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La criticità dell'apporto umano al processo lavorativo sembra allora cominciare ad emergere; il concetto tayloristico per cui il lavoratore è pigro ed infingardo, e proprio per questo è necessario astrarre da esso la conoscenza che possiede per affidarla ad un processo scientificamente determinato, comincia a vacillare; sembrano emergere invece, alla luce di alcune ricerche scientifiche, alcune dinamiche legate alla partecipazione ad al consenso operaio.

Le perplessità relative al valore aggiunto che la forza lavoro può dare alla produzione, sono testimoniate da alcune ricerche che evidenziano l'emergere di comportamenti collettivi messi in atto dai lavoratori, che sfuggono al controllo dell'organizzazione scientifica e non trovano, apparentemente, giustificazione.

I risultati di alcuni studi compiuti verso la fine degli anni '40 del secolo scorso infatti, registrarono delle incongruenze empiriche tra le teorie organizzative classiche e la concreta organizzazione del lavoro che veniva realizzata in fabbrica. Il riferimento è agli studi compiuti da Roy, Collins e Dalton nel 1946.182 La loro finalità era quella di osservare il fenomeno della

restriction of output (che concettualmente si avvicina molto al soldiering pretayloristico) che i

lavoratori erano in grado di realizzare ostacolando il normale andamento della produttività. Le osservazioni però fecero emergere che la restriction of output non era la sola strategia che gli operatori erano capaci di mettere in atto; al contrario, essi risultavano in grado di realizzare sistemi di lavorazione che permettevano di aumentare la produzione ben oltre gli standard richiesti sia a livello quantitativo che qualitativo. Gli studi furono poi approfonditi successivamente da Donald Roy attraverso la osservazione partecipante sperimentando in prima persona, per un anno, il lavoro di fabbrica.

Il sistema di produzione sembrava soggetto ad una contraddizione di fondo: apparentemente la principale ossessione dei lavoratori risultava essere infatti l'aumento della retribuzione, ma Roy notò come in talune occasioni essi si sottraessero volontariamente a palesi occasioni di guadagno. Queste occasioni emergevano grazie al metodo produttivo del cottimo, dove gli ingegneri di produzione elaboravano le tabelle per raggiungere la quota di produzione prefissata, mentre gli operai, prendendosene gioco, davano dimostrazione di poter gestire i tempi e gli spazi a proprio piacimento finendo in largo anticipo rispetto alle suddette tabelle. La capacità di

esercitare la propria autonomia nonostante gli stringenti vincoli imposti dagli ingegneri di produzione e dai superiori gerarchici, era fonte continua di rivalsa e di orgoglio per i lavoratori esecutivi.183 Roy dà a questa singolare circostanza il senso di un gioco realizzato da parte degli

operai, che in tal modo trovavano rinnovati stimoli ed una sorta di indipendenza, mentre le linee gerarchiche di officina, quelle a contatto più diretto coi lavoratori, vi partecipavano favorevolmente, ben sapendo che quello era il metodo migliore per ottenere il massimo impegno da parte dei lavoratori.184

La strutturazione di quelli che Roy chiama giochi di produzione, non è però scontata.

Ciò che interessa maggiormente ai lavoratori non è l'accresciuta quota di surplus185 che l'azienda

riesce a prelevare in caso di raggiungimento della quota di produzione prefissata, bensì la preoccupazione che il vertice organizzativo non cambi le regole del gioco e non intralci i lavoratori nello sviluppare i propri giochi di produzione. In quest'ottica allora il gioco di produzione non sarà penalizzante per la gerarchia, ma al contrario, giocherà a suo favore dato che le dinamiche messe in atto dagli operai, in maniera autonoma ed in contrasto con le direttive di vertice, risultano però essere effettivamente indirizzate al raggiungimento degli obiettivi manageriali. Gli operai esecutivi d'altra parte riusciranno ad esprimere, in percentuale minima ma comunque per loro necessaria, un certo grado di autonomia che serve a rendere sopportabile un lavoro routinario come quello della catena di montaggio.

Le prime evidenze che emergono dal lavoro di Roy sono riferite alla circostanza per cui laddove si presupponevano relazioni lineari, si sviluppano invece trame complesse sia orizzontalmente (nel senso di interazioni informali tra gruppi di pari grado), sia verticalmente (relazioni di questi gruppi con le linee gerarchiche); di conseguenza le premesse di partenza devono essere riviste. Una di queste è, per esempio, quella relativa ai moventi prettamente economici degli operatori o la convinzione che i lavoratori fossero in grado di attivare soltanto pratiche di lavoro disfunzionali alla produzione.

Da osservatore partecipante, Roy si rende conto delle sinergie che si creano tra diversi gruppi di operatori al presentarsi di determinate condizioni, come per esempio il possibile raggiungimento di una quota di produzione giudicata desiderabile; questa circostanza permetteva lo svolgersi del gioco di produzione, che si realizzava con la collaborazione di altri reparti mettendo in atto una ripetuta disattenzione delle indicazioni provenienti dal vertice, il quale, se da un lato subiva la perdita di autorità formale, dall'altra ne guadagnava nettamente a livello di produttività.186

183 Bonazzi, op.cit. p 152. 184 Ivi, p 153.

185 Ibidem.

L'autore, alla luce di queste considerazioni, non esita a definire la fabbrica come “un'accolta di disonesti”.187

A livello produttivo, la battaglia concreta si svolgeva innanzitutto contro i cronometristi, ovvero coloro i quali prendevano i tempi di lavorazione sui quali veniva calcolata la quota di cottimo: l'obiettivo dei lavoratori era quello di far andare più lentamente possibile il lavoro in modo da poter spuntare il maggior margine possibile di guadagno, ma in effetti, essendo comunque un lavoro difficile riuscire ad ingannarli sotto i loro occhi, inevitabilmente la parte maggiore dei giochi di produzione entrava in atto dopo, nel momento concreto della lavorazione, che veniva manipolata dai lavoratori a seconda del proprio volere. I tentativi di rafforzare i controlli infatti si articolano in una serie di nuove regole e nuovi sistemi promulgati come editti188, che però non

sortiscono nessun effetto se non quello di confermare la staticità del sistema. Roy sembra cogliere puntualmente i nodi cruciali del problema, ma non riesce a darne una lettura d'insieme in un quadro teorico ben articolato che spieghi come mai cambiano i rapporti interni al cambiare delle condizioni materiali, che spieghi e giustifichi la cooperazione informale tra vari gruppi e che sappia descrivere il necessario passaggio dalle posizioni classiche (che definivano razionale la direzione ed irrazionali gli operatori esecutivi) alle evidenze empiriche (che sembrano far emergere esattamente il contrario).

Per cercare di spiegare le dinamiche emerse dallo studio di Roy, c'è bisogno di una cornice teorica che comprenda gli elementi fondamentali del fenomeno osservato: innanzitutto la sistematicità del fenomeno (la cui costanza non permette di poterlo classificare come eccezione causata da particolari situazioni) ed in secondo luogo va spiegata la sua dimensione collettiva (non è infatti un fenomeno che si limita a comportamenti individuali di trasgressione delle direttive gerarchiche, ma presuppone la relazionalità tra i diversi soggetti coinvolti e l'ampiezza della diffusione di tale fenomeno ne determina la dimensione collettiva); in questo sistema di organizzazione osservato, si contraddicono gli assunti del modello classico che vedevano un'evidente inconciliabilità tra l'efficienza organizzativa e la soggettività individuale. Non si può quindi cercare di spiegare questo fenomeno attraverso gli assunti tradizionali che la storia del pensiero organizzativo rende disponibili.

La questione è dunque l'inadeguatezza delle direttive del vertice? Roy non arriva a nessun tipo di conclusione, se non quella per cui è necessario dismettere ogni tipo di predeterminismo ereditato dalle teorie classiche ed ammettere che il perseguimento dell'efficienza in ambito organizzativo è soprattutto una questione di cooperazione ed integrazione in processi che possano portare allo

sviluppo di nuove idee, atteggiamenti e strategie.189