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La questione dei rapimenti è sempre presente nella mente dei cittadini giapponesi, i quali esprimono le proprie opinioni attraverso la partecipazione ai sondaggi che i maggiori giornali nipponici svolgono regolarmente. La politicizzazione del tema è sempre forte e nel corso degli anni non ha accennato a prendere un corso diverso: l’inizio del 2012 vide firma di una petizione da parte di circa 8,5 milioni di persone per notificare al governo Noda che era giunto il momento di riaprire il dialogo con la Corea del Nord e far luce una volta per tutte sulla sorte delle vittime. Il 2012 si è differenziato dagli altri per la sua importanza e per la serie di avvenimenti che l’hanno contraddistinto. Definito come lost decade, il periodo che va dal 2002 al 2012 fu segnato da una continua ricerca di riavvicinamento alla Corea del Nord per risolvere i rapimenti: da quando Kim Jong Il aveva ammesso davanti al Primo Ministro Koizumi che Pyongyang era responsabile per i rapimenti dei cittadini giapponesi, Tokyo non aveva perso occasione per chiedere maggiori spiegazioni, suscitando anche l’ira di Cina e Russia per la troppa insistenza. Tuttavia, in dieci anni non si erano fatti concreti passi avanti, e il Giappone era insoddisfatto per il fallimento della strategia delle sanzioni economiche, le quali avrebbero dovuto convincere la Corea del Nord a negoziare ma che in realtà non avevano portato a niente. Dopo quattro anni di stallo nelle trattative bilaterali ad alto livello, nell’agosto del 2012 “Japan and North Korea agreed to hold working-level discussions

between middle ranking diplomats.”140 L’incontro si tenne dal 28 al 31 agosto nell’ambasciata

giapponese di Pechino e per la prima volta il Giappone ebbe a che fare con un rappresentante del nuovo governo di Kim Jong Un, neo leader in seguito alla morte del padre Kim Jong Il il dicembre precedente. Sebbene le aspettative per l’incontro fossero alte, Tokyo non si aspettava di arrivare ad un accordo in quanto sospettava che Pyongyang avesse acconsentito                                                                                                                

139  U.S.   Department   of   State:   “Remarks   with   Foreign   Minister   Koichiro   Gemba   after   Their   Meeting”,  

Washington,  D.C.  (December  2011).  

140  Maslow,   S.   “Yet   Another   Lost   Decade?   Whiter   Japan’s   North   Korea   Policy   under   Abe   Shinzō”   in   The  

al meeting solo per uscire dall’isolamento regionale e ottenere aiuti economici da parte del vicino che avrebbero permesso la sopravvivenza dello stato. Si parlò di diversi argomenti, tra cui il rientro in patria delle mogli giapponesi dei cittadini nordcoreani, la possibilità di organizzare visite alle tombe di cittadini giapponesi e un possibile rientro dei membri dello

Yodogō Group. Il caso dei rapimenti, sempre in cima ai pensieri della delegazione nipponica,

non venne trattato ma la Corea del Nord ammise che non si trattava di un caso chiuso come invece aveva affermato più volte dal 2002. La dichiarazione coreana sembrò soddisfare momentaneamente i rappresentanti giapponesi, tanto che si decise di riprendere le trattative entro la fine dell’anno, passando la parola a rappresentanti di un rango più alto.

Il 15 Ottobre 2012 marcò il decimo anniversario dal rientro in patria delle vittime sopravvissute ai rapimenti: documentari e editoriali ritracciarono il cammino che aveva portato alla scoperta dei rapimenti fino al rientro in patria delle vittime prima e delle famiglie che ancora erano in Corea del Nord pochi anni dopo. Diversi sondaggi dimostrarono che la questione era sempre in cima ai pensieri della popolazione, con un 87.6% di priorità rispetto alle ben minori percentuali del nucleare. La commozione per l’anniversario ben presto si unì al malcontento relativo al governo Noda, che a novembre, appena un giorno prima rispetto al nuovo incontro con i rappresentanti della Corea del Nord per intrattenere negoziati bilaterali, decise di chiamare nuove elezioni sciogliendo la Lower House. Data la presente impopolarità del DPJ, era sicuro che il nuovo governo sarebbe stato creato da un esponente del LDP in seguito alle elezioni previste per il 16 dicembre. L’incontro bilaterale con Pyongyang si tenne il 15 novembre 2012 a Ulan Bator in Mongolia, e di nuovo il Giappone si ritrovò a commemorare una ricorrenza riguardante i rapimenti: il giorno marcava il trentacinquesimo anniversario dalla sparizione di Megumi Yokota. Il meeting si aprì sulla scia della buona conclusione di quello precedente, e sebbene alla fine di esso non vi fossero stati decisivi passi avanti, i rappresentanti di Tokyo erano riusciti per lo meno a riaprire le trattative riguardanti i rapimenti. La volontà di entrambe le parti di lavorare sulle differenze per trovare un compromesso che potesse aiutare sia Tokyo che Pyongyang a ritenersi soddisfatti portò a stabilire un nuovo incontro all’inizio di dicembre: dallo stallo perpetratosi fin dal 2008, l’anno sembrava chiudersi in positivo grazie ai tre incontri bilaterali nel giro di pochi mesi. Programmata per il 5 e 6 dicembre a Pechino, l’ultima sessione fu rimandata a data da destinarsi a causa dell’annuncio della Corea del Nord di un imminente lancio di un Earth

observation satellite “widely view by international society as a test f the three-stage long-

range missile Unha-3.”141

                                                                                                               

Il 16 dicembre si tennero le elezioni in Giappone e la carica di Primo Ministro tornò a un personaggio molto conosciuto in patria: Abe Shinzo. L’impulso definitivo alla carriera di Abe era stato dato dalla sua vicinanza alle famiglie delle vittime dei rapimenti e al suo ruolo nelle varie negoziazioni con la Corea del Nord per tentare di ottenere chiarezza sulla sorte delle persone decedute. Ultra conservatore, Abe aveva già rivestito l’incarico di Primo Ministro tra 2006 e 2007: la sua rielezione segnava la fine di quattro anni di regno dei democratici e una decisa inversione nelle politiche interne ed estere. Una delle prime azioni da neo Primo Ministro fu la visita ad alcune delle famiglie dei rapiti, in particolare la famiglia Yokota, la cui figlia Megumi era divenuta il simbolo della lotta nipponica. Il nuovo programma di Abe non era molto diverso da quello che lo aveva portato a essere eletto la prima volta: vi era stato un cambiamento di retorica nella volontà di perseguire un nuovo paese anziché un meraviglioso paese, e per farlo Abe aveva promesso la revisione della Costituzione che, a causa delle dimissioni, non era riuscito a portare avanti durante il primo mandato. La revisione da lui proposta era legata a doppio filo con la questione dei rapimenti, politicizzata e usata per promuovere una modifica che avrebbe permesso al Giappone di uscire dalla condizione di paese pacifista e permettere così la creazione di un esercito che potesse prendere parte alle missioni delle Nazioni Unite e, in caso di necessità, proteggere il paese. In particolare,

“When speaking at a closed meeting of the Headquarters for the Promotion of Constitutional Revision in early 2013, Abe stated that ‘If we hadn’t had this kind of constitution, we may have been able to protect Megumi Yokota.’ He was referring to the ‘kind of constitution’ that did not allow Japan to react militarily to North Korea abducting Japanese citizens, despite at the time possessing tentative knowledge of the incidents.”142

I rapimenti erano visti in Giappone come una violazione del territorio nazionale, motivo per cui la presenza di un esercito o una modifica della Costituzione avrebbero potuto contribuire a salvare alcune delle vittime – se non tutte –, nonostante alcuni storici abbiano fatto notare che non sarebbe stato possibile parlare di violazione del territorio nazionale giapponese in quanto i due stati non intrattenevano relazioni normali e Tokyo non aveva mai formalmente riconosciuto la Corea del Nord. La missione di Abe, quella che il Primo Ministro si era auto-assegnato, era la risoluzione finale della questione dei rapimenti, ed egli non si sarebbe dato pace fino a quando “the families of all the abductees are able to hold their

                                                                                                               

relatives in their arms.”143 Il ritorno di Abe vide progressi anche in questioni che avevano avuto un inizio durante il suo mandato e che ora sembravano essere arrivate ad una conclusione: in primo luogo la politica di isolamento del Chongryon, l’ambasciata non ufficiale della Corea del Nord in Giappone, fu messa all’asta nel marzo 2013 dopo che il governo giapponese aveva perseguito alcuni dei membri per frode fiscale e indebitamento sequestrando anche la sede del quartier generale. L’asta fu vinta da un prete buddhista che aveva rapporti con Pyongyang e che acconsentì l’affitto al gruppo nordcoreano. In secondo luogo, il governo fece passare una legge che vietava alle scuole affiliate al Chongryon, e quindi nordcoreane, di permettere la frequenza e l’educazione senza tasse: dieci tra le scuole nordcoreane furono costrette a richiedere fondi al Ministry of Education, Culture, Sports,

Science and Technology.

A più di un anno di distanza dall’ultimo round di trattative bilaterali – tenutosi nel novembre 2012 e mai ripreso com’era invece stato pattuito – Pyongyang e Tokyo decisero, nel marzo 2014, di riprendere i negoziati e tentare di ottenere un riavvicinamento tra i due stati. L’incontro si tenne il 30 e 31 marzo a Pechino, in Cina: entrambi i governi erano pronti a impegnarsi per lavorare insieme, ma l’ambasciatore nordcoreano alle Nazioni Unite So Se Pyong tenne a precisare che Pyongyang sperava in un dialogo su temi diversi dai rapimenti, considerati ormai un caso chiuso. La Corea del Nord auspicava una negoziazione sugli aiuti economici che il Giappone avrebbe dovuto stanziare a favore dello stato coreano per compensare alle atrocità commesse durante il periodo coloniale – tra cui l’ambasciatore So inserisce “8.4 million people abducted into Japan” –, chiedendo inoltre una riapertura del dibattito sulle Comfort Women, ossia quelle donne coreane che durante il periodo colonialista erano state forzate alla prostituzione: “So if this [the dialogue] is positive, than that would be very nice, it would be good for both peoples, the peoples of both countries. That is why we

are trying to have that kind of dialogue.”144 Il Giappone si era detto disposto a sollevare

alcune delle sanzioni minori che erano state imposte anni prima e che, a causa dei lanci di missili e dello stallo nella risoluzione della questione dei rapimenti, erano state prolungate ogni sei mesi. L’incontro rappresentò un concreto primo passo verso ciò che sembrava essere il nuovo momento per tentare di risolvere tutte le differenze e arrivare a normalizzare i rapporti bilaterali dopo anni di tentativi falliti. La fine del meeting sembrò soddisfare entrambe le parti, che decisero di riprendere le trattative a Stoccolma, Svezia, nel maggio dello stesso anno. Dal 26 al 28 maggio, dunque, i rappresentanti di Tokyo e Pyongyang si                                                                                                                

143  Maslow,   S.   “Yet   Another   Lost   Decade?   Whiter   Japan’s   North   Korea   Policy   under   Abe   Shinzō”   in   The  

Asia-­‐Pacific  Journal,  Vol.  11,  Issue  15,  No.  3,  April  15,  2013.  

trovarono nuovamente per continuare le discussioni iniziate nel marzo precedente. Il Giappone sottolineò ancora una volta che sarebbe stato disposto a togliere alcune sanzioni – “the most effective way to move forward” – ma solo nel caso in cui la Corea del Nord avesse accettato di riaprire le indagini per i rapimenti ottenendo così un passo avanti, seppur piccolo, nella risoluzione della questione. Prima dell’incontro, il MOFA spiegò ai giornalisti le difficoltà che potevano essere incontrate nel negoziare con le controparti nordcoreane: “When you negotiate with North Korea, you match words with words and action with action. If they say a positive word, we will return with positive words. If they take positive action, we will

do likewise.”145 Una simile dichiarazione mostra come i delegati delle due parti dovessero

scegliere le parole per cercare di non suscitare rabbia o scandalo durante le trattative: tuttavia, essa dimostra anche che richieste troppo insistenti da parte del Giappone avrebbero potuto avere un effetto negativo sul risultato dell’incontro, portandolo a vertere sulla metodologia di dialogo piuttosto che sul dialogo stesso. Nonostante la Corea del Nord abbia cercato più volte di risolvere diversi altri argomenti visti dal proprio governo come prioritari, Tokyo non voleva avere distrazioni di alcun tipo per risolvere in primo luogo il caso dei rapimenti. Nel 2008, al termine dell’incontro tenutosi a Shenyang, Pyongyang aveva annunciato che avrebbe riaperto le indagini, ma il cambio di Primo Ministro il Giappone aveva fermato la riapertura. Tokyo, convinta di poter trovare un accordo con la Corea del Nord durante il meeting di fine maggio, asserì che un riavvicinamento delle parti avrebbe potuto portare alla riesumazione dell’accordo preso sei anni prima e mai onorato. Ciò che chiedevano i giapponesi era dunque la promessa dell’apertura di nuove indagini: la domanda nipponica sembrava ragionevole e avrebbe portato benefici a Pyongyang, tra cui la promessa che “once North Korea starts reinvestigation of the abduction cases, Japan will lift travel restrictions between the two

countries and allow direct charter flights.”146 Al termine dell’incontro si arrivò a un patto ben

visto da entrambe le parti e che denotava la volontà di riconciliazione e l’ottenimento di progressi nella normalizzazione dei rapporti bilaterali. Il Giappone avrebbe provvisto ad aiuti umanitari, eliminazione di sanzioni e avrebbe tentato di lavorare per il miglioramento della situazione dei coreani in Giappone, soprattutto quelli affiliati alla Corea del Nord e al Chongryon. Pyongyang, invece, avrebbe istituito uno “Special Investigation Committee” per approfondire le ricerche sulla sorte delle persone rapite negli anni ’70 e creare una lista di tutti i giapponesi residenti in Corea del Nord da fornire successivamente al Ministero degli Esteri nipponico per confrontare i nomi dei residenti con quelli che si pensavano essere scomparsi perché rapiti. Il 29 maggio Pyongyang annunciò che le nuove indagini sarebbero partite a                                                                                                                

145  The  Japan  Times,  “Abductions  set  to  top  North  Korea-­‐Japan  talks”,  May  26,  2014.   146  Ibid.    

luglio e che la Corea del Nord avrebbe cercato una nuova prospettiva nel cercare di dare una risposta alle domande del Giappone: Kishida aveva chiesto che Pyongyang rispondesse a 150 domande specifiche sui rapimenti per ottenere informazioni e proseguire con i negoziati per la normalizzazione. Il comitato fu effettivamente istituito il 4 luglio 2014, e Pyongyang informò subito Tokyo che le ricerche avrebbero richiesto tempo, ma che un primo riscontro sarebbe stato fornito al governo giapponese tra la fine di agosto e la prima metà di settembre – probabilmente entro il 10. Le famiglie delle vittime tornarono a sperare in un qualche passo avanti e in prove concrete che avrebbero portato a sapere cosa fosse successo ai loro cari. Parte della popolazione nipponica e alcuni ultra conservatori rimanevano scettici sui risultati che la Corea del Nord avrebbe fornito, in quanto le indagini condotte in passato non avevano portato a niente e, anzi, avevano allontanato ancora di più le parti al tavolo delle trattative. Durante un incontro di wrestling a fine agosto, a cui prese parte un politico ed ex lottatore giapponese, Antonio Inoki, ci furono nuovi incontri tra lo sportivo e un rappresentante del governo, Kang Sok Ju, “a seasoned diplomat who plays a pivotal role in North Korea’s foreign affairs”, per comprendere quale fosse il punto della situazione nelle indagini. Al suo rientro in patria, Inoki parlò di ciò che gli era stato comunicato da Pyongyang, ovvero che il comitato era “‘pretty much ready’ to announce the results of its investigation of missing Japanese. They are well aware of the fact that Japan is placing the abduction issue as its top

policy priority.”147 Le attese furono disilluse quando la Corea del Nord annunciò un ritardo

nella presentazione del primo resoconto: le ricerche, secondo Pyongyang, erano ancora a un “early stage” che non avrebbe permesso l’invio del dossier promesso a luglio. Le reazioni in Giappone non si fecero attendere: in molti speravano in un primo rientro di alcune delle vittime – considerate ancora vive dal Giappone e ritenute sotto stretto controllo da parte del governo nordcoreano – e fu avanzata l’ipotesi che quelle della Corea del Nord fossero solo scuse per rallentare tutto il processo e ottenere maggiori benefici dalle trattative che si sarebbero dovute tenere nel corso delle indagini. Abe, parlando con i giornalisti, fece sapere che il Giappone avrebbe continuato ad applicare la tattica di dialogo e pressioni che aveva sempre usato con la Corea del Nord e che lui avrebbe personalmente richiesto spiegazioni a Pyongyang: un’intervista successiva dichiarò che “Prime Minister Shinzo Abe urged Pyongyang to ‘sincerely conduct the investigation and honestly answer’ all the questions

about the alleged abductions.”148 In risposta alle pressioni del Primo Ministro giapponese, la

Corea del Nord spiegò che per ottenere un risultato soddisfacente delle indagini ci sarebbe                                                                                                                

147  The   Japan   Times,   “Inoki   returns,   says   Pyongyang   set   to   air   results   of   abducted   probe”,   September   3,  

2014.  

voluto almeno un altro anno. Il contenuto del primo resoconto ufficiale era stato presentato all’inizio di settembre ma rifiutato da Tokyo poiché in esso non figurava nessuna nuova informazione sulle vittime dei rapimenti alla fine degli anni ’70.

Il 13 e 14 settembre 2014, Junichi Ihara, direttore generale dell’Ufficio del Ministero degli Esteri per l’Asia e l’Oceania, e Song Il Ho, ambasciatore nordcoreano per la normalizzazione dei rapporti con il Giappone, s’incontrarono per discutere del rifiuto dei contenuti della relazione tardiva e di una possibile nuova data di consegna. Il 29 settembre 2014 si tenne un ulteriore incontro, sempre guidato da Ihara e Song Il Ho, nella città di Shenyang in Cina – la stessa in cui le due parti si erano incontrate nel 2008. Il meeting durò circa quattro ore e mezzo e l’unico argomento all’ordine del giorno fu lo stato delle indagini: Pyongyang fece sapere che le ricerche erano in corso, ma per poterle svolgere in modo approfondito si era trovata impossibilitata a fornire le prove richieste da Tokyo. Per poter dimostrare che nonostante il ritardo il comitato aveva mantenuto la promessa e stava lavorando per dare nuove spiegazioni al governo nipponico, la Corea del Nord invitò una delegazione giapponese a Pyongyang per verificare personalmente della buona fede: “Song asked director Ihara to come to Pyongyang to meet members of the special investigation

committee to get updated on the details of the probe.” 149 Alla domanda di viaggio coreana, in

diversi fecero notare che un eventuale viaggio dello stesso Primo Ministro Abe avrebbe probabilmente comportato una risoluzione più veloce della questione e sarebbe stato visto come viaggio storico quasi alla pari di quello di Koizumi nel 2002. Assolutamente contrari a un possibile viaggio di Abe in Corea del Nord erano gli Stati Uniti poiché se il Primo Ministro si recasse a Pyongyang potrebbe seriamente compromettere il coordinamento trilaterale con America e Corea del Sud; se il viaggio in futuro dovesse essere strettamente necessario, gli Stati Uniti gradirebbero una previa consultazione per discutere di possibili strategie da adottare. È importante notare che le condizioni del 2014 sembrano avere somiglianze con il contesto del 2002: all’epoca, il Primo Ministro Koizumi aveva informato Washington dell’imminente viaggio in Corea del Nord con solo 72 ore di anticipo; Obama sembrava non voler affrontare la stessa situazione, permettendo inoltre al Giappone di proseguire lo sviluppo della normalizzazione con Pyongyang in solitaria. Il miglioramento dello stato dell’alleanza nippo-americana subì un leggero colpo quando il Segretario di Stato John Kerry, in una conversazione telefonica con il Ministro degli Esteri Fumio Kishida, espresse il dispiacere degli Stati Uniti nei confronti delle recenti mosse giapponesi, in particolare la rimozione di alcune delle sanzioni imposte alla Corea del Nord. Il Giappone

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