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Società civile o gestore di servizi?

Giacomo Panizza

Q

uesto articolo, appar-so sul quotidiano “Il Manifesto” di sabato 13 febbraio 1999, fa parte di un dibattito che il giornale sta ospitando, favorendo il con-fronto tra i soggetti sociali che in Italia compongono il varie-gato mondo del “terzo settore”.

I temi della politica, della democrazia sociale, dell’eco-nomia, della rappresentanza;

così come i valori e i principi a cui le diverse “anime” del

“sociale organizzato” si riferi-scono, stanno così emergendo con differenti interpretazioni e su registri diversi.

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d o n o a p e r t a m e n t e i l disegno strisciante di Istituzioni pubbliche che esternalizzano i servizi del welfare, s g a n c i a n d o l i a d organismi del terzo settore, ed esauto-rando lo Stato e il Mercato dai doveri di solidarietà. Non è affatto giusto, e tantomeno risul-t e r à v i n c e n risul-t e offrire loro l’àlibi d i c h i a m a r s i f u o r i . O g g i p i ù che mai.

U n “ s o c i a l e ” l a s c i a t o i n abbandono non può venire sanato dalle organizzazioni

“non profit”. Sarebbe un deli-rio di onnipotenza. Qui non si tratta che il terzo settore svol-ga o meno servizi e vensvol-ga sor-r e t t o ( n e l s e n s o d i p a g a t o ) dallo Stato o dal Mercato o da b e n e f a t t o r i a l l a “ t e l e t h o n ” , poiché qui si tratta di ben altro. Cioè non si tratta di gestire la quantità e la qualità di qualcosa, ma di garantire la dignità di qualcuno. E per fare questo non basta la gra-t u i gra-t à d e l v o l o n gra-t a r i a gra-t o , n é l’organizzazione della coopera-zione sociale, né l’impegno delle libere associazioni dei c i t t a d i n i , m a p i u t t o s t o s i rende necessaria l’autorevo-lezza di una Repubblica capa-c e d i e s i g e r e capa-c h e “ i d o v e r i i n d e r o g a b i l i d i s o l i d a r i e t à

politica, economica e sociale”

vengano concretizzati diffusa-mente.

Principi e interessi nel terzo settore

N e l d i b a t t i t o i n c o r s o s i e n f a t i z z a i l p r i n c i p i o d i s u s s i d i a -rietà. Anche

l a

“Convention della solida-rietà” lo ha sottolineato nella sua pre-messa. Le differenti

“ a n i m e ” d e g l i e n t i firmatari del “forum”

del terzo settore su questo principio si ritrovano sbilanciate dalle loro stesse matrici culturali di origine, e si trovano accorpate in corda-te finora inedicorda-te.

Nella citata “convention” è scritto che le organizzazioni del terzo settore “costituisco-no una risorsa morale, una riserva di etica della solida-rietà e della partecipazione e nel contempo un motore crea-t i v o d i s e r v i z i , d i i m p r e s a sociale, di lavoro, da mettere a disposizione del paese” (…) – e si continua invocando – “un nuovo rapporto improntato alla piena applicazione del principio di sussidiarietà che prevede (…) un ruolo centrale delle istituzioni intermedie, dei soggetti organizzati della società civile, delle associazio-ni propriamente di terzo

set-t o r e , c o m e p r e v e d e l a Costituzione” - e cita gli artt.

2 e 3.

L’affermazione è più lunga e maggiormente esplicativa, ma ugualmente poco precisa. Gli articoli della Costituzione non lasciano dubbi e confusione come fa la frase della “conven-tion”. Non è la imprecisione dei ruoli dei soggetti istituzio-nali e sociali che oggi fa bene ai temi della cittadinanza, dei diritti, dei servizi.

Ed infatti essa lascia nella c o n f u s i o n e p r o p r i o i l t e m a della gestione dei servizi da parte dei gruppi organizzati della società civile. Ma quan-do si tratta della gestione di servizi non si può più parlare di “collaborazione”, se non in senso ampio. Il termine più e s a t t o è s e m p l i c e m e n t e

“ g e s t i o n e ” . I n f a t t i i s e r v i z i sociali vanno gestiti tramite procedure chiare, con conti-nuità, con professionalità, con obiettivi e programmi e meto-di, e vanno valutati nella loro efficacia; in definitiva essi si danno in appalto o in conven-zione.

La sussidiarietà enunciata dal papa Pio XI esprimeva preoc-cupazione per le libertà dei c i t t a d i n i d i f r o n t e a d u n o Stato pervasivo che poteva e soleva espropriare (siamo in p i e n o f a s c i s m o ) l e p e r s o n e della loro libertà e capacità di individuare, affrontare e risol-vere i problemi. Essa era per sostenere il diritto al

protago-n i s m o d e l l e p e r s o protago-n e , d e l l e f a m i g l i e e d e l l e f o r m a z i o n i sociali intermedie a determi-n a r e i l p r o p r i o d e s t i determi-n o . L a sussidiarietà invocata invece ora, da alcune forze del terzo settore, mi pare piuttosto che abbia ristretto il campo alla preoccupazione di partecipare a g e s t i r e i n p r o p r i o s e r v i z i sociali, sanitari, educativi e quant’altro.

Qui non si mette in discussio-ne il diritto di partecipare alla definizione dei bisogni e delle linee generali di politica socia-l e , d i p r o g r a m m a z i o n e , d i gestione e di verifica dei servi-zi da parte dei cittadini e dei gruppi sociali. Nemmeno sto mettendo in discussione la partecipazione dei cittadini allo svolgimento del servizio loro rivolto: un disabile deve partecipare attivamente alla sua riabilitazione, al suo inse-rimento sociale, al program-ma che prevede la sua inte-grazione scolastica, e così via.

La paura di espropriazione di diritti da parte di operatori o di servizi rimane intatta, sia che l’ente sia pubblico che privato.

N e m m e n o s t o m e t t e n d o i n d u b b i o l ’ i m p o r t a n z a d e l l a gestione privata dei servizi rivolti alla persona e alla col-lettività: la federazione di cui faccio parte gestisce centinaia di servizi privati. Essere enti gestori di servizi non è equiva-lente ad essere gruppi inter-medi della società civile. La

gestione ”dal basso” dei servi-zi pagati dalla collettività o dai singoli non è sussidiarietà: è mercato dei servizi. Le con-venzioni non sono esattamen-te “collaborazioni” ma “con-tratti” per la fornitura di ser-vizi.

L’arcipelago del terzo settore raccoglie “anime” differenti e diversamente interessate: vi sono interessi di salvaguardia dell’ente, dei posti di lavoro, dei ruoli dei componenti, della mission dell’organizzazione, dell’immagine. Vi sono inte-ressi economici, di gestione, di consolidamento di bilanci, di dare lavoro a professionisti e a persone appartenenti alle cosiddette fasce deboli. Vi è anche un potere “nel” sociale che alcuni potrebbero anche dosare come merce di scam-bio economico o politico.

Se il terzo settore si confron-terà apertamente al suo inter-no, se espliciterà le sue diffe-renti “anime” e i suoi interessi esso si potrà ancora ergere di fronte al primo e al secondo settore con dignità e con forza morale significative e attraen-ti. Se al contrario focalizzerà le sue energie nella battaglia per la gestione dei servizi, il mercato stesso provvederà a spazzarlo via, con una buona spinta anche da parte della politica di basso profilo (che non manca mai).

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