi di trasferimento energetico . . . 9

1.2.1 La vita media radiativa . . . 12

1.3 Sezione d’urto di emissione . . . 13

1.3.1 Metodo β − τ . . . 14

1.3.2 Metodo reciprocità . . . 16

1.4 Calcolo dei parametri di Judd-Ofelt . . . 18

1.4.1 Transizioni di dipolo elettrico . . . 18

1.4.2 Braching ratios . . . 20

2 Descrizione tecnica di crescita 21 2.1 Il metodo Czochralski . . . 21

2.1.1 La fornace . . . 23

2.1.2 Il crogiolo . . . 24

2.1.3 Il sistema di riscaldamento . . . 25

2.1.4 Il sistema per il vuoto . . . 26

(4)

3 Il cristallo cresciuto: KY3F10: Ho3+ 33 3.1 KY3F10 . . . 33 3.2 KY3F10 : Ho3+ . . . 35 3.3 Le crescite . . . 35 3.3.1 Prima crescita . . . 35 3.3.2 Seconda crescita . . . 37

4 Descrizione apparato per la caratterizzazione del materiale 41 4.1 Orientazione del cristallo . . . 41

4.1.1 Diffrattometria . . . 41

4.1.2 Apparecchiatura . . . 42

4.1.3 Individuazione assi cristallografici . . . 44

4.2 Apparato per l’assorbimento . . . 45

4.3 Apparato per la fluorescenza . . . 47

4.4 Apparato di misura vita media . . . 49

5 Risultati misure spettroscopiche 53 5.1 Spettri d’assorbimento . . . 53

5.1.1 Calcolo sezione d’urto d’assorbimento . . . 61

5.2 Misure di fluorescenza . . . 62

5.2.1 Visibile . . . 62

5.2.2 Infrarosso . . . 68

5.3 Misure di vita media . . . 74

5.3.1 Calcolo sezione d’urto di emissione . . . 80

5.3.2 Curva di guadagno . . . 83

6 Conclusioni 85

(5)

Elenco delle figure

1.1 Schema della separazione dei livelli delle terre rare, prodotta dalle

varie interazioni . . . 6

1.2 Livelli energetici degli ioni trivalenti di terre rare (Diagramma di Dieke)[1] . . . 8

1.3 Trasferimento risonante . . . 11

1.4 Schema della Migrazione di energia . . . 11

1.5 Schema Up-conversion . . . 12

1.6 Croos-relaxation . . . 12

2.1 Schema del forno Czochralski. In particolare le due fasi della crescita, il seed nei pressi del melt, e il contatto con tiraggio del campione dal fuso. . . 22

2.2 Foto della forno usato. . . 23

2.3 Schema dell’apparato di controllo del diametro. . . 27

3.1 Struttura dela cella primitiva del KY3F10, dove le sfere di colore rosso sono gli atomi di Ittrio (Y ), mentre quelle sono gli atomi di potassio (K) e i Fluori (F ) sono quelli verdi. . . . 34

3.2 Particolare della struttura interna del KY3F10, dove si nota bene i due gruppi ionici distinti [2]. . . 34

3.3 Varie tipologie di seed usati durante le crescite. . . 36

3.4 Foto della prima boule di KY3F10: Ho3+ . . . 37

(6)

4.1 foto della camera di Laue usata per la diffratometria. . . 43 4.2 Foto della lastra, nel supporto con la CCD, e la camera dove si

intravede una parte della corona di LED . . . 43 4.3 Foto del pattern di diffrazione a raggi X. . . 44 4.4 Schema dello spettrofotometro. . . 46 4.5 Schema dell’apparato sperimentale per la misura di fluorescenza. . . . 47 4.6 Particolare interno del monocromatore TRIAX 320. . . 48 4.7 Schema della misura delle vite medie per i livelli 5F

5 λ = 660 nm e

5S

2 λ = 550 nm . . . 51

4.8 Schema della misura delle vite medie per i livelli 5I

7 λ = 2042 nm e

5I

6 λ = 1085 nm . . . 52

5.1 Spettro di assorbimento del campione a temperatura ambiente, e livelli dell’olmio trivalente. . . 54 5.2 Spettri di assorbimento per il livello 5I7 a 300K e 10K. . . 56

5.3 Spettri di assorbimento per il livello 5I

6 a 300K e 10K. . . 57

5.4 Particolare dell’assorbimento dei livelli nel visibile a 300K. . . 58 5.5 Dettaglio dell’assorbimento per i livelli 5F

4 e 5S2 a 10K. . . . 59

5.6 Dettaglio dell’assorbimento per il livello 5F

5 a 10K. . . 60

5.7 Andamento della sigma di assorbimento per la transizione5I

8 −→ 5I7

a 300K. . . 61 5.8 Schema dei livelli dell’olmio, con le transizioni rispettivamente nel

rosso (B), verde (C) e blu (D), e il pompaggio (A). . . 63 5.9 Fluorescenza dei livelli 5F

4 −→ 5I8 e 5S2 −→ 5I8, al variare della

temperatura. . . 65 5.10 Fluorescenza del livello 5F

5 −→ 5I8 a differenti temperature. . . 66

5.11 Fluorescenza dei livelli 5F

2 −→ 5I8 e 5F3 −→ 5I8, al variare della

(7)

5.12 Schema dei livelli dell’olmio, con le emissioni dell’infrarosso. . . 68 5.13 Fluorescenza del livello 5I

7 −→ 5I8 al variare della temperatura. . . . 70

5.14 Fluorescenza del livello 5I

6 −→ 5I8 al variare della temperatura. . . . 71

5.15 Fluorescenza del livello 5I5 −→ 5I8 al variare della temperatura. . . . 72

5.16 Fluorescenza del livello 5I

4 −→ 5I8 al variare della temperatura. . . . 73

5.17 Schema dei livelli interessati dalla misura di vita media del multipletto

5I

7 a 10K. . . 74

5.18 Supporto con il cristallo incollato, e dettaglio sulla posizione rispetto al foro. . . 75 5.19 a) Tabella riassuntiva risultati sul5I

7. b) Tabella riassuntiva risultati

sul 5I

6. c) Grafico andamento del τ in funzione della temperatura

per il multipletto 5I

7. d) Grafico andamento del τ in funzione della

temperatura per il multipletto 5I

6. . . 76

5.20 Lo schema dei livelli con il pompaggio (A), la cross relaxation (U) e le due transizioni misurate il verde (B) e il rosso (C). . . 78 5.21 a) Tabella riassuntiva risultati sul5F

5. b) Tabella riassuntiva risultati

sul 5S

2 e 5F4. c) Grafico andamento del τ in funzione della

tempera-tura per il multipletto 5F

5. d) Grafico andamento del τ in funzione

della temperatura per il multipletto 5S

2 e5F4. . . 79

5.22 Grafici della sigma di emissione calcolata con metodo β − τ , per la transizione 5I

7 −→ 5I8. . . 80

5.23 Confronto grafico tra le due sezioni d’urto 5I

7 −→ 5I8. . . 81

5.24 Curva di guadagno per la transizione 5I

7 −→ 5I8 al variare del

(8)

2.1 Materiali utilizzati per crogiuoli con le temperature massime di lavoro. 25 3.1 Caratteristiche del cristallo KY3F10 . . . 35

4.1 Caratteristiche dei rivelatori usati nelle prove di spettroscopia. . . 48 5.1 Elenco dei vari picchi di assorbimento con nomenclatura

spettrosco-pica e relativo coefficiente di assorbimento a temperatura ambiente. . 60 5.2 Confronto della vita media del multipletto 5I

7 [3]. . . 77

5.3 Confronto della vita media del multipletto 5S

2 [4]. . . 78

5.4 Tabella riassuntiva delle misure di vita media. . . 79 5.5 Confronto dei valori di vita media dei livelli del Ho3+ misurati e

(9)

Introduzione

I primi studi sulle terre rare, risalgono agli anni ‘60 [1]; da allora in questi decenni con lo sviluppo della optoelettronica e della fotonica, questi elementi sono diventati cruciali, nello sviluppo e nella progettazione di nuovi congegni tecnologici. Paral-lelamente si è sviluppato un grande filone di ricerca, nello studio approfondito di questi materiali, sia dal punto di vista spettroscopico e sperimentale, che dal punto di vista teorico.

Gran parte della letteratura sulle terre rare è composta dallo studio di materiali, prevalentemente con struttura cristallina, che vengono drogati con ioni trivalenti di questi elementi. In questo modo è possibile mischiare le proprietà strutturali cristal-line, con le caratteristiche fotoluminescenti delle terre rare. Il mio lavoro di tesi si inserisce in questo tipo di ricerca sperimentale, e consiste nella crescita e nello studio di un materiale cristallino KY3F10, drogato con ioni trivalenti di Olmio (Ho3+).

Il campione è stato cresciuto in una fornace di tipo Czhocralsky, nei laboratori del Dipartimento di Fisica di Pisa. Questo tipo di materiale è interessante per vari motivi: ha una struttura cristallina cubica, con notevoli vantaggi di orientazione in eventuali dispositivi, e con vantaggi nell’isotropia dell’emissione spettrale. La sua temperatura di fusione è di circa 1000 ◦C; ed essendo un fluoruro ha un energia

fononica dell’ordine di ∼ 500 cm−1, ciò lo rende un interessante candidato per even-tuali applicazioni fotoniche. Inoltre va precisato che in letteratura, questa matrice, drogata con Ho3+, non era mai stata studiata.

In particolare nel primo capitolo sono introdotti gli aspetti teorici riguardanti le terre rare inserite in matrici cristalline, i processi di trasferimento energetico, che

(10)

Sono presentati i due modelli usati per la stima della sezione d’urto di emissione: il

β − τ e il metodo della reciprocità. Inoltre viene introdotto anche il metodo Judd-Ofelt per il calcolo delle vite medie dei livelli energetici.

Nel secondo capitolo ho descritto la tecnica Czhocralsky nelle sue fasi principali, elencando e descrivendo tutti i componenti del forno usato, nell’ordine con cui ven-gono usati durante la crescita.

Nel terzo capitolo viene presentata la matrice cristallina usata KY3F10, elencandone

le principali caratteristiche chimico, fisiche e strutturali. Verrà descritto anche il drogante scelto: Ho3+, riportando lo spettro energetico caratteristico. È riportata

anche la descrizione operativa della crescita effettuata in laboratorio, per il campio-ne in consideraziocampio-ne campio-nel lavoro di tesi.

Nel quarto e nel quinto invece vengono descritti gli apparati strumentali, usati nelle varie prove di laboratorio, e sono riportati i risultati delle misure con i grafici e le tabelle relative. In più i dati verranno elaborati per stimare le varie sezioni d’urto di emissioni e di assorbimento.

Gli obbiettivi di questo lavoro di tesi sono stati la crescita, lo studio strutturale e l’analisi spettroscopica di una matrice cristallina drogata con ioni trivalenti di olmio, al fine di mettere a punto un nuovo materiale per applicazioni laser nella regione di lunghezza d’onda di ∼ 2 µm. In questa ottica, sono state analizzate ed eviden-ziate le emissioni, sia nella regione del vicino infrarosso che nel visibile; sono stati studiati l’assorbimento, la fluorescenza, e la vita media di alcuni livelli, che saranno importanti per l’emissione laser. Da ultimo con i dati raccolti, abbiamo stimato le sezioni d’urto d’emissione e d’assorbimento per la transizione5I

7 −→ 5I8 a 300K;

(11)

Capitolo 1

Aspetti teorici

In questo capitolo verranno descritti gli aspetti teorici utili a comprendere e inter-pretare i risultati sperimentali ottenuti durante il lavoro di tesi. La teoria esposta di seguito, si limita a spiegare i soli aspetti teorici che riguardano le prove effettuate; per un approfondimento sul tema si rimanda al lavoro di Hufner [5].

1.1

Le terre rare

Le terre rare sono gli elementi che occupano il posto, nella tavola periodica, tra il Ce-rio (Ce Z = 58) e il Lantanio (La Z = 72); hanno la configurazione elettronica dello Xenon (1s22s22p63s23p63d104s24p64d105s25p6), con l’aggiunta dello shell 6s2 e

del-l’orbitale 4f parzialmente riempito. Quando in una matrice cristallina si inseriscono ioni di terra rara nello stato trivalente; essi hanno perso i due elettroni dell’orbitale 6s e uno del 4f . In questa situazione abbiamo una configurazione elettronica par-ticolare: ovvero due shell completi, il 5s2 e il 5p6 con estensione radiale maggiore

rispetto all’orbitale 4f ; al primo ordine in teoria delle perturbazioni, avviene uno

screening di quest’ultimo orbitale nei confronti dei campi elettromagnetici esterni.

Per questo motivo i materiali drogati con terre rare presentano linee di assorbimen-to ed emissione molassorbimen-to strette, dette aassorbimen-tomic-like rispetassorbimen-to alle bande allargate tipiche dello stato solido.

(12)

Possiamo quindi trattare le transizioni tra stati dell’orbitale 4f come atomic like, usando il modello dello ione libero, mentre i campi cristallini e le cariche interne rappresentano delle perturbazioni dei livelli atomici.

1.1.1

Modello a ione libero

Nel caso dello ione libero si calcolano i livelli energetici delle terre rare, risolvendo l’equazione di Schrödinger relativamente all’Hamiltoniana della parte radiale:

H = T + Ven+ Vee+ Vso = −~ 2 2m N X i=1 ∇2 iN X i=1 Ze2 ri + N X i<j e2 rij + N X i=1 ζ(ri)~si ~li (1.1)

dove e ed m sono la carica e la massa elettronica, N (1 → 14) è il numero totale di elettroni nello shell incompleto, ri è la coordinata radiale dell’ i-esimo elettrone, rij

è la posizione relativa dell’elettrone i rispetto all’elettrone j, ~si e ~li sono lo spin e il

momento angolare orbitale dell’ elettrone i-esimo e ζ(ri) è la costante di interazione

spin-orbita. Il primo termine (T ) rappresenta l’energia cinetica, il secondo (Ven) l’

interazione elettrostatica elettroni-nucleo, il terzo (Vee) l’ interazione elettrostatica

elettrone-elettrone, il quarto (Vso) l’interazione spin-orbita.

In prima approssimazione, per il calcolo dei livelli atomici negli ioni di terre rare, possiamo considerare l’Hamiltoniana imperturbata composta dall’energia cinetica (T ) degli elettroni e dal potenziale di interazione coulumbiana (Ven) con il nucleo;

quest’ultimo termine è corretto, per tenere conto dello screening degli elettroni del-le shell più interne, considerando la carica efficace Z∗. Si ottiene così una nuova hamiltoniana semplificata: H0 = − n X i=1 ~2 2m∇ 2 iN X i=1 Ze2 ri (1.2) Dove n è il numero di elettroni nell’orbitale 4f e Ze è la carica schermata dagli

(13)

1.1 – Le terre rare

soluzioni del tipo idrogenoide, con parte spaziale e angolare. Essendo tutti termini dell’hamiltoniana a simmetria sferica, la degenerazione dei livelli energetici del 4f non viene rimossa; questa approssimazione non basta a spiegare i livelli elettroni-ci, dobbiamo quindi aggiungere altri termini di interazione: come il coulumbiano elettrone-elettrone (Vee) e lo spin orbita (Vso).

Con l’aggiunta del termine di repulsione coulumbiana tra gli elettroni in 4f (Vee),

si risolve in parte la degenerazione dei livelli energetici. La simmetria sferica viene rotta, i numeri quantici da usare non sono più quelli dei singoli elettroni, bensì quelli totali dello ione. Si introduce quindi il quadrato del momento angolare totale L2,

e quello dello spin totale S2, e le loro proiezioni lungo l’asse di quantizzazione L

z

e Sz. Si identificano i livelli con la notazione spettroscopica 2S+1L e la separazione

dei livelli dovuta a questa interazione, in energia è dell’ordine di 104cm−1

Nel caso delle terre rare si deve considerare anche il termine spin orbita (Vso),

ovve-ro l’interazione tra il momento angolare e lo spin, intovve-roduciamo al costante ζ(ri) di

interazione spin orbita:

ζ(ri) =

1 2m2c2

∂U ri∂ri

Con U che è il campo sul i-esimo elettrone. I numeri quantici che vengono quindi introdotti sono quelli relativi al momento angolare totale J e alla sua proiezione lungo l’asse di quantizzazione MJ. In totale abbiamo quindi i seguenti numeri

quantici che descrivono il sistema: n,L,Lz,S,Sz,J,Jz. La notazione spettroscopica

diviene2S+1L

J ottenendo una separazione spaziale energetica dell’ordine di 103cm−1

con una degenerazione 2J + 1.

Nella teoria atomica si hanno approcci teorici diversi in base all’ordine di grandezza di Vee e di Vso. Nel caso in cui Vee Vso si ha l’accoppiamento di Russel-Saunders,

dove Vso è considerato come una piccola perturbazione nella struttura dei livelli che

sono invece determinati da Vee. Nel caso invece si trovi ad avere Vee  Vso si ha

l’accoppiamento j − j. Entrambi i casi vengono risolti per via perturbativa.

(14)

la struttura dei livelli energetici viene usato l’accoppiamento intermedio. In pratica si calcolano gli elementi della matrice dell’interazione Vee+Vsosu un’opportuna base,

quindi la si diagonalizza. In genere la base scelta è formata da funzioni di

Russel-Saunders. I numeri quantici ancora buoni sono J e la sua componente lungo l’asse

di quantizzazione Jz, la cui degenerazione è 2J + 1; il multipletto viene descritto

dalla notazione2S+1L

J, usata anche nel grafico 1.2.

4f

n

V

e-e

V

s o

V

crystal field

10 cm

10 cm

10 cm

4 3 2 -1 -1 -1

Figura 1.1: Schema della separazione dei livelli delle terre rare, prodotta dalle varie interazioni

1.1.2

Ione con campo cristallino

A questo punto, si considera lo splitting generato dal campo cristallino dalla matrice, nella quale lo ione di terra rara è inserito come drogante. Grazie all’azione di schermo che fanno gli orbitali pieni 5s e 5p sugli elettroni del 4f rispetto ai campi esterni; si considera l’interazione di campo cristallino come una perturbazione dei livelli degli ioni liberi. La separazione risulta dell’ordine di 102 cm−1, come si può notare in

(15)

1.1 – Le terre rare

la degenerazione (2J+1) del multipletto dello ione libero con momento angolare J, questa ulteriore suddivisione rende necessaria l’introduzione di un nuovo numero quantico µ. I livelli in cui si separa ogni multipletto sono detti sotto-livelli Stark e la nomenclatura spettroscopica diventa quindi 2S+1LJ,µ. Come si possa dare anche

a questi un’etichetta appropriata, va oltre gli scopi di questo lavoro di tesi, ma è possibile ottenere una corretta indicizzazione mediante la teoria dei gruppi.

(16)

Figura 1.2: Livelli energetici degli ioni trivalenti di terre rare (Diagramma di Dieke)[1]

(17)

1.2 – Meccanismi di trasferimento energetico

1.2

Meccanismi di trasferimento energetico

Si considerano adesso tutti i processi che trasferiscono energia tra i livelli di uno stesso ione e tra i livelli di ioni differenti. Chiamati generalmente processi di trasfe-rimento energetico, si dividono in tre categorie elencate sotto.

Per ognuno di questi processi scriveremo le formule per il calcolo dei rispettivi rate, cosìcché si possa esprimere la vita media di uno stato eccitato β come:

τβ = 1 P γWβγR + P γWβγN R

dove la somma è eseguita su tutti gli stati finali possibili γ, WR

βγ è il rate di

decadimento radiativo e WN R

βγ rappresenta il rate di decadimento non radiativo e di

trasferimento energetico tra ioni.

Decadimento radiativo

Avviene quando un livello eccitato raggiunge un livello più basso in energia emetten-do un fotone in risonanza energetica con la transizione. Le transizioni considerate avvengono tra i livelli elettronici del 4f ; essendo stati dello stesso shell, queste sarebbero proibite in approssimazione di dipolo elettrico per le regole di parità. D’altro canto però le transizioni di dipolo magnetico non sono sufficienti a spiegare la complessità e l’intensità degli spettri osservati e in più le evidenze sperimentali suggeriscono, che le transizioni avvengono per dipolo indotto [6].

Tutto ciò è spiegato tramite l’azione del campo cristallino, il quale mescola la parità degli stati 4f ottenendo una probabilità non nulla di transire da un livello all’al-tro. Tramite la teoria dei gruppi è possibile determinare le regole di selezione per le transizioni di dipolo elettrico delle terre rare in matrici cristalline.

Decadimento non radiativo

Nei processi non radiativi, l’energia elettronica viene ceduta al reticolo cristallino ed emessa sotto forma di fononi [6].

(18)

Secondo un approccio più fenomenologico si consideri un processo tra due multi-pletti separati da un gap energetico di ∆E, per la conservazione dell’energia si ha che ∆E = pi~ωi, dove pi è il numero di fononi coinvolti nel processo, con la

rela-tiva energia ~ωi. In generale il rate di rilassamento multifononico è apprezzabile

quando abbiamo al massimo sei fononi coinvolti in una transizione. Aumentando la temperatura, i modi si popolano ed aumenta il rate del processo.

Meccanismi cooperativi

In questo caso si intende, tutti i processi di trasferimento energetico riguardanti uno o più ioni di terre rare [7]. Il rate delle transizioni aumenta con l’aumentare della concentrazione del drogante. Considerando banalmente uno ione eccitato (donore) e uno ione nel ground state (accettore) la dipendenza del rate di trasferimento con la distanza dei due ioni va come R−6 per il termine di dipolo-dipolo elettrico, lo stesso per il termine dipolo magnetico; mentre per il dipolo-quadrupolo elettrico va come

R−8 e il quadrupolo-quadrupolo elettrico ha una dipendenza ∝ R−10. Considerando l’accoppiamento con il reticolo, si ottiene anche dei trasferimenti energetici non risonanti, con la creazione e la distruzione di fononi.

I vari processi possono essere elencati così:

• Trasferimento risonante. Questo processo si verifica quando uno ione, donore, decade da un livello eccitato, e trasferisce l’energia ad un altro ione accettore. Quest’ultimo salta dallo stato fondamentale ad uno eccitato com-piendo un salto energetico uguale a quello avvenuto nel donore, infatti essendo un processo risonante non interviene alcun fonone nella transizione.

Mentre nel trasferimento non risonante, il gap energetico in questione non è lo stesso tra i due ioni; quindi solamente tramite l’emissione o l’assorbimento di fononi si garantisce la conservazione dell’energia.

(19)

1.2 – Meccanismi di trasferimento energetico

specie, il trasferimento di energia avviene tra uno ione eccitato e uno nel fon-damentale; l’energia può essere trasferita un certo numero di volte, all’inter-no della matrice cristallina. Questo effetto si amplifica con la concentrazioni di ioni nel cristallo, in quanto diminuisce la distanza tra i centri interessati all’interazione.

A

|0>

B

|s’> |n’> |n’> |s>

Figura 1.3: Trasferimento risonante

A’

A

|0>

|n> |n>

|0>

Figura 1.4: Schema della Migrazione di energia

• Up-conversion Questo processo avviene quando, nello stato iniziale, il donore e l’accetore si trovano entrambi in uno stato eccitato; il primo trasferisce la sua energia al secondo, ottenendo alla fine uno ione ad un livello energetico più alto di quelli di partenza, a spese del donore che va al fondamentale. Tramite questo processo è possibile osservare fluorescenze a lunghezza d’onda minore della radiazione di pompa.

(20)

• Cross-relaxation Per cross-relaxation si intende un trasferimento tra due ioni, risonante e non risonante; nel quale il primo ione cede energia al secondo, con l’eventuale aiuto del campo fononico. Ha un andamento non lineare con la potenza della radiazione di pompa e con la concentrazione.

A |0> |s> |n> A’ |0> |s> |n>

Figura 1.5: Schema Up-conversion

A |0> |s> |n> A’ |0> |s> |n> Figura 1.6: Croos-relaxation

1.2.1

La vita media radiativa

I fenomeni di trasferimento e diffusione di energia tra ioni della stessa specie come le terre rare in matrice cristallina, possono influire nel calcolo della vita media. La

(21)

1.3 – Sezione d’urto di emissione

teoria per comprendere e quantificare i loro contributi nella stima della vita media di un livello viene trattata nel seguente lavoro [8]; di seguito presenterò solo il pro-blema in breve.

Nel caso di un donore nello stato eccitato, si hanno due casi possibili: in una si-tuazione di alta densità di accettori, questi rilassano per trasferimento energetico risonante agli accettori vicini. Mentre nel caso di donori distanti tra loro, essi de-cadono spontaneamente, prima che l’energia si trasferisca all’accettore più vicino. Scrivendo il rate di trasferimento donore-accettore (A-B), a distanza R, WAB = Rass,

dove s è l’esponente caratteristico dell’andamento per le varie interazioni elencate precedentemente (dipolo-dipolo, ecc.). Prendendo C come concentrazione degli ac-cettori e τA la vita media intrinseca del livello nel donore (definita in assenza di

accettori e con bassa densità di donori), definiamo la concentrazione critica degli accettori come: C0 = 3 4πR3 0 (1.3) con R0 la distanza alla quale il rate WAB diventa pari a τA−1. L’equazione di

vita media per tempi lunghi, ovvero lontano da t0 istante in cui avviene l’impulso

di pompa, può essere approssimata con un esponenziale: 1 τ = 1 τA + 1 τD (1.4) dove si distinguono i due contributi, la vita media intrinseca del donore (τ1

A) e

la vita media diffusiva (τ1

D).

1.3

Sezione d’urto di emissione

Passiamo adesso al calcolo della sezione d’urto per emissione stimolata, che rappre-senta uno dei parametri più importanti per le transizioni, e per l’individuazione di eventuali effetti laser. La σ(ν) viene definita come il guadagno in intensità di un fa-scio laser per unità di inversione di popolazione, in assenza di saturazione. Durante

(22)

il lavoro di tesi ho utilizzato due metodi differenti per ricavare la sigma di emissione: il primo è stato sviluppato negli ani ’80 ed è denominato metodo β − τ [9]; il secondo è il calcolo di reciprocità, ed è stato presentato per la prima volta da McCumber negli anni ’60.[10]

1.3.1

Metodo β − τ

Nel calcolo del β − τ le ipotesi iniziali sono di assumere che i multipletti J siano abbastanza vicini e che ogni sottolivello rispetti la statistica di Boltzmann, in situa-zione di sorgente stazionaria; dalla definisitua-zione di σ(ν), segue che la sesitua-zione d’urto è proporzionale al coefficiente di Einstein, che può essere ottenuto dallo studio dell’e-missione spontanea (σji) e di assorbimento (σij). Nel caso della transizione i → j si

ha le seguenti relazioni σij(ν) = gi gj σji(ν) σji(ν) = λ2 8πn2Ajigji(ν) (1.5)

dove le g sono le degenerazioni dei multipletti, Aji è la probabilità di emissione

spontanea per unità di tempo, gji(ν) il fattore di forma di riga e n l’indice di

rifrazio-ne della matrice cristallina. Consideriamo basse potenze di pompa, la fluorescenza

Iji risulta:

Ijidν = GAjigji(ν)hνdνNj (1.6)

con Nj che è la densità di popolazione del livello j-esimo e G il fattore che tiene

conto della frazione di fluorescenza realmente raccolta, dall’apparato sperimentale. Usando le relazioni 1.5 nella 1.6, la si può riscrivere:

Ijidν = G

8πn2

c2 (ν)hν 3dνσ

jiNj (1.7)

Nel caso di pompa impulsata, abbiamo visto nel paragrafo precedente che la fluorescenza presenta un andamento esponenziale con costante tempoτ1

f =

1

τR+W N R

(23)

1.3 – Sezione d’urto di emissione

Se τRè conosciuto si può ricavare il coefficiente di Einstein per l’emissione spontanea

per la transizione j → i:

Aji =

βji

fjτR

(1.8) dove il βji è il branching ratios per la transizione j → i, e rappresenta la frazione

di fotoni che sono emessi nella data transizione, mentre fj è la frazione di

popola-zione pompata nel livello j; la quantità viene calcolata dall’integrale degli spettri di fluorescenza ricavati sperimentalmente

βji = R Iji(ν) P kl R Ikl(ν) = R λIji(λ)dλ P kl R λ (1.9)

Ora integrando su tutte le frequenze entrambi i membri dell’eq. 1.15 e sommando sugli indici i e j, si ricava la seguente relazione

Z X i,j Ii,j(ν) dν = GηNtot τf (1.10) da questa si può ricavare il valore di GNtot e sostituendo quest’ultimo nella 1.16

al posto di Nj, si ottiene la formula per la sezione d’urto d’emissione stimolata:

σji(ν) = ηc2 τffj R I(ν) ! 8πn23 Iji(ν) (1.11)

dove si considera con I(ν) la fluorescenza totale, e l’integrale si intende esteso su tutto lo spettro.

Fino a questo punto abbiamo trascurato le sovrapposizioni con le altre transizioni

k → l; si può riscrivere allora la sezione d’urto per emissione stimolata così:

σ(ν) = σji(ν) + X k,l fk fl σkl(ν) (1.12)

sostituendola nella 1.20 e passando alle lunghezze d’onda si ottiene la formula generale:

(24)

σ(λ) = ηλ 5 τffj R λI(λ)dλ ! 8πn2c (1.13) In un caso più specifico si può tenere conto anche delle emissioni lungo i vari assi cristallografici, tenendo conto di tutte le polarizzazioni della radiazione emessa; per un cristallo uniassiale avremo due sigma di emissione parallela σk e ortogonale σ

all’asse c. σk,⊥(λ) = ηλ5 τf13Ps R λI(λ)dλ ! 8πn2c Ik,⊥(λ) (1.14)

dove la sommatoria è riferita a tutte le polarizzazioni della radiazione emessa, e la sezione d’urto di assorbimento fj, è stata sostituita con il valore 1/3, rendendola

sezione d’assorbimento efficace.

1.3.2

Metodo reciprocità

Consideriamo adesso, un insieme di ioni indipendenti, uniformemente distribuiti in un mezzo dielettrico. Assumiamo che i livelli energetici degli ioni siano ragruppabili in set con popolazione totale Nj; all’interno di ogni insieme gli stati sono in

equili-brio ad una temperatura media. Consideriamo nella nostra analisi, che le dinamiche all’interno di ogni set, abbiano un tempo caratteristico molto inferiore a quello della dinamica tra i vari livelli.

Definiamo adesso la σaλ(~k,ω)ij come la sezione d’urto di assorbimento di un singolo

ione per la transizione i → j, tramite l’assorbimento di un fotone in risonanza con la transizione; mentre la σeλ(~k,ω)ji è la sezione d’urto di uno ione di decadimento da

l’insieme j a l’insieme i, attraverso un emissione stimolata di un fotone energetica-mente risonante. A questo punto aggiungendo alla nostra notazione, anche l’indice del sottolivello all’interno dei vari set con α, possiamo definire la probabilità di ρjα

(25)

1.3 – Sezione d’urto di emissione ρjα = exp(− Ejα kT ) X i X β exp(−Eiβ kT ) (1.15)

Consideriamo adesso l’interazione degli ioni con la radiazione: restringendo il nostro problema ad interazioni lineari tra il campo e lo ione, si può caratterizzare l’effetto perturbativo della radiazione sul sistema con un insieme di elementi di matrice Mjα,iβ(~k,ω), per i due differenti stati (jα) e (iβ). Possiamo allora legare le

due sezioni d’urto con il seguente rapporto:

Niσaλ(~k,ω)ij

Njσeλ(~k,ω)ji

=

P

αβρiβ|Mjα,iβ(~k,ω)|2δ(Ejα− Eiβ − ~ω)

P

αβρjα|Miβ,jα(~k,ω)|2δ(Ejα− Eiβ − ~ω)

(1.16) dove vale la relazione Nj = Pαρjα. Ora usando le proprietà di Hermitianeità

della parte di Hamiltoniana che descrive questo tipo di interazione:

|Mjα,iβ(~k,ω)|2 = |Miβ,jα(~k,ω)|2 (1.17)

e usando la relazione:

ρiβ(Ejα− Eiβ − ~ω) = ρjαexp(~ω

kT)δ(Ejα− Eiβ − ~ω) (1.18)

Possiamo riscrivere in una forma semplificata la formula 1.16, in questo modo:

σaλ(~k,ω)ij = σeλ(~k,ω)jiexp(~(ω − µij)/kT ) (1.19)

Inoltre sapendo che per il rapporto dei due set i e j, all’equilibrio termico a temperatura T, (Nj/Ni)eq, può valere:

exp(−µij

kT) = (Nj/Ni)eq (1.20)

È utile scrivere la formula che si usa per calcolarci la sezione d’urto di emissione con la reciprocità: σem = σabs   Zl Zu  exp   Ezp− ~ω kT   (1.21)

(26)

dove le Z sono le funzioni di partizione rispettivamente del livello più basso e del livello più alto, la Ezp è la zero phonon line, ovvero la differenza in energia tra

il sottolivello meno energetico del set i e di quello di j.

1.4

Calcolo dei parametri di Judd-Ofelt

L’ultimo aspetto che trattiamo della teoria sugli ioni di terre rare, riguarda i lavori sviluppati indipendentemente da Judd [11] e da Ofelt [12]. Questo metodo, chiama-to appunchiama-to Judd-Ofelt, con l’aiuchiama-to di parametri di intensità empirici Ωt, permette

di ricavare le probabilità di transizione tra i livelli, e una stima del valore della vita media radiativa dei multipletti studiati.

Useremo lo schema di accoppiamento intermedio, usato anche nel calcolo perturba-tivo degli stati dello ione libero, che consite nel diagonalizzare la Hamiltoniana 1.1.1 usando una base di stati di Russel-Saunders:

i >=

X

µSL

C(µSLJ )|4fn(µSLJ ) > (1.22)

dove L,S,J,µ sono i numeri quantici che indicizzano gli stati. Il potenziale cri-stallino può essere sviluppato in multipoli, in questo modo Vcri=PkqiBqkCqk(θi,φi),

dove il numero dei termini dello sviluppo si ricava dalla teoria dei gruppi. Consi-deriamo il mixing provocato dalla componente dispari del campo cristallino sugli stati: |Ψa>= |Φa> − X β < Φb|Vcridisa > Ea− Eβ (1.23) Nel modello consideriamo solo le transizioni puramente elettroniche.

1.4.1

Transizioni di dipolo elettrico

Gli elementi di matrice dell’operatore di dipolo elettrico ~P , tra due stati α e β,

(27)

1.4 – Calcolo dei parametri di Judd-Ofelt < Ψα| ~P |Ψβ >= X β   < φα| ~P |φη >< φη|Vcridis|φβ > Eβ− Eη +< φα| ~P |φη >< φη|V dis cri|φβ > Eα− Eη   (1.24) Il calcolo degli elementi di matrice è spesso molto difficile, a causa della cono-scenza incompleta dei coefficienti di espansione del campo cristallino; con l’approccio di Judd-Ofelt si assume che le configurazioni di opposta parità siano degeneri e con eguale spaziatura energetica, e che Ck

q0|Φη >< Φη|Cq1 = U

(t)

q0+q, con U tensore di rango

t. Nello schema di accoppiamento intermedio si definisce la forza della transizione S come: S(αJ ; βJ0) = 1 e2 X α,β,q | < Ψα| ~Pqβ > |2 = X q0,tpari Y (t,q0,q) < 4fn[µSLJ ]J |Uq0+q|4fn[µ0S0L0J0]J0 > (1.25) dove Y sono dei parametri fenomenologici, e gli elementi di matrice di Utpossono

essere calcolati, utilizzando la formula seguente

< 4fn[µSLJ ]J |Uq0+q|4fn[µ0S0L0J0]J0 >= X µ1,S1,L1 X µ2,S2,L2 (−1)S+L0+J +tδ(S,S0)[(2J + 1)(2J0+ 1)]1/2· < 4fn[µSLJ ]J |U q0+q|4fn[µ0S0L0J0]J0 > (1.26) usando i simboli 6-j che si possono trovare in letteratura tabulati [cite]; il loro valore dipende praticamente solo dallo ione trivalente studiato, e varia pochissimo in funzione della matrice cristallina ospitante. L’unica regola di selezione su J è ∆J ≤ 6 e tutti gli elementi di matrice U(t) sono nulli per t > 6, quindi vanno trovati

solo i parametri Ω2, Ω4, Ω6. Questi ultimi sono calcolabili dalla misura del

coeffi-ciente di assorbimento α(λ) a temperatura ambiente.

È possibile determinare sperimentalmente la forza della transizione in approssima-zione di dipolo elettrico, tramite la relaapprossima-zione:

(28)

sexped (J ; J0) = 3 ~c e2n2(2J + 1) 2N χλ¯ Z α(λ)dλ (1.27)

dove N sta per la densità degli ioni, n è l’indice di rifrazione del materiale, ¯λ è la

lunghezza d’onda media della transizione, e χ è la correzione di campo locale che, per il dipolo elettrico, vale:

χed =

n(n2+ 2)2

9 . (1.28)

Infine si ottengono i valori dei parametri Ωt, facendo una operazione di minimo

sul quadrato degli scarti tra sexped (J ; J0) e S(αJ ; βJ0).

1.4.2

Braching ratios

Infine possiamo riportare la formula che lega il coefficiente di emissione spontanea

A, alle forze di transizione s :

A(aJ ; bJ0) = 32π

2

3(2J + 1)γ ¯λ3s(aJ ; bJ 0

) (1.29) quindi si può calcolare la vita media radiativa per il livello a:

1

τR

=X

b

A(aJ ; bJ0) (1.30)

La conoscenza dei coefficienti di emissione spontanea ci consente di ottenere una stima dei vari braching ratios βab, in particolare per la transizione a ← b tramite la

formula: βab = A(aJ ; bJ0) P iA(aJ ; iJ0) (1.31) nella formula i indica tutti gli altri stati in cui può decadere lo stato a in que-stione. Il confronto con i risultati sperimentali ci fornisce un ulteriore verifica delle misure effettuate.

(29)

Capitolo 2

Descrizione tecnica di crescita

Sono stati studiati e sviluppati molti metodi di crescita per la messa a punto di materiali cristallini. In generale le varie tecniche si dividono in due categorie princi-pali: la crescita da fuso, e la crescita da soluzione. Durante lo svolgimento della tesi abbiamo affrontato solo il primo metodo: il Czochralski [14], con la quale è stato cresciuto il materiale studiato nel lavoro di tesi. In particolare verranno presentati i vari componenti dell’apparato e saranno elencate e descritte le varie fasi di crescita. Poiché per ottenere dei cristalli di elevata qualità ottica, utilizzabili in applicazioni laser, è necessaria una estrema cura e pulizia nelle fasi di crescita; le polveri utilizza-te sono di elevata purezza (5N). Di seguito verrano descritutilizza-te le procedure utilizzautilizza-te per rendere minima la presenza di inquinanti nella fornace.

2.1

Il metodo Czochralski

La tecnica Czochralski è una delle più famose e diffuse tecniche di crescita, i suoi pre-gi sono le grandi dimensioni dei cristalli ottenibili e la loro buona qualità. Dal punto di vista operativo si riesce a controllare in tempo reale tutte le fasi della crescita, compreso le dimensioni del cristallo. Le condizioni ottimali per una buona crescita sono la lentezza di rotazione e di tiraggio e un buon controllo della temperatura. La tecnica consiste nella fusione del materiale all’interno di un crogiolo, dopodiché

(30)

un seed cristallino del materiale che vogliamo crescere, viene immerso nel fuso, e lentamente si tira quest’ultimo verso l’alto. Viene chiamato seed, un piccolo cristal-lo che ha la stessa matrice cristallina del materiale che verrà cresciuto, dal quale si parte per la crescita di una nuova boule. Il fuso posto in contatto con esso solidifi-cherà seguendo la sua stessa struttura cristallina, di conseguenza per ottenere buoni cristalli, è fondamentale la scelta opportuna del seed.

Durante la crescita il pulling verso l’alto è accompagnato da un movimento di ro-tazione del seed, che ha una duplice funzione: mescola il fuso evitando gradienti spuri e consente di scaldare il campione in maniera omogenea. Se la temperatura è quella di crescita, tirando si ottiene la boule cristallina. Per fermare la crescita si hanno due possibilità, o aumentiamo la temperatura, oppure si stacca la boule dal fuso tramite movimento repentino verso l’alto. Infine riportiamo il forno alla temperatura ambiente in un tempo che varia dai due ai tre giorni, termalizzando lentamente il cristallo.

Descriviamo ora tutti i componenti sperimentali della crescita.

Figura 2.1: Schema del forno Czochralski. In particolare le due fasi della crescita, il seed nei pressi del melt, e il contatto con tiraggio del campione dal fuso.

(31)

2.1 – Il metodo Czochralski

2.1.1

La fornace

Il forno usato si può dividere in due parti principali: il corpo centrale e il sistema di traslazione dell’asta. Nella prima parte abbiamo un corpo in acciaio, nel quale si trova la fornace dove vengono cresciuti i materiali alle alte temperature. È composta da una camera principale più grande, posta in basso 2.2, dove si trova la resistenza e dove avviene la crescita; e da una camera secondaria più piccola, che ha una finestra ad oblò smontabile, tramite la quale si eseguono le varie operazioni utili alla crescita, che descriverò nel dettaglio in seguito. Le due parti sono collegate assieme da una valvola, che le rende indipendenti. In questo modo possiamo interagire con il seed o l’asta, durante le fasi della crescita, senza entrare in contatto con la parte centrale del forno.

(32)

Anche il corpo principale del forno ha tre piccole finestre, dalle quali si controlla, a occhio o tramite una telecamera, il crogiolo e la crescita; tutta la fornace è co-struita in acciao inox, mentre il raffreddamento è garantito da un avvolgimento di tubi di rame di 6 mm di diametro, raffreddati ad acqua e in contatto termico con la superficie.

All’interno del forno c’è la resistenza in grafite, che avvolge un porta crogiolo an-ch’esso in grafite, in cui si pone il crogiolo. Un foro praticato nel fondo del forno, consente l’accoppiamento con una termocoppia che è in contatto col fondo del cro-giolo, consentendo il controllo della temperatura di crescita. L’altezza del crogiolo è regolabile dall’esterno, ciò è molto importante, poichè ci permette di scegliere il gradiente di temperatura ottimale per la configurazione di crescita usata.

Fra la resistenza e la parete del forno si usa uno schermo in molibdeno, con una funzione anti dispersiva; le varie parti dello schermo sono tenute tra loro da fili di tantalio di 0.5 mm. Un secondo schermo di molibdeno è inserito dall’alto sopra il primo con funzione di anti dispersione del calore, proveniente dal fuso; quest’ultimo è mantenuto in posizione rispetto allo schermo più grande con delle viti d’acciao.

2.1.2

Il crogiolo

Il crogiolo da utilizzare durante la crescita, deve essere scelto accuratamente in modo da eliminare ogni possibilità di contaminazione del fuso. I requisiti principali che il crogiolo deve soddisfare sono:

• Il materiale di cui è composto non deve reagire chimicamente col fuso.

• Deve essere il più libero possibile da impurità che potrebbero trasferirsi nel fuso.

• Il materiale in cui è realizzato deve avere una bassa porosità per facilitare il degassamento, qualora si debba fare il vuoto all’interno della fornace.

(33)

2.1 – Il metodo Czochralski

Di conseguenza per crescere sostanze diverse è possibile che siano richiesti ma-teriali differenti. Per la crescita dei cristalli con tecnica Czochralski, durante questo lavoro di tesi, è stato utilizzato un crogiolo di vitreous-carbon, poichè soddisfa i re-quisiti richiesti. I crogiuoli realizzati in vitreus carbon sono particolarmente indicati per crescere metalli, fluoruri, alogenuri e alcalini. Il platino è utilizzato per i metalli alcalini, fluoruri e nitrati oppure ossidi a bassa temperatura, mentre per gli ossidi ad alta temperatura è più indicato un crogiolo realizzato in iridio.

Per come è progettata la fornace, abbiamo a disposizione due formati di crogiolo, piccolo e grande; in questo lavoro abbiamo scelto il crogiolo grande, che permette un controllo del diametro accettabile, e la crescita di grandi boule. In fondo al porta crogiolo si ha un piccolo incasso, in cui viene posizionata la termocoppia. Il crogio-lo che abbiamo usato ha le seguenti dimensioni: 50 mm di diametro e 50 mm in altezza. Materiale T. max(◦C) Vitreus carbon 3000 Grafite 2600 Iridio 2200 Platino 1600 Molibdeno 2400 Magnesia 2600 Tantalio 2700 Silice 1350 Rame 850

Tabella 2.1: Materiali utilizzati per crogiuoli con le temperature massime di lavoro.

2.1.3

Il sistema di riscaldamento

Esistono molte tecniche di riscaldamento, per radiofrequenza, riscaldamento resi-stivo, tramite laser e tramite lampade. Nel nostro caso abbiamo usato un forno riscaldato tramite resistenze di grafite. In particolare questa ha una resistività di

(34)

12 µΩ/metro composta da dodici spire di lunghezza 120 mm, alimentata da un gene-ratore di potenza, con una potenza massima di erogazione di Pmax= 6.6 kW ; in

que-sto modo è possibile ottenere temperature massime dell’ordine di Tmax ∼ 1100 ◦C.

La temperatura è un parametro fondamentale in tutte le fasi della crescita, ed è molto importante controllarla e variarla con buona precisione, prima e durante la crescita, al fine di ottenere un buon risultato finale.

Per il controllo della temperatura viene utilizzata una termocoppia, posta a contatto con la parte inferiore del crogiolo; la termocoppia è di tipo K (Nickel 10% -Cromo), con un range di operatività di −220 ÷ 1372 ◦C e risoluzione di 0,1C. Il controllo

avviene tramite un termometro digitale, che legge la temperatura della termocoppia e la invia al PC; il programma confronta la temperatura letta con quella impostata di riferimento, e decide se erogare più o meno corrente alla resistenza.

Con questo tipo di sistema si arriva ad una stabilità in temperatura dell’ordine di 0.1C, a meno di fluttuazioni in fasi dinamiche, dovute alla capicità termica di tutto

il sistema.

2.1.4

Il sistema per il vuoto

Nella crescita dei floruri è importante non avere contaminazioni da OH−, e avere un ambiente privo di ossigeno, altrimenti la resistenza di grafite alle alte temperature brucerebbe. Per questi motivi si cresce in atmosfera controllata di Argon (puro al 99.999%).

Per ridurre al minimo le contaminazioni si crea il vuoto con due pompe: la prima è una pompa rotativa meccanica, che raggiunge un vuoto limite di 10−3 mbar.

Men-tre la seconda è una pompa turbo molecolare, con una velocità di regime di 56000 giri/min, questa permette di raggiungere un vuoto limite di circa 10−7 mbar nella

fornace.

Una volta ottenuto il vuoto di 10−7 mbar, si immette il gas inerte l’Argon, in

sovra-pressione rispetto all’esterno, così si riducono le infiltrazioni di aria e si diminuisce l’evaporazione dal fuso. È possibile creare il vuoto separatamente nelle due parti del

(35)

2.1 – Il metodo Czochralski

forno, tramite una valvola principale, che collega la parte centrale a quella superiore; un tubo collega solo la parte alta del forno con le pompe. In questo modo si ottiene una precamera comunicante con l’esterno, facilitando le varie operazioni di crescita, e lasciando inalterata la parte centrale della fornace in cui avviene la crescita.

2.1.5

Il sistema ottico

Senza dubbio un grande pregio della crescita Czochralski è la possibilità di control-lare direttamente il materiale fuso e il cristallo durante tutte le fasi della crescita; così è possibile intervenire in modo opportuno in ogni momento. Nel nostro caso oltre al controllo del “crescitore”, si ha a disposizione anche un sistema ottico, che controlla direttamente sulla superficie del melt la posizione del menisco, che si forma quando siamo in fase di crescita, figura 2.3.

CCD

Laser

specchio

menisco

Figura 2.3: Schema dell’apparato di controllo del diametro.

L’apparato di controllo è costituito da un computer, un laser a diodo che emette nel rosso, uno specchio e una telecamera con CCD. Sopra uno dei tre oblò che guardano direttamente il crogiolo, si ha un piccolo supporto su cui è montato il laser a diodo, questo è inviato sullo specchio che è posto al centro dell’oblò. Il sistema è allineato per illuminare la parte centrale del melt, dove poi si formerà il menisco del cristallo in crescita; la riflessione del laser sul menisco viene a sua volta

(36)

rivelata dalla telecamera CCD.

In questo modo possiamo ottenere una stima della larghezza del cristallo, osservando la coordinata y del punto riflesso nella camera CCD; in più, è possibile utilizzare un sistema automatizzato di controllo del diametro. Tramite un programma sviluppato in ambiente labview usiamo la stessa procedura per il controllo e la variazione della temperatura: otteniamo la larghezza tramite lettura della coordinata in riflessione, si imposta una larghezza obbiettivo, e il calcolatore provvede a scegliere la giusta temperatura, basandosi sulle coordinate ottenute con il sistema descritto sopra.

2.2

Descrizione operativa

La crescita di un materiale tramite tecnica Czochralski, richiede un periodo di tempo che va da una ventina di giorni a oltre un mese, a seconda del materiale e delle caratteristiche dei campioni che dobbiamo crescere. Durante questo periodo ci sono delle operazioni standard da compiere, affinché si ottenga un campione otticamente perfetto. Possiamo dividere la crescita in quattro fasi principali, di cui la prima preliminare alla crescita, elencate di seguito:

• Preparazione forno e backing. • Pesature delle polveri e fusione. • Pulizia del fuso.

• Crescita.

Preparazione forno e backing

Per iniziare si puliscono le pareti interne del forno e tutti gli oggetti al suo interno con isopropilico, in modo tale da non avere contaminanti della crescita precedente. Inoltre si controlla lo stato meccanico di tutti componenti interni della fornace; con il forno completamente aperto, si lubrificano con un grasso per alto vuoto gli

(37)

2.2 – Descrizione operativa

O-ring delle varie giunzioni. Dopodiché si richiude e si fa il vuoto con rotativa e turbo in questo ordine, così da far degassare i componenti della fornace; ottenuto il vuoto di ∼ 107 mBar si accende il forno e si applica una rampa a salire in

temperatura fino a circa 600◦C; mantenendo le condizioni di vuoto dinamico anche

ad alta temperatura, fino ad un massimo di circa 1000 ◦C. Questo procedimento è

conosciuto come il “backing” del forno. Con questa ultima procedura ci assicuriamo che il materiale di altre crescite precedenti, la polvere esterna e le inclusioni di aria, non siano presenti nella fornace.

Pesature delle polveri e fusione

Durante la fase del backing vengono preparate le polveri di crescita, e pesate con una bilancia elettronica. Quindi si apre il forno, viene caricato il crogiolo e succes-sivamente si fa un altro backing, per far degassare anche le polveri di crescita. Una volta ottenuto un livello di vuoto accettabile (∼ 107 mBar), allora si possono

chiu-dere le valvole che collegano le pompe al forno. A questo punto si inserisce l’Argon all’interno del forno e possiamo scaldare fino ad arrivare alla completa fusione di tutto il materiale nel crogiolo.

Pulizia del fuso

Quando arriviamo alla temperatura di fusione, generalmente abbiamo del materiale che galleggia sulla superficie del fuso, sotto forma di chiazze di colore leggermen-te diverso, o piccoli punti neri. Questo è il maleggermen-teriale di scarto del nostro fuso, e proviene dallo sputtering delle resistenze di grafite, che scaldando perdono piccole quantità di carbonio, che vanno inevitabilmente a depositarsi sul fuso. Lo sporco può anche provenire dalle polveri, introdotte nelle fasi di preparazione oppure dal rilascio di materiale da parte del crogiolo, o infine anche da residui di sporco rimasti all’interno del forno.

Questo sporco viene tolto con delle retine di platino; immergendole nel melt, porta-no via la parte sporca che si appiccica ad esse, lasciando così la superficie del fuso

(38)

pulito; viene iterato il procedimento fino alla completa pulitura. Inoltre le retine sono un modo per raccogliere informazioni riguardo la temperatura di fusione e lo stato di sottoraffredamento del fuso: si può capire dalla viscosità del materiale nel momento dell’immersione, e dalla quantità di materiale che viene portato via soli-dificandosi sulla retina.

Generalmente si parte con le prime retine da temperature sopra la Tf us, e poi mano

a mano che la superficie si pulisce, ci abbassiamo in temperatura, andando nella re-gione di sottoraffredamento; così da ottenere un melt pulito e sottoraffredato pronto per il contatto con il seed.

Crescita

A questo punto si parte con la crescita vera e propria, in fondo all’estensione di platino viene legato, tramite un filo anch’esso di platino, il nostro seed; che consiste in un campione cristallino orientato dello stesso materiale non dopato, oppure di un altro cristallo con la stessa struttura cristallina e passo reticolare. Si può usare come seed anche un filo di platino. Attaccato il seed all’estensione, si cala lentamente per ottenere una termalizzazione senza stress; infine si fa il contatto con il fuso, immergendolo per 1 mm nel melt affinché si sciolga la prima parte, e tirando su di 0.5 mm.

Quando cresciamo, il seed viene tirato verso l’alto a bassa velocità (vpull ∼ 1mm/h),

dipendente dal tipo di cristallo, e in più ruota a qualche giro al minuto. Importante all’inizio è l’operazione di necking, ovvero ridurre il diametro della boule nella prima parte della crescita; infatti se il collo è molto sottile, nel cristallo si propaga solo un dominio cristallino, evitando il propagarsi di eventuali faglie o difetti presenti nel seed. Con la tecnica Czochralski, quindi si possono ottenere dei cristalli di buona qualità anche partendo da un seed con difetti. Una richiesta fondamentale per la crescita è che la temperatura superficiale del fuso sia minore rispetto a quella interna; in questo modo si evitano nucleazioni spurie, che potrebbero partire dal fondo del crogiolo. Ottenuta la boule del materiale si da una rampa di raffreddamento finale

(39)

2.2 – Descrizione operativa

in tre giorni, per portare la temperatura del materiale e del forno a quella del laboratorio; dopodichè possiamo estrarre finalmente il cristallo e ricavarci i vari campioni per lo studio e per le applicazioni varie.

(40)
(41)

Capitolo 3

Il cristallo cresciuto: KY

3

F

10

: Ho

3+

3.1

KY

3

F

10

Il KY3F10 è un cristallo che presenta una struttura cubica, otticamente isotropa;

il gruppo spaziale è Fm3m (Z=8), ovvero nella cella primitiva abbiamo otto atomi di potassio (vedi 3.1), con passo reticolare di a ' 11,55 Å [15]. Il cubo è formato da ioni di potassio (K+), posizionati sugli spigoli, mentre gli ioni di Ittrio (Y3+)

si posizionano sulle facce del cubo, con simmetria C4v. Inoltre il cristallo presenta

due strutture distinte di ioni di fluoro (F−); la sua cella unitaria è composta da due gruppi ionici il [KY3F8]2+ e il [KY3F12]2− che formano rispettivamente un cubo e un

cubo-ottaedro di ioni di fluoro, come in figura 3.2; questi si alternano regolarmente lungo i tre assi cristallografici.

Il materiale presenta un alta stabilità chimica e buone proprietà termo meccaniche, è possibile drogarlo con ioni trivalenti di terre rare, i quali si sostituiscono nei siti degli ioni Y3+. Inoltre ha un energia fononica bassa (E

f o ∼ 400 cm−1), tipico

dei fluoruri, questa caratteristica lo rende un buon candidato per applicazioni laser nell’infrarosso.

(42)

Figura 3.1: Struttura dela cella primitiva del KY3F10, dove le sfere di colore rosso

sono gli atomi di Ittrio (Y ), mentre quelle sono gli atomi di potassio (K) e i Fluori (F ) sono quelli verdi.

Figura 3.2: Particolare della struttura interna del KY3F10, dove si nota bene i due

(43)

3.2 – KY3F10: Ho3+ Struttura Cubica Gruppo di simmetria Fm3m Simmetria puntuale Y3+ C 4v Costanti reticolari (Å) a = 11.55 Temperatura di fusione (◦C) ∼ 1020 Durezza (Mohss) 4.5 Densità (g/cm3) ρ ' 4.3 Conducibilità termica (W/m) σ = 4 W/(m K) (300 K) [16]

Tabella 3.1: Caratteristiche del cristallo KY3F10

3.2

KY

3

F

10

: Ho

3+

L’interesse nella crescita di cristalli drogati con ioni di olmio, è dovuto alla loro pro-prietà di emissione laser sia nell’infrarosso 2 µm, che nel visibile (650 nm, 550 nm e 450 nm).

Nell’applicazioni laser solitamente viene pompato con il laser al tulio (λem = 1.9 µm),

il quale popola il primo livello eccitato dell’olmio 5I7. Tali laser, lanciati in fibra,

hanno applicazioni nella microchirurgia [17] e nelle telecomunicazioni. In particola-re l’emissione a 2 µm può esseparticola-re sfruttata per osservazioni in atmosfera sul vapoparticola-re d’acqua e sulla CO2 [18]. Inoltre campioni cristallini opportunamente drogati con

Ho3+, vengono usati come amplificatori a stato solido [19] nei laser di potenza.

3.3

Le crescite

3.3.1

Prima crescita

Per la prima crescita abbiamo caricato nel forno circa 90 g di polveri, riempiendo il crogiuolo grande; la composizione delle polveri era 88.956 g di fluoruro di potassio (KF ) e 0.962 g di fluoruro di olmio (HoF3), affinché si rispettasse la concentrazione

di drogante dello 0.8% atomico. Dopo aver raggiunto un vuoto di 1.2 · 107 mBar,

(44)

melt asportando materiale spurio con le retine, e ad ogni passaggio siamo scesi in temperatura fino a 1037◦C.

(a) Seed con filo intrecciato. (b) seed con filo avvolto a spirale.

(c) Seed con cristallo di KY3F10: Ho.

Figura 3.3: Varie tipologie di seed usati durante le crescite.

Poichè veniva affrontata per le prima volta la crescita di questa matrice cri-stallina, non avevamo a disposizione campioni di KY3F10 undoped. Per ovviare al

problema, abbiamo deciso di usare come seed il filo di platino, in particolare abbia-mo legato tre fili di platino tra loro tipo “treccia”, come in figura 3.3a. Prima del contatto il seed deve essere avvicinato al crogiolo molto lentamente, in modo tale che raggiunga la temperatura del fuso.

(45)

3.3 – Le crescite

Abbiamo impiegato alcuni giorni in tentativi di contatto, abbassando la temperatura del fuso gradualmente di 1◦C per volta, senza ottenere risultati positivi. Dopodiché

abbiamo deciso di cambiare il filo di platino, e rimontarlo come un avvolgimento a spirale (foto 3.3b) rispetto ad un secondo filo, il nuovo contatto è stato fatto alla temperatura di 1010.7C con i seguenti parametri di pulling: una velocità di

ti-raggio vpull = 1 mm/h e una rotazione di 5 rpm. In questa nuova configurazione

riuscivamo ad ottenere la nucleazione sul filo, ma non partiva la crescita della boule.

Figura 3.4: Foto della prima boule di

KY3F10: Ho3+

Questa situazione è stata risolta cam-biando il gradiente di temperatura appena sopra il melt, dove stazionava il seed; infat-ti per una buona crescita, la temperatura deve diminuire allontanandosi dalla super-ficie del melt. Per cambiare il gradiente abbiamo alzato la posizione del crogiuolo di 5 mm. In questa nuova configurazione abbiamo dovuto alzare la temperatura di 10◦C, per evitare il congelamento del

ma-teriale; quindi in seguito abbiamo fatto un nuovo contatto a 1018◦C.

Alla fine siamo riusciti a crescere, abbassando lentamente la temperatura fino a 1016.5C, il primo campione di KY

3F10 : Ho3+ figura 3.4. In seguito è stato

ana-lizzato al diffrattometro e tagliato, in modo tale da ricavarci dei campioni ad uso di seed, vedi figura 3.3c.

3.3.2

Seconda crescita

Per questa crescita abbiamo pulito nuovamente il melt con alcune retine, e abbiamo tentato un nuovo contatto alla temperatura di 1017 ◦C, con il seed ricavato dalla

prima crescita. Scendendo gradualmente in temperatura fino a 1011.5C, il cristallo

non cresceva mentre il melt iniziava a congelare in superficie. Perciò abbiamo alzato di nuovo la posizione del crogiuolo di altri 20 mm, affinché cambiasse il gradiente di

(46)

temperatura sopra il fuso.

Nella nuova configurazione siamo ripartiti da 1030◦C, con relative retine di pulizia

fino a 1020◦C; dopodichè abbiamo fatto altri tentativi di contatto abbassando

gra-dualmente la temperatura, fino a 1014.7C. Dopo aver iniziato una crescita, alla

mattina seguente abbiamo notato una crescita non regolare, e larga quasi quanto l’intero diametro del crogiuolo, così abbiamo deciso di rifondere la boule, spegnere il forno e aggiungere nuovo materiale (29 g).

Ricominciando dall’inizio con tutta la procedura di backing precedentemente de-scritta, abbiamo ottenuto un vuoto di 3 · 10−7 mBar; raggiunta la fusione, abbiamo

osservato uno strato di sporco in superficie, molto probabilmente dovuto all’opera-zione di spegnimento e accensione del forno. Sono stati fatti ben otto cicli di retine per pulire completamente il melt, e poi abbiamo fatto il contatto alla temperatura di 1018.3C.

La mattina seguente abbiamo trovato il computer bloccato, con una temperatura di 1015 ◦C, e il cristallo troppo largo per ricavarci campioni utili ai nostri scopi.

Quindi abbiamo sciolto il tutto a 1025 ◦C e riprovato il contatto alla temperatura

di 1019◦C, ritrovando il giorno dopo una situazione analoga.

A questo punto abbiamo alzato il crogiuolo di altri 3 mm, per il solito motivo, e ab-biamo sciolto anche l’ultimo tentativo di crescita. Mentre facevamo i cicli di retine di pulizia, abbiamo raddrizzato l’estensione di platino al tornio in officina. Que-st’ultima modifica è stata apportata perchè la precessione che aveva l’asta rendeva il controllo ottico automatico impossibile, costringendoci a seguire tutti i momenti della crescita nell’intero arco della giornata.

Il nuovo contatto è stato fatto a 1031 ◦C, scendendo in temperatura lentamente in

modo da ottenere un collo molto sottile, siamo arrivati a 1022.7C temperatura in

cui il cristallo sembrava finalmente aumentare in diametro. Solo a questo punto ci siamo serviti del controllo del diametro, per impostare i vari step di crescita. Alla fine, quando abbiamo considerato finita la crescita, abbiamo impostato una rampa

(47)

3.3 – Le crescite

di raffreddamento veloce alla boule; così facendo ci siamo assicurati una buona qua-lità del cristallo, evitando l’aspetto lattiginoso che può presentarsi per i campioni di KY3F10, cresciuti tramite Chozchralsky. Questa tecnica è stata brevettata dal

gruppo del Prof. Tonelli [20].

Abbiamo ottenuto una boule di 25 g, si nota in fig 3.5 alcune imperfezioni nella crescita; probabilmente sono dovute a dello sporco depositato sul melt che ha reso irregolare la superficie e ha cambiato considerevolmente il diametro nel momento in cui si è attaccato al cristallo.

(48)

(a) Foto del campione ricavato dalla parte

centrale della boule.

(b) Campione usato per la spettroscopia.

(49)

Capitolo 4

Descrizione apparato per la

caratterizzazione del materiale

In questo capitolo verranno descritti gli apparati di misura, che sono stati uti-lizzati per studiare i nostri campioni cristallini; dalla caratterizzazione degli assi cristallografici allo studio delle caratteristiche ottiche.

4.1

Orientazione del cristallo

4.1.1

Diffrattometria

Per poter conoscere l’orientazione dei cristalli da noi cresciuti, ci siamo serviti di un diffrattometro che si basa sulla tecnica di Laue. La tecnica di Laue permette, mediante la diffrazione di raggi X, di andare a studiare la struttura di un reticolo cristallino.

Usando la teoria di Bragg sulla diffrazione da parte di un cristallo, si possono de-terminare le costanti reticolari e l’orientazione del cristallo rispetto alla direzione di osservazione. Questa tecnica consiste nell’inviare sul campione una fascio di RX con una determinata dispersione in frequenza e rilevare su uno schermo il fascio diffratto.

(50)

L’analisi parte dalla nota legge di Bragg per la diffrazione di raggi X da parte dei cristalli:

dhklsin θ = nλ (4.1)

dove λ è la lunghezza d’onda incidente, dhklè la distanza fra due piani di

riflessio-ne, θ è l’angolo formato dalla direzione di incidenza e il piano riflettente, mentre gli indici hkl indicizzano i piani cristallini di riflessione. In questo modo si ottiene uno pattern di diffrazione, che dipende dalla simmetria del cristallo lungo la direzione del fascio incidente.

4.1.2

Apparecchiatura

L’apparecchiatura (fig.4.1) è costituita da un generatore HT di raggi X P W 1830/40 della Philips, che è in grado di creare una differenza di potenziale massima di 60 kV . L’emissione dei raggi X avviene tramite un tubo al Cu NORMAL FOCUS, serie PW273/30 della Philips con finestra di Be dal diametro di 14 mm. Il generatore di raggi-X è costituito da una torretta con quattro shutter di chiusura e apertu-ra, da cui escono i raggi dopo aver attraversato le finestre in Berillio; e un corpo principale sul quale sono presenti il generatore elettrico, le regolazioni in voltaggio e in corrente e i tasti di apertura/chiusura degli shutter; tale corpo funge anche da base d’appoggio. Importante è il sistema di raffreddamento ad acqua che va attivato prima dell’accensione della macchina, per evitare surriscaldamenti. Sono presenti inoltre un attacco per il porta-lastra, e un goniometro dove viene posizionata una basetta, sulla quale a sua volta, è stato incollato il cristallo.

La radiazione scatterata dai punti del reticolo cristallino viene poi raccolta su una lastra sensibile ai raggi X. La lastra viene posizionata tra la sorgente ed il cristal-lo, essendo questo opaco alla radiazione X; abbiamo ottenuto così un pattern in riflessione. Come elemento sensibile, abbiamo usato una lastra modello ADC MD30 della ditta AGFA, con dimensioni 9x12 cm; è stata poi alloggiata in un supporto

Figura

Figura 1.1: Schema della separazione dei livelli delle terre rare, prodotta dalle varie interazioni
Figura 1.2: Livelli energetici degli ioni trivalenti di terre rare (Diagramma di Dieke)[1]
Figura 1.4: Schema della Migrazione di energia
Figura 1.5: Schema Up-conversion
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