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Cina

Letterature

Judith Lennox, TUTTE LE MIE SORELLE, ed. orig.

2005, trad. dall'inglese di Lucia Corradini Caspani, pp. 511, € 19, Corbaccio, Milano 2006

Rassicura il lettore la salda struttura ottocen-tesca di Tutte le mie sorelle dell'inglese Judith-Lennox. Scrittrice prolifica e popolare, Lennox si divide tra saghe familiari e romanzi d'ambienta-zione storica con l'intento primario di analizzare il complesso girotondo di sentimenti che coin-volge i personaggi che affollano le sue opere. Questa volta i destini delle quattro sorelle del ti-tolo si compiono all'alba del Novecento tra la Londra degli scioperi e delle lotte delle suffra-gette e la laboriosa Sheffield delle industrie. Donne alla vigilia di cambiamenti epocali, Ma-rianne, Eva, Iris e Clemency si dibattono tra il de-siderio di amare e quello di rendersi autonome, tra la sorte di diventare mogli "decorative" e la li-bera scelta di realizzare le proprie aspirazioni. L'argomento è scivoloso e l'insidia del luogo co-mune è sempre in agguato, anche perché la vo-ce serena ed equilibrata del narratore onni-sciente smorza la drammaticità delle vite dei personaggi. Un romanzo di sapore squisitamen-te vittoriano per il fluido svolgimento dì un in-treccio complesso, per la minuziosa descrizio-ne degli ambienti e per la caratterizzaziodescrizio-ne in-cisiva anche dei personaggi minori. Ingredienti narrativi usati con maestria che assicurano una lettura piacevole e a tratti anche avvincente, ma che tuttavia non convince. La scrupolosa rico-struzione storica, basata su un ampio lavoro di documentazione, riesce a evocare l'Inghilterra edoardiana con suggestioni quasi fotografiche, ma l'immagine di questo passato problematico non diviene mai metafora o strumento interpre-tativo delle realtà odierne. Il narratore non si spo-sta mai dal suo punto di vispo-sta e l'interiorità dei personaggi viene come cristallizzata dal suo sguardo distaccato. Con il risultato che i conflitti che affliggono le quattro sorelle appaiono spes-so prevedibili e poco autentici.

SUSANNA BATTISTI

Wesley Stace, LA BALLATA DI MISS FORTUNE, ed.

orig. 2005, trad. dall'inglese di Katia Bagnoli e Maurizio Bartocci, pp. 547, €17, Mondadori, Mi-lano 2006

Il romanzo di esordio dell'inglese Stace, scrittore ma anche musicista, newyorkese di adozione, è stato accolto con grande favore dalla critica, sicuramente in virtù dell'originalità che lo caratterizza. Si pone infatti al di fuori dei limiti della contemporaneità, attraverso la scel-ta dell'autore di ambienscel-tare la vicenda nell'In-ghilterra ottocentesca e di strutturare la narra-zione non solo sul canone del grande romanzo storico, ma anche sulla presenza di topoi che richiamano la letteratura dell'antichità greca e latina. La trama si sviluppa infatti intorno alla fi-gura di Rose, neonato abbandonato e destina-to a morte certa, che, raccoldestina-to dal rampollo di una famiglia aristocratica, viene allevato come una bambina, a dispetto del suo sesso. La sto-ria segue dunque la crescita di Rose, le alterne vicende della famiglia, l'avvicendarsi di perso-naggi e di intrighi, i viaggi del protagonista, per giungere a un finale (a sorpresa) che risolve la vicenda secondo il modulo classico del "rico-noscimento". Centrale rimane la questione del-l'identità del protagonista e, in particolare, la sua delicata posizione genderica. In questo senso, il romanzo opera un interessante ribal-tamento che proietta la vicenda storica verso una delle problematiche più contemporanee, quella dell'identità sessuale e dell'assottigliarsi dei confini fra il maschile e il femminile. Se in-fatti lo stile della narrazione risulta impeccabil-mente ricalcato sul romanzo ottocentesco, con lunghe descrizioni e abbondanza di dialoghi, la questione dell'identità di Rose viene invece sempre affrontata con uno stile più contempo-raneo e provocatorio. La narrazione scorre co-sì in maniera veloce e piacevole, non trascu-rando però di far emergere, al di sotto della tra-ma "fattuale", i tormen;: e i dubbi della co-scienza del protagonista. Solo qualche espe-diente metanarrativo di troppo intacca il

ro-manzo, trasformando a tratti in un disorienta-mento voluto e di maniera quello che altrove nel testo è sana complessità delle sfumature.

TERESA PRUDENTE

John Berger, LILLÀ E BANDIERA, ed. orig. 1990,

trad. dall'inglese di Maria Nadotti, pp. 176, € 17, Bollati Boringhieri, Torino 2006

Ultimo della trilogia Into Their Labours, i cui due precedenti volumi sono Le tre vite di Lucie (Gelka, 1992) e Una volta in Europa (Bollati Bo-ringhieri, 2003), Lillà e Bandiera è una parabola allegorica sull'emigrazione, lo sradicamento e lo spasmodico desiderio di ritornare alle origini. Ambientato in una Troia circonfusa dall'alone del mito e, al contempo, sfigurata dagli obbrobri urbanistici dell'era della globalizzazione, il ro-manzo si svolge su un piano di assoluta so-spensione temporale, travalicando i confini geo-grafici e assumendo un carattere universale. A dispetto del titolo, la storia non coinvolge soltan-to i due protagonisti, due emarginati senza tetsoltan-to né legge che trovano conforto nella loro trava-gliata storia d'amore, ma è un mosaico di tante piccole storie messe insieme dalla memoria di

una vecchia che alterna spezzoni del racconto a riflessioni sulla sua vita. Oltre a essere onni-sciente, la donna sembra possedere il dono del-l'ubiquità. Parla infatti come se fosse stata testi-mone oculare degli avvenimenti più disparati: dal primo incontro d'amore tra Sucus e Zsuzsa,

alias Lillà e Bandiera, all'interrogatorio subito a

porte chiuse da Sucus. La scrittura di Berger è potente, essenziale e incisiva. A tratti surreale a tratti iperrealistico, il racconto si lancia spesso in immagini ardite capaci di suggerire intense vi-sioni oniriche. Sia i paesaggi rurali dei villaggi dell'entroterra sia gli ambienti degradati della città rimangono impressi nella memoria per la loro prepotenza visiva. Non sorprende, visto che Berger è anche un grande studioso d'arte.

( S . B . )

James Kelman, TROPPO TARDI, SAMMY, ed. orig.

1994, trad. dall'inglese di Massimo Bocchiola e Fla-vio Santi, pp. 368, €17, Sartorio, Pavia 2006

Il lettore si sente come schiaffeggiato dalla prosa sfilacciata di questo romanzo: un lungo monologo interiore interrotto soltanto da mozzi-coni di dialogo di sapore beckettiano, una scrit-tura che, con l'andamento cantilenante del dia-letto locale di Glasgow, fitto di ripetizioni e di im-precazioni varie, riesce a gridare l'assurdità del-la condizione umana. Per rendere l'idioma loca-le di Kelman la traduzione ha evitato l'impiego di un singolo dialetto nostrano, prediligendo una commistione di gerghi e di variazioni dialet-tali, una sorta lingua "inventata". Sammy è un

everyman dell'era globale e la sua odissea

con-siste semplicemente nel sopravvivere. È un ex detenuto, che al risveglio da un weekend di sbornie, scommesse e chissà quali altre male-fatte, si imbatte di nuovo nella polizia. Fa a pu-gni con gli agenti e viene rispedito in galera, dove scopre di aver perso la vista. Il suo calva-rio è fatto di interrogatori tra le sbarre e poi, una volta rilasciato, di visite a vari enti assistenziali e a studi medici, nel vano sforzo di trovare un supporto. La sua cecità trasuda dal suo ragio-nare con se stesso. Ogni gesto è ripetuto all'in-finito, ogni azione avviene con estrema lentezza in una dimensione temporale assolutamente soggettiva. Sammy tuttavia non si dà per vinto e la caparbietà con la quale brancola nel buio in totale solitudine lo trasforma da eroe inetto a eroe vitale. Per contrasto, la società senza volto che lo rifiuta appare come paralizzata, priva di

scopo e di senso. La protesta di Kelman non è mai enunciata nel suo intento e per questo an-cor più tagliente. Non meraviglia che il Booker Prize nel 1994 avesse sollevato tanto polverone: alcuni critici definirono il romanzo "una schifez-za", forse per l'abuso di termini sboccati (in una sola pagina "fucK' può comparire fino a venti-cinque volte) o, forse, per il rimescolamento dei canoni narrativi che Kelman ha messo in atto.

( S . B . )

Alan Hollinghurst, LA LINEA DELLA BELLEZZA, ed.

orig. 2004, trad. dall'inglese di Giovanna Granato, pp. 500, € 19, Mondadori, Milano 2006

Nel 1983, appena uscito da Oxford, Nick Guest è un ventenne gay, inesperto ma co-sciente di quello che vuole e determinato a ot-tenerlo. Unico figlio di modesti provinciali, viene ospitato a Londra da Toby Fedden, suo com-pagno di università di cui è innamorato senza esserne corrisposto, nella magnifica casa di fa-miglia a Notting Hill. Allacciando un complesso nodo di rapporti con il padre Gerald, deputato Tory in ascesa, l'aristocratica madre Rachel, Catherine, la sorella inquieta e sofferente, entra

- in contatto con il mondo dei ricchi da una po-sizione incerta, a metà tra l'amico e l'intruso, È proprio questa ambiguità a renderlo un per-sonaggio interessante, sempre in bilico tra l'il-lusione di essersi conquistato un posto nel cuore dei potenti e la coscienza della propria esclusione. L'ascesa sociale di Nick, in paral-lelo con quella di Gerald, si svolge sullo sfon-do dell'epoca thatcheriana, nei crudeli anni ottanta euforici di speculazioni e imbottiti di cocaina. Leo, il suo primo amante proletario, è presto sostituito da altri amori più prestigiosi e sfrenati, ma nel frattempo è comparso l'Aids a mettere una nota lugubre nella festa mobile de-gli omosessuali alla moda. Nel 1987 Gerald e Nick capitombolano, ma possiamo immaginare che presto si rialzeranno. L'ambizioso affresco, debitore alla tradizione inglese del romanzo a sfondo sociale, fitto di personaggi e dialoghi che talvolta sfiorano la futilità e non immune da compiaciuti snobismi, ci avrebbe guadagnato con qualche taglio.

CONSOLATA LANZA

Dorothy Parker, GLI UOMINI CHE NON HO SPOSA-TO, trad. dall'inglese di Ileana Pittoni, pp. 154,

€ 13,50, La Tartaruga, Milano 2006

Non sorprende che i folgoranti racconti di Do-rothy Parker vengano riproposti in nuove ristam-pe, a dispetto del lungo silenzio editoriale italia-no, spezzato solo negli anni novanta con la pub-blicazione della raccolta Tanto vale vivere (La Tartaruga). In questo volume vengono riproposti tredici fra racconti e brevi saggi che Parker ave-va escluso dalla pubblicazione della sua opera omnia The Portable Dorothy Parker del 1944. A rileggerli se ne ammira l'agilità, l'intelligenza e la modernità dell'impianto narrativo. Alcuni, come ad esempio La giarrettiera, si presentano come densi monologhi interiori, altri, come Che uomo

affascinante, si sostanziano essenzialmente di

dialogo tra due o più personaggi. Spesso la scrittrice mette in moto il flusso della doublé

con-sciousness, mostrando un personaggio che al

contempo pensa e agisce in modo diverso. Nel-l'ironicissimo Il banchetto del rospo mette in sce-na se stessa, elegante e sorridente, seduta al desco di un ospite al cui invito non ha potuto sot-trarsi, che passa il tempo prevedendo le mosse degli altri invitati o immaginando i loro pensieri. Anche quando il narratore è in terza persona o anche quando è lei stessa protagonista del rac-conto, Parker riesce nell'intento jamesiano di rendere la scrittura talmente oggettiva da mate-rializzare i personaggi sulla pagina. Ascoltatrice attenta del cicaleccio della high society che suo malgrado si trovava a frequentare, la perfida ma fragile Dotty sa cogliere tutte le piccole perfidie, i luoghi comuni, le banalità, ogni vizio e le poche virtù della società del suo tempo, in questa serie di racconti il cui filo conduttore è l'incomunicabi-lità, la non reciprocità affettiva, la solitudine e l'il-lusione di esserne esenti.

I D E I L I B R I D E L M E S E !

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S O E s o S O OD

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Antonio Di Benedetto, L'UOMO DEL SILEN-ZIO, ed. orig. 1964, trad. dallo spagnolo di

Ma-ria Nicola, prefaz. di Laura ? aMa-riani, pp. 184, € 8,50, Rizzoli, Milano 2006

A più di quarànt'anni dalia pubblicazio-ne in lingua originale, anche i lettori italiani hanno la possibilità di leggere L'uomo del

silenzio, opera di un autore peculiare nel

panorama letterario argentino, Antonio di Benedetto, presentato dall'interessante prefazione di Laura Pariani. li protagonista senza nome vive insieme alla madre in una cittadina argentina, li suo problema è rap-presentato dalla presenza dei rumori: i ru-mori della città, provocati dalle persone, descritti soprattutto nella prima parte del romanzo, e i rumori metafisici, come li defi-nisce il suo amico Besarión, non materiali, provocati dal fluire della vita stessa, di cui tratta ia seconda parte. La ricerca del si-lenzio, necessaria anche per il fatto che i suoni gli provocano terribili dolori di capo, conduce il protagonista ad

appellarsi a polizia e auto-rità immaginarie, lo obbli-ga a cambiare continua-mente casa, a cercare il sostegno dei vicini che non riescono a capirlo e a commettere gesti sconsi-derati ed estremi. Nean-che l'amore sommesso e devoto di Nina, la donna di cui non è innamorato ma che decide di sposare for-se per farne un'alleata, lo allontana da questo triste

e solitario sentiero di follia alla ricerca del silenzio. Il protagonista ha due appigli per cercare di sfuggire al suo destino, ai quali cerca invano di aggrapparsi: uno è rap-presentato dalla madre, figura defilata ma

carica di forza, che non si rassegna alla sorte del figlio; l'altro è l'idea di scrivere un romanzo, "Il tetto", titolo emblematico che indica forse il senso di sradicamento da lui provato. Lo stile di Di Benedetto è assolu-tamente personale e caratterizzato da una lingua scarna e precisa, con periodi brevi e molto ritmati. Il lettore viene lentamente trascinato all'interno della storia, arriva quasi a percepire il dolore fisico provocato dal rumore.

SIMONETTA GIGLIO

Thomas Clément. MU. MUSICA UNICA, ed. orig. 2006, trad. dal francese di Elena Battista, pp. 219, € 16,50, Barbera, Siena 2006

In un futuro talmente prossimo da esse-re quasi pesse-resente, la commercializzazione della musica sul pianeta è gestita quasi in-teramente da un'azienda, Musica Unica,

appunto, la quale, grazie al suo amministratore de-legato Franck Matalo è riu-scita a sradicare la pirate-ria digitale, a rendere ob-soleti registratori e lettori ed e a fatturare miliardi producendo musica pre-confezionata e sintetizzata sulla base di inchieste di mercato e disponibile a pagamento su internet. Anche grazie a questa continua manipolazione a scopo commerciale, i gio-vani sono totalmente privi della capacità di compiere scelte in ambito musicale e ac-quistano passivamente tutto ciò che Musi-ca UniMusi-ca propone. L'impero commerciale subisce anche pressioni esterne da

fanati-ci nostalgifanati-ci degli anni d'oro di "sesso, dro-ga & rock'n'roll", che non costituiscono però una minaccia reale per il fatturato del-l'azienda. Franck Matalo, la voce narrante della vicenda, è reduce da una tragedia personale e familiare e vuole farla finita, trascinando con sé l'azienda che ha crea-to, contribuendo in modo determinante ai suoi fatturati miliardari. Quando propone di lanciare una band di adolescenti reale, che strilla volgarità in una cantina e suona (male) strumenti veri, nessuno immagina che lo faccia per portare l'azienda al falli-mento. Lanciati dall'impeccabile meccani-smo promozionale elaborato da Musica Unica nel corso degli anni, i ragazzi diven-tano immediatamente delle vere star, sul modello dei rocker maledetti degli anni set-tanta. Il piano di Franck per far implodere l'azienda è quindi fallito? li colpo di scena finale lo lascerebbe credere, ma al lettore resta comunque una riflessione sulla natu-ra del rock e sull'omologazione cultunatu-rale.

PAOLA GHINELLI

Olivier Adam, PASSARE L'INVERNO, ed. orig. 2004, a cura di Maurizia Balmelli, pp. 92, € 9,50, minimum fax, Roma 2006

"Scrivo stringendo tutto: i denti, i pugni, la frase" dichiara Olivier Adam, giovane scrittore cresciuto nella banlieue di Parigi, autore di numerosi romanzi, condirettore di una collana di narrativa per adolescen-ti e vincitore nel 2004 della Bourse Gon-court de la Nouvelie con Passare

l'inver-no, raccolta di racconti ora tradotta in

ita-liano. Sono in tutto nove storie, ognuna delle quali narra la notte di un personag-gio insonne, ritratto sullo sfondo della sua casa silenziosa o dei più tipici non luoghi

urbani: strade, uffici deserti, stazioni di servizio, ospedali, hotel. I personaggi di Adam sono persone comuni, tassisti, in-fermiere, camionisti, genitori, bambini, amanti, e appaiono tutti segnati da ferite profonde, sull'orlo di una solitaria crisi di nervi, ma se il caso li fa incontrare fonda-no tenere comunità provvisorie, che si sciolgono con l'arrivo dell'alba. Ogni rac-conto riesce a fissare con pochissimi trat-ti, in una manciata di pagine, la vibrazione nascosta di queste anime inquiete, illu-strando con precisione lo stato dì tensione e di spossatezza che precede il crollo dei nervi e genera la svolta che trasforma an-che solo per un istante la loro vita: una fu-ga, un incidente, una tenerezza inattesa, li cambiamento giunge senza fragore, co-me la neve in una notte d'inverno, e Adam è maestro nel catturare il germe della tra-sformazione celato dall'immobilità appa-rente. La lettura lascia così un ricordo straordinariamente intenso, quasi palpabi-le, dell'intimità delle case, dei letti, dei di-vani, delle tappezzerìe consunte, degli in-terni disordinati delle automobili e delle apparizioni fugaci e commoventi dei bam-bini e dei cani. L'abilità di condensare un'intera vicenda in pochi dettagli, crudi e ben calibrati, che si distaccano con forza dal fondo, rivela in Adam un attento letto-re di Raymond Carver scrittoletto-re poco "fran-cese", avverso a ogni artificio o specula-zione intellettuale, impegnato a catturare al volo le storie e le voci della quotidianità per rivelare la fredda banalità del dolore. Nonostante la giovane età, Adam possie-de una scrittura sorprenpossie-dentemente sicu-ra, che affida al ritmo di frasi brevi e lapi-darie, attraversate da un lirismo aspro e nervoso, il compito di mettere a nudo "l'osso della frase (...) e del sentimento".

ANNALISA BERTONI * I O O

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John Josselyn, RARITÀ DELLA NUOVA IN-GHILTERRA, ed. orig. 1672, trad. dall'inglese di

Clara Bartocci, pp. 243, € 13, Morlacchi, Peru-gia 2006

Dopo la scoperta del Nuovo mondo, l'impresa più difficile per i primi esplora-tori è stata quella di capire quanto vi fos-se di diverso da tutto ciò che fino ad al-lora ci si era aspettati di trovare. Per ri-flettere sul processo con cui il nuovo è stato fornito di un'identità, fissato nella memoria e tradotto in esperienza, Mor-lacchi ha deciso di pubblicare una col-lana di opere relative alla colonizzazione inglese del Nord America, "li Nuovo Mondo". In questo primo volume, la ri-produzione anastatica dell'edizione ori-ginale delle New England's Rarities (1672) di John Josselyn è corredata dal-l'attenta traduzione di Clara Bartocci. Il libro, che raccoglie otto anni di osserva-zioni minuziose sulla flora e sulla fauna della nuova colonia, si inscrive in una tradizione già codificata dalle raccolte di Giovanni Battista Ramusio e Richard Hakluyt il Giovane. La fonte principale resta però l'Herball di John Gerard. Au-tore anche di An Account of Two

Voya-ges to New England (1674), Josselyn si

lascia tentare dal demone di un collezio-nismo che sfida in erudizione Plinio e Isi-doro da Siviglia e usa lo strumento del catalogo come stimolo per l'invenzione di gustose esagerazioni. Nutrita della stessa insofferenza di Thomas Morton al dettato puritano, la sua poetica intende il viaggio come modo di aprirsi all'incon-tro con l'alall'incon-tro, li libro, che sarà poi citato da Linneo, Thoreau e Melville, si chiude con una poesia sulla superiorità della donna indiana su quella europea. Forse l'empirismo di Josselyn dipende dalla stessa lezione che secoli dopo altre squaw forniranno a Emilio Cecchi: nella trama di un tessuto come in quella della scrittura, occorre lasciare una piccola menda perché l'anima non vi resti pri-gioniera.

LUIGI MARFÈ

Edmond de Goncourt, HOKUSAI. IL PITTORE DEL MONDO FLUTTUANTE, ed. orig. 1896, trad.

dal francese di Valeria Pazzi, pp. 234, € 19, Luni, Milano 2006

A pochi mesi dall'edizione Sellerio di La casa di un artista, l'Italia si conferma patria d'eiezione per i lavori dei fratelli Goncourt. Il nuovo ciclo di interesse per l'opera "soli-sta" di Edmond, avviatosi tre anni fa con la riproposta di Fratelli Zemganno (Fazi), si arricchisce ora dell'opera estrema, la

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