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6. La giustizia penale negoziata nel diritto comparato

6.4. Il sistema spagnolo

Tra gli istituti di giustizia negoziata può sicuramente inserirsi anche la conformidad spagnola.

Si tratta di un istituto risalente agli anni ’80 del diciannovesimo secolo, inizialmente consistente nell’adesione unilaterale da parte dell’imputato all’accusa formulata dal pubblico ministero, senza alcuna contropartita palese.

Il profilo premiale è stato regolarizzato con una legge del 2002 che prevede la riduzione della pena fino ad un terzo e la fissazione del tetto della pena negoziabile, individuato in sei anni di detenzione36.

35 MARCOLINI, op. cit., p. 58 36 FANCHIOTTI, op. cit., p. 145

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CAPITOLO II

LA NEGOZIALITÀ NEL GIUDIZIO DI SECONDO

GRADO: IL CONCORDATO SUI MOTIVI DI

APPELLO

SOMMARIO: 1. L’evoluzione giuridica del concordato sui motivi di appello – 1.1. Le origini dell’istituto – 1.2. La dichiarazione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega – 1.3. L’abrogazione del 2008 – 2. La dimensione originaria dell’istituto – 2.1. La proposizione dell’accordo ed i soggetti legittimati alla stipulazione – 2.2. (Segue): I poteri del giudice – 2.3. (Segue): L’irrevocabilità dell’accordo – 3. L’improprio ed equivoco uso del termine “patteggiamento in appello”

1. L’ EVOLUZIONE GIURIDICA DEL CONCORDATO SUI MOTIVI DI APPELLO

1.1. Le origini dell’istituto

Il concordato sui motivi di appello è stato definito dalla dottrina come uno degli istituti più innovativi e controversi del codice

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del 19881: in linea con le logiche di negotiated justice e gli obiettivi di «massima semplificazione» del processo penale, elevati a canone informatore del nuovo codice, l’istituto rispondeva all’esigenza di ampliare le ipotesi di giustizia penale negoziata2 e di deflazionare il carico giudiziario degli organi di impugnazione3.

Originariamente disciplinato dagli artt. 599, 4 e 5 comma c.p.p. e 602, 2 comma c.p.p., si tratta di un paradigma consensuale di definizione del processo penale che trova riconoscimento in fase di impugnazione, consentendo alle parti di concordare sull'accoglimento, totale o parziale, dei motivi di impugnazione, con rinuncia contestuale agli altri motivi.

Inedito fino alla codificazione del 1988, l’istituto è stato plasmato dal legislatore delegato sulla scorta delle direttive dettate dalla legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81 per l’emanazione del nuovo codice.

In particolare sono due le direttive a cui dobbiamo fare riferimento.

1 CAPRIOLI, La definizione concordata del processo d’appello dopo

l’intervento della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991,

p.626

2

TRANCHIA, DI CHIARA, Appello (dir. proc. pen.), in Enc. dir, Agg. III, p.212

3

BARGIS, Impugnazioni, in Compendio di procedura penale, a cura di Conso, Grevi, Padova, 2000, p. 786

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La direttiva n. 1 si apriva sancendo l’esigenza per il nuovo codice di procedura penale di «attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale».

Proseguiva, inoltre, richiedendo che fossero attuati, nel processo penale, i caratteri del sistema accusatorio, tra i quali veniva richiamato, in primis, il principio della massima semplificazione nello svolgimento del processo, con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale.

La direttiva n. 93 auspicava, specificatamente per l’appello, «un procedimento in camera di consiglio nel contraddittorio tra le parti qualora l’impugnazione abbia esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche o l’applicabilità di sanzioni sostitutive, o la concessione di benefici di legge».

Il 4 comma dell’art. 599 c.p.p. consentiva alla Corte d’appello di provvedere in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’art. 589 c.p.p. per la rinuncia all’impugnazione, ne facessero richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi.

Se i motivi dei quali veniva chiesto l’accoglimento comportavano una nuova determinazione della pena, il

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pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicavano al giudice anche la pena sulla quale erano d’accordo.

Qualora giudice avesse ritenuto di non poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordinava la citazione a comparire al dibattimento (art. 599, 5 comma c.p.p.).

In questo caso la richiesta e la rinuncia perdevano effetto, ma potevano essere riproposte nel dibattimento ai sensi dell’art. 602, 2 comma c.p.p.

La struttura dell’istituto si articolava, pertanto, in tre momenti fondamentali4:

1) l’accordo delle parti;

2) la proposta di accoglimento fatta al giudice; 3) il provvedimento finale.

La possibilità di patteggiare il devolutum era stata introdotta dal legislatore facendo leva su un’interpretazione estensiva del punto n. 93 della legge-delega.

Nella relazione al progetto preliminare fu chiarito che – pur dovendosi prendere atto che le ipotesi in cui era possibile celebrare il giudizio di appello con le forme del rito camerale, ai sensi della legge-delega, costituivano un’elencazione tassativa – la ratio che aveva suggerito tale innovazione ne

4 CAPRIOLI, op. cit. , p. 626

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consentiva l’impiego anche nei casi in cui il dibattimento pubblico si fosse appalesato inutile (ossia qualora le parti avessero raggiunto un accordo sull’accoglimento dei motivi di appello o di alcuni tra essi, con contestuale rinuncia agli altri) 5. La genesi del concordato in appello affonda le proprie radici in esigenze eminentemente pratiche6, configurandosi sia come mezzo di neutralizzazione di una prassi distorta piuttosto diffusa in ambito di impugnazioni, sia come strumento di accelerazione dei tempi processuali.

«Non si trattava necessariamente di un meccanismo pattizio, destinato alla applicazione di una pena ridotta, ma di un istituto finalizzato essenzialmente a concentrare al massimo l’oggetto devoluto al giudice dell’impugnazione, così da scarnificare le non infrequenti impugnazioni “alluvionali”, in cui ogni singolo, astratto punto della decisione di primo grado è sottoposto a critiche e petita più o meno de demolitori, secondo logiche defatigatorie o curialmente “tuzioristiche”»7

.

Le parti venivano stimolate a tenere un comportamento responsabile e leale, attraverso l’abbandono dei motivi

5

GAETA, MACCHIA, L’appello, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, V, Impugnazioni, Milano, 2009, p. 588

6

TRANCHIA, DI CHIARA, op. cit. p. 212

7

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pretestuosi e il riconoscimento, tramite accordo, di solo quelli con qualche effettivo spessore8.

In questo modo si otteneva, da un lato, la riduzione del thema

decidendum – con conseguente maggiore speditezza dell’iter

processuale – dall’altro, una riduzione dei casi di ricorso per Cassazione, poiché la valorizzazione delle volontà delle parti restringeva inevitabilmente il novero delle questioni sollevabili davanti alla suprema Corte9.

1.2. La dichiarazione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega

Gli intenti pratici e le potenzialità semplificative10 dell’istituto finirono, ben presto, per essere ridotti da un intervento, per alcuni opinabile11, della Corte Costituzionale, ispirata forse da un percettibile senso di avversione rispetto alle categorie negozial-processuali12.

8

TONINI, Manuale di procedura penale, XVI edizione, Giuffrè, p. 929

9

CALLARI, Il concordato sui motivi di appello e il mito della fenice, in Cass.

pen., fasc. 12, 2015, p. 4641

10

GALANTINI, Note in tema di patteggiamento sui motivi di appello, in

Cass. pen., 1994, p. 2577

11

In senso critico alla declaratoria della Consulta, GARAVELLI, Commento

all’art. 599 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale,

coordinato da CHIAVARIO, Agg., vol. I, Torino, 1993, p. 416 - 417

12

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Con sentenza n. 435 del 1990, i giudici della Consulta hanno dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 599, 4 e 5 comma e 602, 2 comma c.p.p., in quanto eccedenti i limiti della legge delega, nella parte in cui consentivano «la definizione del procedimento nei modi ivi previsti anche al di fuori dei casi elencati nel comma 1 dell’art.599 c.p.p.».

L’iter argomentativo della Corte muoveva dal rilievo che l’adozione del rito camerale, al di fuori dei casi tassativamente indicati dalla direttiva n. 93, costituisse una violazione dei criteri direttivi tracciati dal legislatore delegante (in violazione degli artt. 76 e 77 Cost.).

L'ambito di applicabilità del 4 comma dell'art. 599 c.p.p. era, infatti, ben più ampio di quello disciplinato nel comma 1 dello stesso articolo, in quanto la res iudicanda, quale risultava dall'accordo, poteva arrivare fino in punto di responsabilità. Gli argomenti contenuti nella relazione al progetto preliminare, di cui si è già detto nel paragrafo precedente, non furono reputati convincenti, in quanto la direttiva n. 93, che delimitava così rigorosamente i casi in cui poteva adottarsi il rito camerale, era da configurarsi come una norma di dettaglio più che un principio o criterio direttivo, tanto che il 1 comma dell'art. 599 c.p.p. ne è la sostanziale riformulazione.

Secondo il parere dei giudici «la ratio della direttiva, quale emerge dal testo normativo e dai lavori preparatori, è bensì

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quella di accelerare la definizione del processo con l’adozione di un rito abbreviato, ma a patto che siano in discussione questioni attinenti alla pena e non alla responsabilità […] ritenere che l’accordo tra le parti possa far travalicare tale limite significa supporre che il legislatore delegante abbia inteso derogare indiscriminatamente, nella materia degli appelli, al generale principio della pubblicità della trattazione del merito dei procedimenti penali, che ha rilievo fondamentale in quanto consente a qualunque cittadino di verificare le ragioni e i modi dell’amministrazione della giustizia»13

.

Ad essere eccepita, in sostanza, non fu la costituzionalità in sé del concordato sui motivi in appello, quanto il venire meno della pubblicità dell’udienza.

La pronuncia non mancò di suscitare perplessità dal momento che, se la ratio posta a fondamento della sentenza della Corte Costituzionale poteva essere condivisa per l’ipotesi dell’accordo prima del dibattimento di appello di cui all’art. 599, 4 comma, c.p.p., non altrettanto poteva dirsi per l’ipotesi in cui l’accordo fosse intervenuto durante il dibattimento, dal momento che la definizione concordata del processo in fase dibattimentale (art. 602, 2 comma c.p.p.) non andava ad

13

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incidere in alcun modo sulla pubblicità del dibattimento che la pronuncia della Corte intendeva tutelare14.

Lo spazio operativo del concordato sui motivi d’appello venne recuperato con legge 19 gennaio 1999, n. 14 che – consapevole del fatto che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non aveva posto in discussione la costituzionalità in sé del concordato – ripristinò la norma eccedente la delega, recependo in questo modo le censure avanzate dalla dottrina che chiedevano di “correggere” l’errore della Corte Costituzionale15.

Tornava così ad essere pienamente ammissibile qualsiasi tipo di concordato, finanche in punto di responsabilità dell’imputato16

.

1.3. L’abrogazione del 2008

A sancire l’epilogo di questa ipotesi di negotiated justice è stato il d.l. 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza), convertito con modifiche dalla legge 25

14

CATALANO, L’accordo sui motivi di appello, Milano, 2001, p. 60-61

15

SPANGHER, Ritorno alle origini per il patteggiamento in appello in Dir.

Pen. Processo, 1999, 2, p. 144

16

CONSO, GREVI, Compendio di Procedura penale, edizione VIII, 2016, CEDAM, p.862

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luglio 2008, n. 125, che ha abrogato , sic et simpliciter, i commi 4 e 5 dell’art.599 e il comma 2 dell’art.602 c.p.p.

Le ragioni17 addotte dal legislatore a sostegno dell’intervento abrogativo, ed indicate nella relazione illustrativa del provvedimento legislativo, furono essenzialmente due: intento precipuo del legislatore era stato quello di eliminare dall’ordinamento un istituto non solo considerato responsabile di un’eccessiva mitigazione della risposta sanzionatoria, ma anche ritenuto responsabile di disincentivare le parti a ricorrere al patteggiamento in primo grado, vanificando così le finalità deflattive per cui era stato introdotto18.

Gli imputati, in buona sostanza, sarebbero stati indotti a non presentare la richiesta di applicazione della pena in udienza preliminare perché certi di poter comunque ottenere una riduzione della sanzione in appello, ma a quel punto – essendosi già celebrato il dibattimento – l’economia processuale risultava già compromessa.

Parte della dottrina ha sostenuto che l’abolizione del concordato sarebbe stata determinata unicamente da quella logica «reattiva e sensazionale tipica della legislazione di

17 Gli argomenti a sostegno dell’intervento abrogativo sono stati ritenuti

«poco persuasivi» da parte della dottrina, v. GAETA, MACCHIA, op. cit., p.593

18

BISCARDI, La scomparsa del patteggiamento in appello, in AA.VV., Il

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emergenza, sorretta dal fine di rendere più severi i trattamenti sanzionatori e certa l’esecuzione della pena»19

e che «Il legislatore del 2008, sospinto più dall’esigenza di una reazione immediata correlata all’allarme sociale determinato dalle contingenza che da un’attenta valutazione sul piano della sistematica e sul versante degli effetti, ha trascurato di considerare che l’istituto che si andava ad abolire, sebbene dotato di una innegabile connotazione negoziale, consentiva di conseguire significativi risultati sul medesimo terreno dai riti deflativi collocati nel precedente segmento processuale senza, tuttavia, assicurare alcuna forma di beneficio premiale addizionale»20.

In realtà l’insuccesso del negozio processuale si palesava proprio sul piano della pena, che subiva eccessiva riduzioni “ai limiti della legalità”, con gravi effetti sulla congruità della politica criminale21.

19

GAITO, L’appello, in DOMINIONI, CORSO, GAITO, SPAGNHER, DEAN, GARUTI, MAZZA, Procedura penale, Torino, 2010, p. 776

20

SURACI, Il concordato sui motivi di appello, in AA.VV., La riforma

Orlando. Modifiche al codice penale, codice di procedura penale e ordinamento penitenziario, a cura di Spangher, Pisa, 2017, p. 249

21

In questo senso MARANDOLA, Il ritorno del concordato sui motivi di

appello, in AA.VV., Le recenti riforme in materia penale, a cura di Baccari,

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2. LA DIMENSIONE ORIGINARIA DELL’ISTITUTO

2.1. La proposizione dell’accordo ed i soggetti legittimati alla stipulazione

I soggetti legittimati a stipulare l’accordo erano le parti processuali in senso stretto: all’intesa non potevano partecipare la persona offesa dal reato che fosse costituita parte civile, né gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi offesi da reato di cui all’art. 91 c.p.p., ai quali il codice riconosce diritto di presenza nel processo e non anche la veste di parte.

Protagonisti dell’accordo erano quindi il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria22.

Le forme per la proposizione dell’accordo erano quelle prescritte dall’art. 589 c.p.p. – richiamato esplicitamente dal 4 comma dell’art. 599 c.p.p. – per la rinuncia all’impugnazione. L’accordo poteva essere presentato personalmente dalle parti ovvero a mezzo del difensore munito di procura speciale ad

hoc, che ai sensi dell’art. 122 c.p.p. doveva contenere la

determinazione dell’oggetto per cui era conferita e dei fatti ai quali si riferiva.

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Qualora il difensore dell’appellante avesse “patteggiato” la pena, rinunciando agli altri motivi di gravame, munito di procura speciale rilasciata dall’imputato non in riferimento al procedimento de quo, ma ad un altro procedimento – pure pendente presso lo stesso ufficio e fissato per la stessa udienza dibattimentale – l’accordo era nullo23

.

Quanto al potere del difensore di accordarsi con il pubblico ministero, era stato affermato che «poiché non può conferirsi valore alla dichiarazione del difensore non munito di mandato

ad hoc, si verifica nullità anche quando, in sede di appello, il

difensore, non munito di procura conferita a lui personalmente, abbia patteggiato la pena, rinunciando agli altri motivi di gravame. La natura del particolarissimo atto dispositivo, in vista del quale i poteri sono – con la procura – conferiti, comporta che la scelta del professionista delegato a raggiungere l’accordo con l’organo dell’accusa debba ritenersi effettuata intuitu personae; ciò porta ad escludere che il delegato possa procedere alla nomina di un suo sostituto»24. Venne sostenuta, altresì, l’inammissibilità della richiesta di patteggiamento formulata all’udienza dal difensore privo di procura, benché alla presenza dell’imputato25

.

23

Cass. pen. sez. IV, 5.2.1992, n. 6117

24

Cass. pen. sez. V, 5.3.1999, n. 4253

25

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Tale orientamento è stato poi superato da successive pronunce che hanno ammesso la validità e l’efficacia della rinuncia all’impugnazione anche quando effettuata da difensore privo di specifico mandato, qualora l’imputato fosse stato presente all’udienza ove la rinuncia era presentata, valendo tale presenza come implicita ratifica della volontà espressa26.

2.2. (Segue): I poteri del giudice

Il giudice di appello, di fronte all’accordo delle parti, se decideva di accogliere la richiesta emetteva una sentenza di eguale contenuto, mentre se riteneva di non accogliere, allo stato, la richiesta, ordinava la citazione a comparire al dibattimento, con conseguente perdita di efficacia della domanda e della rinuncia, che potevano però essere riproposte nel dibattimento ex art. 602 c.p.p.

Il giudice godeva di piena libertà e autonomia valutativa, non essendo «semplice notaio di altrui volontà né mero garante della legalità formale di altrui scelte: ma vigile strumento di

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verifica anche della rispondenza sostanziale di queste determinazioni ai precetti della normativa penale»27.

Il giudice, in definitiva, poteva accogliere o respingere l’accordo che gli veniva proposto, ma non poteva modificarlo28

, tanto che nel secondo comma dell’art. 602 c.p.p. si precisava che «la richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall’accordo».

La richiesta concordata tra difesa e pubblico ministero in ordine alla misura finale della sanzione vincolava il giudice nella sua integrità, in quanto «la richiesta accolta deve essere basata, oltre che sulla esatta qualificazione del fatto, anche sulla condivisione di ogni altra circostanza influente sul calcolo della pena medesima, senza che il giudice possa prendere in considerazione elementi diversi da quelli prospettati»29.

Tuttavia, «in virtù del favore che il codice del 1988 manifesta verso soluzioni “negozial-processuali” della vicenda dibattimentale, è da ritenere che, nel rispetto della concordata pena-base e della misura finale di essa, non sussista violazione del precetto dell’art. 599, 5 comma, c.p.p., ove il giudice, nell’applicazione della pena indicata dalle parti e

27

BARTOLINI, L’accordo sui motivi di impugnazione. Primi casi di applicazione degli artt. 599 e 602 del nuovo codice di procedura penale, in Arch. e. proc. pen., 1990, p. 70

28

GRILLI, L’appello nel processo penale, Padova, 2001, p. 329

29

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ritenuta del tutto congrua al reato giudicato, precisi gli elementi a base della richiesta, esercitando i necessari poteri correttivi, purché non esorbitanti il rapporto tra il chiesto ed il pronunciato»30.

2.3. (Segue): L’irrevocabilità dell’accordo

Mentre non sussistevano dubbi sulla revocabilità dell’accordo per mutuo consenso, poiché le «istanze di economia processuale cedono di fronte alle esigenze di conservazione della fisionomia essenziale di un istituto strutturato sulla base di un presupposto – l’accordo delle parti – che viene ad essere neutralizzato dal perfezionarsi di un contrarius consensus»31, il tema diveniva meno agevole quando era una sola parte a volere revocare il consenso prestato.

L’irrevocabilità unilaterale dell’accordo rispondeva a quegli obiettivi di durata ragionevole dei tempi del gravame, sancita formalmente dall’art. 111 Cost.32

La giurisprudenza33, dopo aver chiarito che l’accordo sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con

30

Cass. pen. sez. VI, 25.1.1994, n. 3380

31

CATALANO, op cit., p. 97

32

PERONI, Il recesso unilaterale dal concordato sulla pena: tra logica

dispositiva e indefettibilità dei tempi ragionevoli del processo, in Cass. pen.,

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rinuncia agli altri eventuali motivi, «ha natura giuridica di negozio essenzialmente bilaterale, perché richiede il consenso delle due parti principali del processo o in punto di pena o anche in punto di responsabilità» aveva affermato che «dal carattere bilaterale del negozio processuale discende che esso è unilateralmente irrevocabile, e cioè non può essere risolto da una sola parte dopo sia perfezionato con il consenso dell’altra […] in materia, infatti, non possono che applicarsi i criteri stabiliti per il contratto dagli artt. 1326 e 1328 c.c., da intendersi come criteri generali per ogni negozio bilaterale». Dalla irrevocabilità del patto discendeva anche l’irrevocabilità della rinuncia ai motivi dell’ impugnazione, in quanto negozio abdicativo e recettizio che estingueva l’impugnazione nel momento stesso in cui perveniva all’autorità giudiziaria competente.

Perciò richiesta consensuale delle parti e rinuncia ai motivi perdevano efficacia solo quando il giudice non accoglieva il concordato e decideva in modo difforme dallo stesso.

Una volta consacrata nella decisione del giudice, la domanda non poteva essere modificata, in modo unilaterale, da chi l’aveva promossa o vi aveva aderito, nemmeno mediante ricorso per Cassazione, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata.

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3. L’IMPROPRIO ED EQUIVOCO USO DEL TERMINE

“PATTEGGIAMENTO IN APPELLO”

Fin dagli albori della sua prima codificazione, il concordato sui motivi di appello è stato comunemente definito anche con il termine di “patteggiamento in appello”.

Tale locuzione è ambigua, in quanto concordato sui motivi di appello e applicazione della pena su richiesta delle parti ex artt. 444 ss. sono due istituti insuscettibili di reductio ad unum. Trasferire ad un istituto l’etichetta di un altro non solo genera confusione, ma rischia anche di generare gravi conseguenze34.

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