( Continuazione da pag. 472 del volume IV )
X X I .
S e z i o n e d i A r c h e o l o g i a.
Tornata del 22 Giugno 1877.
Presidenza del Preside can. prof. An g e l o Sa n g u i n e t i.
Il socio Desimoni legge una Memoria intorno ai v i a g g i dei fratelli Zeno al settentrione d’ Europa, tra la fine del secolo X I V
e il principio del seguente.
Dopo aver notato le molte e gravi dispute insorte tra i dotti sulla veracità del racconto di questi viaggi, fatto da un discendente di essi Zeno, soggiunge che tuttavia era già stata dimostrata in gran parte Γ identità dei nomi di luoghi ivi ricordati con quelli delle carte odierne; ma che questa identità, ed in generale tutta la veracità della narrazione, fu recente
mente posta fuor d’ ogni dubbio dall’ illustre inglese Riccardo Major conservatore della parte geografica nel Museo Britannico.
Il Disserente porge un’ idea delle quistioni come sovra di
battute, e del modo felice come furono sciolte dal lodato in
glese. Segue Nicolò Zeno di V enezia, che dopo aver presa parte alla celebre guerra di Chioggia contro i genovesi, s imbarca per le Fiandre e l’ Inghilterra verso il 13 9 0 , ma da fiera tempesta è trabalzato alle isole Faroe. Ivi trova il Conte di quelle regioni, Enrico Sinclair, che lo accoglie cortesemente, e sperimentandone la maestrìa marittima, lo pone a capo delle sue spedizioni dirette a liberarsi da consanguinei rivali e a fare scoperte lontane. Nicolo Zeno chiama dalla patria il fratello Antonio, ed entrambi perlustrano le isole Scetland e la capi
tale delle Orcadi; indi girati que’ gruppi insulari s’ innalzano alla Groenlandia. A l ritorno, Nicolò muore alle Faroe dopo quattro anni di soggiorno in quelle regioni.
Antonio rimane ancora dieci anni colà, dopo i quali il conte Sinclair gli permette di tornare in patria verso il 1405-6.
Durante quel decennio Antonio avea non solo continuata la navigazione per quel m are, m a, sulle indicazioni di un vec
chio pescatore, tentata la via alla scoperta di terre lontane verso ponente, che sarebbero probabilmente l’ isola di T erra
nuova e la costa vicina dell’ America settentrionale.
Una tempesta sopraggiunta impedì la continuazione di tale viaggio di scoperta ed obbligò lo Zeno al rito rn o , passando presso un’ isola Icarìa (che il Major suppone sia K erry d’ Ir
landa) , di là volgendo a tramontana e rivedendo la Groen
landia.
X X II.
A s s e m b l e a G e n e r a l e.
Tornata del i.°. Luglio 1877.
Presidenza del Presidente comm. An t o n i o Cr o c c o.
Si procede alla nomina di vari soci effettivi; e si comuni
cano le proposte per altri di pari grado, sulle quali, a norma dello Statuto, avrà luogo la votazione nella tornata ventura.
Si presenta 1’ elenco di oltre ottanta opere e pubblicazioni periodiche, pervenute in dono o in cambio nel primo seme
stre dell’ anno corrente alla Società od alla Direzione del Giornale. Ligustico, e da quest’ ultima donate a sua volta alla Società medesima.
L ’ Assemblea demanda inoltre al Presidente la nomina della Com m issione, che dovrà riferire sulle proposte di nuovi soci onorari e corrispondenti.
V A R I E T À
Transunti di alcuni memoriali presentati da L ig u ri al Papa ed al G overna
tore di Roma nel secolo X V I I . — D all' Archivio di Stato in Roma.
I.
(Senza data). Isabella Saull vedova, con nove figliuoli m aschi, espone al Papa che Gio. Tom aso e Gio. Paolo In vrea, accompagnati da circa 80 uomini arm ati, fecero prigione in chiesa suo marito Gerolamo S au li, ed avendogli imposto un grosso riscatto, che non si potè sborsare, Γ am
mazzarono. Ruppero finestre e porte della chiesa, uccisero un servitore, ferirono due altri pure in chiesa, la quale saccheggiarono. Non avendo la supplicante potuto ottenere giustizia in G enova, ed i suddetti Invrea macchinando di più contro la vita di lei e de’ suoi fig li, fu ella costretta di abbandonare la patria e venire a prostrarsi ai piedi di S. S. Il Papa avendo già ordinato all’ Arcivescovo di Genova di far carcerare gli Invrea, come fu fatto, la vedova supplica che vengano tratti a Rom a e qui pro
cessati.
Il Papa passò il memoriale al Governatore senza alcuna osservazione.
II.
(S. d.). Il prete Guglielmo Raineri della diocesi d’ Albenga, avendo procu
rato 1 assoluzione di alcuni rei inquisiti della corte episcopale d’ A lbenga, fu bandito dalla diocesi. Ricorse al Papa che commise la causa al G over
natore di Rom a, il quale ridusse il bando dalla sola città di Albenga.
Nel 1604 otteneva la cessazione dello stesso, purché avesse il perdono dal vescovo di Albenga ; ma questo persistendo a n egarlo , benché il bando fosse già per 10 a n n i, Don Raineri ricorre al Papa per ottenere la detta detta cessazione anche senza il perdono vescovile.
Il Papa passò la supplica al Governatore senza pronunziarsi.
III.
(16 10 ). Il capitano Gio. Battista Riccio genovese, i! quale ha servito con « condutta de’ Corsi tutto il pontificato di Papa Clemente e nelli rumori di \ renezia e si offerse a S. Beatitudine con 1000 soldati senza alcuna imprestanza », espone che per una rissa avuta alcuni anni passati con il capitano Domenico di Ornano corso, ebbe l’ esilio da Roma per tre anni e poi finche avesse avuto la pace. Essendo scorsi quasi cinque anni
e non mai avendo potuto ottener detta pace, benché cardinali e gentiluo
mini abbiano procurato di ottenergliela, ed essendo per suoi demeriti detto capitano a sua volta bandito, supplica per aver rimessione dell’ esilio e poter ritornare a Roma ove intende finire i suoi dì.
Il memoriale fu passato semplicemente al Governatore.
IV .
CSenza data). Il capitano Claudio Liceti genovese, che ha servito S. S. nell’ armata navale sotto il comando dell’ Ecc.m° signor Principe Ludovisi qual ingegnere, e nel campo di Toscanella qual capitano di artiglieria, espone al Governatore di Roma che fu minacciato di due sçhiaffi da certo Erasmo Ballada e domanda perciò una prudente corre
zione allo stesso.
Il Governatore ingiunse al suo notaro di riparlargliene.
V.
(1669). Gio. Battista O rerò, Salvatore Giacinto Savignone e Antonio Maria Grimaldi, turchi fatti cristiani, espongono a S. S. Clemente IX che essendo schiavi di padroni omonimi genovesi, ai quali servirono per molti anni, per liberarsi dalla dura servitù erano fuggiti riparando a Roma ad acclamare la libertà nel Campidoglio. Per mancanza di ricapiti, prima di poter riuscire nel loro scopo furono catturati dal Governatore di R o m a, ad istanza dei loro padroni.
Avendo udito che S. S. aveva approvato che venissero restituiti, sup
plicano il Papa di loro permettere di restituire ai padroni il prezzo della loro compera ed aver così la libertà. Fanno presenti i pericoli sfuggiti nel lungo viaggio, e il timore di essere puniti con la galera o dì esser con
dannati alla galera o alla morte se restituiti, onde il loro castigo serva di esempio in Genova ad altri schiavi che intendessero fuggire.
Il P ap a , trasmettendo il memoriale al Governatore , gl’ ingiungeva di parlargliene in ordine alla sicurezza dei supplicanti.
Il nobile G rim aldi, 1’ Orerò ed il Savignone gen ovesi, tutti tre con speciale memoriale al Papa, domandano 1’ estradizione e restituzione dei loro schiavi; e l’ ottengono.
VI.
(1669). Giuseppe Grimaldi nobile genovese espone a S. S . , che i tre schiavi stati restituiti con obbligo ai padroni di non maltrattarli nè ven
derli in galera sotto pena di 200 scudi, salvo nuova cagione, presero tanto
ardire da non voler più faticare, e per di più diventarono insolenti contro i loro padroni. Fu perciò costretto «di porre il suo schiavo in custodia nel nuovo Albergo di Carbonara, luogo pio dove si mantengono m oltissim i poveri. Quello dell’ O rerò , che è fratello dello schiavo su accennato, andò ad istigarlo a fuggire di là, così che il Savignone dovette farlo porre alla catena. Quando incatenati ricorsero a Roma per avere i 200 scudi, cre
dendo la multa spettare a lo ro , ciò fecero a consiglio della madre pure schiava dell’ Orerò. Infatti venne ordine dal Papa al Savignone di pagare la multa, che sborsò. Un nipote del Savignone credendo che l’ Orero non fosse estraneo a tale condanna, per vendicare il zio uccise esso Orerò.
Intanto lo schiavo fu liberato secondo il desiderio del Papa.
Il Grim aldi, venendo al suo sch iavo, nota che diportandbsi come gli altri due, acciocché non fosse di malo esempio a sette altri schiavi che teneva, risolse di mandarlo a Cadice per venderlo a mezzo di Stefano P al
lavicino. Giunto colà, lo schiavo per non esser comprato diceva a tutti che egli non era buono a nulla ; così che dovette essere ricondotto a Genova.
Qui insolentendo più che mai, (u costretto il Grim aldi a metterlo nelle pubbliche prigioni; e perciò ricorre al Papa per avere il permesso di ven
derlo in galera. Crede che il timore di esser venduto in tal modo possa farlo ritornare docile e servizievole.
Negando questa g ra z ia , si pregiudicherebbe « 1’ avvenire ad un gran numero d' anime infedeli, perchè essendosi in Genova fatto assai fami
gliare l ’ uso degli schiavi, delli quali se ne servono non solo li nobili ma anco li cittadini ordinari, al presente ve ne sono in buon num ero, ed ognuno per la solita pietà della natione procura di ridurli alla fede cattolica »; Gli schiavi fuggirebbero ritornando alla religione maomet
tana, e non si farebbero più compere.
Il P apa, a di g ottobre 1669, risolse di far scrivere all’ Arcivescovo di Genova pro informatione et voto.
(2 novembre 1669). L ’ Arcivescovo di Genova risponde al Governatore di Roma esser vero quanto scrisse il Grim aldi nel memoriale comunica
togli; ma non si pronuncia, nè dà alcun voto.
Pare pertanto che da Roma siasi accordato il permesso di vendere lo schiavo ribelle, non trovandosi ulteriore cenno di questo affare.
A . Be r t o l o t t i.
A N N U N Z I B IB L IO G R A F IC I
L a Prise d ’Alexandrie, on Chronique du R o i Pierre I . " de Lusignan, par Gu i l l a u m e Ma c h a u t, publiée pour la première fois pour la Société de l’ Orient Latin par M . L . De Ma s La t r i e. Geneve, Impr. Jules-Guillaume Fick 1877. Un vol. in 8.vo
Con questo volume la benemerita Società dell’ Oriente Latino ha iniziata la serie storica delle sue pubblicazioni; e noi vorremmo darne minuta contezza, se i brevi confini del Giornale Ligustico non fossero di ostacolo alla effettuazione di questo e d’ altri nostri desiderii.
L a Prise d'Alexandrie è un poema che consta di 8887 versi. Il eh. edi
tore esponendo nella Prefazione la storia di sì fatto componimento, ri
cerca le fonti donde il Machaut attinse le notizie, e per conseguenza esa
mina quale sia il grado di probabilità che meritano le diverse parti del- Γ opera; infine tesse una rassegna dei diversi esemplari manoscritti che dell’ opera medesima si conoscono. La quale, considerata sotto l’ aspetto storico, è una cronaca rimata in cui si descrive il più memorabile avvenimento del regno di Pietro I di Lusignano ; mentre riguardo al suo autore è da ritenere come il più considerevole de’ lavori cui egli pose m an o , essendo un monumento della più alta importanza non solo per la storia dell’ isola di C ipro, ma per quella dell’ Oriente Latino. Il valore letterario del poema deve dirsi appena mediocre; ma non è da tacere che il Machaut lo scrisse varcati già gli ottanta anni (poco dopo il 1369): ce qui ferà excuser, au bèsoin, les lenteurs du récit. L ’ autore infatti dovette esser nato fra il 1282 e il 1284. Molti scrissero della vita e delle opere di lu i, chè fu anche musicista di molta fam a, ed uomo di corte e di governo; però al Mas Latrie non pure che alcuno abbia ap
profondito Γ argomento con diligenza bastevole, rimanendo tuttavia da consultare i numerosi documenti, che lo concernono, nell’ Archivio Na
zionale in Parigi. L ’ epoca della morte del Machaut si assegna general
mente al 1
377-II eh. Mas Latrie ha inoltre illustrato il poema con parecchie note di
ligenti, e compilata eziandio una Tavola cronologica degli avvenimenti celebrati nel medesimo : il che torna di un grande sussidio alle ricerche.
Viene ultimo un copioso indice alfabetico delle materie.
Per dare un saggio del lavoro del Machaut e radunare insieme i ricordi storici genovesi che vi s’ incontrano, riferiamo qui i brani seguenti.
Nel 1365 avendo i veneziani promesso di noleggiare al re Pietro alcuni loro legni, il poeta cosi scrive (pag. 4 9 ):
L i roys les m erda moult fo rt De leur aide et de leur offre,
Qui vaut d’or fin tout plain un coffre, Voire pai' Dieu X . millions ;
Car il n’est mie ne1 li homs Qui miens li peüst recouvrer.
Je ne di pas que Genevois ΛΓaient la buée et la vois , Et très grant puissance seur m er, Ho là! je n’en veuil nuls hlasmer!
Car comparisons bayneuses.
S on t, ce dit o n , et perilleuses.
Altrove racconta gli odiosi progetti formati dall’ emiro Yelboga e da un rinnegato genovese chiamato N assardin, per far abortire le trattative iniziate dagli ambasciatori del re Pietro col Sultano d’ Egitto (pag. 180 e segg.):
A u Caire avoit un am irai,
Vuit de tout bien, plein de tout m a l,
Irbouga estoit appeleζ ,
C ’est Yeux de buef en droit franfois.
E t si avoit un genevois Qui deùst or estre noie\, Car faus estoit et renoie\;
Devenus estoit Sarrasins, Et s’avoit a nom Nassardins.
Am ir aus et gratis druguement Estoit dou soudan. Et briefment Ces ij. avoient entrepris A destruire le roy de pris Qui de Cbipre a la signourie.
Ma alfine Yelboga pagò con la vita il fio delle proprie scelleratezze:
Et se Nassardin à la feste Heust esté, il fust sans teste, Car eschape{ ne fust à piece Qu’il ne fust taille1 piece à piece.
P a s q u a l e F a z i o Responsabile.